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PREFAZIONE

Nos vero Itali recentiores, quorum ingenia et literas barbarorum irruptio, atque longa dominatio conculcaverat; postquam diu jacuissemus, ad veterem literarum gloriam erecti sumus ab altero prope Homero, Dante nimirum Aligherio, per quem divina Providentia remisit Italiae pristinam doctrinae atque eloquentiae lucem e cineribus Graecorum et Latinorum in vernacula divini poematis lingua felicissime renascentem.

G. V. GRAVIN., De instaurat. studior.

La Divina Commedia fu senza modello e non ebbe nè avrà imitatori. Tien da' tempi in cui fu scritta le forze della barbarie che cessa, le grazie della civiltà che comincia, e la vita di un mondo che si rinnovella. Dicono saviamente che Omero fu il senso, Dante l'intelletto dell' umana sapienza. Egli dall'abisso levandosi al cielo non perde di vista la terra, e al santo scopo della civile rettitudine adoperando la parola come arma del potente suo ingegno, ti trasporta nell' altro secolo a contemplare le condizioni della vita mortale. La sua Musa penetra impavida nel regno delle ombre, e fa che quelle si riscuotano a maraviglia e terrore come nell' avvenimento del Cristo trionfante, e risentano ancora un palpito di vita alla vista e alle parole potenti e passionate dell'uomo vivo che vi discende ritrae la speranza che fa comportabile e dolce finanche il dolore su per lo monte dell' espiazione: ficca sicura l' acume della sua vista entro i più gelosi e più profondi misteri rivelati; s'innalza sublime sopra il firmamento, fa risonare di terreni fremiti fin le tranquille volte de' cieli, e aiutata poscia e sorretta dalle virtù superne, aguzza gli occhi di un mortale, sicchè miri profondo nella giocondità dell'eterno lume, e nè si smaghi e ammutolisca innanzi alla tremenda maestà di Dio.

Prima radice del male è la superbia. Per l'Inferno si discende fin dove essa è più grave, cioè contro Dio ; dov'è unita alla perfidia, alla ingratitudine, al tradimento: fuori dell' Inferno si comincia con levar prima di

tutto la superbia. Dunque nel disordine della depravazione si principia dagl' ignavi o cattivi, e si cade fino a Lucifero: nell'ordine della ristaurazione si parte da Lucifero, si cancella per prima lo stigma della superbia, e sussecutivamente le macchie degli altri peccati capitali sino a quella dell' accidia. Così per ordine inverso gli abiti umani da indifferenti cadono in mali, in peggiori, in pessimi; e da questi vanno a grado a grado mutandosi in buoni, migliori, ottimi.

In tutto questo poetico magistero è un ordinamento di grazia che solo si dischiude dalla fonte del Salvatore, secondo la spirituale economia dogmatica della Fede Cristiana. Guidato dalla Ragione e dalla Sapienza che si rivela alla mente mortale, e col favore della luce che brilla nel dorato raggio del simbolico Sole, fin da quando il Poeta vien fuori della Selva e leva su lo sguardo alle alture del Colle, compie egli il viaggio de' tre regni dell' altra vita, per le stesse vie, che ne' santi giorni di spirituale riparazione, ricalcarono con ineffabile entusiasmo e raccoglimento le divote fantasie d'una età che fu (a).

Come il senso abbiasi a sottoporre al freno della Ragione, e questa lasciarsi governare alla Fede è documento del Poema sacro,

Al quale han posto mano e cielo e terra:

il cielo con la parola biblica, la terra con la scienza, di cui Dio è Signore. Dante figura l' uomo in balìa dell' errore. Virgilio e Beatrice lo menano per la diritta via; ma egli non compie il viaggio, nè tocca la meta, . se prima non teme, non spera, non ama e noi lo vediamo impaurir della colpa e tremare al tenebrore dell' eterna prigione; allenarsi per l'arduo monte e incuorarsi più sempre agli stimoli della virtù.

