20 Ed io, che del color mi fui accorto, Dissi : come verrò, se tu paventi, Che suoli al mio dubbiare esser conforto ? Che son quaggiù, nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema senti. Così si mise, e così mi fe 'ntrare Nel primo cerchio che l'abisso cinge. 25 . Nel XII, 114 di questa Cantica, Virgi- era quella pel monte; ma Dante non vi lio si fa secondo a Dante e questi a Chi- potè salire, perchè (Salm. XXIII, 3.ec.): rone (Vedi quello che per noi si è anno. Quis ascendet in montem Domini ?. tato a questo luogo): Innocens manibus et mundo corde ec. Questi ti sia or primo, ed io secondo. e il Poeta rappresenta un penitente. A Nè il solo senso letterale riconosciam confermare ciò che diciamo, e far vedenoi in que' versi, Iof. XXXIV, 134: re onde abbia Dante tolta l'allegoria Lo Duca ed io per quel cammino ascoso Entrammo a ritornar nel chiaro mondo: delle Fiere che lo impedirono, arrechiaE senza cura aver d'altro riposo mo dal citalo Profeta le seguenti parole Salimmo su, ei primo ed io secondo. (Is. XXXV, 8. ec.): Et erit ibi semita Imperocchè di Salomone sapientissi- et via, et via sancta vocabilur : non mo degli uomini si canta, Parad. X, 112: transibit per eam pollutus, et haec erit Entro v'è l'alta mente u' sì profondo Saver fu messo, che, se il vero è vero vobis DIRECTA VIA, ita ut stulti non erA veder tanto non surse il secondo. rent per eam. Non erit ibi Leo, et MALA il che vuol dire, come spiega Danle stes- BESTIA non ascendet per eam, nec inso, Parad. XIII, 89: venietur ibi: et ambulabunt qui libeCostui fu senza pare. rati fuerint. Et redempli a Domino conOrazio Lib. I, Od. XII, 17 dice di vertentur, et venient in Sion cum lauGiove: de, el laetitia sempiterna super caput Unde nil maius generatur ipso, eorum. Ecco la sostanza di tutto il viagNec viget quidquam simile aut secundum ec. In Virgilio quest'idea è ripetuta dove gio Dantesco! (Ecl. V, 48) dice: 25 seg. Secondo che. Gli antichi usaNec calumis solum aequiparas, sed voce ma rono secondo che, secondamente che, se (gistrum: Fortunate puer, tu nunc eris alter ab illo. condariamente che per come, a guisa ec. Vegez. Lib. IV, cap. XLI: Ed ancora 20. Gianni Alfano fiorito verso la me per molti segni di tempo riposato si tà del XII secolo, avea detto anche: mostrano le tempestadi, come di temLo quale (saluto) sbigottì sì gli occhi miei, Ch'egl'incerchiò di stridi pestoso si mostra il sereno: la qual coL'anima mia, che li pingea di fuori. sa secondo che (come) un specchio, mo stra la rotonditade della luna; per22. Lunga. Perchè Corta era la via chè ec. Ed ancora l'aria... į sollecili del monte contesa al Poeta dalla Lupa. (Inf. II, 119): nocchicri ammaestra secondamente che Dinanzi a quella fiera ti levai Virgilio.....il mostra.Bon.Giamb., Della Che del bel monte il corto andar ti tolse. mis. dell'uomo, Tralt. I, cap. I: Ma l'ae corto dice la chiosa del cod. Cassin.: nima si è pura e nella dal suo cominQuia via virtutum est expedita, sed vi- ciamento, e falla e creata da Dio senza liorum intricata. Noi intendiamo con macchia, ma macolossi perchè si conIsaia il corto andare esser la via dirilla giugnè colla carne corrotta secondo che (XXVI, 7): Semita justi recta est, re- (come) la pura e nella cosa si macola, clus callis justi ad ambulandum. Talc sc si mette in corrotto e brutto vascllo. Non avea pianto, ma che di sospiri, Che l' aura eterna facevan tremare. Ch'avean le turbe, ch' eran molte e grandi, E d'infanti, e di femmine, e di viri. Che spiriti son questi che tu vedi ? 