Ed io, che del color mi fui accorto, Dissi come verrò, se tu paventi, Che son quaggiù, nel viso mi dipinge Nel XII, 114 di questa Cantica, Virgilio si fa secondo a Dante e questi a Chirone (Vedi quello che per noi si è anno. tato a questo luogo): Questi ti sia or primo, ed io secondo. Nè il solo senso letterale riconosciam Saver fu messo, che, se il vero è vero Costui fu senza pare. Unde nil maius generatur ipso, Nec viget quidquam simile aut secundum ec. In Virgilio quest'idea è ripetuta dove (Ecl. V, 48) dice: Nec calamis solum aequiparas, sed voce ma(gistrum: Fortunate puer, tu nunc eris alter ab illo. 20. Gianni Alfano fiorito verso la metà del XII secolo, avea detto anche: Lo quale (saluto) sbigotti sì gli occhi miei, Ch'egl'incerchio di stridi L'anima mia, che li pingea di fuori. 22. Lunga. Perchè Corta era la via del monte contesa al Poeta dalla Lupa. (Inf. II, 119): Dinanzi a quella fiera ti levai Che del bel monte il corto andar ti tolse. e corto dice la chiosa del cod. Cassin.: Quia via virtutum est expedita, sed viliorum intricata. Noi intendiamo con Isaia il corto andare esser la via dirilta (XXVI, 7): Semita justi recta est, reclus callis justi ad ambulandum. Talc 20 25 era quella pel monte; ma Dante non vi potè salire, perchè (Salm. XXIII, 3.ec.): Quis ascendet in montem Domini?... Innocens manibus et mundo corde ec. e il Poeta rappresenta un penitente. A confermare ciò che diciamo, e far vedere onde abbia Dante tolta l'allegoria delle Fiere che lo impedirono, arrechiamo dal citato Profeta le seguenti parole (Is. XXXV, 8. ec.): El erit ibi semita et via, et via sancta vocabitur: non transibit per eam pollutus, et haec erit vobis DIRECTA VIA, ita ut stulti non errent per eam. Non erit ibi LEO, et MALA BESTIA non ascendet per eam, nec invenietur ibi: et ambulabunt qui liberati fuerint. Et redempli a Domino convertentur, et venient in Sion cum laude, el laetitia sempiterna super caput eorum. Ecco la sostanza di tutto il viaggio Dantesco! 25 seg. Secondo che. Gli antichi usarono secondo che, secondamente che, secondariamente che per come, a guisa ec. Vegez. Lib. IV, cap. XLI: Ed ancora per molti segni di tempo riposato si mostrano le tempestadi, come di tempestoso si mostra il sereno: la qual cosa secondo che (come) un specchio, mostra la rotonditade della luna; perchè ec. Ed ancora l'aria... i solleciti nocchieri ammaestra secondamente che Virgilio.....il mostra. Bon. Giamb., Della mis. dell'uomo, Tratt. I, cap. I: Ma l'anima si è pura e nella dal suo cominciamento, e fatta e creata da Dio senza macchia, ma macolossi perchè si congiugnè colla carne corrotta secondo che (come) la pura e netta cosa si macola, se si mette in corrotto e brutto vasello. Non avea pianto, ma che di sospiri, E ciò avvenia di duol senza martiri, Ch' avean le turbe, ch' eran molte e grandi, E d'infanti, e di femmine, e di viri. Lo buon Maestro a me: tu non dimandi Che spiriti son questi che tu vedi? Or vo' che sappi, innanzi che più andi, Ancora, Introd. alla virtù, Cap. IV: Tu sai, madre della virtù, come la potente nalura..... a ciascuno membro diede compiutamente la virtù dell'officio suo, secondariamente che (come) è usata di fare cui ella vuole perfettamente naturare. Ivi cap. V: Le ricchezze sono l'erbe secondo che (come) dice il Vangelio, che affogano il seme che cade nella buona terra. E nella Mis. dell'uomo, Tratt. I, Cap. II: Chè si dice, che la terra è posta in miluogo (nel mezzo, nel centro) di tull' i cieli, secondo che (come) il punto della sesta (compasso) è posto nel miluogo del cerchio. Le scuole ebbero il simpliciter e il secundum quid; il primo de'quali