Con segno di vittoria incoronato. visione che vide: In hoc signo vinces. ९ Il gran nemico delle umane genti (Tasso Gerus. liber. IV, 11) dice: È della cristiana credenza, che il Figliuol dell'uomo verrà nel dì del finale Giudizio: in nube cum potestate magna (UN POSSENTE) et majestate (INCORONATO). 55 60 65 64. Al perchè di questo verso si dà il valore di sebbene ec. e al senso torna acconcio. Avvegnacchè la voce sia da cosi prendere in certi luoghi, non però ne sembra al postutto necessario che tal si prenda anche qui: dove, considerando il verbo seguente (qual ne par essere veramente) come imperfetto congiuntivo postovi per l'indicativo, a non ripeter due volte lo stesso modo: lasciavam..... diceva; e considerando altresì valer perchè, per ciò che, per questo che, l'espressione viene naturalmente: Non lasciavam l' andare per questo ch' ei diceva. cioè: Non per questo ch'ei diceva noi lasciavam l' andare ec. Di dicessi per dicesse Vedi Inf.IX, 59. 65. Tuttavia. In Provenz. Tota via val sempre. Quindi i nostri scrittori l'adoperarono in tale significanza. Ristoro d'Arezzo, Lib. I, cap. 2: E vedemo stelle variate de coluri e vedemo stelle che non se delonga l'una delle altre e stanno tuttavia in uno essere. Cioè, sempre in uno stato ec. Egidio Colonna, Del govern. de' princ., Lib. III, part. II, cap. XI: E così disse il tiranno al fratello, non posso io essere lieto nè fare bella cera, chè tuttavia (sempre) mi dotto (temo ec.) di morte per le gran villanie ch'ho fatte al mio popolo ec. Bou. Giamb. Volg. Tesor. Lib. I, cap. XVI: Perciò fece Domeneddio l'uomo in tal maniera, che la sua veduta isguardi tuttavia in alto, per significanza della sua nobilitade. Qui è chiaro che 1 Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco, Ch' emisperio di tenebre vincia. Di lungi v' eravamo ancora un poco, Ma non sì, ch' io non discernessi in parte, Ch' orrevol gente possedea quel loco: O tu, ch'onori ogni scienza ed arte, tuttavia vale sempre; altrimenti potreb- Non è in fortuna tuttavia lo Faro Via vale anche fiata, volta (a); onde tuttavia è lo stesso che tuttafiata, tuttavolta, ovvero ogni volta, ogni fiata cioè sempre. Messer Polo: La gran nobilitate Che in voi, donna, ho trovata, 67 e segg. Anche l'Elisio de' pagani Largior hic campos aether et lumine vestit Le tenebre ai rei; la luce, più bella ne. Il nostro Poeta come vi fu entro ve- no Platone, Aristotele, Omero ec. e dal (a) Di qui è che in matematica s'usa 5 via 4 ec. per significare cinque volte quattro. Nè la voce via è d'uso recente; chè Dante in dett' accettazione la prese nella Vita Nuova: Siccome vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. (b) Trovare per poetare, comporre versi ec., donde il nome di Trovadore. 70 75 74. Orranza, onoranza, onore; come orrevole per onorevole: Così il Poeta in questa cantica XXVI, 6: È voce presa dal provenzale, che ha prettamente onranza nella medesima accettazione. Romanz. di Flameca: E prega'l fort que il faza onranza. onorato e disorrato per disonorato. Fra E chi più chier dovizia Più appo Dio è mendico e disorrato. Salvo poche eccezioni, abbiamo potuto osservare che, appo i nostri antichi, i nomi tratti da' verbi, secondo che questi fossero della prima, o della seconda, o della terza coniugazione, cadevano in anza, enza, izione: come speranza, fidanza, sembianza, tardanza ec. da sperare fidare ec.; temenza, potenza ec. da te mere, potere ec. nutrizione, fruizione ec. da nutrire, fruire. Talvolta ebbero l'una e l'altra cadenza, secondo che si derivarono dal verbo latino, o dall'italiano mutato di una in altra coniugazione: come, Confidenza da confidere e confidanza da confidare; partenza da partere per partire. E quegli a me: l'onrata nominanza Intanto voce fu per me udita : 80 L'ombra sua torna, ch'era dipartita. Poichè la voce fu restata, e queta, 85 Anticamente furono in uso fallanza, dottanza, oblianza, pesanza, beninanza, malenanza, gravanza, tempestanza, allegranza, amanza, pietanza, adornanza, sicuranza, confidanza, accordanza, disperanza e moltissimi altri caduti in disuso; ma ognun vede che alla loro stagione non ebbero coteste voci meno titoli di correre per le buone scritture, che si abbiano oggidì le altre tardanza, costumanza, usanza ec. V. la not. seguente. 