30 . 9 a Ancora, Introd. alla virtù, Cap. IV: Tu mento di più che e di se non che. Bersai, madre della virlù, come la potente nardo da Ventadorno: « Bona dompna, nalura..... a ciascuno membro diede plus non us demand, mais que m prencompiutamente la virtù dell'officio suo, datz a servidor » cioè: Buona donna, secondariamente che (come) è usata di più non vi domando, ma che mi prenfare cui ella vuole perfeltamente natu- diate a servidore. Arnaldo Daniello : rare. Ivi cap. V: Le ricchezze sono l'er- « Qu'eu no cossir de ren al Mas que us be secondo che (come) dice il Vangelio, servir a plazer ». Ch'io non penso di che affogano il seme che cade nella buo- null'altro, ma che servirvi a piacere. na terra. E nella Mis. dell'uomo, Tratt. Pier di Bargiacco: Non fezi rien mas que I, Cap. II: Chè si dice, che la terra è al vostre plazer. Non feci niente ma che posta in miluogo (nel mezzo, nel centro) (se non che ec.) al vostro piacere. Quindi tull' i cieli, secondo che (come) il di Dante da Majano: punto della sesta (compasso) è posto nel Nel mio coraggio non considerai miluogo del cerchio. Ma che gradir la vostra benvoglienza. Le scuole ebbero il simpliciter e il Nel Novellino: Elli non è ma che uno: secundum quid; il primo de'quali signi- cioè, non è più che,ovvero se non che uno. ficò che la cosa si riguardava o era detta Il Nostro (Inf. XXVIII, 66): in un modo assoluto; il secondo con re E non avea ma che un'orecchia sola. lazione a qualche altra. Qui Dante riferi- Gli Spagn. Mas que nella stessa acsce il suo detto a quanto per l'udito po cettazione. tea egli giudicarne. 28 e seg. Virgilio En. VI, 426: Il costrullo: secondo che per ascolla- Continuo audita?. voces, vagitus et ingens re pare sia equipollente a quest'altro, per Quos dulcis vitae exortes, et ab ubere ruptos Infuntumque animae flentes in limine primo quanto concerne sentenza: Secondo Abstulit atra dies, et funere mersit acerbo. che, o come per udilo, o dall' avere a- Appresso si perdono i caratteri della scollato giudicare io potei ec. L'indefi- simiglianza de' luoghi, poichè i due poenilo presente ascoltare preceduto dalla mi son condotti con diverso disegno a particola per vi sta per passato (V. Inf. diverso scopo. XXVI, 49 ec.). Così in molti altri luoghi. 33. Andi è qui seconda del presente Purgai. VII, 8. « Per non aver (avula) congiuntivo del verbo andare; nè si confè ». Ivi v. 25. « Non per far, ma per fonda con la seconda del presente indinon fare »... cioè: Non per aver falto, cativo; qual sarebbe se si dicesse col ma per non aver fallo ec. Frezzi. Quadr. Lib. II, cap. XVII: 26. Non avea pianto. Questo stesso Dimmi s'è ver che li Pisan sian schiavi, ridice il Poeta, Purg. VI, 28 seg. Del ver- E de' Lanfranchi miei, mentre tu andi. bo avere costrutto come fa qui Dante, util E cap. XII: cosa è leggere la Tavola de'prelesi gal- O tu ch’andi la strada e che ragioni. (ire viam!) licisini del Gherardini con note di Emm. Per andi nell'uno e l'altro modo (inRocco, V. not. 39. dic. e cong.) si usò anche ande; quanMa che è in origine il lat. magis quam, do tutte le persone del singolare si chiudel quale i provenzali fecero mais que, sero in e, per unità di conformazione e i nostri primi scrittori ma che in senti- coniugatoria, tentata senza buon succes 35 Ch' ei non peccaro ; e s' egli hanno mercedi, Non basta, perch' e' non ebber battesmo, Ch' è porta della Fede