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Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne.
Qual è quel cane ch' abbaiando agugna,
E si racqueta poichè 'l pasto morde,
Chè solo a divorarlo intende e pugna;

satolla d'una soporifera melata ciambella:
Cui Vates horrere videns jam colla colubris
Melle soporatam et medicatis frugibus offam
Objicit: ille fame rabida tria guttura pandens
Corripit objectam, atque immania terga resolvit
Fusus humi, totoque ingens extenditur antro.

Che volesser significare per codesto Cerbero dalle golacce lorde e bramose, tanto i nostri grandi poeti, quanto le favole, non è malagevole intenderlo; perciocchè da Virgilio e Dante in qua non ci mancarono i Cerberi, che per un pugillo d' arena o per un'offa gittata nelle loro avide fauci niente curarono del proprio ussizio, ed aprirono e chiusero a lor talento non solamente la porta dell' Inferno, ma quelle ancora del Purgatorio e del Paradiso. - Dante, meglio che Virgilio, pone Cerbero, lorda e brutta bestiaccia, a custode e tormento di quei vili che fecero del ventre un Dio; e della cui pena:

...se altra è maggio nulla è si spiacente.(v.48) Virgilio che gitta l' arena nelle canne di Cerbero è la Ragione, che spregia quel che può appagare le brame d' un vile: perciocchè il vero savio non ciba terra pellro.

30. INTENDE. Intendere è qui aver cura in far checchessia, applicarsi a una cosa ec. Lat. animum intendere. Egidio Colonn., Reggim. de' Princ. Lib. I, cap. VII: Quelli che stima la beatitudine nelle ricchezze, non intende se non ad ammassar danari, non calendoli se tolle il bene altrui. Unde 'l re non sarà re ma tiranno; che tiranno si è quelli, il quale intende propiamente al suo propio bene, non guardando a nullo bene altrui; e re è quelli il quale intende propiamente al bene del suo popolo... Lo terzo male si è che quelli che intende ad alcuna cosa, credendo che sia 'l suo principale bene, esso si studia acciocch'elli la possa avere quant' elli può, e tulti gli allri studi ne lassa ec. E Lib. I, Cap. XI: Appresso, il principe die avere onore ed intendere a ciò ch' elli

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abbia buona rinomea ec. Lib. II, Part.
I, Cap. IX: Perciocchè s'elli le (più fe-
mine) avesse, elli intenderebbe troppo
alle opere della lussuria. - Ser Bru-
netto Lat., Tesor.:

La lussuria s'accende,
Sì ch'altro non intende,
Se non a quel peccato:
E cerca d'ogni lato
Come possa compière
Quel suo laido volere.

Intendere, dunque, a una cosa, vale porvi ogni suo studio ed attenzione ec. PUGNA. Di pugnare per istudiarsi, sforzarsi, affannarsi, porre ogni estrema cura, fare a pruova, o a gara, contendere ec. ecco qualche altro esempio. Ristoro d'Arezzo, Lib. I, Cap. 2: E vedemo en lo cielo tali (stelle) che pare che se movano, e hanno piccolina via e pugnarà ad andare quanto quella che ha la maggiore via. Purgat. XX, 1:

Contra miglior voler voler mal pugna. cioè: un volere, un desiderio mal si sforza contra un altro volere o desiderio più forte; migliore essendo qui da melior ch'è il comparativo di bonus preso in sentimento di forte, prode, valoroso ec. (a) (Inf. III, not. 62).

Da pungere si fece pungare per spronare, affrettarsi, correre, sollecitare ec.; e da pungare, per metatesi, pugnare: quindi (Inf. IX, 7) punga invece di

pugna:

Pur a noi converrà vincer la punga: e pungare in luogo di pungere (Convit. IV, Cap. XXVI): E questo sprone si chiama fortezza, ovvero magnanimità, la qual vertute mostra lo loco ove è da fermarsi e da pungare. Il Provenz. ha

(a) Secondo che qui si dice, nell' animo del Poeta colluttavano due voleri: l'uno d'intrattenersi a favellare ancora con papa Adriano; l'altro d'obbedire a lui che (Purgat. XIX, 139) gli avea detto:

Vattene omai; non vo che più t'arresti,

Che la tua stanza mio pianger disagia, Con qual maturo ciò che tu dicesti. questo fu di più momento e di più forza; e Dante lasciò in pace la Beatissima anima purgante.

:

:

Cotai si fecer quelle facce lorde

Dello demonio Cerbero, che 'ntrona
L' anime sì, ch' esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre ch' adona
La greve pioggia, e ponevam le piante
Sopra lor vanità, che par persona.

pugnar, punchar per pungere, pugnare, in accettazione di affrettarsi ec. Ugo di San Ciro: Degra poignar al finir, cioè, dovrebbe affrettarsi al finire. - Folchetto di Romano: Om se pung de Deu servir.

