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E come gli stornei ne portan l'ali

Nel freddo tempo a schiera larga e piena;
Così quel fiato gli spiriti mali

Di qua, di là, di giù, di su gli mena:
Nulla speranza gli conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in aer di sè lunga riga,
Così vid' io venir, traendo guai,
Ombre portate dalla detta briga,

Perch' io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti, che l'aer nero si gastiga?
La prima di color, di cui novelle
Tu vuo' saper, mi disse quegli allotta,
Fu imperatrice di molte favelle.

grandi poeti, Folgore da San Gemignano, che fiorì nel 1260, avea scritto in un sonetto:

Che sommette ragione a volontate.

Nel fango dei versi di questo rimatore, l'Alighieri razzolò, dice il Monti, qualche granello d'oro.

V. Inf. II, 81.

42. Orazio Lib. IV, od. V, 9 ec.
Ut mater iuvenem, quem Notus invido
Flatu Carpathii trans maris aequora
Cunctantem spatio longius anno
Dulci distinet a domo ec.
Virgilio En. VII, 27:

Quum venti posuere, omnisque repente resedit
Flatus, et in lento luctantur marmore tonsue.

Qui è distinto ventus da flatus, che vien da Flare, spirare ec.effetto del vento.Dante usò fiato per soffio figuratamente e in tutta proprietà. (Purg. XI, 100):

Non è il mondan rumore altro che un fiato

Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi,
E muta nome, perchè muta lato.

Dove, guarda a quel vien... vien, da cui la voce vento; ed a quel muta lato, che accenna quasi ai punti della rosa, onde muovono e spirano i venti apportatori delle venture e delle rinomanze degli uomini.

46. Il non essersi invenuto che sempre nel plurale questo nome lai, ha fatto credere ch'esso non potesse adoperarsi al numero del meno. Il Nostro anche (Purq. IX, 13 seg.) dice:

Nell'ora che comincia i tristi lai
La rondinella ec.

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Ma ecco un esempio in contrario. Din. Comp. Intell.:

Audi' sonar d'un'arpa, e smisurava, Cantand'un lai, onde (o come) Tristan morie. Lai e Lais in provenz. è pianto, grido lugubre, canzone mesta e dolorosa. 48. Guido Cavalcanti, Canz.

Gli occhi di quella gentil ec.

Di: quegli che mi manda a voi trae guai
Perocchè dice che non spera mai
Trovar pietà di tanta cortesia.
Il nostro P., Inf. XIII, 22:

Io sentia d'ogni parte tragger guai ec. cioè, mandar lamenlosi gridi.

Bon. Giamb., Della mis. dell' uomo,

Tratt. II, Cap. I: E perciò (la creatura) trae guai (nel nascere) e dice il maschio A, e la femmina E, le quali boci significano guai e duolo (a).

54. Favelle, lingue per popoli, genti, nazioni ec. Il linguaggio è un elemento costitutivo della nazionalità. Mol

te favelle qui per molli popoli di loquela diversa, i quali eraro soggetti a Semiramide. Lucan. volgariz. dal Giamb.: Credete voi che questi Numidiani, o Greci, o que' di Creti, o questi barberi, o questi Ermini (Armeni), o que' d'E

(a) Lotario Cap. VII: Omnes nascimur ejulanus enim recenter natus dicit A, foemina vetes ut nostram miseriam exprimamus. Mascuro E. Dicentes E vel A quotquot nascuntur ab Eva: quid est igitur Eva,nisi heu ah? Utrumque dolentis est interjectio, doloris exprimens ma gnitudinem.

A vizio di lussuria fu sì rotta,

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Che libito fe licito in sua legge,

Per torre il biasmo, in che era condotta.
Ell'è Semiramis, di cui si legge,

Che succedette a Nino, e fu sua sposa:
Tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s' ancise amorosa,
E ruppe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatrás lussuriosa.
Elena vidi, per cui tanto reo

gillo, o i Rossi (del Mar rosso) o gli Acopardi (così il cod.), o quelli Nubiani, o quelli Suriani (di Soria) o quelli altri linguaggi (popoli di altro linguaggio) ch'io v'ho contato, abbiano cura di chi sia Segnore di Roma?

64 seg. 1° Vidi non è qui, come parrebbe, prima persona singolare del perfetto indicativo; ma sì bene seconda dell'imperativo: così nel secondo e quarto verso seguente, dove il Poeta induce Virgilio che gli mostra Elena, Achille, Paris, Tristano ec. Egli stesso in sua persona non parla se non da quel verso in poi

che dice:

Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito ec. (a) Questa osservazione è dovuta a Vincenzo Nannucci (Anal. crit. de' verbi pag. 737-738). (b)

E risaputo che identiche furono le inflessioni alla seconda persona del presente dimostrativo e dell' imperativo; onde Vide e Vidi vennero adoperati per l'una e l'altra indistintamente.

