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Vedi come si storce, e non fa motto:
E l'altro è Cassio, che par sì membruto.

denzione (a). La vetusta tradizione, il
mito pagano, la boria imperitura d'una
gente che tenne la signoria del mondo,
passarono da' divini carmi di Virgilio e
dalle miracolose narrazioni di Livio, ad
innamorare l'anima generosa e patriot-
tica del nostro Poeta. Egli invoca il con-
corso della Filosofia e della Religione a
dimostrare nel dritto di essere, quello
che fuori la ragion di essere non è che
un nulla; e a forza di sottili argomenta-
zioni accarezza le perenni memorie della
nostra grandezza, e ti farebbe ardere in-
censi a un idolo crollato per sempre di
su gli altari.

Dante dunque vuol che Lucifero maciulli Bruto e Cassio che pugnalarono Cesare, e, quanto fu in essi, ruppero gli ordini della Provvidenza, attentando alla maestà dell'Impero necessario al politico reggimento del mondo: non altrimente che si fa di Giuda, il quale tradiva il capo del regno spirituale (b). A costoro non altri dovea dar pena condegna che Satanasso; il quale, invidiando agli uomini la felicità temporale e l' eterna, instillò negli animi di que' felloni la perfidia del tradimento (c); ed egli stesso, che gli ebbe spinti al delitto, fu poscia

(a) Et si Romanum Imperium de jure non fuit, peccatum Adae in Christo non fuit punitum etc. De Monarch. Lib. II.

(b) Opus fuit homini duplici directivo secundum duplicem finem: scilicet summo Pontifice, qui secundum revelata humanum genus perdu. ceret ad vitam aeternam: et Imperatore, qui secundum Philosophica documenta genus humanum ad felicitatem temporalem dirigeret. De Monarch.,Lib.III.- Veramente,nè Bruto nè gli altri congiurati poteano leggere negli alti decreti della Provvidenza, nè sapere che da' lombi d'Anchise si propagginavano i Cesari per la salute del mondo.

(c) « La sagacitade e la persecuzione dell'antico e superbo nimico, il quale sempre e nascosamente agguata la prosperitade umana, disertando molti, i quali consentirono e vollero; per l'assenzia del tutore, noi altri non volenti crudelmente spogliò. Quinci è, che noi lungamente sopra i fiumi della confusione piangemo: e gli ajutori del giusto Re continuamente addomandiamo, il quale dispergesse la tirannía del superbo tiranno, e che noi nella nostra giustizia riformasse ecc. ». Pist. di Dante Aligh. allo 'Mperat. Arrigo di Luzimb.

fatto stromento del loro supplizio; acciocchè nelle voraci sue canne fosse dato veder puniti i rei di lesa maestà dell'Impero e della Chiesa (d).

reità di Bruto.

65. DAL NERO CEFFO della sinistra faccia: posto significativo della più grave CEFFO propriamente è il muso del cane: qui per estensione ben si dice alla bocca di Lucifero che rabbiosamente divora il peccatore; ed eziandio per dispregio.

66. SI STORCE, a cagione del gravissimo tormento, e tuttavolta NON fa motto, non mette voce di dolore. Vivo tratto che ci dipinge il carattere di Bruto e la fermezza dell' animo suo; la quale è più ammirevole, che il rabbioso furore di Capaneo. Pure questa fortezza stoica non valse a preservar Bruto dal fantasma del suo cattivo genio; col quale, ne' campi filippici, egli parlò poco innanzi al morire.

67. CASSIO, uomo circospetto e di smorto colore, spenzola col capo in giù dal pallido ceffo di Satana. Dal destro lato; poichè costui fu poco meno colpevole di Bruto, in quanto che Cesare più da quello che da questo potea temere un tradimento.

(d) Questa interpretazione che noi facciamo, concorda mirabilmente con le idee dell' Alighieri. Studiando in tutte le sue opere si trova che la stessa Divina Commedia è l'immagine della Monarchia: dove Virgilio sostenendo le veci d' Imperatore mena il nostro Poeta (figura dell'umanità) sino al paradiso terrestre, simbolo della beatitudine temporale; Beatrice facendola da Pontefice, lo eleva alle sfere della beatitudine eterna. La Ragione e la Fede; il senno umano e la sapienza divina si coordinano insieme nel Poema, al compimento del viaggio simbolico: siccome Cristo e Cesare, il Papa e l'Imperatore doveano, per divina ordinazione, con accordo de' due poteri, dirigere la nave dell' umanità al porto, dov'è pace di questa e dell' altra vita. Dante bandiva le leggi della Monarchia di Dio allorchè nel secolo XIII nè Alberto d' Austria era legittimo Imperatore, nè Bonifazio tenuto per legittimo Papa. La ragion naturale e la grazia sperdevano la loro efficacia senza l'autorità imperiale e la pontificia'; poichè siccome il trono, così il santo luogo di Pietro vacava (Par. XXVII):

Nella presenza del figliuol di Dio.

