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Ed egli a me tu immagini ancora

D' esser di là dal centro, ov' io m' appresi Al pel del vermo reo che 'l mondo fora. Di là fosti cotanto, quant' io scesi:

sito o passaggio; ma l'idea di trames che diamo al vocabolo, non riesce eziandio più opportuna a tale interpretazione? Sebbene il senso delle voci sera e mane è qui lo stesso che nel verso 118, dove sarebbe strano il voler intendere l'occaso per la sera, e l' orto per la mane. Il Poeta (Par. I, 43 segg.):

Fatto avea di là mane e di qua sera

Tal foce, e quasi tutto era là bianco Quello emisperio, e l'altra parte nera. 106-126. TU IMMAGINI ANCORA ec. In sent. Il tuo errore (v. 102) è dovuto all'orribile vista di Lucifero, la quale ti lasciò nell'animo sì viva impressione, che tu credi essere tuttavia da quella parte a cui si riferisce il fantasma: e questo occupò di guisa la mente tua, da non intendere che quando io mi volsi, (v. 110) passammo il centro della Terra, e dall' emisfero boreale ci trovammo nell'australe: ond'è che or sei antipodo alla Giudecca; che Lucifero non è punto mosso del luogo ov' era, ma siam noi che or gli vediamo le zanche, venuti alla parte dov' egli cadde capovolto dal cielo; che il Sole non accelerò mica il suo corso,nè la diè per tragetti; ed è in sto istante una ora e mezzo di notte là, onde scendemmo, mentre che qui è già mezza terza (v.96), per la naturale opposizione delle ore negli opposti anzidetti emisferi: le quali cose, ben considerate, dileguano leggermente le tue proposte (vv. 102-105) difficoltà.

que

106. TU IMMAGINI. Il Poeta è con Ari

stotile, che partisce le potenze dell' anima nel vivere, sentire, e ragionare. La facoltà sensitiva, comunque sia fondamento della intellettiva, può da sè sola menare ad errore; e sono in quest' ultima, detta nobilissima parte dell' anima, le virtù scientifica, ragionaliva, consigliativa, inventiva, giudicativa (a). Virgilio, che è figura della Ra

(a) Convito, pag. 121 seg., Ediz. Ven.,Zatta.

gione, rimette sulla via del vero il suo Alunno, cui la immaginazione avea per poco traviato e fatto confondere e incagliar ne' dubbi, come accader suole alla grossa gente (v. 92).

107-108. M'APPREsi ecc.: mi aggrappai ecc. (v. 80). Al. lez. mi presi. VERMO REO: Lucifero.

Più sovente Lucifero è chiamato drago, (Apoc.), perchè efferato; o serpente, perchè astuto e sedizioso. Dopo la sua sconfitta gli sta meglio quest'ultimo nome (b). Ma nessun altro più s'accomoda, che quel di verme, a chi venne, in pena della superbia, piantato come schi

foso lombrico nel centro della Terra. Cotesto titolo dato alla gran Bestia potè Dante torre da Frate Alberico: Vermis erat infinitae magnitudinis ligatus maxima catena. (Vedi Inf. VI, 22, nota); ovvero da Fra Guittone che disse al Diavolo fero vermo. VERMO, poichè FORA IL MONDO, e « Simboleggia il vizio indotto nell' umana natura dalla prima instigazione diabolica; VERMO REO, che fora il mondo e lo fa essere quasi frutto bacato». Tomm.-FORA vien poi voce opportuna al Poeta ; che, nel senso arguto de' versi strani, asconde sotto l'immagine di Lucifero un Ormanno, Vormanno, Vermanno, o Vermo Foraboschi di parte Nera (v. 38, nota).

VERMO per verme (Inf. VI, 22; XXI, 45, not.).