che tu credi ; Non adorar debitamente Iddio : E di questi cotai son io, medesmo. Difett nuria, 1 che uno so da'nostri antichi. (V. il Nann. Anal. Porla è solenne vocabolo in religione ; perciocchè abbiamo Ingredi ad vitam, 39. Virgilio stesso nel Purgatorio desinenza, ch'io preferirei all'altra, (VII, 7) così a Sordello: per I'son Virgilio; e per null'altro rio amor di chiarezza; comunque poi ed an- Lo ciel perdei, che per non aver fè. di ed ande, sieno di pari dirilto gramma- Ancora (ivi v. 25 ec.): ticale; senza accattar grazia dalla rima, Non per far, ma per non fare, ho perduto o da qual si sia licenza poetica. Di veder l'alto Sol che tu disiri, E che fu tardi da me conosciuto. 36. Che abbiasi a legger porta e non Luogo è laggiù non tristo da martiri, parte ne'l dice lo stesso Dante: il quale, Ma di tenebre solo, ove i lamenti Non suonan come guai, ma son sospiri. parlando del fonte del suo battesimo in Quivi sto io co' parvoli innocenti, S. Giovanni, dice, Parad. XXV, 10: Da' denti morsi della morte, avante Perocchè nella Fede, che fa conte Che fosser dall'umana colpa esenti. L'anime a Dio, quivi entra' io. .. Quivi sto io con quei che le tre sante Virtù non si vestiro, e senza vizio dove entrar nella Fede vuol dire nella Conobber l'altre, e seguir tutte quante. professione o religione cristiana, alla quale il Bastesimo apre la via. Da' mae- cenda messi in confronto; e noi perciò Questi tre luoghi si chiariscono a vistri in divinità si appella il Battesimo ja- gli poniamo sotto gli occhi del lettore, nua sacramentorum. Ma la Fede come perchè vegga come Dante fa le chiose a virtù dee precedere questo sacramento; sè stesso. essa è chiamata dal Poela principio alla via di salvazione, in quanto non basta 40. Dal gr. pɛw fluo crediamo venuto a salvezza la fede morta cioè quella sen- e Rio, Rivo; e Rio, Reo, colpevole, Rei. za le opere. Il Lombardi ed allri sosten- là ec. imperocchè rio, reo, colpevole è gono a punta di sollili ragioni la lezione chi manca, salla, cade nella ingiustizia ; parle che hanno quasi lull'i testi mano chi trascorre di là dalla linea dell'onesto scrilli. Gli Accademici della Crusca, di e della reltitudine, ed è come travollo novanta codici consultati due soli tro- dalla piena delle passioni, e mosso e travarono con la variante porta, ch'essi ri- scinato dal mal talento per la china dei tennero come la vera leilera. G. B. Nicco- vizi e dell'errore, come acqua di fiume Jini ec. ripulsano la lezione antica, e te- che si precipita pel declivio del suo letlo. nendo per quella degli Accademici, di- Fra Guitl.: mostrano con argomenti che qui trasan Quanto maggiore è rio, maggio si mostra diamo, esser quella l'unica non soggetta E quanto più, più nostra Esser dea cura in partire da esso. a gravi disficoltà. Non pare secondo noi si debba legger parle, ma porta. II Poeta dove rio vale reità, colpa. Talora rio o reo usato addielliv, vale nocevole, dandice precisamente quel medesimo che le sacre scritture: Nisi quis renatus fuerit noso ec. Fra Jacopone : Non dormir più che ti sarebbe rio. ex aqua et Spiritu Sancto, non potest Pacino Angiolieri, che fiorì verso introire in Regnum Dei: cioè che il bat il 1250: tesimo è porta del regno di Dio, della Quando faceste dono delitto, lenze, gretezza dfello e Semo perduti, e sol di tanto offesi, Diceste temo non dispiaccia a Dio. Perchè Dio infligge lor questa pena fuori gli ordini della vita presente,dove se talA ciò (Percio) ch'io