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Con segno di vittoria incoronato.
Trasseci l'ombra del Primo Parente,
D' Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisè legista; e l' ubbidiente
Abraam patriarca, e David re,

Israele col padre e co' suoi nati,
E con Rachele, per cui tanto fe:
Ed altri molti, e fecegli beati :

E vo' che sappi, che dinanzi ad essi
Spiriti umani non eran salvati.

Non lasciavam d'andar, perch' ei dicessi,
Ma passavam la selva tuttavia,
La selva dico di spiriti spessi.

visione che vide: In hoc signo vinces.
Segno poi è insegna (Inf. III, 52 not.),
stendale, vessillo, gonfalone: Lat. Si
gnum, o Vexillum dimin. di velum. Or
Cristo disceso agl'inferi portava la Croce;
perchè, com'è già detto, su quel legno
trionfo della morte, e compì la redenzione.
Incoronato. Con tutto che Cristo si
chiamasse Rex gloriae, non è però da
credere, che apparisse agl' infernali in-
coronato d'altro, che delle spine, le qua-
li egli portò nella passione: e queste ac-
crescevangli nel trionfo più maestà, che
se oro finissimo e gemme le più preziose
la divina fronte cinta gli avessero. Il
Beato Jacopone da Todi dice, che in die
judici gli angeli stando da lato a Cristo:
Ne additeran le piaghe del costato,
Le mani e i piedi come fu forato,
E d'acuta corona incoronato,
Con segni che ancor tene.

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64. Al perchè di questo verso si dà il valore di sebbene ec. e al senso torna acconcio. Avvegnacchè la voce sia da così prendere in certi luoghi, non però ne sembra al postutto necessario che tal si prenda anche qui: dove, considerando il verbo seguente (qual ne par essere veramente) come imperfetto congiuntivo postovi per l'indicativo, a non ripeter due volte lo stesso modo: lasciavam..... diceva; e considerando altresì valer perchè, per ciò che, per questo che, l'espressione viene naturalmente: Non lasciavam l'andare per questo ch' ei diceva. cioè: Non per questo ch'ei diceva noi lasciavam l' andare ec.

Di dicessi per dicesse Vedi Inf.IX, 59.

65. Tuttavia. In Provenz. Tota via val sempre. Quindi i nostri scrittori l'ado

Il gran nemico delle umane genti perarono in tale significanza.

(Tasso Gerus. liber. IV, 11) dice:

Ei (Cristo) venne, e ruppe le tartaree porte
E porre osò ne' regni nostri il piede,
E trarne l'alme a noi dovute in sorte,
E riportarne al ciel si ricche prede
Vincitor trionfando, e, in nostro scherno,
Le insegne ivi spiegar del vinto inferno.

È della cristiana credenza, che il Figliuol dell'uomo verrà nel dì del finale Giudizio: in nube cum potestate magna (UN POSSENTE) et majestate (INCORONATO). A questa medesima podestà accenna il Poeta (Inf. VI, 96) con le parole:

Quando verrà la nemica podesta. Ed ecco:

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Ristoro d'Arezzo, Lib. I, cap. 2: E vedemo stelle variate de coluri e vedemo stelle che non se delonga l'una delle altre e stanno tuttavia in uno essere. Cioè, sempre in uno stato ec. Egidio Colonna, Del govern. de' princ., Lib. III, part. II, cap. XI: E così disse il tiranno al fratello, non posso io essere lieto mi dotto (temo ec.) di morte per le gran nè fare bella cera, chè tultavia (sempre) villanie ch'ho fatte al mio popolo ec. Bon. Giamb. Volg. Tesor. Lib. I, cap. XVI: Perciò fece Domeneddio l'uomo in tal maniera, che la sua veduta isguardi tuttavia in alto, per significanza della sua nobilitade. Qui è chiaro che

Non era lungi ancor la nostra via

Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco,
Ch' emisperio di tenebre vincia.

Di lungi v' eravamo ancora un poco,

Ma non sì, ch' io non discernessi in parte,
Ch' orrevol gente possedea quel loco:
O tu, ch' onori ogni scienza ed arte,
Questi chi son, ch' hanno cotanta orranza,
Che dal modo degli altri gli diparte?

tuttavia vale sempre; altrimenti potrebbe temersi non venisse tempo, in cui l'uomo nascesse per vivere con la testa e col viso basso e inchinato alla terra, come, per ispeciale privilegio, fanno i graffiasanti e gli spigolistri. Ivi, Lib. II, cap. XXXVI. Lo fuoco, ch'è in sopra, si ha una stremilade, che tuttavia va in suso. Libro di Cato: Non credere tuttavia ciò che l' è detto. Semprebene da Bologna:

Non è in fortuna tuttavia lo Faro E presso a notte viene giorno chiaro. Via vale anche fiata, volta (a); onde tuttavia è lo stesso che tuttafiata, tuttavolta, ovvero ogni volta, ogni fiala cioè sempre. Messer Polo:

La gran nobilitate

Che in voi, donna, ho trovata,
M'inforza ogni fiata di trovare (b)...
Lo meo core e la mente

Dimorano con voi ogni fiata.