Ma la notte risurge; e oramai

È da partir, chè tutto avem veduto. Come a lui piacque, il collo gli avvinghiai: Ed ei prese di tempo e loco poste;

MEMBRUTO: Perchè dicono essere stato molto complesso e grande di statura. Vellut. Ang. Mai (De rep. Cic., C. 2, Cap. 26, p. 85) sospettò che Dante attribuisse a Cajo Cassio la qualità di Lucio Cassio, dicendo Cicerone (III.Catilin.): nec L. Cassii adipem pertimescendum. Non è però improbabile che Bruto fosse men corpulento di Cassio, e che il Poeta rilevi nel primo una superiorità di animo sul secondo; del quale non ci fa qui notare altro che la sola robustezza delle membra. Perfetto epicureo era Cassio; e comunque eccellente guerriero, affacevasi, più che non Bruto, alle sanguinose guerre civili (a). Ma è al postutto da attendere alla dottrina

che s'asconde:

Sotto il velame degli versi strani, cercando in essi il senso arguto che Dante vi nascose, giusta quello che da noi si è accennato negli schiarimenti al verso 38. 68. MA LA NOTTE RISURGE. I Poeti entrarono nell' Inferno (Canto II) la sera del 3 Aprile 1300, Domenica delle palme, e son qui dinanzi a Lucifero, dopo aver viaggiato tutto il giorno di Lunedì Santo, che computato dall' una all' altra sera, si chiude nell' ora 24a qui accennata (b).

(a) Foscolo. Framm., Vol. XI, pag. 387. Ediz. Le Monn., Fir. 1862.

(b) omai risaputo che il tempo speso in tutto il mistico viaggio del sagrato Poema va misurato secondo il meridiano di Gerusalemme; che ai giorni Dante dà cominciamento da un vespro all' altro, giusta la legge data agli Ebrei (Levitico): A Vespera ad Vesperam celebrabitis Sabbata vestra (*). I giorni sacri Ebraici sono tuttavia in uso nella Chiesa, e punto non differiscono da quelli dell' orologio italiano. Ad intendere le partizioni del tempo fatte dal nostro Poeta, bisogna attenersi al Calendario ecclesiastico, sia per ciò che risguarda il principio del giorno ch'è dopo il crepuscolo serotino (alÏ' Ave-Maria); sia per la distribuzione delle ore notturne in quattro Vigilie, e delle diurne in Terza, Sesta,Nona e Vespro. Vedi Fm. Torricelli, Stud.sul Dante, Vol.II, pag.305 seg.,Nap.1853.

(*) Nel Genesi I. 5: Factumque est vespere et mane dies unus. Dove cosi A-Lapide: « Atque hinc putant tam Judaeos quam Ecclesiam, apposite ad primaevam dierum institutionem, festos dies a vespera ad vesperam celebrare ».

70

Ci è forza di seguire il Landino, il Vellutello e i più accurati tra gli antichi e i moderni espositori; i quali computano per un dì naturale tutto il tempo consumato da' Poeti nella visita dell' Inferno (c). Il che si desume dalle varie stazioni segnate in questa cantica; e ben s'accorda con la Mistica, la quale assegna un sol giorno alla contemplazione degli eterni supplizii: Prima est dies timoris... aeternum Gehennae supplicium demostrans. S. Bern.

70. IL COLLO GLI AVVINGHIAI. Più volte Virgilio toglie di peso e porta Dante: ora nel fondo de' Simoniaci ; e poscia ristrettoselo al petto rimonta sovr' il colmo dell' arco (Inf. XIX):

Che dal quarto al quint' argine è tragetto, ora, per fuggire la caccia de'dimonj (Inf. XXXI) sel reca in sul petto, e dassi giù supino dal sommo d' una ripa dura alla roccia pendente, sì discendendo nella bolgia degl'ipocriti: ora prende egli Dante (Inf. XXXI); Anteo, fatto d'entrambi un fascio, gli posa nel fondo del Pozzo infernale. Ma qui il Nostro a un sol cenno del suo Duca gli s'ayvinghia al collo; lascia, nella terribile discesa, non impacciate le mani di quello; e mostra che omai può ben egli da sè stringersi alla Ragione e passare fermo e impavido il più alto periglio.