vo'lasciare ogn'altro rio. volta è salvezza il tenersi perduto: Da reus si fe reo e rio, come da deus, Una salus victis nullam sperare salutem. deo, dio. Così da rivus rivo e rio, co quando poi lo spirito è libero dagl'impeme da divus divo e dio. dimenti della materia e senza le travegDifello da Deficere,onde Defectus pe- gole delle passioni, non può nè discononuria, mancanza, difetto, omissione: cið scere il Bene sommo, nè passarsene o che uno manca di fare, non a che fa di disvolerlo: esso deve desiderarlo necesmancare (a). sariamente, tutto disperi di poterlo goFra Guitlone nella stessa canzone usa dere. Nel che consiste la pena del dandefelto alla latina: no, onde i sospiri, come di chi per aver Che dannaggio e vergogna perduto: E più seguire reo, com più rei sono, In tutti suoi pensier piange e s'attrista. E bon vie maggior bono, Che se per difetto di fede Virgilio e Quanto maggio di bon grande è defetto. Jacopone da Todi: Vedi il sangue che gli altri sono nei Limbo; 'era giusto fos sero anche senza speme, essendo questa paga Per tutto il tuo difetto. Qui, dice il ingenerata da quella, nè l' una potendo Nannucci, Difelto vale colpa : ma da stare dove l'altra non sia. Dippiù: quel quello che testè è dello, non pare certo desiderio, ch' ebbero i filosofi e i poeti che ai tempi di Jacopone non fosse introdotta la parola delillo, e che però invece pagani, di sapere le prime cagioni delle cose, ora che tra l'assoluto Vero e il losi usasse difetto per colpa; e che così ro inlellello corre un abisso, si è mutausasser di fare Dante, il Petrarca ed il to in pena eterna. Dante tocca altra volta Boccaccio: imperocchè in alcuni Codici de' versi di Fra Jacopone si legge delil. torio; dove, riferendosi a questo luogo, di questo argomento, nel III del Purgalo, che rima con le altre parole, dove che dice: diselto non farebbe più che un'assonan- E desiar vedesti senza frutto za; e v'ha dippiù ancora, che tra colpa, Tai, che sarebbe lor disio quetato delitto, rio, diselto, fallo ec. v'ha tali dille- Ch'eternalmente è dato lor per lutto. Jo dico d'Aristotile e di Plato ec. renze, che rendono di minore intensilà e Anche Fra Guillone disse: gravezza l'idea che si chiude nella voce E col fuggir della speranza spero. difello (b) (c). e il Petrarca, imitando l'Alighieri: 42. Il desiderio è indivisibile dalla E vivo di desir fuor di speranza. speranza. Desiderio che duri ove la spe- SOL DI TANTO. Tmesi per:sol tanto di. ranza nol mantenga vivo, è cosa fuori la La sentenza è: E soltanto ofsesi di che nalura degli umani allelli. Come mai, senza tema ec. Ovvero E offesi sol di dunque, Virgilio e gli altri suoi consorti questo, che senza lema ec. perciocchè di pena vivono della guisa ch'è dello ? il Poeta usa lanto per questo, come quan do dice: (a) In fatti lo dice Virgilio stesso a Sordello, E il mio maestro sorrise di tanto. (Purg. VII, 25): Non per far, ma per non fare, ho perduto Il costrutto, al quale mena la detta Di veder l'alto Sol che tu desiri Tmesi, non parrà strano a chi attenda E che fu tardi da me conosciuto. agli esempi che qui adduciamo. Federi(b) Che se poi tanto fosse difetto, quanto che co dall'Ambra, Fiorentino (1290): colpa, allora il verso dantesco: «Per questa col- E s'el (Amore) dona piacere, ell’è sì poco pa e non per altro rio» significherebbe, Per que- Verso che forte dura sua catena, sta e non per altra colpa. Ma gli argomenti arrecati ne assicurano della verità da noi esposta: Che il mi par fol chi vuole su' amistanza. perciocchè abbiamo fatto che Dante comentasse cioè verso o al paragon di questo, che ec. sè per sè stesso. Jacopo da Lentino: (c) V. Nannucci Manual-letterat. ant. vol. I, Ciò, ch'eo dico, è neente pag. 387. Fir. Barbera ec. 1856. In ver ch'eo son distretto. 