109. DI LÀ DAL CENTRO, nella Ghiaccia, ov' io m'appresi ec. (v. 107 seg.).

COTANTO, QUANT' 10 SCESI per tanlo tempo, quanto che io discesi (v. 74 seg.) lungo il corpo di Lucifero.

(b) Diabolus dictus est serpens: quia cum latenter obrepit, cum per pacis imaginem fallens occultis accessibus serpit: ea est eius astutia circumveniendi homines, caeca et latebrosa fallacia, ut asserere videatur noctem pro die, venenum pro salute, desperationem sub obientu spei, perfidiam sub praetextu fidei. Cyprian. tr. 3. De Praelat, simplic.

Quando mi volsi, tu passasti il punto
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi:
E se' or sotto l'emisperio giunto,

110. QUANDO MI VOLSI (v. 79). 110-111. PASSASTI Il punto (v.93) ec.: il centro della gravitazione.

AL QUAL SI TRAGGON ecc. Nel C.XXXII, 73 seg., questo stesso punto è perifrasa to per simiglianti parole: lo mezzo

Al quale ogni gravezza si rauna.
111. SI TRAGGON. « Più bello che son
tratti. Perchè alla scientifica locuzione
denotante la forza di gravità congiunge
una poetica imagine, che mostra i corpi,
quasi per amore spontaneo, trarre sè,
muoversi al centro. Inf. XII: L'univer-
so sentisse amor ». Tomm.-Concedia-
mo alla materia cotesto amore, che si
traduce nell'attrazione; abbenchè, stan-
do alla poetica figura, ci fosse duro,
anzi che no, il comprendere, come gli
stessi elementi terrestri si facciano, spin-
ti da naturale e spontaneo amore, tende-
re al centro dov'è confitto Lucifero;
dopo che già se ne furono rimossi (vv.
122-126) per paura di Lui. È lecito del
resto attribuire senso agli esseri inani-
mati, e torre loro, ad arbitrio del poeta,
la memoria di quel gravissimo caso. Noi,
che saremmo restii di dare al si, più che
d'un semplice affisso, il valore d'una
particola pronominale, ci sentiamo noi
stessi tratti all' avviso dell'illustre co-
mentatore, confortati eziandio dalle pa-
role del Nostro: È da sapere che cia-
scuna cosa.... ha'l suo speziale Amo-
re, come le corpora simplici hanno A-
more naturale in sè al loro luogo pro-
prio. E però la terra sempre discende
al centro ecc. (a).

I PESI: i gravi. Parad.XXIX,55, segg.:
Principio del cader fu il maladetto

Superbir di colui che tu vedesti
Da tutt'i pesi del mondo costretto.
Nè Galileo nè Newton potevano me-
glio significare il centro di gravità del
la terra. Di tre secoli e mezzo Dante
precede que' sommi nel congiungere il
fallo del peso de' corpi al fatto d' una
forza centripeta, cui già impone il no-

(a) Convito. Ven. 1758. Zatta, pag. 122.

110

me moderno procedente da TRARRE, e a quest' ultimo connette il primo, come a causa l'effetto... Anche in Dante trovo accennata l'attrazione. Forse New

ton non fece che ampliare il concetto
agli antichi noto. Tomm. Dante non-
dimeno pose la Terra immobile nel cen-
tro dell'Universo. Tra questi primi lampi
di quell'ingegno divino, e il sistema della
gravitazione universale, che dopo Coper-
nico dimostrarono col Calcolo applicato
alla scienza astronomica, il Newton e il
Galilei, non è chi non veda interporsi un
abisso. La lingua serba nel suo erario
de' nomi, che s' impongono dopo secoli
ai nuovi trovati della mente umana. Di-
cono che anche Pitagora facesse la Terra
mobile intorno al Sole, il che fu qualco-
sa di meglio; ma quell'opinione non ap-
poggiata sopra solidi argomenti,
nell' obblio, prima che crollasse il tem-
pio di Vesta, e si sperdesse la memoria
del fuoco eterno. Vogliam dire che ogni
stagione porta il suo frutto, e che per
quanto idolatriamo l' Alighieri, noi sia-

cadde

mo ben lontani dal volerne fare un astro

nomo de' tempi nostri. Se Dante fosse vissuto al tempo di Galileo, la nostra letteratura non si glorierebbe della Divina Commedia (b); poichè il mondo de'moderni cosmografi annullando quello dei Mistici, avrebbe soffocato il simbolismo cristiano, che impennò le ali alla fantasia del nostro Poeta.