67 e segg. Anche l'Elisio de' pagani era alluminato dal suo sole e da splendenti stelle. Virgilio VI, 640:

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l'un de' canti egli e il suo Duca si tras-
sero (v. 115):

In luogo aperto luminoso ed alto
Si che veder si potén tutti quanti.
Di questi due versi il primo dipinge la
stessa immagine dell'addotto:

Largior hic campos aether et lumine vestit ec. avvegnacchè Dante non ci dica se quella luce vi si diffonda da sole e da stelle, o vi si faccia splendere da Dio, che non la nega alle anime sublimi.

74. Orranza, onoranza, onore; come orrevole per onorevole: Così il Poeta in questa cantica XXVI,6: E tu in grande onranza non ne sali. È voce presa dal provenzale, che ha prettamente onranza nella medesima accettazione. Romanz. di Flameca: E prega'l fort que il faza onranza. E pregal forte che gli faccia orranza. Gli antichi dissero eziandio orrato per onorato e disorrato per disonorato. Fra Guittone:

E chi più chier dovizia

Più appo Dio è mendico e disorrato.

Salvo poche eccezioni, abbiamo potuto osservare che, appo i nostri antichi, i nomi tratti da' verbi, secondo che questi fossero della prima, o della seconda, o della terza coniugazione,cadevano in an

Largior hic campos aether et lumine vestit Purpureo; solemque suum, sidera norunt. Le tenebre ai rei; la luce, più bella creatura di Dio, pensarono gli antichi ben si convenisse agli spiriti grandi, che disnebbiarono il proprio intelletto, ed ornarono l'altrui mente di luminose dottri-za, enza, izione: come speranza, fidanza, sembianza, tardanza ec. da sperare ne. Il nostro Poeta come vi fu entro ve- fidare ec.; temenza, potenza ec. da tede un prato di fresca verdura, dov'erano Platone, Aristotele, Omero ec. e dal- mere,potere ec. nutrizione,fruizione ec. da nutrire, fruire. Talvolta ebbero l'una e l'altra cadenza, secondo che si derivarono dal verbo latino,o dall'italiano mutato di una in altra coniugazione: come, Confidenza da confidere e confidanza da confidare; partenza da parlere per par

(a) Di qui è che in matematica s'usa 5 via 4 ec. per significare cinque volte quattro. Nè la voce via è d'uso recente; chè Dante in dett' accettazione la prese nella Vita Nuova: Siccome vede mo manifestamente che tre via tre fa nove.

(b) Trovare per poetare, comporre versi ec., donde il nome di Trovadore.

tire.

E quegli a me l'onrata nominanza

Che di lor suona su nella tua vita,

Grazia acquista nel ciel, che sì gli avanza.
Intanto voce fu per me udita :

Onorate l'altissimo Poeta :

L'ombra sua torna, ch' era dipartita.
Poichè la voce fu restata, e queta,

Vidi quattro grand' ombre a noi venire:
Sembianza avevan nè trista, nè lieta.
Lo buon Maestro cominciommi a dire :

Anticamente furono in uso fallanza, dottanza, oblianza, pesanza, beninanza, malenanza, gravanza, tempestanza, allegranza, amanza, pietanza, adornanza, sicuranza, confidanza, accordanza, disperanza e moltissimi altri caduti in disuso; ma ognun vede che alla loro stagione non ebbero coteste voci meno titoli di correre per le buone scritture, che si abbiano oggidì le altre tardanza, costumanza, usanza ec. V. la not. seguente.

76. L'ONRATA ec. onrato e orralo per onorato dissero frequentemente i contemporanei di Dante e gli scrittori anteriori a lui. Pacino Angiolieri:

Ond'io orrato più ch'altri mi tegno.
Giovanni dall'Orto (1250):
Non mai avrò in oblio

Quant'ella m'ave onrato.

Onrare per onorare. Ancora:

Cui amor si altamente onrasse.

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Quindi nominanza,per lode,rinomanza, fama. Virg.:

Semper nomen tuum laudesque manebunt. dove nomen... laudesque equivalgono a laudatum nomen, l'onorata nominanza del nostro Dante.

78. Avanza. Avanzare è accrescere, ingrandire, esaltare (a). Ranieri da Palermo (1230): La vostra bella cera

Se mi dona d'amore sembïanti

Sarò tra gli altri amanti più avanzato.