76. L'ONRATA ec. onrato e orrato per onorato dissero frequentemente i contemporanei di Dante e gli scrittori anteriori a lui. Pacino Angiolieri: Ond'io orrato più ch'altri mi tegno. Quindi nominanza,per lode, rinoman za, fama. Semper nomen tuum laudesque manebunt. dove nomen... laudesque equivalgono a laudatum nomen, l'onorata nominanza del nostro Dante. 78. ΑνΑΝΖΑ. Αvanzare è accrescere, ingrandire, esaltare (a). Ranieri da Palermo (1230): La vostra bella cera Sarò tra gli altri amanti più avanzato. Però, bella, temendo Voi laudo in mio cantare; Chè certo credo che poco saria Ciò, ch'io di ben dicendo, Potesse voi avanzare, Vostro gran pregio v'avanza ed invia. Nel Tesoro del Latini si accenna la preminenza, che de' cinque sensi l'uno ha sull' altro, avendo la natura collocato Fra Guittone scrivendo ad Onesto Bo- ciascuno di essi in quella sede che, se lognese: Vostro nome, Messere, è caro e onrato l'uno chiamavasi Onesto el'altro Guittone. E tu in grande onranza non ne sali. Orrevol gente (v. 72) dice il Poeta a Platone, Aristotile, Omero, Virgilio, Cesare e simil fiore di uomini. Noi diamo dell'onorevole a tutti!-Provenz. Onrar. Fra Guittone scrisse disorrato per diso norato: E chi più chier divizia Più appo Dio è mendico e disorrato. condo il suo uffizio, più gli si conveniva. Lib. I, Cap. XV: E siccome l'uno avanza l'altro ed ha orranza di stallo (sede), così avanza l'uno l' altro per virtude. Dante dall' ordine de' cinque sensi passò a quello de' cinque illustri poeti, ed egli fu sesto tra cotanto senno: sesto per priorità di tempo che gli altri ebbero sopra di lui, ma non ultimo rispetto ai sublimi voli del suo genio immortale che poetizza come amor gli spira nell' intimo senso della coscienza. Da senso a senno, che in antico valser tutt' uno, fu agevole NOMINANZA. Nominare per lodare, de- il trapasso. V. Inf. VIII, 7. cantare ec. Loffo Bonaguidi: Mostra ragion, come non è possente Nomar vostre bellezze ad uomo nato; Oltre a natura, e oltre a uman pensato. (a) Avanzare per innalzare, aggrandire, levare a cielo ec. Lat. laudibus efferre ec. Con quali lodi potremoti noi avanzare? Brun. Latini, Oraz. per M. Marcello. Mira colui con quella spada in mano, Perocchè ciascun meco si conviene Di quel Signor dell' altissimo canto, 90 95 87. Già Lucrezio Caro (III, 1049) avea ron titoli comuni ai principi ed ai condetto di lui: Adde Heliconiadum comites, quorum unus Ho- Orazio Lib. IV, od. IX, 5: Sedes Homerus. Dante, che certo non lesse Omero nel testo greco, potè chiamarlo Sire e Signore dell' altissimo canto, nè temer d'errare, francheggiato dal giudizio di questi due autori latini, per non dir degli altri. 94. Non è da intendere de' soli cinque di maggior nomanza, e dopo i quali fu sesto il nostro Poeta. Stazio (Purgat. XXII, 97) dimanda Virgilio: Dimmi dov'è Terenzio, nostro antico, Cecilio, Plauto e Varro, se lo sai: Dimmi se son dannati ed in qual vico. e quegli: Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai, siam con quel Greco Che le Muse lattar più ch'altro mai, Nel primo cinghio del carcere cieco. Spesse fiate ragioniam del monte, Ch'ha le nutrici nostre sempre seco. Euripide v'è nosco, e Anacreonte, Simonide, Agatone, ed altri piue Greci, che già di lauro ornar la fronte. Tratto veramente di mano maestra, onde Dante pare abbia voluto ivi quasi ammendarsi, del non aver qui nominati gli altri antichi e gloriosi poeti. dottieri degli eserciti (a). Qui dunque si chiama Omero principe dell'epopea e duce che va a capo di quanti dopo lui dieder fiato all' epica tromba; re de' poeti epici. Ora, che Signore vaglia nel nostro linguaggio e Re e Principe e Duce, eccone, fra i molti che addur potremmo, i seguenti esempi (V. anche Purgat. XI, 98 not.). Bono Giamb. Stor. Paol. Oros., Lib. II, cap. X: Uno barone del re chia 95. Signor. Cino da Pistoia chiama la di de' re. Bene adunque Signore, re e quasi nuDivina Commedia libello, Che mostra Dante Signor d'ogni rima. Rex, dux, imperator furono ab antico nomi di comando e di signoria. Re, Doge o Duce, Imperatore e Signore fu (a) Sallust. Catil.II: Igitur