71-73. Prese DI TEMPO E LOCO POSTE ecc. Virgilio colse il punto opportu

(c) Ci ritrattiamo dell' aver (Inf. XX, 127; XXI, 112-114) posti termini più vasti di tempo a questo primo stadio del viaggio Dantesco. Il principio è ben fissato; mal dedotta la illazione, dacchè le parole: Jer notte fu la luna tonda son riferibili alla sera di Sabato, e non già della Domenica delle palme, appunto per quello già detto intorno al principio de' di sacri. Così e che Malacoda parlava ai Poeti nel giorno di Lunedì, non mica di Martedì; e che la commemorazione della morte del Redentore è da ritrarsi alla Domenica delle Olive. Osservato tutto questo, l'errore svanirà. Noi daremo un calcolo esatto dell'itinerario Dantesco alla fine di quest'ultimo canto.

E, quando l' ali furo aperte assai,
Appigliò sè alle vellute coste:

Di vello in vello giù discese poscia,
Tra 'l folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge appunto in sul grosso dell' anche,
Lo Duca, con fatica e con angoscia,

no del tempo che Lucifero svolazzando
levasse le ali, e appostò in qual parte
del velluto corpo gli veniva più fatto di
appigliarsi.

POSTA DI TEMPO: quando l'ali furo aperte assai (v. 72). POSTA DI LUOGO : le vellute coste (v. 73). Il savio Duca bene adoperò ove gli parve tempo e loco (Inf. XXVI); chè la Ragione nè di fronte si fa incontro al Male, nè lo fa servire ai suoi fini, prima ch'ella non si sia messa in sicuro dalle sue percosse.

POSTE. Posta, posto, posizione, punto di luogo o di tempo assegnato ed acconcio a checchessia. (Inf.XXXIII, 111). Vedi come la nozione generica che diamo a questa voce, le si applichi eziandio bene negli altri luoghi della D. C. Inf. XIII, 113; XXII, 148; Purg. VIII, 108; XXIX, 70.

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TRA 'L FOLTO

74 seg. GIÙ DISCESE.. PELO ecc. Vedi la nota al v. 19, in fine. DISCESE. Chi, dopo aver contemplata la bruttezza del vizio, non discende dall'altezza della superbia, non ascenderà tampoco il monte dell' espiazione per farsi bello e degno di salire a Dio. Grazie al concetto di quel divino ingegno, vediamo che i Poeti vanno, in senso op posto all' altera cresta di Satanasso, più sempre da quella dilungandosi, nonchè

quando discendono sino all'ombelico del corpo stragrande, ma mentre salgono a fatica da questo punto, là dove oltre il centro della terra escon poscia per lo foro d'un sasso. L'umiltà è la sola che scendendo saglia e si sublimi. Questo senso morale è consacrato nelle parole del terzetto 82-84.-Qui venerit ad me, non ejiciam foras (Johan. VI, 34); perchè umile Cristo. Al contrario, Lucifero da sè allontana l'umile penitente: Intima projicit Superbus, intima appetit

75

humilis. Si superbia ejicimur, humilitate regredimur (a).

75. TRA 'L FOLTO PELO ecc.: Tra il pelo delle vellute coste (v. 73) di Lucifero, e le croste della ghiacciata Giudecca (Infer. XXXIII, 109); ovvero, discese per l'angusto vuoto ch' era tra il piloso Lucifero e l' incrostatura del ghiaccio che vestiva l'interiore cavità di quel pozzo.

Cioè alli anconi, dove sta incavicchia76 seg. DOVE LA COSCIA SI VOLGE ecc.: ta la coscia. But.

SUL GROSSO DELL' ANCHE: Cioè, su la punta de' galloni (fianchi), tra l'uno e l'altro de' quali era il centro. Vellut.

QUANDO NOI FUMMO LÀ DOVE ecc. Quando noi fummo in sul grosso dell' anche (su la prominenza che fanno l'anche, ossia tra li fianchi e le cosce) là appunto, dove la coscia si volge, si piega. Lomb.

SI VOLGE: Si piega sporgendo in fuori da' fianchi. Bianchi.

Blanc, dall' antico all. ancha, hanka. ANCHE. Anca, voce fatta, secondo il Altri vuole che dal gr. ancon, gomito, flessione del braccio, sia qui per la Ca- . tacresi dinotato il grosso delle anche, ch'è appunto dove la coscia si piega.