Nella vita di Cola di Renzo, Cap.
XXXIII: Hora vidi (vedi) maraviglia.
E Fra Guittone:

Spietata donna e fera, ora ti prenda
Di me cordoglio, poi (poichè) morir mi vidi.
Il B. Jacopone, Lib. VII, 7:

O alma nobilissima

Dinne che cosa vide?

(a) E questo verso con l'altro appresso fan chiaro che non Dante, ma Virgilio dice vidi per vedi, in questo luogo.

(b) Se questo filologo ebbe in mano il testo del Bargigi, potè nelle chiose di questo leggere: Però dice qui Virgilio: o tu, Dante, VEDI Elena, per cui ec. Questo eccellente comentatore (nato in Pavia nel 1406, e non visso oltre il 1460) aggiunge con la sua autorità un' altra pruova a ciò che su ne pare ragionevole di sostenere.

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Brunetto Latini nel Favolello, Cap. I:
E se fallir ti vide ec.

I Calabresi dicon Vidi in ambi i modi, e i Napolitani tutto giorno Vide. Non maraviglia dunque che Dante abbia usata questa inflessione, antica sì, ma regolarissima. E non facea mestieri d'immutarla in Vedi come B. Bianchi fece, sull'autorità del Buti e d' altro codice; nè v'ha brusco passaggio, quando la lettera è intesa nella sua vera accettazione, come è detto. Nel XX canto, ove il Poeta usa quasi la stessa forma del dire, leggiamo Vedi; ma che da ciò? non può egli lo stesso poeta valersi di due inflessioni, ch'erano ai tempi suoi nel dominio della lingua? Notisi altresì come a Dante non potea venir conoscenza di persone ch'egli mai non avea veduto, ove non gli fossero additate dal suo Duca, che gli veniva nomando le donne antiche e i cavalieri. Non così delle ombre di coloro, che il Poeta conobbe in lor vita, e che poi in inferno ec. riconobbe senza che Virgilio gliene facesse motto.

2° Si volse. Tanto reo tempo si volse. Fu lo spazio di dieci anni, entro il quale << il pianeta che distingue l'ore » compie dieci volte l'annuo suo giro; nè tempo è altro che il rivolgimento degli astri. Epperò questo volgersi del tempo non può esser detto con più bella proprietà d'espressione. Nel Canto IX del Parad.v.4:

Ma disse: Taci e lascia volger gli anni.
E come da fluo, flumen; da luo, lu-
men ec.; così da volvo (voluo) volumen;
e il nostro Poeta,volume per rivolgimen-
to, o volgimento del sole, a significare
l'anno. Parad. XXVI, 119 seg.:

Quattromila trecento e duo volumi
Di Sol desiderai questo concilio.

Tempo si volse; e vidi 'l grande Achille,
Che con Amore al fine combatteo.
Vidi Paris, Tristano; e più di mille

Ombre mostrommi, e nominolle a dito,
Ch' Amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch' io ebbi il mio Dottore udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri,
Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito.
Io cominciai: Poeta, volentieri

Parlerei a que' duo che 'nsieme vanno,
E paion sì al vento esser leggieri.
Ed egli a me: vedrai quando saranno
Più presso a noi; e tu allor gli prega
Per quell' amor che i mena; e quei verranno.

Lo stesso Dante, Purgat. XXIII, 76:
Forese, da quel di'

Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqu'anni non son volti insiño a qui.
Parad. IX, 4:

Ma disse: Taci, e lascia volger gli anni. Il Petrarca:

Già volge, Signor mio, l'undecim'anno Che fui sommesso al dispietato giogo ec. E il Tasso, Ger. liber. I, 6.:

Già il sest'anno volgea che in Oriente Passò il campo cristiano all'alta impresa ec. Altri esempi, che si potrebbero moltiplicare, trasandiamo; contenti a notar solo che Dante, e que' che venner dopo, tenne dietro al suo Maestro, Virgilio; il quale ebbe alla stessa guisa adoperato co' nomi di tempo il verbo volvere. Turne, quod optanti Divûm promittere nemo Auderet, volvenda dies, en, attulit ultro.

66. Combatteo per Combattè. Anticamente in tutte a tre le coniugazioni, alle terze singolari del perfetto, ed alle persone singolari del presente e del futuro terminate in voeale accentata si aggiunse l'o; non già per servire alla rima o per ischivar l'accento, ma per proprietà di cadenza: come amao, temeo, sentio per amò, temè, sentì; sao, stao, deo, veo, teo, perveo ec. per, sa, sta, dee, viene, tiene, perviene ec. verrao, dicerao, tornarao ec. per verrà, dicerà o dirà, tornerà ec. Nella cronaca di Matteo Spinello, nel Novellino, nella vita di Cola di Renzo, ne' Framm. di stor. rom. nelle poesie di Fra Jacopone da Todi, di Ser Brunetto Latini, e generalmente in

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tutte le scritture in prosa e in verso degli antichi, ricorre tal cadenza sino alla noia. Ne' dialetti calabresi è servata ancora; ed i poeti in molti casi la usano in alcuni verbi della seconda coniugazione come Feo, poteo, combatteo ec. nella sola terza singolare del perfetto dimostrativo.