112-115. Ad intender questo passo, s'immagini orizzontato per Gerusalemme il globo terrestre. Dante aggiratosi lungo il diametro che congiunge la santa città col centro, si trova ora di là dal piano

dell'orizzonte razionale relativo al detto luogo, co' piedi sopra una superficie circolare che forma l'altra faccia della Giudecca.

Benchè trovavasi ancora nel corpo della Terra, fu detto egli medesimo star sotto l'emisperio celeste australe opposito

(b) Fm. Torric., Studi sul Dante, Nap. 1850, Vol. I, pag. 291 seg., 530 seg., 539, 545 ecc.

Ch' è contrapposto a

diametralmente al boreale, che a guisa di volta o cupola sovrasta su quasi tutta la superficie terrestre nota agli antichi, e il cui colmo (o punto culminante ch'è a 90° dal rispettivo orizzonte) risponde dirittamente a perpendicolo sopra il Colle dove fu morto il Cristo.

Qui è dove il Poeta, uscito appena dell'Inferno e prima di mettersi pel cammino ascoso, fa che il savio Maestro, in quel che a lui disgroppa i suoi dubbi, descriva a noi con brevi ma chiari accenni tutto il Luogo d'azione del sacro Poema (vv. 100-105, not. in fin.). Vedi v. 1, not. sotto la fine; v. 68, not. (a); v. 82-84, nota.

113. C'È CONTRAPPOSTO è lez. dei Codd. Caetani, Poggiali, Pucciani 2, 3, Riccard. 1024, 1026; e, giusta G. B. Niccolini, sta assai meglio a significare la diametrale opposizione de' due emisferi, che non l'altra Che è opposito della Nidob., de'Pucciani 1, 7, 8, 9, del Riccard. 1027, e del Dante Antinori.

Ched è poi non trovasi ne'MSS. del 300, nè è nell' uso del popolo custode ostinatissimo delle proprietà della lingua, e perciò abbiamo prescelta la lez. Che è». Niccolini (a).

QUEL CHE ec.: l'emisfero celeste settentrionale.

LA GRAN SECCA: va intesa per la Terra; che, secondo gli antichi, non estendeva la superficie oltre il limite dell' emisfero boreale ; credendosi l'altra metà del globo occupata interamente dal mare. Già nel terzo giorno del mondo creato (Gen. I, 9), Dio disse: Congregentur aquae quae sub coelo sunt, in unum locum, el appareat arida (b). Gli

(a) « In alcuni luoghi della D. C. (come Inf. VII, 84; XXXI, 138; XXXIV, 113; Purg. I, 17, ec.) la Cr. e le ediz. che la sequitano hanno adottato la forma Ched invece di Che seguito da vocale. Le migliori ediz. moderne rigettano questa forma affatto particolare all' antico dialetto fiorentino «. Blanc. - La d eufonica è più antica dell'antico dialetto fiorentino, nè a questo affatto particolare. L'uso che di essa fa grazia alle congiunzioni e, o, alla prep. a (benchè raramente in antico), non consentì mai sì di leggieri codesto ched, ch' è benanchè dell'idioma calabro.

