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DELLA LETTERATURA ITALIANA

La buféra infernal che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina;
Voltando e percotendo li molesta.

In mezzo a questa infelice schiera, egli ric Francesca da Rimino, figlia di Guido da P uno de' suoi protettori, la quale, maritata a ciotto Malatesta, fu sorpresa in adulterio con suo cognato, ed uccisa da suo marito. Quest sodio è uno di quelli, la cui riputazione sata in tutte le lingue: nessuna tuttavia potr ritrarre le bellezze dell' originale:

Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri,
Pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
Incominciai: Poeta, volentieri

Parlerei a que' due che 'nsieme vanno,
E pajon sì al vento esser leggieri.
Ed egli a me: Vedrai, quando saranno
Più presso a noi: e tu allor gli prega
Per quell'amor ch'ei mena; e quei verran
Si tosto come 'l vento a noi gli piega,
Muovo la voce: O anime affannate,
Venite a noi parlar, s' altri nol niega.
Quali colombe dal disío chiamate

Coll' ali alzate e ferme al dolce nido
Vengon per aere da voler portate;
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l'aere maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.
O animal grazioso e benigno,

Che visitando vai per l'aere perso
Noi che tingemmo il mondo di sanguigno;

Se fosse amico il Re dell'universo,

Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Da ch' hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel ch'udire e che parlar vi piace,
Noi udiremo, e parleremo a vui,
Mentre che l'aura come fa si tace.
Siede la terra, dove nata fui,

Sulla marina dove 'l Po discende

Per aver pace co' seguaci sui.
Amor ch'al cor gentil ratto s'apprende,
Prese costui della bella persona

Che mi fu tolta, e 'l modo ancor m' offende. Amor ch'a null' amato amar perdona,

Presemi di costui piacer sì forte,

Che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi vita ci spense. Queste parole da lor ci fur porte. Quand' io intesi quell' anime offense,

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Chinai 'l viso, e tanto 'l tenni basso
Finchè 'l Poeta mi disse: Che pense?
Quando risposi, cominciai: O lasso,
Quanti dolci pensier, quanto desio
Menò costoro al doloroso passo!
Poi mi rivolsi a loro, e parlai io,
E cominciai: Francesca, i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette amore
Che conosceste i dubbiosi desiri?
Ed ella a me: Nessun maggior dolore,
Che ricordarsi del tempo felice

Nella miseria, e ciò sa 'l tuo dottore.
De Sismondi, vol. I.

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DELLA LETTERATURA ITALIANA

Ma se a conoscer la prima radice 9830

Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Dirò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancilotto, come amor lo strinse :
Soli eravamo, e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse

Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso

Esser baciato da cotanto amante,

Costui, che mai da me non fia diviso,

La bocca mi baciò tutto tremante :

Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse:
Quel giorno più non vi leggemmo avant
Mentre che l'uno spirto questo disse,
L'altro piangeva sì, che di pietade
I' venni meno come s'io morisse,

E caddi come corpo morto cade.

Dante, nel terzo cerchio dell' inferno ( l'abisso, incavato a modo di un grande im è diviso in sette cerchi concentrici), trova che sono puniti per la colpa della gola (C. VI). ciono essi per terra, eternamente percossi da gia, grandine e neve: uno di loro lo raffigu gli dà notizia di alcuni suoi concittadini. Nel to cerchio egli vede gli avari e i prodighi, i sono puniti insieme, e si fanno reciproci rimp (C. VII); nel quinto incontra gl' iracondi, i sono fitti in un orribile pantano (ivi); gli ere chi sono confinati nel ricinto della città di

(C. 1x ). In una vasta campagna sorgono qua e là de' sepolcri, circondati da fiamme ond' ardono come fornaci; i loro coperchi sono sospesi, e n'escono fuori spaventevoli lamenti. Allorchè Dante passa vicino ad uno di quei sepolcri (C. x), ode risonar questa voce:

O Tosco, che per la città del foco
Vivo ten vai così parlando onesto,
Piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto

Di quella nobil patria natio

Alla qual forse fui troppo molesto.

Colui che parla in questa guisa di mezzo alle fiam. me, è Farinata degli Uberti, il capo de' Ghibellini di Firenze, il vincitore de' Guelfi alla battaglia del l'Arbia, ed il salvatore della sua patria che i Ghibellini voleano sagrificare alla loro sicurezza. Il Farinata è uno di que' grandi caratteri, il cui modello si trova soltanto nell'antichità o nel medio evo; padrone degli eventi, padrone degli uomini, pare ch' egli signoreggi lo stesso destino, e i tormenti dell'inferno non valgono a turbare la sua orgogliosa indifferenza. Egli si dipigne mirabilmente nel discorso che gli mette in bocca Dante: il suo solo interesse è ancora concentrato nella sua patria e nella sua fazione, e l'esilio de' Ghibellini gli cagiona più dolore che il letto ardente su cui si giace.

Sceso Dante nel settimo cerchio (C. XII), vede una fiumana di sangue in cui bollono i tiranni e

gli omicidi; sulle sue sponde corrono centauri ar mati di saette, i quali sforzano a rituffarvisi gl' infelici che procacciano di rilevarne il capo. Più lua-gi i suicidi sono tasformati in bronchi (C. XIII), sì che altro non resta loro d' umano che il patire e la voce; ma ogni facoltà d' operare è ad essi negata in pena dell' averla un dì rivolta contro sè medesimi. In una campagna di arena cocente (C. XIV), e del continuo esposta ad una pioggia di fuoco, trova Dante degli uomini, i quali, a malgrado dei vizj infami ond' erano puniti, meritavano per altri conti la sua affezione od il suo rispetto Tali sono Brunetto Latini, ch' era stato suo maestro nella poesia e nell' eloquenza; Guidoguerra, Jacopo Rusticucci e Tegghiajo Aldobrandi, i più virtuosi e i più disinteressati fra i repubblicani di Firenze, la cui generazione avea preceduto quella di Dante. S'i' fussi stato dal fuoco coverto (dic' egli), Gittato mi sarei tra lor di sotto,

E credo che 'l dottor l'avria sofferto,

Poi volgendosi a loro, esclama:

Di vostra terra sono: e sempre mai
L'ovra di voi e gli onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
C. XVI.

E così proseguendo, gl' informa dello stato di Firenze; e il primo interesse di quegli sciagurati che soffrono eterni tormenti, è ancora la prosperita della lor patria.

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