Però, bella, temendo

Voi laudo in mio cantare;

Chè certo credo che poco saria

Ciò, ch'io di ben dicendo,

Potesse voi avanzare,

Vostro gran pregio v'avanza ed invia.

Nel Tesoro del Latini si accenna la preminenza, che de' cinque sensi l'uno ha sull' altro, avendo la natura collocato

Fra Guittone scrivendo ad Onesto Bo- ciascuno di essi in quella sede che, se

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condo il suo uffizio, più gli si conveniva. Lib. I, Cap. XV: E siccome l'uno avancosì avanza l'uno l'altro per virtude. za l'altro ed ha orranza di stallo (sede), Dante dall' ordine de' cinque sensi passò a quello de' cinque illustri poeti, ed egli fu sesto tra cotanto senno: sesto per priorità di tempo che gli altri ebbero sopra di lui, ma non ultimo rispetto ai sublimi voli del suo genio immortale che poetizza come amor gli spira nell' intimo senso della coscienza. Da senso a senno, che in antico valser tutt' uno, fu agevole il trapasso. V. Inf. VIII, 7.

(a) Avanzare per innalzare, aggrandire, levare a cielo ec. Lat. laudibus efferre ec. Con quali lodi potremoti noi avanzare? Brun. Latini, Oraz. per M. Marcello.

Mira colui con quella spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre, sì come Sire.
Quegli è Omero poeta sovrano ;

L'altro è Orazio satiro, che viene,
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo è Lucano.
Perocchè ciascun meco si conviene

Nel nome, che sonò la voce sola,
Fannomi onore; e di ciò fanno bene.
Così vidi adunar la bella scuola

Di quel Signor dell' altissimo canto,
Che sovra gli altri, com' aquila, vola.

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87. Già Lucrezio Caro (III, 1049) avea ron titoli comuni ai principi ed ai condetto di lui:

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Dante, che certo non lesse Omero nel testo greco, potè chiamarlo Sire e Signore dell' altissimo canto, nè temer d'errare, francheggiato dal giudizio di questi due autori latini, per non dir degli altri.

94. Non è da intendere de' soli cinque di maggior nomanza, e dopo i quali fu sesto il nostro Poeta. Stazio (Purgat. XXII, 97) dimanda Virgilio:

Dimmi dov'è Terenzio, nostro antico, Cecilio, Plauto e Varro, se lo sai: Dimmi se son dannati ed in qual vico. e quegli:

Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai, siam con quel Greco Che le Muse lattar più ch'altro mai, Nel primo cinghio del carcere cieco. Spesse fiate ragioniam del monte, Ch'ha le nutrici nostre sempre seco. Euripide v'è nosco, e Anacreonte, Simonide, Agatone, ed altri piue Greci, che già di lauro ornar la fronte. Tratto veramente di mano maestra, onde Dante pare abbia voluto ivi quasi ammendarsi, del non aver qui nominati gli altri antichi e gloriosi poeti.

95. Signor. Cino da Pistoia chiama la Divina Commedia libello,

Che mostra Dante Signor d'ogni rima. Rex, dux, imperator furono ab antico nomi di comando e di signoria. Re, Doge o Duce, Imperatore e Signore fu

dottieri degli eserciti (a).

Qui dunque si chiama Omero principe dell'epopea e duce che va a capo di quanti dopo lui dieder fiato all' epica tromba; re de' poeti epici.

Ora, che Signore vaglia nel nostro linguaggio e Re e Principe e Duce, eccone, fra i molti che addur potremmo, i seguenti esempi (V. anche Purgat. XI, 98 not.). Bono Giamb. Stor. Paol. Oros., Lib. II, cap. X: Uno barone del re chia

(a) Sallust.Catil.II: Igitur initio reges (nam in terris nomen imperii id primum fuit) pars ec. (V. Purgat. VI, 76 not.). Cornel. Nep., Pausan. II: Pausanias dux Spartae ec. Ed era titolo che egli si dava scrivendo a Serse con la pretensione di menar donna la figliuola di lui. Poco appresso (III): Huc ut venit (Pausanias) ab Ephoris in vincula publica coniectus est. Licet enim legibus eorum cuivis ephoro hoc facere regi. Qui è detto rex la stessa persona che poco innanzi fu appellato dux. Se Signore valse re, se re furon detti terrarum dominos... deos, o con Plauto (Casin.) humani Joves; Omero fu per Dante il signore, il re, il duce, il nume dell'epica poesia. Insomma Dante non fece che tradurre il secondo verso dell'ode del libro primo d'Orazio:

