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'immagina sovente che faccia d' uopo occuparsi in og getti melancolici, perchè s' accordino questi colla tristezza che si sente nel fondo del cuore; ma ciò dipende dal non aver per ancora provato daddovero tutto il peso del patimento. Quando alla fine si conosce per esperienza quali sono i dolori della vita, s'impara eziandio il modo di lottar con essi, di chiamare in soccorso l'immaginazione, di deludere il proprio martirio con distrarlo, e in somma di trattarsi come un malato a cui si ri parmia ogni cosa che possa ridurgli alla memoria la sua infermità.

Quanto alle novelle per sè stesse, sarebbe difficile. il farle conoscere per mezzo di estratti; perocchè ciò che ha fatto la gloria del Boccaccio, è la purezza della favella, l'eleganza, la grazia, e innanzi tratto la naturalezza; in che sottosopra consiste il maggior merito di un racconto, e l'attrattiva particolare della lingua italiana: le quali cose fuggono tutte da un estratto. Sventuratamente il Boccaccio non si obbligờ nelle idee e nelle immagini alla medesima purezza ch' egli si avea proposta nella lingua. La forma del suo lavoro è leggiere e scherzevole; egli v'inseri molte storie galanti; vi profuse a piene mani il ridicolo sopra i mariti ingannati, sui frati corrotti e corruttori, sopra cose ch' ei pur tenea per sacre (cioè, dall'una parte la morale, e dall' altra il culto), e s' acquistò quindi una riputazione che poco si accorda colla sua propria vita. Il Decamerone tuttavia, De Sismondi, vol. I.

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

pubblicato verso la metà del secolo XIV (del o là intorno), allora quando il Boccaccio ave lo meno trentanove anni, circolò liberamen Italia, e fu impresso dall' invenzione della s infino al Concilio di Trento, il quale lo verso la metà del secolo XVI. Ad istanza po Granduca di Toscana, e dopo due curiose ziazioni fra quel Sovrano e i papi Pio V sto V, fu ristampato il Decamerone, corretto stigato, nel 1573 e nel 1582.

Egli sembra che parecchie novelle del Bocc sieno tolte da racconti popolareschi, o danav menti reali: si trova l'originale di alcuni ne' ve fabliaux de' Francesi, com' e' li chiamano; di nella raccolta italiana delle cento Novelle anti e di altri ancora in un romanzo indiano ch passato in tutte le lingue dell' Oriente, e ch stato tradotto in latino fin dal secolo XII, sott nome di Dolopathos, o vogliam dire il Re ed i s Sapienti. L'invenzione in questo genere non è rara, che in qualunque altro; le medesime nov che il Boccaccio avea forse raccolte alla festev Corte de' Principi, o ne trivj della città, ci fur poi raccontate di nuovo in tutte le lingue dell'1 ropa; e, messe in versi da' primi poeti della Fra cia e deli Inghilterra, levarono in riputazione tre quattro successori del Boccaccio. A ogni modo, questi non può vantarsi dell' invenzione de' sogget

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ha diritto di andare altiero dell'invenzione del genere. Avanti a lui si erano distese delle novelle per ridere ma egli fu il primo che le trasportasse nella letteratura; e mediante l'eleganza del dire, la giusta proporzione di tutte le parti de' suoi racconti, e la vaghezza de' particolari, unì il diletto poetico, il diletto dell'arte, a quel piacer più volgare che recar soleano i primi novellatori.

Dopo il Decamerone, il romanzo intitolato la Fiammetta è l'opera del Boccaccio che gode maggior celebrità. Il Boccaccio può considerarsi come il primo inventore di un romanzo amoroso. Questo genere di composizione era stato interamente sconosciuto all' Antichità. I Greci di Bisanzio, è vero, possedevano alcuni romanzi, de' quali avemmo notizia dappoi ; ma non v' ha ragione alcuna di credere che il Boccaccio gli avesse mai letti; o, poniam pure che ne avesse avuto cognizione, non è da presumere ch' egli volesse imitar opere d'immaginativa inventate tanto tempo dopo la decadenza della bella letteratura. I romanzi di cavalleria de' Francesi, nol niego, aveano qualche relazione col genere creato dal Boccaccio; ma egli, in luogo di ricorrere per lusingar la fantasia, ad avvenimenti maravigliosi, non tirò partito che dal cuore umano e dalle sue passioni. Fiammetta è una dama nobilissima di Napoli, la quale racconta l'amor suo e le sue pene; è sempre ella che parla, e l'autore non apparisce

giammai. Gli avvenimenti sono poco variati; in vece di progredire verso la conchiusione, si rallentano ad ogni passo; ma l'amore è espresso con un fuoco, con un tenero languore, che niun altro scrittore italiano seppe forse conservare. Si sente che Fiammetta è divorata dall' ardore ch' ella esprime; e, sebbene non abbia il minimo riscontro con Fedra, non si può fare che questa non si presenti alla nostra memoria, poichè nell'una e nell'altra

Venere tutta alla sua preda appigliasi (*)._

Il Boccaccio solea rappresentare, sotto il nome di Fiammetta, la principessa Maria, oggetto de' suoi amori. Il luogo della scena in Napoli, il grado della amante, ed altre circostanze parecchie farebbero supporre che anche in questo romanzo abbia il Boccaccio velato così per metà i suoi proprj amori sotto un tal nome. Ma in questo caso è pur molto strano ch' egli dipinga l'amore senza freno di Fiammetta, e l'infedeltà di Panfilo, in un libro ch'egli vuol dedicare alla sua Bella; e che sveli al Pubblico certe avventure da cui forse dipendea la sua vita e il suo onore.

Ci ha nella Fiammetta molti discorsi, e sovente troppo lunghi; ma soprattutto è cosa veramente che stanca, il modo scolastico con che ragionano gl'interlocutori, i quali non vogliono mai lasciare

(*) C'est Vénus toure entiere à sa proie attachée.

indietro nessun argomento. Oggigiorno esso è essenzialmente stucchevole; allora era la necessaria conseguenza dell'educazione comune e della stima in che si avea la pedanteria. Un altro difetto più bizzarro del romanzo del Boccaccio è la mescolanza dell'antica mitologia e della religione cristiana. Fiammetta, che per la prima volta avea veduto il suo Panfilo alla messa in una chiesa cattolica, è determinata ad ascoltarlo da un'apparizione di Venere; e durante tutto il racconto, le usanze e le credenze antiche e moderne sono costantemente confuse. Anche ne' romanzieri e ne' fabliaux del medio evo si era veduta una certa confusione fra le due credenze, ogni volta che i trovatori aveano tentato di dipignere l'Antichità. Quegli uomini ignoranti non potevano concepire un'altra esistenza da quella ch' era per essi conosciuta e spargevano una vernice di cristianesimo sopra tutto ciò che si era loro insegnato dell' antica mitologia. Ma quelli che rimisero in piedi lo studio de' Classici, ed il Boccaccio alla lor testa, facevano un cotal miscuglio in maniera affatto diversa. Essi attribuivano agli Dei de' Gentili la vita, il potere e l'attività. Avvezzi a non ammirare altro, chę gli antichi Classici, introducevano sempre l'oggetto de' loro studi, le figure e le macchine a cui si erano accostumati, anche in mezzo ad opere che interamente attignevano dal proprio cuore.

Il Boccaccio scrisse un altro romanzo molto più

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