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lor lingua un nuovo potere, hanno lasciato de' mo delli che ogni altro popolo si è sollecitato d'imitare, ed hanno innalzato a sè stessi de' monumenti che leveranno ancora in ammirazione i posteri più remoti. L'Alighieri, al principio del secolo, diede all' Europa il primo grande poema ch'ella abbia avuto dopo il suo risorgimento, il primo che paragonar si potesse alle antiche epopeje; il Petrarca creò la nuova poesia lirica; ed il Boccaccio fu il padre della nuova prosa, armonica, pieghevole, leggiere, ed atta non meno a' più alti subbietti, che a' più umili e faceti. L'ultimo membro di questo illustre triumvirato, per verità, non è considerato al pari degli altri due; perchè il genere ond' egli fu il creatore, è meno rilevante; perchè nel merito di formar la lingua volgare sembra che il genio abbia minor parte; e forse ancora perchè l'opera sua migliore è contaminata da un miscuglio d'immoralità, ed alla riputazione di uno stile elegante si è per lui unita pur quella d'una troppo libera piacevolezza. Con tutto ciò, la forza d'intelletto necessaria per comprendere qual doveva essere la vera nobiltà, la purezza, l'armonia della prosa, allorchè non ne esisteva niun modello non pure in italiano, ma in nessuna delle lingue parlate a quell'epoca, non è meno straordinaria di quella onde fu d'uopo per dare all' alta poesia la sua inspirazione e insieme le sue regole.

Giovanni Boccaccio, nato a Parigi, del 1313, era figlio naturale di un mercadante fiorentino, o piuttosto da Certaldo, piccolo castello del Val d'Elsa sotto la giurisdizione di Firenze. Suo padre lo destinava al commercio, ma gli fece dar prima un'educazione letteraria. Infin dall'età di sette anni, il Boccaccio diede segni del suo gusto per le lettere, e cominciò a far de' versi, mentre che manifestava un' estrema ripugnanza per gli affari. Egli ricusò parimente e d'apparare il commercio, e di studiare il diritto canonico, com' era il desiderio di suo padre. Tuttavia, per soddisfarlo, intraprese parecchi viaggi; ma in vece del gusto de' negozj che si avea creduto d'inspirargli, ne riportò più vaste cognizioni e passione più viva per lo studio delle lettere. Finalmente ottenne la permissione d'applicarsi unicamente alla carriera letteraria; si stanziò a Napoli, ove il re Roberto favoreggiava le lettere con generosa protezione; delibò tutte le scienze che allor s'insegnavano; apprese inoltre i primi rudimenti del greco, che ancor si parlava in Calabria, ma che i dotti a pena studiavano; assistette nel 1341 al glorioso esame del Petrarca, che precedette alla sua incoronazione in Campidoglio; e da quel temFo strinse con sì grande poeta un' amicizia che durò sino alla fine della lor vita. Alla stessa epoca il Boccaccio, ch'era di un aspetto elegantissimo, di uno spirito vivacissimo e più che mai piacevole,

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s'affezionò ad una figlia naturale del re Roberto, chiamata Maria, la quale, da sette ad otto anni, era accasata con un gentiluomo napoletano, e ch'egli celebrò ne' suoi scritti sotto il nome di Fiammetta. Non è però da cercare nel suo amore per essa la purezza o la delicatezza di quello del Petrarca per Laura. La principessa Maria era stata allevata nella Corte più corrotta dell' Italia; ne avea contratto lo spirito, e attribuir bisogna al suo gusto depravato tutto ciò che più si biasima nel Decamerone, opera composta dal Boccaccio per ordine di lei, e per piacerle. Il Boccaccio, dal canto suo, amava per avventura non meno per vanità, che per un vero sentimento; ma sebbene ella primeggiasse così per la bellezza, le grazie e lo spirito, come pel suo grado, non si vede ch'ella abbia esercitato grande influenza sopra la di lui vita; e tanto la condotia, quanto gli scritti del Boccaccio non danno a conoscere un cuore veramente acceso, od un affetto profondo. Il Boccaccio lasciò Napoli l'anno 1342 per ritornare a Firenze; vi si condusse di nuovo nel 1344, e se ne partì per l'ultima volta l'anno 1350. D'allora in poi egli tenne posta ferma nella sua patria, dove la sua riputazione gli avea già assegnato un grado ragguardevole. D'allora in poi la sua vita fu divisa tra gl'impieghi pubblici (soprattutto le ambascerie che gli furono commesse), i doveri dell' amicizia verso il Petrarca, pel quale l'affezion sua

diveniva sempre più tenera, ed i costanti e indefessi lavori a cui si consacrava per l'avanzamento delle lettere, la ricerca de' manoscritti, la spiegazione delle cose antiche, l'introduzione della lingua greca in Italia, e la composizione delle tante sue opere. Del 1361 prese l'abito ecclesiastico; e morì a Certaldo, nella casa de' suoi maggiori, il 21 di dicembre 1375, in età di sessantadue anni.

Il Decamerone, opera a cui va debitore oggigiorno il Boccaccio della sua più alta celebrità, è una raccolta di cento Novelle ch'egli annodò fra loro con molto ingegno, supponendo che, durante la terribile peste del 1348, una società di donne giovani, savie e spiritose, e d' uomini che si erano ritirati in un' amena campagna per sottrarsi al contagio, s'avessero imposta la legge di raccontar, per dieci giorni, ciascuno in ciascun giorno una novella. La società era composta di dieci persone, e quindi le novelle ascendono al numero di cento. La descrizione delle deliziose campagne di Firenze, ove s' erano riparati questi allegri eremiti, come pur quella delle lor passeggiate, delle lor feste, de loro banchetti, diedero campo al Boccaccio di spiegar tutte le ricchezze dello stile più semplice e più grazioso. Le Novelle, che sono variate con arte infinita, in quanto al subbietto ed al modo di trattarlo, dalle più commoventi e più tenere sino alle più facete, e sventuratamente sino alle più licenziose,

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

svilupparono il suo talento di raccontare su tuoni, per così dire, e in tutti i generi; final la descrizione della peste di Firenze, che d'introduzione, è stata messa nel novero de' pi quadri istorici che ne sieno stati tramandati da lunque età. La perfetta verità della descrizion scelta delle circostanze che possono far l'impres più profonda, e che, offrendo innanzi agli gli oggetti più orribili, non eccitano tuttavia n disgusto; la commozione dello scrittore, che tra ad ogni poco, senz' essere mai affettata, imprim a questo squarcio la vera eloquenza istorica, q che in Tucidide dà anima e colore alla descriz della peste d'Atene. Il Boccaccio avea sotto gli chi questo modello, ma più ancora aveva inna allo spirito gli avvenimenti ond' era stato testimon ed era la fedel dipintura di quanto egli avea ve to, non già l'imitazione classica, che sì mara gliosamente sviluppava il suo ingegno.

Cosa degna d'osservazione è pur questa corn (se mi è permessa una tal metafora) così altam te seria per un disegno così faceto; questa mo così vicina, così minacciosa, così presente ad og istante, e che pur produce l'ebbrezza della vi questo appassionato bisogno che ha l'uomo di strarsi nel dolore; e questo torrente d'allegrezza c rinasce nel suo cuore, mentre parebbe che tu le circostanze esterne dovessero inaridirlo. Al

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