significò che la cosa si riguardava o era detta in un modo assoluto; il secondo con relazione a qualche altra. Qui Dante riferisce il suo detto a quanto per l'udito potea egli giudicarne. Il costrutto: secondo che per ascollare pare sia equipollente a quest'altro, per quanto concerne la sentenza: Secondo che, o come per udilo, o dall' avere ascollato giudicare io potei ec. L'indefinito presente ascoltare preceduto dalla particola per vi sta per passato (V. Inf. XXVI, 49 ec.). Così in molti altri luoghi. Purgat. VII, 8. « Per non aver (avula) fè ». Ivi v. 25. «Non per far, ma per non fare »... cioè: Non per aver fatto, ma per non aver falto ec. 26. Non avea pianto. Questo stesso ridice il Poeta, Purg. VI, 28 seg. Del verbo avere costrutto come fa qui Dante, util cosa è leggere la Tavola de'prelesi gallicismi del Gherardini con note di Emm. Rocco. V. not. 39. Ma che è in origine il lat.magis quam, del quale i provenzali fecero mais que, e i nostri primi scrittori ma che in senti 30 mento di più che e di se non che. Bernardo da Ventadorno: « Bona dompna, plus non us demand, mais que m prendatz a servidor » cioè: Buona donna, più non vi domando, ma che mi prendiate a servidore. Arnaldo Daniello: « Qu'eu no cossir de ren al Mas que us servir a plazer ». Ch' io non penso di null' altro, ma che servirvi a piacere. Pier di Bargiacco: Non fezi rien mas que al vostre plazer. Non feci niente ma che (se non che ec.) al vostro piacere. Quindi Dante da Majano: Nel mio coraggio non considerai Ma che gradir la vostra benvoglienza. cioè, non è più che, ovvero se non che uno. Il Nostro (Inf. XXVIII, 66): E non avea ma che un'orecchia sola. Gli Spagn. Mas que nella stessa accettazione. 28 e seg. Virgilio En. VI, 426: Continuo auditae voces, vagitus et ingens Infantumque animae flentes in limine primo Quos dulcis vitae exortes, et ab ubere raptos Abstulit atra dies, et funere mersit acerbo. Appresso si perdono i caratteri della simiglianza de' luoghi, poichè i due poemi son condotti con diverso disegno a diverso scopo. 33. Andi è qui seconda del presente congiuntivo del verbo andare; nè si confonda con la seconda del presente indicativo; qual sarebbe se si dicesse col Frezzi. Quadr. Lib. II, cap. XVII: Dimmi s'è ver che li Pisan sian schiavi, O tu ch'andi la strada e che ragioni. (ire viam!) Per andi nell'uno e l'altro modo (indic. e cong.) si usò anche ande; quando tutte le persone del singolare si chiusero in e, per unità di conformazione coniugatoria, tentata senza buon succes Ch' ei non peccaro; e s'egli hanno mercedi, E di questi cotai son io, medesmo. so da' nostri antichi. (V. il Nann. Anal. crit. de' verbi pag. 284 ec.) Al congiuntivo lo stesso Frezzi, Lib. IV, XXII: Quando avvien ch'un quaggiù un sol passo ande: desinenza, ch'io preferirei all'altra, per amor di chiarezza; comunque poi ed andi ed ande, sieno di pari diritto grammaticale; senza accattar grazia dalla rima, o da qual si sia licenza poetica. 36. Che abbiasi a legger porta e non parte ne'l dice lo stesso Dante: il quale, parlando del fonte del suo battesimo in S. Giovanni, dice, Parad. XXV, 10: Perocchè nella Fede, che fa conte L'anime a Dio, quivi entra' io. . . dove entrar nella Fede vuol dire nella professione o religione cristiana, alla quale il Battesimo apre la via. Da' maestri in divinità si appella il Battesimo ja nua sacramentorum. Ma la Fede come virtù dee precedere questo sacramento; essa è chiamata dal Poeta principio alla via di salvazione, in quanto non basta a salvezza la fede morta cioè quella senza le opere. Il Lombardi ed altri sostengono a punta di sottili ragioni la lezione parte