Messa da banda ogni sottile investigazione, è, a dir breve, fine di tutta la Divina Commedia e d'ogni sua parte, il rimuovere gli uomini dallo stato della miseria, e condurli a quello della felicità (b). Omero è il poeta de' tempi eroici, Virgilio de' tempi civili pagani, Dante è il poeta dell' umanità rinnovellata dal cristianesimo; genio supremo, sole primo della risorgente civiltà italiana, personificazione di un secolo, parte eletta della nostra storia, uomo, cittadino e poeta maggiore de' suoi tempi e degli avvenire.

(a) Vedi il Torricelli.

(b) Sed omissa subtili investigatione, dicendum est breviter, quod finis totius et partis est removere viventes in hac vita de statu miseriae, et perducere ad statum felicitatis. Dante, Epist. a Can Grande della Scala.

Al gran pittore delle memorie antiche sette città si contesero la gloria d'aver dato i natali. Virgilio ebbe Mantova e Roma, l'una patria naturale, l'altra elettiva: Torquato Sorrentino e Lodovico Ferrarese furono cittadini d' una terra, e poeti d'un tempo e d'una regione. Dante che per vie ignominiose non torna a Firenze, da qualunque luogo vede gli specchi del Sole e degli astri, e sotto qualsivoglia cielo ben può speculare di dolcissime verità (a). E alteramente movendo per la misteriosa oscurità d'un secolo procelloso, s' impadronisce di un mondo invisibile, e vi raggiunge una patria non mai turbata dalle mobili ambagi e daʼventi contrarii alla vita serena. Pur divenne egli cittadino del mondo, il poeta, nè di Fiorenza, nè d' Italia soltanto ; ma di tutta l'umanità. Perciocchè, siccome le arti sparpagliate riunironsi nel tempio a gloria degli umani ingegni; così l' Alighieri, uscito dalle angustie omeriche e dalla sfera in cui vien circoscritta l'indole di un popolo, le imprese, le virtù e i vizii di una gente e di una età; rimena l' epopea alla sua originaria grandezza, abbracciandovi ogni genere di poesia, ogni tempo, ogni luogo, la terra e il cie lo, il mondo in rapporto all'universo, e il reggimento della vita umana in similitudine delle sfere, che vanno in danza ordinata per impulso del primo motore.

Quello spirito poi trasumanato s'inebria così alla vena del Vero, del Buono, del Bello; che, levato sublime sovra le ali della divina visione, vince l' arditissima pruova di ritrarre l' eterno, l' immenso e l'infinito, a colori d' una favella nuova improntata di nativa bellezza.

Come il cantore di Achille che gl' idiomi greci fe concorrere in servigio della sua Musa, egli schivando le rudi negligenze del municipio e del contado, e le volte latine, tanto non guari dopo aggradevoli al Certaldese; di trecento e più dialetti scegliendo fior da fiore ci riesce cattolico nella stessa forma dell' arte, si fa intendere dalle Alpi a Scilla, e provvede con l'universalità della lingua e con uno stile che seconda senza tortura ed ambagi la sostanza de' concetti e delle imagini, al supremo desiderio dell'unità nazionale. Maschia, pietosa, soave per la divina trilogia procede la sua Musa animata di spirito nuovo, e confortata da vena, che mai si pura non pressero Elicona nè Pindo; la quale ingemmata di tutte le grazie d'una ingenua bellezza, è fatta degna d' innalzarsi fin là,

Ove s'appunta ogni ubi ed ogni quando

e recare ad orecchio mortale l'armonia soave ed ineffabile del Paradiso.

(a) Epist. VIII, Witte.