Purg. XVII, 31:

E come questa imagine rompeo.
Inf. IV:

Averrois che 'l gran comento feo.
Purg. XX:

Onde intender lo grido si poteo ec.

rale: probabilmente da illos, onde i, gli,
78.1 mena. I per loro, quarto caso plu-
li. Dante è uso adoperarlo. Inf. XVIII, 18:
Infino al pozzo che i tronca e raccogli.
Inf. VII, 53:

La sconoscente vita che i fe sozzi ec.
Parad. XII, 26:

Pur come gli occhi, ch'al piacer che i muove ec.
Ivi XXIX, 4:

Quant'è dal punto che il zenit i libra.
Anche Fra Guittone:

Se lusinghieri amici vanno, i slunga. cioè gli allontana ec. Ed altri fra gli antichi.

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Tra le lezioni variorum del Witte son le varianti Per quel disio che i. Per l'amor che gli. I codd. di Santa Croce, e di Berlino (Bibl. Reale) hanno: ch'elli mena e verranno. Ei trovasi in alcune edizioni. Questa lettera ritiene il Venturi per la frivola ragione che vi sia posto EI per ESSI; e che quantunque EI

Si tosto, come 'l vento a noi gli piega,
Muovo la voce: o anime affannate,
Venite a noi parlar, s' altri nol niega.

sia propriamente del singolare, pure non dicendosi nel plurale EINO da EI, come da EGLI diciamo EGLINO, si è piuttosto il Poeta voluto valere di E ancor nel plurale. Nessuno scrittore lo ha usurpato, e chi allega questo verso di Dante, consideri facile essere stato ai copisti di scriver ch'ei, invece di che i.

Ci fan fede dell'autenticità di quest'ultima lettera i codici Bartoliniano, Vaticano, Patavini 9, 67, 316, i Pucciani 1, 2, 3, 5, i Riccardianí 1024, 1025, 1027, il Magliabecchiano, l' Antinori, quel del Lombardi, il Cassinese, del Bargigi, del Vellutello ec. Il Perazzini dice, questa lezione essere stata già indicata dal Tomaselli; e il Renzi, il Marini, il Muzzi affermano averla trovata ne' codici più antichi e più accuratamente scritti. Trovasi eziandio nella splendida edizione Fiorentina dell' Ancora (1819); e quasi in tutte le stampe posteriori. (a)

Cotesto i poi venne spessissimo dai nostri antichi, e in verso e in prosa, adoperato per il terzo caso singolare gli o le del pronome egli o ella. Il Nostro, Inf. X, 113:

Fate i saper che 'l fei, perchè pensava ec. Inf. XXII, 73:

Draghinazzo anche i volle dar di piglio ec.

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Questo i usato per gli o le, terzo caso, si deriva, secondo il Nannucci, dal Provenzale, ch' ebbe i, y, hi nello stesso senso. « Dal lat. illi, caso dat. sing. già accorciato in li ne venne quest' ultimo troncamento i, per li, a lui, e per le, a lei usato da' nostri antichi ec.» Il dotto filologo grida la croce sopra coloro che fanno invece i aferesi di ei, come pare che tengano G. B. Niccolini, G. Borghi, Cino Capponi e Fruttuoso Becche faccia il seguente passo, che adduchi. In favore di questi ultimi ci avvisa ciamo da' Conti d'ant. cavalieri. Del Re Tebaldo: E Tebaldo, ei rispuse: eo el debbo fare. Dove ei vi sta per gli e vi potrebb' essere eziandio per le, sendo il lat. ei di comun genere, siccome illi, donde il predetto Nannucci fa discendere codesto che tra gli eruditi è stato il della discordia.

pomo

Da ultimo è da sapere che i valse talvolta anche l'avverbio ivi, tratto evidentemente dall' ibi de' Latini; come gli stessi Provenzali fecero. Epperò per ivi vuol esser preso in Dante, Inf. VIII, 4: Per due fiammette, che i vedemmo porre ec.

Guido Guinic. nella Canz. Al cor gen- mal pensando il Biagioli di levarlo e

til ripara ec.:

Poi che n'ha tratto fuore

Per sua forza lo Sol ciò che li è vile,
La stella i dà valore.

