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Poi che i vicini a te punir son lenti,
Muovansi la Capraia e la Gorgona,

E faccian siepe ad Arno in su la foce,
Si ch'egli annieghi in te ogni persona.

SUONA s'ode proferire. Il Tasso, Ger.
VIII, 78:

Tal si mostra a coloro, e tal ragiona,
Nè come d' uom mortal la voce suona.
Ivi XIII, 49:

io n'ho la voce udita,

Che nel cor flebilmente anco mi suona. 81-84. POICHÈ ec. In sentenza: Quando gli uomini son tardi a punirti ; faccia le sue vendette la giusta ira di Dio, movendo a tuo sterminio gli elementi insensibili della terra e dell' acqua.

81. I VICINI: Fiorentini e Lucchesi da pezza nemici ai Pisani.

SON LENTI. Ma la vendetta di sì empia crudeltà che al tempo del Poeta parea ritardarsi, parve fatta non molto dipoi: Nam, scrive l'Imolese, opera Florentinorum isla Civitas antiquissima, et olim potentissima mari et terra, deducta est ad infimum et infirmum statum, licet diu ante istud peccatum fuisset fracta insolentia Pisanorum, et libertas conculcata viribus Januensium.

82. MUOVANSI. Notisi di quanto valore sia questa voce messa in contrapposto di lenti, e detta di due scogli. — Var. lez. Muovasi, Movasi.

LA CAPRAIA E LA GORGONA. Due isolette del Tirreno, intorno alla Toscana, di lungi dalla foce d'Arno, la prima 64 chilometri, e la seconda 20 chilometri in circa. Felicemente dunque il Poeta invoca l'una a muoversi prima dell' altra. La famosa Delo che prima andava errante per le onde dell' Egeo, fu poscia da Apollo stretta tra Giaro e Micone, e fatta isola immota alle tempeste ed ai venti (Virg. Æn. III, 73-77). Da questa favola potè venire al Nostro l' arditissimo pensiero di voler mosse a sua posta, e contrario, le due immobili isole del mar Tirreno. Se non che questo Poeta assume, quando gli accade, la potenza di Dio, che nell'ira sua scuote ad un cenno le fondamenta della terra, ed apre le cateratte del cielo a punire la malizia degli uomini. Lo ispira la Bibbia più che la Favola.

83. FACCIAN SIEPE ec. Chiudano la foce d'Arno, sicchè non potendo il fiume avere sbocco in mare, le acque soprabbondino, traripino, e si faccia di quella tura un pelago che ingoi le mura e gli abitanti dell' imprecata città.

84. EGLI Arno. Ben qui detto egli del fiume, che impedito d' entrare in mare, si ritorce indietro rigonfio contro Pisa, quasi messo della divina giustizia. Ma qui parrebbe potere star questo egli sitivo assoluto, a cui facesse da subietto come ripieno, e annieghi come intranogni persona.- Al.lez.Sì che anneghi.

IN TE OGNI PERSONA. Benvenuto chiosa: Omnes in te habitantes, ut locus lam infaustus reddatur inhabitabilis.

IN TE nel recinto delle tue mura.

OGNI PERSONA. Quell' alma sdegnosa di Dante pare che qui reputando a tutto un popolo il misfatto di pochi, si dica fuor di ragione:

Purchè il reo non si salvi il giusto pera E l' innocente.... Francesco Buti non si porta in pace l'acerbezza di questa trafittura fatta a Pisa sua patria, e scrive: L'autore pare contraddire a sè; imperocchè per ingiustizia e per crudelià prega egli o desidera maggiore crudeltà. Imperocchè se male era avere ucciso così crudelmente quattro figliuoli del Conte Ugolino, perchè erano innocenti del peccato del padre, maggior crudeltà era a uccidere et annegare tutti i figliuoli innocenti de' Pisani. Poi giustifica il Poeta, dicendo ch' egli qui parla rettoricamente per exsuperatione, e che non è ingiustizia a desiderare che sia punita la università, quando la università ha commesso peccato. Il P. Cesari anche nota che in questo e simili altri luoghi Dante per l' indole sua avventata rompe le cavezzine; indi sulla ferita pone, come fece il Buti, un empiastro che non la sana. È contento d'altronde che niun negherà, che non sia questo tratto di Dante un bellissimo esempio di affoca