45 Gran duol mi prese al cor, quando lo ’ntesi, Perocchè gente di molto valore Conobbi che ’n quel Limbo eran sospesi. Comincia' io, per voler esser certo Di quella Fede che vince ogni errore : O per altrui, che poi fosse beato ? E quei, che ’ntese 'l mio parlar coverto, Quando ci vidi venire un Possente 50 Dante da Majano: la: regina di Gnido e di Pafo. ImbelNon mi dogl'io se Amore, lisque lyrae musa potens (Lib. I, od. 6) Donna di gran valenza, Mi diè core e voglienza vi è della eziandio Polinnia, che ha poDi gir voi disiando: teslà, o presiede alla lirica poesia. VirMa di che lo meo core gilio (En. I, 80) fa ch'Eoio, re de' nemAvea pena. bi, dica di sè a Giunone: Onde si è certo che non fu raro fra gli Nimborumque facis tempestatumque potentem. antichi di porre una preposizione innan E il Caro non mutò la voce potentem, zi ad una sentenza preceduta dal chc. Vivemo per viviamo (V. Inf. XXVIII, lingua, dicendo: (a cominciare dal verso che quanto gli parve richieder la nostra 40. Parad. XX, 138). precedente): 51. Coverto. Ser Brun. Latini, nella Io. tua mercè, su co' Celesti a mensa Nel ciel m'assido; e co' mortali in terra Rubrica al proemio, Oraz. di M. Cato: Son di nembi possente e di tempeste. Proemio di Ser Brunelto Latini... dove Il Monti chiama Vulcano polenle del mostra l'asluzia, che Cesare usò nel suo fuoco, siccome ignipotens l'ebbe appelparlare coperto e adombrato. E più ap- lalo Virgilio (En. X, 243, VIII, 414): presso: Ma Julio Cesare, che pensava Ci vidi venire Vidi a noi venire; ogn'allra cosa, recò la sua diceria a e forse meglio il ci andrà inteso per qui; parole coperte e molli d'oratori, peroc- essendo ci adoperato al tempo di Dante, chè la sua maleria era contraria ec. Provenz. Cobrir, covrire, coprire, na- hic; onde i Francesi fecero ici. e prima ancora, pel sentimento del lat. scondere. Arnaldo Daniello così in sua favella (Purgat. XXVI): Il segno di villoria è la Croce, (a) della quale canta la Chiesa: Qu'ieu no m puesc ni vueilh a vos cobrire. Verilla Regis prodeunt: Ch' io non mi posso nè voglio a voi Fulget Crucis mysterium, nascondere. Qua vita mortem pertulit, Êt morte vitam protulit ec. 53 seg. Possente. S'intende già dai E in un altro inno: più volgari che questi fu CRISTO TRION Et super Crucis trophaeo FANTE; ma porta il pregio d'osservare che Dic triumphum nobilem: qui possente val tanto, quanto re, Dio. Qualiter Redemptor orbis Immolatus vicerit. Noi chiamiamo ancora, e non senza ragione, potenti i re, potentati gl'insigni Davide cantò: Regnavit a ligno Deus: li del Folere, e potenze gli stessi impe- e a Costantino è fama si dicesse, in una ri, regni, stati ec. Ma fuori di cotesto uso moderno, in antico non andò la co (a) Lucano: ToUite jampridem victricia tolli te signa, parlando dell'Aqui a romana. IỊ Tasso sa altramente. Orazio chiamò Venere (Gerus. liber. XI, 5) della Croce dice: (Lib. I, od. 3): diva polens Cypri, si Va Piero solo ionanzi e spiega al vento Il segno riverito in Paradiso. gnora o reina di Cipro; siccome alirove Dante Parad. VI, 100, chiama la romana inse(Lib. I, Od. 30): espressamente l'appel- gna col nome di pubblico segno. |