Betto Mattefuoco (1250):

Chè par che i (le) sia spiacente mia contanza. Francesco Ismera:

E s'io fallato avessi in nulla parte
Che ti corregga secondo che i (le) sembra.
Nell' Intellig. poema attribuito a Di-
no Comp.:

Che quando la persona è ben discreta
Il padre i dà il tesoro e la sagreta...

(a) Tra i calabri anche oggi i per loro quarto caso. Dante perciò, non potè tanto avere a schivo il dialetto siculo, calabro, ec., che non usasse talvolta qualche motto che ad essi è proprio.

supplirvi in sulla cima; perciocchè di tale i, per ivi, non mancano esempi in altri scrittori. Il Barberino:

E una scritta i (vi) metti
Con tuoi pietosi detti.

Onesto Bolognese:

Cade la brina: non val che su i piova.
E Dante Purgat. XII, 83:

Si che i diletti lo inviarci in suso (b). Ci siamo a lungo intrattenuti su questa voce, per toglierci dal doverne ragionare in altri luoghi della Divina Commedia; e perchè ove incontri, possiamo a questo riferirci.

(b) Se pure diletti non sia alla latina eos delectet, e non vi stia quindi i per loro quarto caso come su è detto.

Quali colombe, dal disio chiamate,

Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido
Volan, per aere da voler portate;
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
Venendo a noi per l'aere maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.

O animal grazioso e benigno,

Che visitando vai per l'aer perso

Noi, che tignemmo 'l mondo di sanguigno; Se fosse amico il Re dell' universo,

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Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Da ch' hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel ch' udire e che parlar vi piace

82. Dante onestò, quanto potè meglio, il fatto de' due amanti, onde qui si parla. Rassomigliali alle colombe, che sono simbolo d'innocenza e nello stesso tempo d'infiammato amore. Ma Paolo e Francesca non furono nella

Felice età dell'oro

Quando al piacer nemica
Non era la virtù!

Ali aperte e ferme. Il P. mirò a quei versi di Virg. (En. V, 213, 217) e dove il Mantovano disse: celeres neque commovet alas, ed egli volta nelle ali ferme; che sono all'opposto di quelle infaticabilmente agili e preste, delle quali vestito l'angelo del Tasso:

Ver le piagge di Tortosa... Drizzò precipitando il volo in giuso. Chiamate è incitate,spinte, mosse ec. da ciere. Lat. clamare per provocare.

Intendo che si costruisca: Volano al

dolce nido portate per l'aer dal volere. E dice appositamente porlate dal volere per far meglio calzare la similitudine: imperciocchè i due amanti poco prima erano qual piuma menati in balìa della bufera infernale, ed ora usciti della schiera ov'era Didone volontariamente vengono ai poeti: mentre che il vento cessava: (Virg. loc. cit.) aere quieto. Dante poi dice: colombe... dal voler portate; Virgilio avea detto:

illam fert impetus ipse volantem. (loc. cit. v. 219) V. esempi di questo Ferre per tirare a forza, trascinare, incitare, spingere ec. riportati nelle Illustraz. del Tommaseo.

Si devono adunque intenderc di Fran

cesca e Paolo le voci portale dal volere; altrimente sarebbero oziose e d' una insopportabile superfluità. Ecco il costrutto. Quelle anime porlate per l'aere dal volere, uscir della schiera quali colombe ec. volano al dolce nido. (a) 83. Virgilio (En. IX, 14):

in coelum paribus se sustulit alis. 94. Ti piace è la lezione tenuta dal Bianchi, dal Tommaseo e da altri, sull'autorità della Nidobeatina e del testo Viv. Il Torricelli: «Vi piace-Leggiamo invece di ti piace col chiarissimo Sorio, a ciò mossi dal vui del verso seguente »>. E noi potremmo aggiungere: dal venite a noi parlar del verso 81 precedente. Ma potendo anche piacere ad un solo quel che si debbe fare a più, non v'ha ragione filologica, onde l'una lettera debbasi all' altra preferire. Vi piace può dunque aver luogo, e Ti piace; ma questo pare vi stia meglio; poichè la Francesca ragiona al solo Dante.

È notevole il costrutto dell'accusativo con l'infinito alla latina: Di quel che ti piace noi udire e parlare Quidquid nos audire aut loqui tibi placet, audiemus atque loquemur.

(a) Sopra lavoro ci siamo avvenuti in una nota del Zacheroni al testo del Bargigi, in questo luogo. Riflette il valent'uomo che dopo: dal desio chiamate, sarebbe una ripetizione impropria riferire alle colombe anche le parole: dal voler portate. Egli vuole perciò questa interpunzione:

Quai le colombe dal desio chiamate

Coll'ali alzate, e ferme al dolce nido
Vengon per l'aere; dal voler portate
Cotali uscir della schiera ov'è Dido ec.

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