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non in cielo, ella più non si presentava alla sua me→ moria, se non come una manifestazione della bontà di Dio: ella tiene il primo grado nel poema; è dessa che diede ordine a Virgilio di condurlo; che gli fece aprire le porte dell' inferno; che appianò per lui tutti gli ostacoli: i suoi ordini sono rispet tati ne' tre regni de' morti; ma nella sua gloria ella si confonde agli occhi del suo amante colla teologia, e alcuna volta potrebbe altri esser tentato di prenderla per un personaggio allegorico. Intanto ch'ella giugne presso di lui, intanto ch'egli, innanzi pure d'averla riconosciuta, palpita e trema al cospetto di essa per virtù del suo primo amore, Virgilio, che l'avea fin qui accompagnato, lo abbandona. I discorsi di Beatrice, che gli rimprovera i primi errori, e che si sforza di purificare il di lui cuore, non sono degni per avventura d'una tale situazione. A misura che Dante s'avvicina al cielo, egli vuol maggiormente scostarsi dal linguaggio umano; e quindi egli diventa bene spesso, così oscu→ ro, che le bellezze, che ancora conserva, conserva, fuggono dalla nostra vista. Parimente, per esprimere la favella del cielo, egli ricorre a quella della Chiesa, e va mischiando alla sua poesia un si gran numero di versi e di canti latini, che ad ogni poco ti trovi arrestato dalla differenza di prosodia, di suono e di costruzione di queste due lingue.

Finalmente Dante non vuole impiegar macchine

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umane o poteri umani nel cielo ; onde risulta ch'egli si solleva ad esso, e che vi s' inoltra per la sola forza de' suoi desiderj, fissando l'orbe del Sole. Appena si arriva a comprenderlo; e mentre che ti sforzi di render ragione a te stesso delle sue parole enigmatiche, non sapresti associarti con lui od interessarti ne' suoi casi. Nell' inferno egli faceva uso di un soprannaturale che si conveniva colla nostra natura; l'eccesso delle forze, e l'eccesso de' mali che per noi si conoscano. Uscendo del purgatorio, ed entrando nel cielo, il soprannaturale ch' egli ne offre, si rassomiglia a' nostri sogni più vaghi; egli suppone de' poteri di cui non abbiamo cognizione; non risveglia nè le nostre ricordanze, nè le nostre abituatezze; non è mai interamente capito, e ci stanca a forza di farne maravigliare.

Le prime dimore de' beati sono collocate nel cielo della Luna; quello che si muove più lentamente degli altri cieli, e che è più lontano dalla gloria dell'Altissimo. Esso contiene le anime di coloro che aveano fatto voto di verginità e di religione, e che furono costretti a rinunziarvi. Ma benchè Dante divida i Beati per classi, la loro felicità che è tutta di contemplazione, non potrebbe ammettere gradi, facendo egli dire sul bel principio ( C. 111 ) ad una delle anime queste parole:

Frate, la nostra volontà quieta

Virtù di carità, che fa volerne.

Sol quel ch' avemo e d'altro non ci asseta.

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Se disïassim' esser più superne,

Foran discordi gli nostri disiri

Dal voler di colui che qui ne cerne.

Può esser ciò vero; ma da cotale indifferenza anime nasce una freddezza che si propaga tutto il resto del poema. Le discussioni teolo nuocono ancor più all' interesse. Beatrice sc tutti i dubbi di Dante sul vincolo delle anim corpo, sopra i voti, sul libero arbitrio, ec.; difficile a soddisfare i nostri spiriti intorno a stioni tanto oscure, anche nella prosa più filoso mentre che la forma poetica e l'autorità di Beat che, senza missione, parla in nome di Dio, rano ancor maggiormente ciò che non arriver giammai a ben comprendere.

Il poema del Paradiso è adorno di pochis descrizioni; quello stesso pittore, che avea sa far quadri così terribili dell' inferno, non si trava di mettere il cielo sotto a' nostri occhi: noi lasci l'orbe della Luna, che ancor non l'abbiamo ce sciuto; arriviamo in quello di Mercurio, senza co scerlo più distintamente: ma in ogni nuovo s giorno, il poeta introduce qualche grand' uomo cui nome risveglia la curiosità. Nel secondo ci (C. VI) egli trova Giustiniano, il quale se gli p senta, ben lontano dalle debolezze e da' vizj ci dimostra Procopio nella sua Istoria segreta, e quale si sono ingegnali di rappresentarcelo i giu consulti nella loro idolatria pel padre della loro scien:

Nel terzo cielo, quello di Venere (C. VIII e IX ), Dante ritrova Cunizza, sorella d'Ezzelino da Romano, la quale gli predice le rivoluzioni della Marca trivigiana. Nel quarto, che è quello del Sole (C. x), san Tommaso d'Aquino e san Bonaventura gli raccontano la gloria di san Francesco e di san Domenico. Nel cielo di Marte (C. XIV e seg.), sono le anime di quelli che combatterono per la vera fede. Egli vede tra essi Cacciaguida degli Elisei, suo trisavolo, il quale era stato ucciso nella crociata. Cacciaguida gli narra le grandezze della sua propria stirpe; gli fa la descrizione degli austeri costumi dell' antica Firenze sotto il regno di Currado il Salico; accenna, caratterizzandole, quali famiglie erano già state possenti, quali sono decadute, quali si sono da poi rilevate; e da ultimo predice a Dante istesso il suo esilio con queste parole:

Tu lascerai ogni cosa diletta

Più caramente: e questo è quello strale
Che l'arco dell'esilio più saetta.

Tu proverai sì come sa di sale

Lo pane altrui, e com'è duro calle
Lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

E quel che più ti graverà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia
Con la qual tu cadrai in questa valle.
C. XVII.

Nondimeno Cacciaguida incoraggia Dante a far conoscere al mondo ciù che egli vide nel regno dei

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morti, facendosi superiore alla tema d' offender di cui svelerà l'obbrobrio.

Nel sesto cielo, quello di Giove (C. XVI sono premiati coloro che dirittamente amminist no giustizia al mondo; nel settimo, o di Sa (C. XXI), quelli che si erano dedicati alla vita templativa o solitaria; nell'ottavo (C. XXII e seg.) Dante il trionfo di Cristo, seguito da infinito n ro di Beati, e dalla stessa Maria Vergine; la fede è esaminata ed approvata da s. Pietro, la speranza da s. Giacomo, la sua carità da s. vanni; finalmente Adamo gli manifesta qual fa egli parlava nel paradiso terrestre.

Il poeta sale quindi alla nona sfera (C. xxv ove gli si palesa l'Essenza divina, velata però tre gerarchie d'angeli che la circondano; e p mente si mostrano agli occhi suoi nell' empir decimo cielo (C. xxx) la Vergine Maria ed i S del vecchio e del nuovo testamento. Tutti i s dubbi vengono chiariti dai Santi o da Dio stess e il poema termina con una contemplazione dell nione delle due nature nella Divinità.

Il metro di cui Dante fu probabilmente l'inve tore, ed in cui è scritto l'intero poema, ha ri vuto il nome di terza rima (*); il qual metro è sta poi consecrato specialmente alle poesie filosofiche

(*) La terza rima non fu trovata da Dante; fu ber da lui perfezionata. Il Trad.

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