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Tasso di non essersi conformato al modello ch' egli avea ne' suoi maestri. Pare tuttavia ch'essi avrebbero dovuto sentir meglio tutta la differenza che si vuol mettere fra l'imitazione e l'osservanza delle regole. Queste non prescrivono nulla; soltanto interdicono ciò che è contrario all' effetto generale, alla commozione, al sentimento del bello. Ora una tal commozione è sospesa, e l'anima del lettore rimane incerta, s'egli non conosce i personaggi pe' quali si vuole interessarlo, e e non comprende la serie de' tempi e degli accidenti in mezzo a cui si vuol trasportarlo. Ma il modo col quale il poeta fa conoscere le cose precedenti, non è stabilito dalle leggi della poesia; all'incontro, è da sapergli grado s'egli ne ha trovato un nuovo e se, sdegnando di strascinarsi sulle pedate de' suoi predecessori, non taglia il suo poema, come un'opera di maniFattore, sovra un modello comune. Ora il Tasso non presenta difficoltà veruna a comprenderlo o a seguirlo; non domanda a' suoi lettori niuna cognizione che preceda a quelle ch' egli dà loro; è compiuto e soddisfacente, e si sostiene da sè. Questo merito dipende in gran parte dalla rigorosa diligenza ond'egli s'istruì della verità degli avvenimenti, e procacciò di conoscere minutissimamente la vera situazione de' luoghi dove colloca la scena del suo poema. Il sig. De Châteaubriand, leggendo questo poema davanti alle mura di Gerusalemme, rimase

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colpito da si fatta verità di descrizione, che sembra riservata soltanto ad un testimonio oculare. Per quanto egli ne assicura, il quadro di Gerusalemme (Can. III, st. 55-57) è d'una scrupolosa esattezza: la foresta, situata a sei miglia dal campo dalla parte dell'Arabia, e dove Ismeno esercita i suoi segreti incantesimi, si vede realmente ancora oggidì nel medesimo luogo; essa è la sola che si trovi non lungi dalla città, ed ivi al certo dovettero i Cristiani trarre tutti i legnami deile lor macchine; il viaggiatore vi riscontra per fino la torre dove si assise Aladino con Erminia, e per fino i sentieri indicati per l'arrivo d'Armida, per la fuga d'Erminia, pe' combattimenti di Clorinda. Questa scrupolosa verità accresce pregio al poema del Tasso; ella unisce più intimamente l'istoria alla finzione, e non permette più di separare la prima crociata dal cantore che la celebrò.

Nella rassegna dell' esercito crociato, il Tasso avea rivolta la nostr' attenzione sovra un drappello d'avventurieri, il fiore di tutta la cavalleria cristiana. Il capo di questo drappello, Dudone di Consa, era stato ucciso da Argante nel primo combattimento sotto le mura di Gerusalemme. Bisognava dare un nuovo capo a questo corpo di cavalleria, la speranza dell'esercito. Eustazio, il quale desidera d'impedire che Rinaldo segua Armida, è il primo a

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

indicarlo come degno di tal grado, e si stud cendere l'ambizione di lui: Gernando, figl Re di Norvegia, vi aspira anch' egli, e mal s di trovare un concorrente; egli sparge vo giuriose contro Rinaldo; questi lo ode, e una mentita: i due cavalieri si versano l'uno so all' altro, non ostante la folla che si sforza pararli; e Gernando resta ucciso in questo I costumi e le leggi della cavalleria richiedevan un' offesa all' onore fosse vendicata colla sparla d'altra parte tutte le contese d'onore dovevar ser sospese fra i Crociati; e colui che avea crato il suo brando in servigio di Gesù Cristo potea più adoperarlo per la sua propria causa naldo adunque, per evitare un giudizio militar vede costretto ad abbandonare il campo dei C ni. Frattanto Armida si mena seco non pure i ci cavalieri che le avea conceduti Goffredo, ma recchi altri ancora, i quali, la prima notte dop partenza di essa, erano disertati dal campo per guirla. Mentre l'esercito è indebolito dall'assenz tanti guerrieri, è pure in grandissimo affanno pe perdita de' suoi convogli e per l'avvicinarsi flotta d'Egitto.

S'apre il canto VI con due terribili duelli ch circasso Argante provoca alla presenza di tutto l'e cito, l'uno con Ottone che rimane suo prigio ro, e l'altro con Tancredi. La notte sola vien

interrompere il secondo. Entrambo i guerrieri sono egualmente feriti; ed Erminia, chiamata a porgere ad Argante que' soccorsi che ne' secoli della cavalleria soleano le donne prestare a' malati, de' quali elle erano i soli medici, si duole di non poter soccorrere più presto l'eroe ch'ella ama, a cui va debitrice di riconoscenza, e che ha bisogno di lei. Finalmente ella si risolve d'andare a raggiugnerlo nel campo de' Latini. Legata di stretta amicizia con Clorinda, ella s'approfitta di tal circostanza per vestir l'armadura di lei, ed in suo nome si fa aprire le porte della città. Tutto questo squarcio, ove il peso e lo spavento delle sue armi contrastano colla sua delicatezza, è condotto con una vaghezza inesprimibile.

Col durissimo acciar preme ed offende

Il delicato collo e l'aurea chioma:
E la tenera man lo scudo prende
Pur troppo grave e insopportabil soma:
Così tutta di ferro intorno splende,

E in atto militar sè stessa doma:

Gode Amor ch'è presente, e tra sè ride
Come allor già che avvolse in gonna Alcide.

Oh! con quanta fatica ella sostiene

L' inegual peso, e move lenti i passi,
Ed a la fida compagnia s' attiene
Che per appoggio andar dinanzi fassi;
Ma rinforzan gli spirti amore e spene,
E ministran vigore ai membri lassi:
Sì che giungono al loco ove la aspetta
Lo scudiero, e in arcion sagliono in fretta.
C. VI, st. 92, 93.

Tosto ch'ella si è allontanata dalla città, manda il suo scudiere ad avvertir Tancredi, e a dimandare per essa la sicurezza nel campo de' Latini. Frattanto, e per calmare la sua impazienza, ella s'avanza sopra un' altura donde vede quelle tende che sono a lei così care.

Era la notte, e il suo stellato velo

Chiaro spiegava e senza nube alcuna;
E già spargea rai luminosi e gelo
Di vive perle la sorgente luna.
L'innamorata donna iva col cielo

Le sue fiamme sfogando ad una ad una;
E secretarj del suo amore antico
Fea i muti campi e quel silenzio amico.
Poi rimirando il campo ella dicea :

O belle agli occhi miei tende latine,
Aura spira da voi che mi ricrea,
E mi conforta pur che m'avvicine:
Così a mia vita combattuta e rea
Qualche onesto riposo il ciel destine,
Come in voi solo il cerco, e solo parmi
Che trovar pace io possa in mezzo a l'armi.
Raccogliete me dunque, e in voi si trove
Quella pietà che mi promise Amore,
E ch'io già vidi prigioniera altrove
Nel mansueto mio dolce signore.
Nè già desío di racquistar mi move
Co favor vostro il mio regal onore :
Quando ciò non avvenga, assai felice
Io mi terrò, se in voi servir mi lice.
Così parla costei, che non prevede

Qual dolente fortuna a lei s' appreste.

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