Lasciando alla critica letteraria i severi giudizi sulla natura e sul merito di questo gran poema, ci giova qui ricordare come l' universalità del tema e la forma della Visione prescelta dall' Alighieri, fanno ch' egli ci riesca insieme poeta epico, tragico, satirico, comico, lirico, senza che però in alcuno di cotai generi confinar si possa. La Divina Commedia non è una epopea, è una Commedia divina, un poema drammatico che ha tre parti rappresentate nel gran teatro dell'universo, tra il Poeta, attor principale, e gli spiriti che popolano i regni dell' altro mondo; pure non vi manca l' epica bellezza, quando non fosse altro, sol per questo, che: « vi si odono i primi aneliti della risorgente vita italica, e vi sono a maraviglia specchiati i moti scomposti e fieri ma eroici, di un popolo che deve rinascere». Un finissimo scrutatore degli alti principii onde emana, e spiegasi il magistero della bellezza poetica, non dubita di asseverare che Dante è il più gran poeta del mondo, e ch'ei ben confiderebbesi dalla Divina Commedia ricavare una confermazione quasi metafisica di tutta quella sua sublime dottrina del Bello (a). « Nella Divina Commedia i tre mondi sono ciascuno da sè un dramma, e compongono tutti e tre un dramma solo del quale si può dir centro il Purgatorio, che canta il dolore, vero centro ed essenza di ogni vita temporanea; e circonferenza o termini estremi, l'Inferno e il Paradiso, che cantano la caduta dell'uomo e il trionfo di Dio, l'una vero principio, e l'altro vero fine del mondo presente. Così questo poema rassomiglia ad un orbe, il quale ti mostra la stessa faccia sempre, in qualunque punto ti collochi per rimirarlo. E nonchè le sue maggiori membra, anche le parti menome hanno questa perfezione, di stare ciascuna da sè ed essere un compiuto dramma ove si specchino congiuntamente le tre vicende della vita.... E veramente è un sole di poesia per tutte le ragioni questo poema italiano, e quasi tra le opere d'ingegno, un miracolo. Aborrisco dal profanare le parole che rendette sacre una lunga consuetudine; ma se lecito fosse di chiamar miracolo una sola delle fatture umane, quella sarebbe la Divina Commedia » (b). Sentenze solenni e gravissime del dotto scrittore dell'Armonia universale.

Noi discendendo da quell'altissima sfera all' umil grado di comentatore del sacro poema, divisammo di attendervi alle più minute parti della grammatesia, considerando che pur stretto è il vincolo che lega il pensiero che crea, con la parola che dipinge sotto forme fantastiche le ima

(a) Vito Fornari, Arte del dire, Vol. IV, pag. 105, ediz. nap. 1868.
(b) Op. cit., ivi pag. 434.

gini della mente. Risalendo alle origini della lingua nostra, non daremo a mo' di responsi la sposizione de' modi e delle locuzioni di questo sommo poeta; ma cerchiamo di chiarirli e rifermarli con gli esempi degli scrittori che lo precedettero; stimando eziandio che questo confronto, mentre non toglie la debita parte di lode alle rime erotiche, le quali furono come i primi albori del luminoso giorno poetico che ci si aperse con Dante; può maggiormente far risaltare la potenza del genio Alligheriano, i progressi ch' ei fece, e l'arringo che corse gigante nello stadio dell'italiana poesia. Nè sì ci attenghiamo alla parte filologica sola; che più volte non c'incontri di entrare nella interpretazione degli alti sensi di questa profonda scrittura: a che fare ci gioviam sovente degli antichi e de'moderni chiosatori più famosi. Se non di rado dividiamo la nostra dalla loro opinione, è perchè portiamo al vero maggior culto, che alla loro autorità.

Dopo altri comenti, chiose ed osservazioni che da circa sei secoli si son venuti facendo per opera di valentissimi ingegni, speriamo che questo nuovo lavoro non sia fatto per portar nottole ad Atene. Nel quale se si troverà cosa che vaglia, e noi di ciò solo ci contentiamo se degli errori, in cui siam potuti leggermente incorrere, altri rileverà e combatterà con armi di più illuminala ragione; e noi plaudiremo noi stessi alla sua fortuna: imperciocchè non pretendiamo punto alla infallibilità de' nostri giudizi. Ben quegli è nostro amico, il quale con esso noi non contende che del solo vero. Uno sarà per avventura più felice d' aver meglio imbroccato il segno, dove molti avevano appuntato la mira.

Napoli 31 dicembre 1869.

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