initio reges (nam in terris nomen imperii id primum fuit) pars ec. (V. Purgat. VI, 76 not.). Cornel. Nep., Pausan. II: Pausanias dux Spartae ec. Ed era titolo che egli si dava scrivendo a Serse con la pretensione di menar donna la figliuola di lui. Poco appresso (III): Huc ut venit (Pausanias) ab Ephoris in vincula publica coniectus est. Licet enim legibus eorum cuivis ephoro hoc facere regi. Qui è detto rex la stessa persona che poco innanzi fu appellato dux. Se Signore valse re, se re furon detti terrarum dominos... deos, o con Plauto (Casin.) humani Joves; Omero fu per Dante il signore, il re, il duce, il nume dell'epica poesia. Insomma Dante non fece che tradurre il secondo verso dell'ode del libro primo d'Orazio: Regina longum Calliope melos (dic) ec. se non che il Nostro pose Omero in luogo di Calliope e recò in sua favella le parole longum melos per altissimo canto: quasi dicesse: Longi melos rex Homerus. Calliope v'è chiamata regina, si perchè figlia di Giove, e sì perchè i carmi eroici, ai quali ella presedeva come la più antica e la prima delle Muse, sono ordinati alle lo me dell'epopea si appella il cantore dell' Iliade e dell' Odissea: Nel v. 88, Virgilio lo addita chiamandolo poeta sovrano, che (v. 86 e 87), innanzi ad Orazio, Ovidio e Lucano, veniva siccome Sire con in mano la spada, simbolo delle guerre da lui cantate e de' tempi eroici, che ci son dipinti dai divini suoi carmi. Da ch' ebber ragionato 'nsieme alquanto, mato Mardonio veggendo il suo Signore di tante avversità angoscioso venne a lui ec. E Lib. III, cap. I: Farnabazo di tradimento accusò Tissaferne dinanzi Arlaserse loro comune Signore. In questo luogo non guari dopo è chiamato Artaserse maggior siqnore per gran re in corrispondenza col testo che dice: a rege magno. Agamennone poi è detto il re de' regi, cioè il primo fra tutt'i duci. Signore per Duce. Ivi: Adunque Conone per Farnabazo è chiamato e fatto Signore della ballaglia del mare ec. (Ammiraglio, lat. Praefectus classis)... Della quale oste Agesilao per consentimento di tutti fecero Signore ec. (duce, capitan generale ec. lat. dux, imperator)... Rade volte due signori (duci) così pari di bontà (valore ec.) si rincontrano in battaglia. Valga da ultimo quest'altro esempio, a dimostrare che gli eccellenti capitani vennero in antico, e anche a' tempi dell' Alighieri, appellati col nome di re: In prima quelli di Teba (Tebe), avuto l'aiuto da quelli d'Atena (Atene), i fediti e cacciali di quelli di Lacedemonia e spaventati assaliro, prendendo grande speranza per la grande virtù e sapere d'Epaminonda loro re, col quale agevole parea loro tutta la signoria di Grecia pigliare. Dino Compagni, Intell.: Or siam noi in altressì gran scomunaglia Virgilio (En. X, 655) chiama rex il duce Osinio, come distinto tra' primi. Il Poeta appella Signore in questo sentimento il suo Dottore, Inf. II, 139-IV, 46. Purgat. IX, 44, ed altrove. 103. Primamente lumiera vale luce, non già luogo luminoso. Guido Guinicelli: 100 105 Che'l vostro viso dà sì gran lumera, Dagli occhi suoi gittava una lumiera. Tanto è lo suo splendore, E così di molti altri esempi. Dipoi non pare che questo dov'era sia l'ordinario modo con che s'adopera il verbo essere. Dante non era lì solo, ma con Virgilio e con gli altri poeti, tra cui era sesto. Dippiù; se prima dice n' andammo, parrebbe dovesse dire: dove eravamo. Non è sembrato ai comentatori cotesto dov'era inteso senza che restasse alcun dubbio prendendolo per dov'io era. All'incontro attribuendo ad Essere la significazione di potere, o esser possibile, esser lecito ec. siccome l' adoperarono i Latini; l'espressione dantesca riesce più chiara e più poetica, oltre dell'arricchire la nostra favella di una locuzione, che dai Greci tolsero i Latini, e da questi legittimamente cadrebbe a noi. Intenderemmo adunque, se agli uomini di fino giudizio paresse bene, il verso così: Siccome il parlare era (bello) colà dov'era lecito, ovvero dove parlar si poteva. La sentenza dantesca ci ricorderebbe le sbarre che il pauroso dispotismo suol mettere alla bocca de'soggetti, e la rara temporum felicitas che dice Tacito, nella quale non ti è vietato di scrivere e di |