Dante in sul dosso perviene in questo i78-80. CON FATICA ec. Virgilio con stante al centro della terra. Se fin qui, a non precipitare, gli èra stato d'uopo appigliarsi ai velli di Lucifero; da ora in poi, volendo egli andar lunghesso quello sterminato corpo, deve aggrapparvisi e salire, vincendo la forza che allo stesso centro traevalo.

feribili allo sforzo ed affanno che Virgi-
Ma la fatica e l'angoscia son qui ri-
ov' egli avea le zanche. L'angustia del
lio fa e sostiene, mentre Volse la testa

XXV, n. 15.
(a) S. Ag. In Johann, Evang., Cap. 6, Tract.

Volse la testa ov' egli avea le zanche,

E aggrappossi al pel com' uom che sale;
Si che 'n Inferno i' credea tornar anche.
Attienti ben: chè per cotali scale,
Disse 'l Maestro ansando com' uom lasso,
Conviensi dipartir da tanto male.

luogo maladetto: Tra 'l follo pelo e le
gelate croste; il punto dove massima è
la forza centripeta, fanno che il Duca si
possa assai malagevolmente capovolgere
con esso il caro alunno che gli avvin-
ghia il collo.

79. Volse la testa ov'egli ecc.: Si capovolse.

ZANCHE: gambe (Inf. XIX, 45). 80-81. AGGRAPPOSSI. Su è detto appigliò sè... e discese; qui s'aggrappa... e sale. AGGRAPPARE, dall' antico all. Chrapfo, uncino. Blanc. Vedi Inf. XVI, 134 ; XXIV, 80.

COM' UOM CHE SALE. E realmente saliva inerpicandosi lungo la coscia di Satana, oltre il centro della Terra. La natura del centro porta questo, che siccome a lui da nessuna parte si può andare, che non si scenda; così da lui, verso nessuna parte si può tornare, che non si monti. Vellut. - Dante finse ignorar per allora che cotesto salire si facesse nell' altro, anzichè nel nostro emisfero, non potuto vedere onde che sia, come avea già Virgilio volto il capo dove avea le gambe; e però dice ch' ei credeva esser condotto a ricalcare le vie dell' In

ferno.

81.TORNAR ANCHE: ritornare.—ANCHE: di nuovo. Vedi Inf. XXI, 39.

82-84. ATTIENTI BEN: tienti bene stretto al mio collo. Opportuno avviso; ove Dante, non tenendosi bene avvinghiato, poteva ricadere al centro.

PER COTALI SCALE (Al. lez. del Cod. Caet. siffatte). Scala qui figurat., siccome in altri luoghi (Inf. XVII, 82; XXIV, 55), per un mezzo qualunque onde si salga o scenda. Maravigliosa è questa trovata dal Nostro, per discendere e salire, allontanandosi continuamente dal punto di partenza lungo la stessa linea. Ne abbiamo toccato il senso morale (v. 74 seg., not.). Lunga scala è detta (Pa

80

rad. XXVI, 111) la via, onde il Poeta dalla cima del Purgatorio si levò di cielo in cielo all' altezza del Paradiso. E tutte queste scale ne fanno una sola, che dal Colle Calvario s' abbassa al centro della Terra, donde procedendo agli anlipodi del Colle ed al Polo antartico, aggiunge l'Empireo al nadir (a). Questa scala è detta in contrapposto a quelle di su le vette del Libano poggiava al la apparsa in sogno a Giacobbe, la quacielo (b). Le due scale segnano due diverse vie onde si va a Vita: la diritta che tengono gl' innocenti; la lunga per la convien tener altro viaggio, dice Virgiquale hanno a mettersi i penitenti. A te lio a Dante; questi, dunque, non s' innalza agli astri dal Libano de'giusti, ma vi ascende per l' Anti-Libano de'convertiti: Coronatus est, sed non de capite Amana, de vertice Sanir, sed ALIUNDE. Non ergo de solo illo Libano sublimi Innocentiae ascenditur ad coronam, sed est alter Libanus, qui etiam invitat coronandos in Coelo; de quo ascenderunt illi qui dealbaverunt slolas suas in sanguine Agni, et candidas eas feDeo adjuvante, speramus. Quis autem cerunt; de quo etiam nos ascendere,

Libanus iste? Libanus Poenitentiae.
S. Thom. de Vill. · Adamo da S. Vit-
tore, celebrando la Croce:
Haec est scala peccatorum,
Per quam Christus Rex coelorum
Ad se traxit omnia:
Dat captivis libertatem,

Vitae confert novitatem.

83. ANSANDO COM' UOM LASSO. Chè già al pelo di Lucifero, era per muoversi alcon fatica e con angoscia aggrappatosi

l' ardua salita.

84. TANTO MALE. Intenderemo l'intero Inferno (C. VII, 18):

Che il mal dell' universo tutto insacca.

(a) Torric., Vol. II, pag. 660.
(b) Parad. XXII, 68 segg.