(b) « Arida Hebraice est iubesa idest exsic

quel che la gran secca

Ebrei, che poco o nulla studiarono il sistema del Mondo, nè poterono essere valenti geografi, nè astronomi, tennero che la Terra fosse immobile nel centro dei Cieli, e che riposasse sopra le acque (c): l'orizzonte di Gerusalemme, posta in mezzo alle genti (v.1, pag.658 not. (a)), fu per essi come la linea equinoziale delle nostre Carte, il circolo divisore della Terra dall' Acqua. Quindi (Job. XXVI, 10): Terminum CIRCUMDEDIT αquis; e (Prov. VIII, 27): Certa lege et GYRO vallabat abyssos. I padri della Chiesa non si discostarono da quella scuola ; onde S. Atanasio scrive: Nec Terra se sua vi fulcit, sed aquarum natura sustinetur, atque in medio UniEst ergo versi constricta tenetur. Terra, così il Beda, elementum in medio mundi positum, atque adeo infimum. Anche nell' Astronomico di Manilio (d) si legge :

-

Ipsu natat Tellus Pelagi lustrata corona Cingentis medium liquidis amplexibus Orbem.

GI' Italiani sin' oltre il medio evo non

furono più ricchi degli Ebrei in fatto di nozioni cosmografiche e geografiche. Il Galilei e la Santa Inquisizione potriano esserne pruova. Non fa però meraviglia che Dante credesse, colla Bibbia e col suo Aristotele, la Terra collocata sull'acqua e immobile nel centro del mondo; che co' suoi contemporanei ponesse il Gange e l' Ibero come limiti alla terra dell' emisfero nostro, e coprisse d'acque l'australe: cui se prima di Colombo tutti tennero inabitabile; egli a ciò che natura credevasi non aver fatto, sopperendo con una creazione della sua divina fantasia, vi pose uno scoglio antipodo al

Colle calvario. Codesto LA GRAN SECCA, e le voci di sera e mane ripetutamente usate dal Nostro, e il Meridiano di Gerusalemme, onde si regolano le ore del suo viaggio, sono indizi certi, ch' egli

cata ut posset habitari, seri, fructus ferre. Arida ergo non est idem quod arenosa: sic enim fuisset infrugifera, sed arida idem est quod sicca ». A-Lapide. Nota proprietà della lingua Dantesca'!

(c) Salm. CIV, 5-8; CXIX, 90; CXXXV, 7; CXXXVI, 6, ecc.

(d) Poeta del secolo d' Augusto.

Coverchia, e sotto 'l cui colmo, consunto
Fu l' Uom che nacque e visse senza pecca.
Tu hai i piedi in su picciola spera,
Che l'altra faccia fa della Giudecca.

percorre l'Universo degli antichi con le
fantasie cosmologiche de' poeti sacri, le-
vandosi sulle ali del simbolismo cristia-
no. Il sagrato Poema ha suo luogo d'a-
zione per le due prime cantiche la Via
lunga che corre dalla Porta di S. Pietro
nella Gerusalemme terrena, all'Eden po-
sto sulla cima del Purgatorio; quindi
nella terza cantica il Poeta si gira per le
sfere sino al Sole, alle porte della Geru-
salemme celeste, ai cori angelici, alla
città di Dio, al cielo de' cieli. E questo
mondo mistico ha per fondamento la Ter-
ra di Strabone e i cieli di Tolomeo;
ma l'opera della creazione vi è simme-
triata e illeggiadrita dalla sapienza dei
Poeti sacri si Ebrei che Cristiani (a).

114. COLMO: il punto culminante del
l'emisfero boreale: il punto che dista 90°
dall'orizzonte razionale celeste, che s'im-
magina nello stesso piano dell'orizzon-
te razionale terrestre di Gerusalemme.
Questo stesso colmo è accennato altrove
(Purg. II, 3) col nome di più alto punto
del cerchio meridiano di quella città.