Nel verso le due voci intende e pugna son vivi colori che dipingono in pari tempo quell' applicazione esclusiva e quell'avidità affannosa, onde un cane affamato si arrabatta intorno all'osso. Intende e pugna sono, giusta il Tommaseo, due elementi della forza, che in sè chiude la sola voce Contendere. Nessuna miglior pruova dell' autorità di tant'uomo. Di pugna egli dice: PUGNA, par combatta col cibo mangiandolo avido. Ma la proprietà del vocabolo da noi additata torrà, non fosse altro, ai parassiti, e agli affamati la paura, che non sieno per trovare nel pasto qual si sia maniera di combattimento.

34. ADONA. Il Tommaseo intende adona per doma; il Volpi: abbassa, deprime, flacca; il Daniello: fa che s'umilino e s'arrendano; il Landino e il Vellutello: raguna e restringe insieme in un luogo. Al Venturi pare stia a cuore questa interpretazione, pensando che: quel

l'ADONA vi starà in luogo d'ADUNA, come poco sopra AGUGNA, in cambio d'AGOGNA. Innanzi tutti, il Bargigi chiosa: ADONA preme e doma. Brun. Bianchi è col Tommaseo, col Volpi, col Daniello, col Bargigi ec. e spone: ADONA, abbatte, tien prostrate a terra. Il Lombardi: ADONARE, abbassare, domare. Cita lo stesso Dante (Purgat. IX, 19):

Nostra virtù che di leggier s'adona
Non spermentar.

e le parole di Gio. Vill. (Cronic. lib. VI, cap. 80): E così s'adonò la rabbia dello ingrato e superbo popolo di Firenze. ADONATO per abbattulo; ADONAMENTO per abbattimento, si leggono nelle rime di

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Bonagiunta Urbiciani, e son voci venuteci dal Provenzale.

Per chi spone adona in sentimento di aduna stanno, secondo ci avvisa, le seguenti ragioni. 1a Che, passando i due Poeti su per le ombre (v. 34), la voce adona pare messavi a bello studio, a significare, che nessuna via s' apriva tra quei miseri, per la quale metter si potessero. Altrimente Virgilio, e più Dante che v'andava con la soma del corpo, avrebber dato segno di assai poca pietà e gentilezza in calpestare quelle anime, quali ch'elle si fossero. 2a La pioggia d'acqua negra, di neve e di grossa grandine ammucchiava le ombre, o in quanto a che le une facevano a sè schermo delle altre; o perchè la moltitudine de' golosi, che laggiù continuamente precipita, va in balia delle acque trasportata come vil materia a un medesimo luogo. 3a II Poeta accenna (v. 100 seg.) alla sozza mistura dell' ombre e della pioggia: esse facevan dunque un reo impasto con l'acqua, con la neve e con la grandine che vi cadea. 4a Avvegnacchè Ciacco dica (v. 54): alla pioggia mi flacco; questo poteva bene a lui, come agli altri, accadere, tuttochè non fossero disgregati.

36. PERSONA, vale qui corpo umano. Noi diciamo: bello della persona ec. I Provenzali, nel cui linguaggio erano versati i padri della nostra favella, massime i due Danti Maianese e Fiorentino, chiamarono corpo (cors) la persona della più fina beltà della dama. G. Faidit:

Lo gens cors onratz,
Complitz de gran beutatz

De lieys que plus m'agensa ec.

La gentil persona onorata, compita di gran bellezza, di lei che più m' aggrada ec. - Arnaldo di Marviglia:

d'als non ai talen

Mas de servir vostre cors benestan. D'altro non ho talento che di servire vostra persona perfetta.

Elle giacean per terra tutte quante,
Fuor ch' una, ch'a seder si levò, ratto
Ch' ella ci vide passarsi davante.
O tu, che se' per questo Inferno tratto,
Mi disse, riconoscimi, se sai:
Tu fosti prima, ch' io disfatto, fatto.
Ed io a lei: l'angoscia che tu hai,
Forse ti tira fuor della mia mente,
Sì che non par ch' io ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se', che 'n si dolente
Luogo se' messa, ed a si fatta pena,
Chè s'altra è maggio, nulla è sì spiacente.

