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in mezzo a' Greci ed a' Saracini, un grado d'incivilimento che nella prima metà del medio evo non appariva in tutto il resto dell' Italia. Le arti vi erano in fiore, alcune scienze vi si coltivavano con grande studio, la scuola di Salerno insegnava all' Occidente la medicina degli Arabi, ed il commercio d'Amalfi arrecava cognizioni insieme e ricchezze agli abitatori di quelle fertili contrade. Dall'ottavo al decimo secolo, parecchi uomini dotati d'ingegno aveano scritta l'istoria di quelle province, a dir vero, in latino, ma con fedeltà, con nerbo e con fuoco; e per fino alcuni aveano composto in esametri de' poemi storici, i quali, paragonati a tutti quelli del medesimo tempo, mostrano assai più di vigore e di facilità. L'invasione degli avventurieri normanni, i quali fondarono un regno nella Puglia, non v'introdusse un numero sì grande di stranieri da cambiar la lingua; ed anzi sotto la loro signoria cominciò per la prima voita l'italiana o la siciliana a prendere piede. Sotto i due Ruggieri e i due Guglielmi, che vale a dire nella prima metà del secolo XII, essendo la Corte di Palermo divenuta ricca e voluttuosa, vi risonarono per la prima volta i canti de' poeti siciliani. Alla stessa epoca si videro gli Arabi acquistarvi un credito ed un'influenza che non esercitarono giammai in nessun' altra Corte cristiana. Guglielmo I fece custodire il suo palagio da eunuchi, siccome usano i monarchi dell' Oriente,

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questi erano tutti musulmanı. Egli scelse fra loro i suoi confidenti, i suoi amici, ed anche talora i suoi ministri. Tutti quelli che davano opera alle arti, tutti quelli che contribuivano a' piaceri della vita, erano Saracini; la metà dell'isola era ancora da essi abitata. Allorchè sul finire del secolo duodeciFederico II successe a' monarchi normanni, egli trasportò poderose colonie di Saracini nella Puglia e nel Principato; ma non gli allontarò nè dai suoi servigi, nè dalla sua Corte; a rincontro, forn.ò di essi il suo esercito, e scelse quasi unicamente infra loro i governatori di provincia, ch' egli chiamava giustizieri. Laonde, così al levante come al ponente dell' Europa, gli Arabi si trovarono in istato da comunicare a' popoli latini le loro arti, le loro scienze e la loro poesia.

La lingua latina si era totalmente separata dalla volgare; le donne soprattutto non si curavano più d'impararla; e per piacer loro, per parlar loro d'amore, era d'uopo usar la favella che ingentiliva sui loro labbri, sottometterla a regole fisse, ed animarla per mezzo di quella sensibilità che una lingua morta e pedantesca non potea più ricevere. Egli pare di fatto che tutte le composizioni de' Siciliani, per un secolo e mezzo non sieno state che canti d'amore. Questi primi monumenti dell' italica poesia furono diligentemente conservati, ed il signor Ginguené pigiò fatica d'esaminarli ed esporli con

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

molto ingegno e molta dottrina: onde all' opera rimettiamo così coloro che hanno vaghezza di noscerli, come tutti quelli che ricercano into alla poesia italiana notizie più compiute e più fonde, che non sono d' aspettarsi nel breve c pendio che intendiamo d' offeri e a' nostri lettori,

Il pregio de' canti d'amore è quasi sempre teramente riposto nella elocuzione. Mischiando sottigliezze dello spirito al sentimento più tene non si farebbe che raffreddirlo; ogni invenzi parrebbe qui allontanare il poeta o l'amante dal fine; e però quasi niente altro gli si domanda non di ripetere con verità e sensibilità ciò che ogni tempo fu sentito da tutti quelli che hanno a to. Sola l'armonia del linguaggio deve esprin quella del cuore. Ma i primi poeti siciliani ed ital hanno quasi tutti trascurato questi principj. L'es pio degli Arabi e de' Provenzali fece lor prefe l'affettazione al semplice ed al naturale; tutti i ornamenti danno nel falso e nell' ammanierato. v'ha poco diletto a tradurre i migliori canti d' a re, ve n' ha ancor meno a far notare i difetti mediocri; quindi le poesie di Ciullo d'Alcamo ciliano, quelle di Federico II e del suo cancell Pietro dalle Vigne, quelle d' Oddo delle Colon di Mazzeo di Ricco, ec., non sono tali da m vere a curiosità, se non in quanto servono all' ist della lingua e del verseggiare.

