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Et com' augelli surti di rivera,

quasi congratulando a lor pasture, fanno di sè, or touda, or altra schiera; Si dentro ai Lumi, Sante Creature, volitando, cantavano; et facensi

or D., or I., or L. in sue figure. Prima, cantando, a sua nota movensi; poi, diventando l'un di questi segni, un poco s'arrestavan; et tacènsi. O Diva Pegasea, che l'ingegni

fai gloriosi, et rendili longevi; et essi teco le Cittadi, e' Regni ; Illustrami di te, sì ch' io rilevi

le tue figure, com' i' l'ò concepte : paja tua possa in questi Versi brevi. Mostrarsi dunque, in cinque volte, sette vocali et consonanti; et io notai le parti sì, come mi parver dette. Diligite Justitiam, primai

fur verbo et nome di tutto 'l dipintó: Qui judicatis Terram, fur sezai. Poscia nell' M. del vocabol quinto rimaser ordinate, sì; che Giove parev' argento lì d'oro distinto. Et vidi scender altre Luci, dove eral colmo de l' M.; et lì quetarsi, cantando, credo, il ben c'a sè le move.

Poi come nel percuoter de' ciocchi arsi, surgono innumerabili faville;

onde li stolti sollion augurarsi),

Risurger parver quindi più di mille

Luci; et salir quali assai, et qua' poco: sì com'è 'l Sol, che l'accende, et sortille. Et, quietata ciascuna in su' loco,

la testa e 'l collo d'un' Aquila vidi rappresentare a quel distinto foco. Quei, che dipinge lì, non à chi 'l guidi: ma esso guida; et da lui si rammenta quella virtù, ch' e' forma per li nidi. L'altra Beatitudo, che contenta

pareva imprima d'ingilliarsi a l'emme, con poco moto seguitò la 'mprenta. O dolce Stella, quali et quante Gemme mi dimostraron, che nostra Giustitia effecto sia del Ciel, che tu ingemme! Per ch' i' prego la Mente, in che s' initia tu' moto, et tua virtute; che rimiri ond' esce 'l fummo, che 'l tu' raggio vitia; Si c' un' altra fiata omai s'adiri

del comperar et vender dentr' al Templo, che si murò di sangue et di martiri. O Militia del Ciel, cu' io contemplo, adora per color, che sono in Terra tutti sviati dietr' al malo exemplo.

Già si solea con le spade far guerra:

ma or si fa tolliendo, or qui or quivi, lo Pan, che 'l pio Padre a nessun serra. Ma tu, che sol per cancellare scrivi, pensa che Pietro et Paol, che moriro per la Vigna che guasti, ancor son vivi. Ben puoi tu dire: I'ò fermo 'l disio

sì a colui, che volle viver solo; et che, per salti, fu tratto a martiro ; Ch'i' non conosco 'l Pescator, nè Pòlo.

CANTO DECIMONONO.

PAREA dinanzi a me, con l'ale aperte, la bella Ymage; che, nel dolce frui, liete faceva l'Anime conserte.

Parea ciascuna rubinetto, in cui raggio di Sole ardesse sì acceso, che ne' miei occhi rifrangesse lui. Et quel, che mi convien ritrar testeso, non portò voce mai, nè scrisse incostro; nè fu per fantasia giammai compreso : Ch'i' vidi et anc' udi' parlar lo rostro, et sonar ne la voce, et Io et Mio quant' era nel concepto, Noi et Nostro. Et cominciò: Per esser giusto et pio, son io qui exaltato a quella gloria, che non si lascia vincer a disio: Et in Terra lassai la mia memoria sì fatta; che le Genti li malvage commendan lei, ma non seguon la storia.

Così un sol calor di molte brage

si fa sentir; come, di molti Amori, usciva sol un suon di quella Ymage. Ond' io appresso: O perpetui Fiori de l'eterna letitia; che, pur uno, sentir mi fate tutti i vostri ardori; Solvetemi, spirando, il gran digiuno; chè lungamente m'ha tenuto in fame, non trovandol' in Terra cibo alcuno. Ben so, che, se nel Cielo altro Reame la Divina Iustitia fa su' specchio; che'l vostro non l'apprende, con velame. Sapete, com' attento i' m' apparecchio ad ascoltar sapete qual è quello dubio, che m'è digiun cotanto vecchio. Quasi falcone, ch' esce del capello, muove la testa; et con l'ale si plaude, voglia mostrando, et facendosi bello; Vid' io farsi quel Segno, che di laude de la Divina Gratia era contesto; con Canti, quai si sa chi lassù gaude. Poi cominciò: Colui, che volse il sesto a lo stremo del Mondo; et, dentro ad esso, distinse tant' occulto, et manifesto;

Non poteo su' valor sì fare impresso
in tutto l'Universo; che 'l suo Verbo
non rimanesse, in infinito, excesso.

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