Che se 'l Conte Ugolino aveva voce

ta e velenosa eloquenza. Ma il volere annegati tutti gl' innocenti di Pisa, per soli quattro che ne fur fatti ingiustamente morire, è secondo il Ch. Tommaseo: Esecrabile voto, massime dopo la battaglia della Meloria; esecrabile in uomo nemico e straniero, nonchè in Bianco e Toscano. Pure a noi sembra ciò stesso dimostrare anzi la rettitudine di Dante e l'animo incontaminato ed imparziale; poichè nè le sconfitte della Ghibellina Pisa lo fan verso lei più pietoso, nè il tradimento della Meloria lo rende più disumano contro Ugolino. Per noi è l'ira del nostro vate simile al santo zelo de' profeti di Dio, che a ritrarre dalla corruzione le città peccatrici, minacciavano loro a nome del Signore il totale sterminio (a). Dalle tempeste della vita attiva e politica, ridottosi Dante al porto della contemplativa ed intellettuale, si levò quasi tutt'altro uomo dalla terra al cielo, e il Sacro Poema unico suo pensiero non soltanto infiorò del bello ch'egli attinse da'rigagnoli della scienza umana; ma lo arricchì di quanta sublimità potè dedurre dalle fonti inesau

(a) Is. I, 4, 7: Vae genti peccatrici, populo gravi iniquitate, semini nequam, filiis sceleratis... Terra vestra deserta: civitates vestrae succensae igni.-V, 24: Sicut devorat stipulam lingua ignis, et calor flammae exurit: sic radix eorum quasi favilla erit,et germen eorum ut pulvis ascendet. - VII, 7: Dominus adducet super eos aquas fluminis fortes et multas.. et ascendet super omnes rivos eius, et fluet super universas ripas eius, et ibit per Iudam in undans, et transiens usque ad collum veniet. Et erit extensio alarum eius, implens latitudinem terrae tuae. Ecco la imagine d' Arno che inonda. Volete anche quella delle isole che muovonsi dal loro sito ? Dante trova nella Bibbia di che ispirare la sua Musa divina.Ivi XIII, 13: Movebitur terra de loco suo, propter indignationem Domini. Già la potenza di Dio è (Is. XXVIII, 2): Sicut impetus aquarum multarum inundantium, et emissarum super terram spatiosam.-XXX, 28: Spiritus eius velut torrens inundans usque ad medullam colli, ad perden; das gentes in nihilum, et fraenum erroris quod erat in maxillis populorum.

Ezech. XXVII.

Cum.. adduxero super te abyssum et operue rint te aquae multae. Di quell' ANNEGHI IN TE OGNI PERSONA anche ti sembra vedere una fra se non dissimile, dove lo stesso Ezech. (XXVIII, 34 seg.) apostrofa Tiro: In profundis aquarum opes tuae, et omnis multitudo tua, quae erat in medio tui, ceciderunt.

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ribili della Sapienza. Ora i voti di lui non paiono esecrabili, quando non vuol egli mica più di quello che si accorda co' giudizi imperscrutabili di Jeova, il quale (Ezech. VII, 27) dice: Secundum viam eorum faciam eis, et secundum judicia eorum judicabo eos. (Jer. VI, 2): Dabo in populum istum ruinas, et ruent in eis patres et filii simul. (Is. XIV, 21): Praeparate filios.. occisioni in iniquitate patrum suorum. Un popolo che cade al fondo de' suoi delitti non dà sperare che i nepoti sien per essere men corrotti degli avi. E Dio lo distrugge; perciocchè appo lui (Is. LX, 15): Ecce, gentes quasi stilla situlae et quasi momentum staterae reputatae sunt. Ma il giusto non perisce in eterno (b); e per siffatti castighi Iddio stesso rinnova pure in meglio le umane generazioni, quasi richiamandole dal sepolcro,e infondendo loro, siccome alle ossa aride vedute ad Ezechiele, lo spirito della vita. Chi dice esecrabile il voto di Dante, oda un po' questo d' Isaia (LXIV): Utinam dirumperes coelos, et descenderes: a facie tua montes defluerent. Sicut exustio ignis tabescerent, aquae arderent igni, ut notum fieret nomen tuum inimicis tuis. E vedrà che l'autore del poema « al quale han posto mano cielo e terra >> seguiva il linguaggio biblico a disfogare non la rabbia, ma lo zelo del bene; e che non era egli mosso da nessuna passione privata, nè lasciavasi menar dietro all' impeto di sua altera e sdegnosa natura, dove si dice che abbia egli rotte le cavezzine.