URA ITALIANA

ina: onde all' opera sua hanno vaghezza di coche ricercano intorno iù compiute e più prospettarsi nel breve comFerie a' nostri lettori. ore è quasi sempre incuzione. Mischiando le sentimento più tenero, dirlo; ogni invenzione oeta o l'amante dal suo altro gli si domanda, se e sensibilità ciò che in ti quelli che hanno amaguaggio deve esprimere poeti siciliani ed italiani questi principj. L'esemenzali fece lor preferire al naturale; tutti i loro e nell'ammanierato. Se i migliori canti d'amofar notare i difetti dei sidi Ciullo d'Alcamo, II e del suo cancelliere d'Oddo delle Colonne, non sono tali da muoquanto servono all' istoria

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Il verseggiare italiano era stato formato sul tipo di quello de' Provenzali; i versi erano determinati dagli accenti, non già dalla quantità, ed annodati dalla rima. Di tutti i piedi diversi inventati dagli Antichi per combinar delle sillabe differenti in quantità, si era soltanto conservato l'uso del jambo; il verso eroico ne comprendeva cinque; altri versi più corti erano composti di tre o di quattro. Così il verso eroico era d'undici sillabe (*), e l'accento cadeva sopra la quarta, l'ottava e la decima, o sopra la sesta e la decima. Anche le rime furono sottomesse alle regole già inventate da' Provenzali; e gl' Italiani seppero del pari concatenarle in modo da far aspettare le medesime desinenze a certi punti del canto, e da legare insieme i membri della composizione; il che giova eziandio a soccorrere la memoria. Finalmente il canto fu scompartito in tante stanze o strofe, le quali fanno sentire all' orecchio non solo l'allettativa musicale di ciascun verso ma quella pure di tutto il complesso della composizione. La lingua che adoperarono i Siciliani nelle loro

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(*) Il testo dice: « Il verso eroico era di dieci sillabe, senza contare la muta. " Questo modo di specificare il nostro verso endecasillabo può essere inteso da' Francesi, ma non dagl' Italiani: noi non conosciamo sillabe mute. La stessa maniera d'esprimersi occorre molte altre volte in quest'opera; noi la rettificheremo secondo l'uso nostro, senza curarci più d'avvertirne i lettori Il Trad.

poesie, non era gia il dialetto volgare, tal quale si era formato fra il popolo dell' isola, e si è conservato fino a' dì nostri in alcune canzoni siciliane che a mala pena s'intendono nel resto dell'Italia. La Corte de' e di Sicilia e dell' Imperatore gli aveano già dato una forma più elegante; ed una grammatica stabilita secondo l'uso, ma che si era sopra di esso innalzata, l'avea sottomesso al freno delle regole. Già distinguevasi una lingua della Corte, la lingua cortigiana, la quale avea la preminenza sopra tutti i dialetti dell' Italia. Questa lingua era divenuta popolare in Toscana ; e avanti la fine del secolo XIII parecchi poeti di quella provincia, ed anche varj prosatori, la fissarono in certo modo, e la portarono quasi al punto di perfezione in che è rimasta fino al presente. Ricordano Malaspina, che scrivea l'istoria di Firenze nel 1280, può considerarsi ancora oggidì come eguale al migliore degli autori viventi per la purezza della favella e per l'eleganza.

Con tutto ciò, niun poeta ancora avea commosso fortemente gli animi, niun filosofo era penetrato nei profondi recessi del pensiero e del sentimento, allorchè il più grande degl' Italiani, il padre della lor poesia, l'immortale Alighieri mostrò come un valoroso ingegno potea disporre que' materiali ancor rozzi in modo da costruirne un edifizio così maraviglioso, come è l'universo ond' esso era l'immagine. In luogo di canti amorosi indirizzati ad una Bella

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