che hanno quasi tutt'i testi manoscritti. Gli Accademici della Crusca, di novanta codici consultati due soli trovarono con la variante porta, ch'essi ritennero come la vera lettera. G. B. Niccolini ec. ripulsano la lezione antica, e tenendo per quella degli Accademici, dimostrano con argomenti che qui trasandiamo, esser quella l'unica non soggetta a gravi difficoltà. Non pare secondo noi si debba legger parte, ma porta. Il Poeta dice precisamente quel medesimo che le sacre scritture: Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in Regnum Dei: cioè che il battesimo è porta del regno di Dio, della Chiesa, della fede o profession cristiana. 35 40 Porta è solenne vocabolo in religione ; perciocchè abbiamo Ingredi ad vitam, e le chiavi del regno de' cieli. 39. Virgilio stesso nel Purgatorio (VII, 7) così a Sordello: I' son Virgilio; e per null'altro rio Lo ciel perdei, che per non aver fè. Non per far, ma per non fare, ho perduto Da' denti morsi della morte, avante Conobber l'altre, e seguir tutte quante. Questi tre luoghi si chiariscono a vicenda messi in confronto; e noi perciò gli poniamo sotto gli occhi del lettore, sè stesso. perchè vegga come Dante fa le chiose a 40. Dal gr. pe fluo crediamo venuto e Rio, Rivo; e Rio, Reo, colpevole, Reità ec. imperocchè rio, reo, colpevole è chi manca, falla, cade nella ingiustizia; chi trascorre di là dalla linea dell'onesto e della rettitudine, ed è come travolto dalla piena delle passioni, e mosso e trascinato dal mal talento per la china dei vizi e dell' errore, come acqua di fiume che si precipita pel declivio del suo letto. Fra Guitt.: Semo perduti, e sol di tanto offesi, Diceste temo non dispiaccia a Dio. A ciò (Perciò ch'io vo' lasciare ogn'altro rio. Da reus si fe reo e rio, come da deus, deo, dio. Così da rivus rivo e rio, co me da divus divo e dio. Difetto da Deficere, onde Defectus penuria, mancanza, difetto, omissione: ciò che uno manca di fare, non a che fa di mancare (a). Fra Guittone nella stessa canzone usa defetto alla latina: Che dannaggio e vergogna E più seguire reo, com più rei sono, Quanto maggio di bon grande è defetto. Jacopone da Todi: Vedi il sangue che paga Per tutto il tuo difetto. Qui, dice il Nannucci, Difetto vale colpa: ma da quello che testè è detto, non pare certo che ai tempi di Jacopone non fosse introdotta la parola delitto, e che però invece si usasse difetto per colpa; e che così usasser di fare Dante, il Petrarca ed il Boccaccio: imperocchè in alcuni Codici de' versi di Fra Jacopone si legge delilto, che rima con le altre parole, dove che difetto non farebbe più che un'assonanza; e v' ha dippiù ancora, che tra colpa, delitto, rio, difetto, fallo ec. v'ha tali differenze, che rendono di minore intensità e gravezza l'idea che si chiude nella voce difello (b) (c). 42. Il desiderio è indivisibile dalla speranza. Desiderio che duri ove la speranza nol mantenga vivo, è cosa fuori la natura degli umani affetti. Come mai, dunque, Virgilio e gli altri suoi consorti di pena vivono della guisa ch'è detto? (a) In fatti lo dice Virgilio stesso a Sordello, (Purg. VII, 25): Non per far, ma per non fare, ho perduto E che fu tardi da me conosciuto. (c) V. Nannucci Manual-letterat. ant. vol. I, pag. 387. Fir. Barbera ec. 1856. Perchè Dio infligge lor questa pena fuori gli ordini della vita presente,dove se talvolta è salvezza il tenersi perduto: Una salus victis nullam sperare salutem. quando poi lo spirito è libero dagl'impedimenti della materia e senza le traveggole delle passioni, non può nè disconoscere il Bene sommo, nè passarsene o disvolerlo: esso deve desiderarlo necessariamente, tutto