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47. Io mi rivolsi attento al primo tuono; E Te Deum laudamus mi parea Udir in voce, mista al dolce suono. 48. Tale imagine appunto mi rendea

Ciò ch' io udiva, qual prender si suole Quando a cantar con organi si stea, Che or sì or no s'intendon le parole.

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si questi cerchi superni. Psalm., XXXVI, 9: Rugiebam a gemitu. Qui stride Irruginita la porta perchè pauci... electi (Matth., XX, 16). -Buono. Nel senso latino che dice anco valente d'ogni valore. Tarpea. I luogo dove a Roma era custodito il tesoro, che Cesare spoglio ritornando da Brindisi, fugalo Pompeo, per pagare i soldati. Il tribuno Metello s'oppose... Protinus abducto patuerunt templa Metello. Tunc rupes Tarpeja sonal, magnoque reclusas Testaiur stridore fores: tunc conditus imo Eruitur templo, multis non tactus ab annis, Romani census populi (Lucan. Phars.,

1). L'atto di Cesare non par colpevole a Dante; poichè quel danaro della repubblica gli era strumento a fondare l'impero voluto da Dio (De Bell. Civ., I, 44). Macra. Pingue nel Toscano vivente vale abbondanza; magro, inopia. Ott.: Ha tratti pondi d'oro quattromila cento venticinque, e d'argento poco meno che novecento migliaia. Lucan., Ill: Tristi spoliantur templa rapina; Pauperiorque fuit tunc primum Caesare Roma.

47. (SL) Mista. Simile nel XIV del Paradiso.

48. (L) Rendea...: mi dava l'idea di canto a suon d'organo. Stea: stia.

Non tanto la poca convenienza delle troppe memorie mitologiche qui accumulate quanto il modo dell'accennarvi, sarebbe, qui da notare come non imitabile. Il dolce amico, però, ringiovanisce nel verso del Poeta l'antico Titone, o, ch'è più bello, rappresenta la fedeltà della moglie bella. Il sommo Concistoro a cui Ganimede è rapito, dice che Dante purificava nel pensier suo l'affetto della bellezza al modo della socrática e platonica filosofia, e adombrava forse in quel ratto l'estasi dell'anima innamorata in Dio, primo Amore. E così la trasiazione d'Achille dagli ozii molli alla Jode faticosa dell'armi poteva significare l'ascendere che il Poeta fa per iiluminazione di Grazia a vita più degna. Ma lo stile del Canto cede di molto al precedente in bellezza: e la Notte che adopera insieme e il passo e il volo, e la similitudine della porta Tarpea acra e macra, e altre locuzioni simili, non sono del tutto compensate da altre, al solito suo, felici e potenti. Anco l'ultima similitúdine del suono che copre or si or no le parole, è più bella nel concetto che nella dizione.

Ma non a caso gentili egli chiama le anime in mezzo alle quali s' era addormentato tra' fiori come già disse anima gentile Sordello, e donna gentile colei che lo aveva raccomandato a Lucia. Lucia addita a Virgilio la porta dell' espiazione non con parole o con cenno, ma con gli occhi belli.

A chi domandasse perchè l'Angelo, come Caronte e Minosse e quegli altri, interroghi quasi minacciando i due che s'appressano, come se ignorasse chi sono; potrebbesi rispondere che lo fa, come i Beati che interrogano il Poeta di quel che già sanno, per esercitare il suo buon volere, é dargliene merito. Entra l'Angelo, in troppi discorsi con loro; ma la dottrina dell'espiazione doveva pure secondo il concetto del Poema essere da qualcuno dichiarata; né Virgilio lo poteva, e Beatrice non è ancora apparita. Forse lo poleva a qualche modo Lucia: ma al Poeta meglio piacque vederla in sogno scendere coll'impeto dell'ispirazione com'aquila, e levarlo in alto, e ardere seco: imaginazione sapientemente poetica, la qual dice come le rivelazioni e so

prannaturali e naturali, facciano Soave e terribile violenza alla debole anima umana; e come, quando diventano più veementi, cessano, lasciando l'uomo a sentire la propria debolezza, ma dandogli, con la memoria delle cose intravvedute, l' incessante desiderio e vigore di vincerla.