85-90. CHE SE 'L CONTE ec. Se giusto era si punisse il padre, non così i figliuoli innocenti. Di questa crudeltà furono i Pisani per lo universo mondo, ove si seppe, forte biasimati, non tanto per lo Conte, che per li suoi difetti, e tradimento era per avventura degno di sì fatta morte, ma per li figliuoli, e nepoti ch' erano giovani garzoni, ed innocenti. Gio: Villani.

(b) Is. XXVI, 19; LVII, 1.- Ezech. XXXVI, 11; XXXVII, 12, etc.

D'aver tradita te delle castella,

Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. Innocenti facea l' età novella,

Novella Tebe! Uguccione e 'l Brigata,

85. Aveva voce: avea fama. Dar voce, in senso opposto, è bel modo usato altrove (Inf. VII, 93). I Latini: Bene o male de se audire. E noi anche: Mettere in voce una cosa, per bandirla, trombellarla. - Le Varior. del Witte hanno la lez. avea ria voce.

86. AVER TRADITA TE DELLE CASTELLA (v. 13, nota). La frase AVEVA VOCE fa credere, che il tradimento d' Ugolino non era più che una voce, avvegnacchè quegli fosse pubblicamente infamato per traditore (a).

Il Witte registrò la variante tradite tre delle castella, la quale si accorda con quel che leggiamo riferito da Pietro di Dante Ugolinus... contulit Lucanis castrum Ripafractae, castrum Asciani

et castrum Venae. La lettera comune ha nondimeno un non so che di nuovo e di bello, esprimendo in uno e chi fu tradito e la materia del tradimento. Delle, o, come hanno altri testi antichi, De le ha qui, secondo che a noi par di vedere, la forza del de per circa appo i Latini.

87. DOVEI: dovevi. Vedi Inf. XXX, 110, nota.

FIGLIUOI: figliuoli. Vedi v. 48, nota. CROCE tormento, supplizio. L'innocenza de' figli d'Ugolino dannati a durissima morte pare abbia qui risvegliato alla mente del Poeta l'idea del patibolo dove fu immolato l'agnello di Dio. Tra le Varior.del Witte si legge questo verso: Non doveano i figliuoi portar tal croce.

(a) Benvenuto da Imola scrive: Comes Ugolinus de Comitibus Gherardeschis adeptus dominium Civitatis Pisarum..., ad confirmandum statum suum, dedit unam suam filiam Comiti Guidoni de Battifolle Guelpho. Et ne ex hoc haberetur suspectus, dedit aliam Comiti Aldobrandino de Sanctaflore, ut fertur. Et nomine dotium ipsarum filiarum, et ut melius fiderent de eo, dedit aliqua Castra Comitatus Pisarum, videlicet Comiti Guidoni Castrum Ripae Fra ctae sub custodia Lucanorum, et Domino Comiti Aldobrandino Castrum Siverotti sub custodia Florentinorum. Propter quod Ghibellini sumta suspicione, suggerente Archiepiscopo, fecerunt postea de ipso, sicut dictum est.

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Il Codice Cassinese ha :

Non dovei tu porre i figliuoli a tal croce. Rimessovi figliuoi dove per errore del copista fu scritto figliuoli, la lezione del Cassinese diviene:

Non dovei tu porre i figliuoi a tal croce. Qui la triplice pausa sulla quarta, settima e decima rende il verso più attempato e più grave, e sotto la fine quella forza che viene dalla pronunzia stessa delle prime parole, cade poi man mano, quasi que vocali iuoi a, che ti esprimono lo dileguandosi col proferimento delle cinstento e il languore di chi ha portato il lungo martirio.

Il Petrarca (Trionf. d' Am., Cap. II) dice, meno forse efficacemente, che fra gli amanti ignudi e presi era dietro il

crudel carro trionfale tratto :

era

Ifi, che amando altrui in odio sè ebbe, Con più altri dannati a simil croce. debitata al padre; poichè essendo gio88. INNOCENTI, almeno della colpa advani garzoni, come dice il Villani, no inesperti delle pubbliche cose, nè an- . cora iniziati ne' secreti della falsa politica, di mantenere e reggere gli stati con l'ipocrisia, con la perfidia e co'tradimenti.