Persona vale in questo luogo di Dante, corpo vero di persona viva, in opposizione alla vanità degli spiriti, che non occupano luogo, e permettono passaggio per loro, al contrario de' corpi che sono di natura impenetrabili. Virg. En. V, 268:

Ibant obscuri sola sub nocte per umbram, Perque domos Ditis vacuas, et inania regna (a). Dante chiamò vanità quelle che Virgilio (En. VI, 292) disse: tenues sine corpore vilas:

ombre e vite

Vote de' corpi e nude forme e lievi. (Caro) 48. La pena minore può spiacer dippiù che la maggiore, non quanto alla intensità, ma al modo. Quello appunto di che dolevasi Francesca da Rimini (Inf. V, 102). Altro è invero morire o soffrire per la patria e per l'onore come cento, che come dieci per delitto o vergogna: ogni uomo affronta con bravura una morte che gli merita fama, siccome abborre da quella che lascia macchiata la memoria del proprio nome. Lo stesso patibolo ha più gradi di pena, e più grave si reputa quella che fa maggior disonore a chi è condannato nel capo. Tutto l' Inferno non ha pena più spiacente, cioè, che più mortifichi gli spiriti e gli faccia tenere a vile; quanto quella che gli adegua alla terra (b) e gli stiva e con

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(b) Davide per indicare l'avvilimento in cui era caduto dice: Adhaesit pavimento anima

mea.

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fonde nella brutta mistura di grossa grandine e di neve e d'acqua tinta; sicchè si vada su co'piedi pestando: lor vanità che par persona. Servi ubbidienti al ventre, loro dio, sono i lecconi, bestie e non uomini; poichè, inchinati alla terra e dati ai sensi, ingrossano l' intendimento e non si levano più su della loro testa; epperò come cani che solo a divorare pugnano, e simiglianti a Cerbero, il qual racquetasi come ha piene d' arena le bramose canne; han degna pena giacer distesi e reietti su per la sozza terra, nè mai rizzarsi in piedi sino al dì del finale Giudizio. - Spiacenti son chiamati (Inf. III, 63) i vili ed ignavi spiriti; e Spiacente con proprietà è detto di cosa, onde sarebbe schiva la vista, o che mandi ingrati odori. Il profondo abisso, dice il Poeta, gittava orribil puzzo: Che'nfin lassù facea spiacer lo lezzo (Inf. X, 136). - Capaneo (Inf. XIV) sta sotto le falde di fuoco, che gli piovono dall'irato Giove, e appare al Poeta... Grande che non par che curi l' incendio ec. ma Ciacco si fiacca a pena men viva, che lo rende un ciacco; e che più

spiace.

Maggio è maggior; ma non per la rima l' usò mai il Poeta, come pretese il Lombardi, nè qui però fa mestieri mutarlo. Maggio si adoperò in tutt'i generi, e in prosa, e nel verso fuor di rima, ed anche avverbialmente. V. Parad. VI, 120, not.

NULLA, niuna, nessuna. Nullo trovasi spesso adoperato, appo gli scrittori antichi di nostra lingua, addiettivamente e

Ed egli a me: la tua città, ch'è piena
D' invidia sì, che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco:
Ed io anima trista non son sola,
Chè tutte queste a simil pena stanno
Per simil colpa; e più non fe parola.
Io gli risposi: Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa sì, ch'a lagrimar m' invita:
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
Li cittadin della città partita :

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S' alcun v'è giusto; e dimmi la cagione,
Perchè l' ha tanta discordia assalita.

Ed egli a me: dopo lunga tenzone
Verranno al sangue, e la parte selvaggia
Caccerà l' altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
Infra tre soli, e che l'altra sormonti
che testè piaggia.

Con la forza di tal,

sustantivamente: cioè in corrispondenza al nullus, e al nemo de' Latini. - Per nessuno, agg.

Tommaso di Sasso:

Che non aggio nul lato che non ami. Dante da Maiano:

Amar senza nul pro di fin coraggio. Il Petrarca:

Di che nulla pietà par che vi stringa. Inf. XIV, 65:

Nullo martirio, fuor che la tua rabbia, ec. Per niun uomo. Fra Giord. Pred. IX:

Non è nullo che di quello di Dio non abbia. Pred. XVI: Onde nullo in questa vita, nullo, può sapere o essere certo s'egli è di quegli eletti.

Il Barberino:

Che nul di noi è forte a sofferire.

Dove è a notare la forza del nul, quale del partitivo nullus de' latini; e il troncamento, a cui non si farebbe di leggieri buon viso.

61. CITTÀ PARTITA ben detta Fiorenza, cui lacerarono ruinose scissure di cittadini partiti a setta. (V. Inf. III, 89)

65. SELVAGGIA, cioè, degna di star nelle selve con le fiere, che non tra gli

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uomini in città. Selvatico val nemico di civile eguaglianza. L'Ottimo chiama salvatichi i tiranni. Il Tommaseo chiarisce assai magistralmente in una delle sue illustrazioni, e mostra per vari luoghi della Divina Commedia, il senso figurato che il Poeta costantemente lega a cotesto vocabolo.