disperi di poterlo godere. Nel che consiste la pena del danno, onde i sospiri, come di chi per aver perduto: In tutt'i suoi pensier piange e s'attrista. Che se per difetto di fede Virgilio e gli altri sono nel Limbo; era giusto fosingenerata da quella, nè l' una potendo sero anche senza speme, essendo questa stare dove l'altra non sia. Dippiù: quel desiderio, ch' ebbero i filosofi e i poeti pagani, di sapere le prime cagioni delle cose, ora che tra l'assoluto Vero e il loro intelletto corre un abisso, si è mutato in pena eterna. Dante tocca altra volta di questo argomento, nel III del Purgatorio; dove, riferendosi a questo luogo, dice: E desiar vedesti senza frutto Tai, che sarebbe lor disio quetato E col fuggir della speranza spero. SOL DI TANTO. Tmesi per: sol tanto di. La sentenza è: E soltanto offesi di che senza tema ec. Ovvero E offesi sol di questo, che senza tema ec. perciocchè il Poeta usa lanto per questo, come quan do dice: E il mio maestro sorrise di tanto. Il costrutto, al quale mena la detta Tmesi, non parrà strano a chi attenda agli esempi che qui adduciamo. Federico dall'Ambra, Fiorentino (1290): E s'el (Amore) dona piacere, ell'è sì poco cioè verso o al paragon di questo, che ec. Ciò, ch'eo dico, è neente Gran duol mi prese al cor, quando lo 'ntesi, Conobbi che 'n quel Limbo eran sospesi. Dante da Majano: Non mi dogl'io se Amore, Ma di che lo meo core Onde si è certo che non fu raro fra gli antichi di porre una preposizione innanzi ad una sentenza preceduta dal che. Vivemo per viviamo (V. Inf. XXVIII, 40. Parad. XX, 138). 51. Coverto. Ser Brun. Latini, nella Rubrica al proemio, Oraz. di M. Cato: Proemio di Ser Brunetto Latini... dove mostra l'asluzia, che Cesare usò nel suo parlare coperto e adombrato. E più appresso: Ma Julio Cesare, che pensava ogn'altra cosa, recò la sua diceria a parole coperte e molti d'oratori, peroc chè la sua materia era contraria ec. Provenz. Cobrir, covrire, coprire, nascondere. Arnaldo Daniello così in sua favella (Purgat. XXVI): Qu'ieu no m puesc ni vueilh a vos cobrire. Ch' io non mi posso nè voglio a voi nascondere. 53 seg. POSSENTE. S' intende già dai più volgari che questi fu CRISTO TRIONFANTE; ma porta il pregio d'osservare che qui possente val tanto, quanto re, Dio. Noi chiamiamo ancora, e non senza ragione, potenti i re, potentati gl'insigniti del potere, e potenze gli stessi imperi, regni, stati ec. Ma fuori di cotesto uso moderno, in antico non andò la cosa altramente. Orazio chiamò Venere (Lib. I, od. 3): diva potens Cypri, signora o reina di Cipro; siccome altrove (Lib. I, Od. 30): espressamente l'appel 45 50 la: regina di Gnido e di Pafo. Imbel- E il Caro non mutò la voce potentem, che quanto gli parve richieder la nostra lingua, dicendo: (a cominciare dal verso precedente): Io. tua mercè, su co' Celesti a mensa Nel ciel m'assido; e co' mortali in terra' Son di nembi possente e di tempeste. Il Monti chiama Vulcano polente del fuoco, siccome ignipotens l'ebbe appellato Virgilio (En. X, 243, VIII, 414). Ci vidi venire Vidi a noi venire; e forse meglio il ci andrà inteso per qui; essendo ci adoperato al tempo di Dante, e prima ancora, nel sentimento del lat. hic; onde i Francesi fecero ici. Il segno di villoria è la Croce, (a) della quale canta la Chiesa: e Vexilla Regis prodeunt: Davide cantò: Regnavit a ligno Deus: (a) Lucano: Tollite jampridem victricia tollite signa, parlando dell'Aqui a romana. Il Tasз0 (Gerus. liber. XI, 5) della Croce dice: Va Piero solo innanzi e spiega al vento 11 segno riverito in Paradiso. Dante Parad. VI, 100, chiama la romana insegna col nome di pubblico segno. |