ETÀ NOVELLA: età giovanile. Delle quattro etadi nelle quali la vita si parte: La prima si chiama Adolescenza, cioè accrescimento di vita. . . Ella dura infino al venticinquesimo anno: e perocchè infino a quel tempo l'anima nostra intende al crescere, e allo abbellire del corpo; onde molle e grandi trasmutazioni sono nella persona: non puote perfettamente la razional parte discernere, perchè la ragione vuole che dinanzi a quella elà l'uomo non possa cerle cose fare sanza curatore di perfella età. Convito.- Le parole del Nostro bastano sole a troncare in mezzo tutte le quistioni agitate tra i dotti, intorno alla retta intelligenza di questo luogo, per ciò che s' attiene all' età e all' innocenza dei figliuoli di Conte Ugolino.

89. NOVELLA TEBE: 0 Tebe di oggidì,

E gli altri due che 'l canto suso appella.
Noi passamm' oltre, là 've la gelata

Ruvidamente un' altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.

empia e crudele come l'antica dove i
cittadini, nati de'denti del fiero dragone,
faccano strage del proprio sangue. Fu-
rie di Tebe nomina altrove (Inf. XXX,
22) il Poeta. È detto alcuna cosa (Inf.
XXXII, 14, nota) di questa famosa cit-
tà; alla quale è assimigliata Pisa madre
micidiale de' propri figliuoli, e dove i
fratelli uccidevano i fratelli. Si vede,
secondo noi, anche da questo confron-
to, qual fosse nel pensiero di Dante il
concetto di quel ch' esser dovrebbero le
comunanze civili. « E Stazio gli dettava
forse quella potente parentesi, ch' egli,
l'autore della Tebaide, non avrebbe tro-
vata Innocenti facea l'età novella (No-
vella Tebe !)... » Tomm. - E di tanto
maggior valore ed efficacia, dopo che il
Verbo divino ebbe proclamata l' umana
fratellanza sicchè il voto del Poeta cri-
stiano MUOVASI LA CAPRAIA ec. non fu

anco per questo da dirsi esecrabile, che una città dove tra gli odii fraterni si moltiplicano i tragici casi di Tebe, vuoi che sia sterminata col fuoco siccome Sodoma e Gomorra, vuoi con l'acqua, è meglio, ad esser tale, che più non esista (a). UGUCCIONE figlio di Ugolino. BRIGATA: Nino, nipote. Il da Imola : Nomina sunt duorum filiorum Comitis... Lex Civilis appellat filios et nepotes liberos, vel forte fuerunt tantum filii, si

cut alii scribunt.

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sero sovente per sustantivi: come nominata, elelta, pensata, annunziala ec. per nome, elezione, pensiero, annunzio ec.

vuol fatta dalla latina rubidus che signi92. Ruvidamente. Se questa voce si fica avente colore rossiccio che va molruggine, avremo per essa dinotata la duto al negro, a guisa di ferro coverto di rezza e il tetro colore del luogo, dove in pena de' traditori più rei la ghiaccia non vi sono immersi. Ruvido vale anche rozè polita da fare specchio agli spiriti che zo,villano: e qui è appunto dove il Poe

ta disse:

E cortesia fu lui esser villano a uno di que' dannati, che sotto finta cortesia tradirono l'amicizia ne' conviti, e la fede dell'ospitalità. Se da rubus, rovo e allora rubeus vale aspro, scabroso; e bene si accomoda a questo avver

bio la sposizione del Cesari: RUVIDAMENTE dice l' asprezza del ghiaccio, non liscio, ma rozzo e risaltante in ischegge e quasi gropposo. Anime più crudeli attornia più duro ghiaccio, significativo in figura difetto di carità. FASCIA: ricinge, stringe, ravvolge attorno.

93. NON VOLTA IN GIÙ, qual fu veduta l'altra gente fitta nella Caina (Inf.XXXII, 37, 53).

TUTTA RIVERSATA. Nella Caina stanno i dannati fitti nella ghiaccia col capo chino tutto fuori dello stagno: quelli dell'Antenora col solo capo anche fuori, ma dritto, siccome ci è dato inferire dai vv. 78, e 89 del C. XXXII: questi qui deHa Tolomea stan supini con soltanto la faccia sopra Cocito nella Giudecca hanno tutto il corpo coverto dal gelo e fittovi entro come che sia (C. XXXIV, 11-15). Dopo questa osservazione il senso allegorico si chiarisce da sè. Così dei tiranni e de' violenti (Inf. XII) :

Che dier nel sangue e nell' aver di piglio, vedemmo nell' ampia fossa del bollor vermiglio qual più, qual meno immer

Lo pianto stesso li pianger non lascia,

E'l duol, che truova in su gli occhi rintoppo,
Si volve in entro a far crescer l'ambascia;
Chè le lagrime prime fanno groppo,

E, sì come visiere di cristallo,

so, secondo il grado di sua colpa: altri infino al ciglio, altri infino alla gola, ed altri a cui quel sangue si facea più basso, e copriva i soli piedi.