69. FORZA per truppa. Il Malespini Cap. CCII. I Sanesi... con masnade tedesche e Spagnuoli, cogli usciti Ghibellini di Fiorenza... e colla forza di Pisa, vennono a oste al Castello di Colle di Valdesa, il quale era alla guardia de' Fiorentini... (a)

PIAGGIA. Piaggia sust. è da plaga, mutata I in i, come di planta si fece pianta ec. Ristoro d' Arezzo Destinz. 8, cap. 19: Fuoro aiquanti li quali ec. La plebe: aiquanti, aittri, aittare per alquanti, allri, altare. Gl'italiani: adem

(a) Nella Bibbia spesso virtus si prende per coetus, exercitus. Quindi Deus virtutum il Dio degli eserciti; virtutes coelorum le stelle. V. Sav. Mattei, Salm. XXXIII, 6, e Genes. II, 1; Deute ron. XVII, 3, ec.

Alto terrà lungo tempo le fronti,
Tenendo l' altra sotto gravi pesi,
Come che di ciò pianga e che n'adonti.

Giusti son due, e non vi sono intesi:
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville ch' hanno i cori accesi.

Qui pose fine al lagrimabil suono;

piere dal lat. adimplere, chiaro da claro, chiostro da claustro, fiore da flore, florire da florere, più da plus, piano da plano ec. Or così da placere si fece piacere, da questo piaciare, e indi piagiare e piaggiare in sentimento di adulare o essere condiscendente; qual fu Filippo il Bello a Bonifazio, annuendo che Carlo andasse a spegnere le ire fiorentine. D'onde è manifesto che in questo luogo il verbo piaggia, da piaggiare, debb'essere venuto di plagiare fatto da plagere per placere; infiniti essendo gli esempi de' verbi che della seconda si conformarono alla prima coniugazione. Quindi piaggiare per adulare, blandire, far da caicco o da vil cortigiano, ed anche tirare altri alla sua volontà con baggiane. Piagente, plazente e piacente dal provenz. plazen, plazent nel significato di bello, vago, grazioso, gentile, caro, diletto, dissero i nostri antichi scrittori. Guittone:

Che m'è dolor mortal vedere amare
Piacent'uomo talor donna non bella.

Nel Filocolo I, 217: Ovunque il grazioso giovane e la piacente (bella ec.) Giulia erano conosciuti, si piangeva. Orazio Lib. II, Od. XIV:

Linquenda tellus, et domus, et placens uxor. Quindi piacentiero per aggradevole,

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è propriamente andar fra terra e mare o costeggiar la marina. Il Vellutello chiosa: Carlo di Valois, il quale ora posa, non essendosi ancora mosso per venire all'impresa; ed è per similitudine delle navi giunte a piaggia, che posano. Questa interpretazione accetta anche il Torricelli.

Benissimo, se si derivasse piaggiare da piaggia, plaga (nap. chiaia, calabr. praia) ch'è il renaio, e nel qual sentimento disse il Poeta:

Per altre vie per altri porti
Verrai a piaggia.

Ma ove paiano agli assennati non aver qui che fare le piagge e i monti, e sì vorrà dar bando al traslato del Vellutello; potrem tenere la spiegazione del Costa, il quale a noi pare che abbia dato nel segno, prendendo questo piaggiare per adoprare dolci e lusinghevoli modi. E sia che ciò si dica di Carlo, sia che di Filippo, onde propriamente partiva la forza che dovea sterminare i Bianchi e i Neri; potè Dante alludere al soprannome di bello dato a quel re di Francia, sendo che piaggiare sia placiare, placere od esser bello. Che se poi codesto piaggiare si voglia dire di Bonifazio, e gli starà ben detto altresì, a cagione di quella sua

lusinghiero, grazioso, gaio, gioioso, papalina o volpina piacenteria, che, a ro

festivo ec.

Cortese lingua, e costumi avvenenti,
Piacentieri e piacenti.

E come disavventuratamente non ogni cosa che piace è buona; così nacque da piacere il piacentare, la piacenteria, e il piacentiero, la piacenza, voci oggimai tratte fuori ne' dizionari in sentimento di adulare, adulazione, adulatore, vaghezza ec. Ma con cotesto piaggiare se ne vanno piaggia piaggia i vocabolaristi.

I comentatori dicono che Piaggiare

vina delle parti loro avverse, i papi, nonchè i re ec.; seppero in ogni tempo provvedutamente adoprare.

Il Vill. VIII, 69: 1 grandi di parte Nera e quelli che piaggiavano con il Legato. Qui piaggiavano è de' sedicenti moderati o amici dell' ordine, i quali si mostravano col Cardinale placidi, piacenli e umani, affinchè ingraziandosi ottener potessero che la loro fazione venisse favorita dal B.mo Padre. - Il Tommaseo: Piaggia-Lusinga Firenze, viene adagio con cautela fraudolenta.

A

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