Nello splendore che sfavilla dalla spada dell'Angelo; ne' gradi che col colore accennano alla schiettezza e al dolore e all'amore dalla penitenza

richiesti, accennano l'educazione graduata e dell'uomo singolo e della specie; nell'umiliato dolore di quell'anima altera, nell'attitudine ch'egli prende contrita, simile a quella della semplice femminetta, riconosci il Poeta; non meno che nell'incidere che gli fa l'Angelo sulla fronte col ferro la traccia de' peccati. Dante incide col verso, perchè lo Spirito divino gli scolpiva nell'anima e gioie e dolori.

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Sulla riva d'Acheronte balena una luce vermiglia, e il Poeta cade com'uomo preso dal sonno; e un tuono gli rompe il letargo, ed e' si trova nella valle d'abisso (1). Al sentir dell'amore e della morte di Francesca, o piuttosto al veder piangere l'amante più infelice da' tormenti di lei, perchè cagione e testimone di quelli (3), il Poeta vien meno di pietà, come se gli venisse meno la vita, e cade come morto; e al tornar della mente si trova nel cerchio d'un'altra pena. Qui nel Purgatorio e' s'addormenta sull'erba tra' due poeti e i due principi amici, nè si sa quali meglio gli conciliino i sonni. E vede un'aquila rapirlo in alto, e intanto Lucia lo prende e lo reca presso alla porta del Purgatorio tra le sue braccia. Poi nel cerchio ove purgasi l'iracondia e' sarà tratto in un'altra visione, e vedrà esempi di mansuetudine generosa (3). Poi più su gli piglierà il sonno da capo e gli apparirà una femmina, imagine del piacere falso (4): poi (perchè, se crediamo alla Vita Nuora, l'addormentarsi e il sognare erano frequenti a lui) gli apparirà Lla nel sonno, imagine della vita attiva, cogliendo fiori (5): poi in cima al monte, visto l'albero misterioso fiorirsi di verde e di novelli colori, s'addormentera, e allo svegliarsi troverà Beatrice seduta all'ombra di quello, e vedrà il carro farsi bestia, e di bestia preda (6).

L'ora del mattino, è tradizione e de' poeti antichi e de' filosofi e del popolo, che sia quella in cui i sogni più riveli no di verità (7). Ecco a questo

(1) Inf., III, IV. Arist., de Somn. et Vig.: Sonno ed epilessia si somigliano. Altrove: Contingat dormire cum qui animo deficit.

(2) Inf., V, VI. Questa è bellezza riposta e profonda, ma apparisce dalle parole chiarissima, bene considerate: L'altro piangeva; si che di pietade I' venni men, cosi com'io morisse (Inf., V). Gli è quel pianto che lo fa venir

meno

(3) Purg., XV.

(4) Purg., XVIII, XIX.

(5) Purg., XXVII,

(6) Purg., XXXIÍ,

sovente, Anzi che 'l fatto sia, sa le novelle... E già per gli splendori antelucani... Hor. Sat., I, 10: Post mediam noctem visus cum somnia vera. Inf., XXVI: Ma, se presso al mallin del ver si sogna. Ov. Her., XIX: Sub auroram, jam dormitante lucerna, Somnia quo cerni tempore vera solent (V. Inf., XXXIII). Altri per mente divina in questo passo del Purgatorio intende divinatrice, al modo latino. Pietro intendė divina, non altro; ma già gli è tutt' uno, dacchè gli indovini erano detti divini quasi Deo pleni (Isid., Etym. VIII). Qui Pietro cita Aristotele