CONSUNTO: morto, ucciso. Reg., II,
XI, 25: Nunc hunc nunc illum consu-
mit gladius. Anche Cic. De orat., c. 2:
Crassus lateris dolore consumptus. Un
dotto comentatore, seguendo il Vocabo-
lario, dice che consumare per uccidere
è in Armannino e nel Macchiavelli. Dai
luoghi testè allegati, chi ben considera,
emerge che consumare differisce alquan-
to da uccidere. Si può uccidere ad un
tratto, consumare ad un tratto non mai.

Gli esempi del Villani registrati nel Dizio-
nario fiancheggiano la nostra osservazio-
ne; e nel fatto del Cristo il consunto deve,
per noi, significare l'olocausto di quella
morte, le cui amarezze egli assaggiò
a stilla a stilla nella sua durissima pas-
sione. Dante anche a' traslati ritiene al-
cun elemento della proprietà delle voci;
e il consumere va sempre gradatamente
all' effetto finale e completo (Inf. II, 41;

(a) Fm. Torric., Vol. II. Append. pag. 10.

115

VII, 9; XXIV, 49. Purg. XXV, 23.Par.
XX, 3, ecc.).

115. L' UOM CHE ecc. Gesù Cristo.-
Fu L'Uom: ad indicare morto G. C. so-
lamente come uomo. Lomb.- Ma la pe-
rifrasi, (considerato bene ogni cosa, giu-
sta i principii della Teologia rivelata) è
non però tale, che non può riferirsi sal-
vo che all' Uomo-Dio.

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PECCA peccato. Oggi questa voce è
più comunemente usata in sentimento di
vizio, difetto, macchia; e bene potreb-
besi così intender Cristo nato e vissuto
senza pecca; perciocchè Conceptus ex
Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgi-
ne dove che ogni altro uomo dee dir
con Davide (L. 6,): In peccatis conce-
pit me mater mea. Ma Dante, come gli
altri antichi, ebbe pecca per peccato
(Inf. XXXII, 137; Purg. XXII, 47), co-
m'è da intendere in questo luogo. -
Joan. VIII, 46: Quis ex vobis arguet
me de peccato? (b). Petri Ep. I, cap. II,
22: Qui peccatum non fecit. Paul.
Ep. II, ad Cor. V, 19-21: Deus erat in
Christo mundum reconcilians sibi ...
Eum, qui non noverat peccatum, pro
nobis peccatum fecit, ut nos efficere-
mur justitia Dei in ipso. A chi non i-
gnora lo scopo del viaggio Dantesco, di-
mandiamo ora d'onde meglio il Poeta
muover potesse, che dalla città santifica-
ta col sangue del Cristo.

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116-117. TU HAI I PIEDI ec. Non ba-
stava egli l'aver detto: tu passasti il
centro, e sei già nell' altro emisfero? Bi-
sognava eziandio far vedere che il Poeta
salita era per farsi in senso contrario al-
era antipodo alla Ghiaccia, e che la sua
la linea della sua discesa; preparando

(b) Queste parole volge G. C. ai Giudei; e
potè con confidenza pari alla sua innocenza ri-
muover da sè ogni benchè menoma ombra o so-

spetto di peccato: imperciocchè era egli im-
peccabile, non solo per la visione beatifica, del-
la quale in atto fruiva; ma ancora per l'unio-
ne ipostatica, che santificava l'umanità di lui
sussistente nella persona del Verbo divino.

Qui è da man, quando di là è sera:

con questo anche il luogo all' illazione de' versi seguenti, che risolve le dubitazioni innanzi manifestate.