RIVERSATA: Come gente che in vita ebbe riversato il viso mostrandolo altramente di fuora che non aveva dentro il cuore, mostrandolo buono ed amicabile, dove tutto era per lo contrario. Barg. -E perchè il maggior tormento vien loro dalla postura medesima. Ces. RIVERSATA è dal lat. Reverti, e val quasi retro-versa, rivescia, rimboccata, supina ec. - Il B. Iac. da Todi (Lib. II, C, 32):

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Piccola pietra fane
Gran carro riversare.
L'Ariosto (Orl. Fur. XXX, 66):

Ruggier stordito in terra si riversa.
Dello scoscendimento d'una roccia in-
fernale (Inf. XII, 45) il Poeta dice:

Qui e altrove tal fece riverso.

94-99. LO PIANTO STESSO Lì ec. La falsa pietà di quei crudeli non fu altrui di conforto in vita, ma aperse la via più facile al tradimento: quivi son date loro in pena lagrime vere, tali però che serrino il varco a qual si sia sfogo d' affanno; e il pianto non versato sugl'infelici, dacchè la durezza del cuore respingeva da sè ogni vivo e caldo affetto di carità, omai lor si raggela sugli occhi, e ricaccia indietro le nuove lagrime per più grave doglia. Gente affogata nel ghiaccio e nelle lagrime del meritato dolore! 95. DroLo: le lagrime, effetto del duolo.

96. Si volve in entro. Dice più che non le parole di Seneca: Premo interim gemitus meos, et introrsus haerentes (al. arentes) lagrymas ago.

97. FANNO GROPPO. « Som.: Fletus corporalis fit per quamdam resolutionem lacrymarum ». Tomm. - Il Tasso (Ger. XII, 101) dice di Arsete:... in

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lagrime non solve Il duol . . . · Le lagrime, come gocciole d'acqua, l'una per gelo rappresa all' altra, rendono simiglianza d' un nodo; onde viene spontanea la presente metafora, con la quale si vuol dire, che le prime lagrime non si tosto vengon fuori su pel concavo delle occhiaie a que' miseri dalla faccia supina, ch' elle vi s' agghiacciano, e impediscono alle altre l'uscita.

98. Visiere di CRISTALLO: Quasi oc

chiali. Land., Vellut., Daniello. La Cruelmo che cuopre il viso ; ma il Lomsca definisce VISIERA, quella parte delbardi considerando che qui i ghiacci cuopron solo gli occhi e lasciano scoperta la faccia, dovechè la visiera lascia libero il vedere ; pensa che le visiere di cristallo sieno dette dal Poeta a somiglianza degli occhiali incastrati ne' fori che l' elmo lascia davanti agli occhi. Il Biagioli e il Bianchi accettano questa più sottile che vera: 1° Perchè nel preinterpretazione, la quale a noi sembra sente luogo se le due visiere intender si dovessero quali spiegano i detti comentatori, farebbero stranamente supporre Visiera vuol intendersi tutta la buffa, quattr' occhi in ciascheduno spettro : 2o cioè quella parte dell' elmo che cuopre il viso, non mica i soli fori che lasciano libera la veduta ; e in sentimento di cosa che non apre, ma chiude ed impedisce la vista: 3° La metafora difetterebbe nella similitudine in che principalmente si fonda, se il Poeta intendesse paragonare quei due ghiacci degli occhi alle abbia in questo luogo adoperata la voce visiere degli elmi. Crediamo che Dante visiera nel significato di velo o benda, siccome fu in uso appo i Francesi: «< VISIÈRE. S'est dit autrefois pour mouchoir, ou bandeau. Sudarium, velum. Merlin dit, que la Veronique avoit une figure humaine en sa visière ». Dict. univers. de Trevoux. - E già lo stesso Dante

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