Regina longum Calliope melos (dic) ec. se non che il Nostro pose Omero in luogo di Calliope e recò in sua favella le parole longum melos per altissimo canto: quasi dicesse: Longi melos rex Homerus. Calliope v'è chiamata regina, si perchè figlia di Giove, e si perchè i carmi eroici, ai quali ella presedeva come la più antica e la prima delle Muse, sono ordinati alle lodi de' re. Bene adunque Signore, re e quasi nume dell'epopea si appella il cantore dell'Iliade e dell' Odissea: Nel v. 88, Virgilio lo addita chiamandolo poeta sovrano, che (v. 86 e 87), innanzi ad Orazio, Ovidio e Lucano, veniva siccome Sire con in mano la spada, simbolo delle guerre da lui cantate e de' tempi eroici, che ci son dipinti dai divini suoi carmi.

Da ch'ebber ragionato 'nsieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno:
El mio Maestro sorrise di tanto :
E più d'onore ancora assai mi fenno,
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Si ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi n' andammo infino alla lumiera,
Parlando cose che 'l tacere è bello,
Si com'era 'l parlar colà dov' era.

mato Mardonio veggendo il suo Signore di tante avversità angoscioso venne a lui ec. E Lib. III, cap. I: Farnabazo di tradimento accusò Tissaferne dinanzi Arlaserse loro comune Signore. In questo luogo non guari dopo è chiamato Artaserse maggior signore per gran re in corrispondenza col testo che dice: a rege magno. Agamennone poi è detto il re de' regi, cioè il primo fra tutt'i duci. Signore per Duce. Ivi: Adunque Conone per Farnabazo è chiamato e fatto Signore della ballaglia del mare ec. (Ammiraglio, lat. Praefectus classis)... Della quale oste Agesilao per consentimento di tutti fecero Signore ec. (duce, capilan generale ec. lat. dux, imperator)... Rade volte due signori (duci) così pari di bontà (valore ec.) si rincontrano in battaglia.

Valga da ultimo quest'altro esempio, a dimostrare che gli eccellenti capitani vennero in antico, e anche a' tempi dell'Alighieri, appellati col nome di re: In prima quelli di Teba (Tebe), avuto l'aiuto da quelli d'Atena (Atene), i fediti cacciali di quelli di Lacedemonia e spaventati assaliro, prendendo grande speranza per la grande virtù e sapere d'Epaminonda loro re, col quale agevole parea loro tutta la signoria di Grecia pigliare.

Dino Compagni, Intell.:

Or siam noi in altressì gran scomunaglia
Com'Anibaldo re fu co' Romani.

Virgilio (En. X, 655) chiama rex il duce Osinio, come distinto tra' primi. Il Poeta appella Signore in questo sentimento il suo Dottore, Inf. II, 139-IV, 46. Purgat. IX, 44, ed altrove.

103. Primamente lumiera vale luce, non già luogo luminoso.

Guido Guinicelli :

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Che'l vostro viso dà si gran lumera,
Che non è donna ch' aggia in se beltade,
Che a voi davanti non s'oscuri in cera.
E Dante, Rim.:

Dagli occhi suoi gittava una lumiera.
In questo stesso significato è presa la
voce nella Divina Commedia.
Bonagg. Urbiciani:

Tanto è lo suo splendore,

Che passa il Sole, di virtute spera,
E stella e luna, ed ogni altra fumera.
Autore incerto del sec. XIII.:
Che già non ha splendore (la margherita)
Ned è virtudïosa

Infin che la lumiera

Del Sol non l' ha ferita.
E così di molti altri esempi.

Dipoi non pare che questo dov'era sia l'ordinario modo con che s'adopera il verbo essere. Dante non era lì solo, ma con Virgilio e con gli altri poeti, tra cui era sesto. Dippiù; se prima dice n' andammo, parrebbe dovesse dire: dove eravamo. Non è sembrato ai comentatori cotesto dov'era inteso senza che restasse alcun dubbio prendendolo per dov'io era. All'incontro attribuendo ad Essere la significazione di potere, o esser possibile, esser lecito ec. siccome l' adoperarono i Latini; l'espressione dantesca riesce più chiara e più poetica, oltre dell'arricchire la nostra favella di una locuzione, che dai Greci tolsero i Latini, e da questi legittimamente cadrebbe a noi. Intenderemmo adunque, se agli uomini di fino giudizio paresse bene, il verso così: Siccome il parlare era (bello) colà dov'era lecito, ovvero dove parlar si poteva. La sentenza dantesca ci ricorderebbe le sbarre che il pauroso dispotismo suol mettere alla bocca de'soggetti, e la rara temporum felicitas che dice Tacito, nella quale non ti è vietato di scrivere e di

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