PICCIOLA SPERA.. L'ALTRA FACCIA ec. Non pare sia qui da prender codesta spera nel senso rigorosamente geometrico; sì per una superficie circolare di forma e grandezza pari a quella della Giudecca questa di ghiaccio, quella di pietra: entrambe non però perforate nel caso di Lucifero, ciascuna nella spessezza della quarta parte della lunghezza di lui, cioè per meglio di 307 metri (v. 32 seg. nota). Vero è che il Poeta usa questo vocabolo ben sedici volte, e, il più, nel Paradiso, in significato di cielo, che s'immagina di forma d'ogni parte tonda; ma le anime (Par. XXIV, 10 segg.), che:

Si fero spere sopra fissi poli si girano come cerchi, o rote coordinate nelle machine degli orologi. Nel Purgatorio (XV, I, segg.) sembra col nome di spera dinotata la linea descritta dal Sole col suo moto apparente; e altrove (Inf. VII, 96) si chiama spera la rota della Fortuna. Facciamo dunque, anche qui, di questa spera un piano circolare, col sig Blanc; ove non dispiaccia ai seguaci del Buti che ne fanno un corpo sferico nel senso mattematico; o del Bianchi che tale pur ve l'immagina di ghiaccio e di sasso, posto lì come nucleo dell'orbe terrestre. Il Torricelli (a) scrive: « Non tanto facile, a dir vero, ne pare... il trovar la ragione, perchè Dante cominciasse il Cammino ascoso con una sfera, simile alla sfera della Giudecca. Forse non v'è allegoria di sorta; ma la spera della Giudecca è letteralmente data alle due grandi ali di Lucifero; e quel Poeta che cantato aveva di un peccatore conficcato in un foro con le gambe fuori e l'altro dentro (Inf. c. XIX :

... si forte guizzavan le giunte, Che spezzate averien ritorte e strambe.-,

e ancora:

O ira o coscienza che 'l mordesse, Forte spingava con ambo le piote.-),

certo non immaginò Lucifero, conficcato in un buco centrale della Terra, con

(a) Studi sul Poema sacro di Dante Alighieri. Nap. 1853, Vol. II, pag. 292.

le gambe immobili; ma dall' irato anzi dal disperato re dell' Inferno formar fece una spera, mediante il continuo moto delle sue giunte ognor guizzanti in picciol cerchio per rabbia ». — Con tutta la reverenza che portiamo al chiaro nome di quel nostro, che fu, gentilissimo amico, il quale portò la luce ne' più astrusi recessi della Divina Commedia ; non trasandiamo di osservare, per amore del vero, che Dante non avea mica i piedi nel vuoto fatto dalle piote di Lucifero, ma su picciola spera, dove quegli era fitto; e che il vano, prodotto pure da quel eterno guizzo rabbioso, potea piuttosto esser la burella, infernale vestibolo del Cammino ascoso (vv. 97-99, nota). Se v'ha poi nessuna allegoria che si accomodi alle due spere di sasso e di ghiaccio; quella per avventura esser potrebbe, che noi altrove abbiamo accennato (v. 85, nota): e Dante ben pose di pietra la base del suo Inferno; di pietra il tristo buco (Inf. XXXII, 3):

Sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce. 118. QUI È DA MAN, QUANDO ecc. Per l'opposizione de' due emisferi. Risolve il dubbio espresso ne' versi 104-105. Ma l'avvicendamento delle ore diurne e notturne potea egli accadere, nella supposizione che Gerusalemme e il Purgatorio fosser posti agli estremi dell'asse terrestre? È vero che gli Ebrei e la Cosmografia sacra pongono il Libano sul Polo artico, e l'Anti-Libano sull'antartico (vv. 1, 82-84, 113, 114, note); ma a noi pare che Dante, senza appartarsi da'simboli del mondo mistico, abbia gli anzidetti luoghi collocato sopra i termini di un diametro della Terra; e che, a rendere possibile e ragionevole la simultanea coincidenza delle ore opposte in luoghi diversi, gli sia stato necessario di attendere alla real posizione geografica di Gerusalemme; dando a questa città la sua vera Latitudine, che la costituisce nella Sfera obbliqua. Ponendola sul Polo, se90° Lat. nord, ella starebbe nella Sfecondo la teorica della Sinagoga, cioè a ra parallela, che esclude i punti cardinali e il fenomeno delle ore opposte che sopra è detto.

di

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