Purg., XXVII: Il sonno che (de Anima), il quale all'anima då tre

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proposito quant'ha la Somma. « L'anima, dice Agostino (1), » ha in sè certa » virtù che di natura possa conoscere le cose future. E però quanto si ritrae da' sensi corporei e in certo modo ritorna a sè stessa, si fa partecipe della notizia del futuro. E quest'opinione si fa ragionevole se ponessimo che l'anima ricevesse la cognizione delle cose per la partecipazione delle idee, siccome i platonici posero; perchè così l'anima di sua natura conoscerebbe le universali cause di tutti gli effetti; ma n'è impedita dal corpo. Onde, quando s'astrae da' sensi del corpo, ella conosce il futuro. Ma perchè cotesto modo di conoscere non è connaturale all'intelletto nostro, ma bensì ch'e' riceva la cognizione da' sensi, però non è secondo la natura dell'anima conoscere le cose future, alienandosi da' sensi; ma si per l'impressione di alcune cause superiori, spirituali e corporali. Spirituali, come quando per virtù divina l'intelletto umano per il ministerio degli angeli è illuminato, e i fantasmi ordinansi a conoscere alcun che del futuro, o anche quando per operazione de' demonii (2) si fa alcuna commozione nella fantasia ad adombrare alcuna cosa di quel che sarà. Corporali, perchè i corpi superiori dell'universo fanno impressione sugl'inferiori. Onde da quelli può essere in certo modo immutata la fantasia: ed essendo i corpi celesti causa di molte cose avvenire, possono nei corpi umani seguire de' segni che facciano presentire quelli: i quali sogni più percepisconsi di notte da' dormenti, perchè, come dicesi nel libro Di sonno e vigilia (3): « Le impressioni apportate dal giorno si dissipano, perchè l'aria della notte è più quieta e più lacita; e » ne' dormenti i leggieri moti interiori più sentonsi che non vegliando (4). L'anima nostra quanto più dalle cose corporali si astrae, tanto degli astratti intelligibili si fa più capace (5). Alienato da' sensi l'intelletto ha più di vigore (6). E Giobbe: Fra il sonno nella visione notturna.... allora (Dio) apre gli orecchi degli uomini e.... li ammaestra di (sua) disciplina (7). Più eccellente è la profezia che ha insieme visione intellettuale e imagi nativa, di quella che ha l'una delle due solo (8). Ciò che qui dicesi del vaticinio profetico, nella proporzione umana intendesi del poetico; che dove l'idea ragionata si presenti vestita di fantasma conveniente, ivi è più nobillà e più potenza. E però Dante in questo Canto, con una delle solite note che mettono lui tra il lettore e la cosa, ma non ingombrano però la veduta della cosa, dice: Lettor, tu vedi ben com' io innalzo La mia materia.... E questo innalzamento è anco simboleggiato dal ratto che di lui fa Lucia, vista in sogno sotto imagine d'aquila: che rammenta non tanto quello de' Salmi: Si rinnovellerà come d'aquila la tua giovanezza (9), il rinnovamento

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(6) Som., 1, 1, 86 e anche 1, 2, 4. E Ambrogio: Già deposti i legami del senso, scerne con libera vista quel che dianzi nel corpo suo non vedeva; il che dall'esempio de' dormenti possiamo conoscere, gli animi de' quali, sepolto quasi il corpo nella quiete, più alto si levano e annunziano al corpo le visioni delle cose assenti e eziandio di quelle del Cielo,

(7) Job, XXXIII, 15, 16.
(8) Aug., XII, in Gen. ad lit.
(9) Psal. CII, 5.

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che altrove dicesi seguire nell'anima purificata e disposta a salire alle stelle (4); quanto quello del Deuteronomio : Lo ha trovato in luogo deserto... lo ha portato com'aquila, che porta sopra se i proprii nati (2). E qui pure accennano que' de' Salmi: Ti porteranno fra le braccia, che tu non intoppi nella pietra il tuo piè (3). Manda la tua luce e la tua verità, perch'esse mi scortarono e mi condussero al tuo monte santo (4). E qui Pietro cita anche: Assumpsit me de aquis multis et deduxit me in latitudinem (5). Nè sia maraviglia che tra queste imagini di religione severa entri quella di Ganimede che era a lui semplice simbolo, e gli pareva forse una versione della favola di Psiche, cioè dell'anima sollevata al massimo degli amori. E l'imagine d'amore con in braccio bella donna dormente è nella Vita Nuova e nelle Rime; e questa del Purgatorio e quell'altra giovanile accennano forse ⚫ai versi di Virgilio così soavi: At Venus Ascanio placidam per membra quietem Irrigat, et fotum gremio dea tollit in altos Idaliae lucos, ubi mollis amaracus illum Floribus et dulci aspirans complectitur umbra (6).

Qui rincontriamo Lucią, simbolo del quale s'è detto nelle illustrazioni al secondo dell'Inferno, e anche accennatovi che tra quella mandata di Beatrice in soccorso di Dante, e la mandata d'Opi in vendetta, se non in soccorso, di Camilla, era alcuna conformità. E qui dichiariamolo :

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E qui nel Purgatorio Lucia posa Dante tuttavia dormente: e gli occhi suoi belli, di lei che secondo la tradizione volgare li perdette per coraggioso amore del vero, mostrano a Virgilio la porta, ed ella e il sonno si dileguano insieme.

Per Lucia Pietro intende la matematica che lo innalza al principio dell'azione virtuosa: e per matematica intende, secondo l'origine, la scienza appresa (μavoάvw). Ma questa interpretazione si può conciliare con l'altra del Canto II dell'inferno, dicendo che Lucia è la grazia illuminante, anco

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