Poi usci fuor per lo foro d' un sasso,
E pose me in su l'orlo a sedere:
Appresso porse a me l'accorto passo.

ovvero Satana stesso, da cui (v. 36) pro-
cede ogni lutto.

La morale sposizione de' versi 70-84 ci è data da Pietro Alighieri: Fingendo quomodo amplexando Virgilium descendit per dorsum illius Luciferi usque ad punctum centricum terrae. Figurat enim quod nemo a vitiis et ab eorum principio generali, ut est Lucifer, descendere potest, nisi cum ingenio et opera ralionis (a), quae in Virgilio figuratur, nec non etiam cum labore (b). Unde illud Virgilii (Æn. VI, 126 seq.): Facilis descensus Averno; Noctes atque dies patet atri ianua Ditis; Sed revocare gradum, superasque evadere ad Hoc opus, hic labor est ... (auras,

Dicendo ibi se posuisse pedes ubi habebat caput. Moralitas est, quod sub pedibus vitia ponere debemus, si volu

mus descendere ab eis.

85-87. Poi uscì FUOR ecc. Intendiamo che Virgilio, sporto appena col capo e con gli omeri sopra il foro, in sull' orlo di questo diponesse in prima Dante che stavagli appreso al collo; e che poi arrampicatosi un tantino egli solo su per la coscia di Lucifero, quanto la sua persona fosse tutta fuori nel piano dell'orlo medesimo, riscuotesse il piè dalla scala diabolica, e, steso il passo, appoggiasselo là dov'era seduto il compagno. Sono sì ragionevoli questi due momenti, e sì chiari ad intendere gli atti consecutivi; che ci maravigliamo di tante varie opinioni, venute fuori tra i più dotti, sulla germana interpretazione di questo luogo. E siamo convinti per guisa della stranezza di quelle, che ci avvisa esser cosa vana il volerle pur qui chiamare a rassesegna (c). Troviamo rettissima la sposizione del Tommaseo: Virgilio esce del lo scoglio alliguo alle cosce di Lucife

(a) E ingegno adoprasi per Virgilio, secondo che detto è ne' vv. 70-75.

(b) Vedi il v. 78 segg.

(c) Vedi B. Bianchi, Com., Inf. XXXIV, 87; Marcantonio_Parenti, Esercitazioni filologiche con note di Emm. Rocco, Nap. 1857, pag. 370 e 461-464.

85

ro, e mette Dante a sedere sull' orlo. Poi fa un leggier salto, da' velli del mostro al luogo ov' è Dante.

85. PER LO FORO D'UN SASSO. Lucifero era con la parte superiore del suo corpo nell' emisfero boreale, e con la inferiore nell' australe, lungo l'asse del mondo che congiunge i Poli. La parte mediana (circa due quarte parti ovvero la metà di quel mostro sterminato) è fitta nel centro della Terra, forando dal grosso delle anche in su l' immensa spessezza della Ghiaccia; e da quel punto, infino quasi alle ginocchia, la grossezza di un sasso similmente sferico (v. 117):

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Che l'altra faccia fa della Giudecca. Questo nucleo terrestre, immaginato comporsi di ghiaccio e di sasso, non va privo di alcuna moralità: Allegoricamente, chi è all' inferno, ch' è dannazione de' vizi, ha fatto habito de' vizi. Il che si può agguagliare a un sasso. Landino. Ma qui non è un dannato qualunque ; è il vermo reo che il mondo fora. Il sasso e il gelo son per noi simboli della durezza di quello spirito superbo, e del vivo sentimento d'amore e di gratitudine non potutovi penetrare; sicchè in pena del delitto v'è costituita la stessa colpa del delinquente.

che avea posto me a sedere (d).
87. APPRESSO: poi; non guari dopo
che avea posto me a sedere (d).

PORSE A ME L'ACCORTO PASSO : Cauta

sull'orlo

mente volse, mosse il piede verso me. S'intende senz' altro che Virgilio drizza il passo alla volta di Dante che sedeva sull' orlo del foro; e ciò fa accortamente, come alla Ragione si conveniva, per non porre il piede in fallo e ricader tosto al centro, d' onde con tanta fatica era egli salito (e).

(d) Vanamente si è data a questa particola la significazione dell' apud o del juxta de' Latini. Peggio hanno altri creduto che valesse appressochè, dopochè.

(e) Coloro che danno alla voce appresso il senso di appressochè, dopochè, intendono, che Virgilio mise a seder Dante sopra quel sasso, dopo che gli ebbe porto, fatto fare, quell' accorto passo per il corpo di Lucifero, mostrandogli

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