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Gualandi, con Sismondi e con Lanfranchi,
S' avea messi dinanzi dalla fronte.
In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con l'agute scane

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e lo precedevano immediatamente i Gualandi ec. Egli chiudeva le schiere degli assalitori.

34-36. IN PICCIOL CORSO ec. In breve

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tempo si straccarono. Il che dinola che non poteron condursi a Lucca. Onde le cagne lo giunsero, perchè il popolo lo il Bargigi (vv. 29-30, nota). Ma di quel prese. Landino. Così interpreta anche tradimento non pare che Ugolino avesse chessia provveduto al suo salvamento, o pur sospettato; chè avrebb' egli come

cercato di far le sue difese. Il Villani scrive: Tosto li sopravvenne.. come eL'Arcivescovo ordinò di tradire il Conra conceputo per lo Arcivescovo ec. te Ugolino, e subilamente a furore di popolo il fece assalire ec. Se quel sogno fu ombra del vero, il Conte vorrà dalla sua presura alla morte. E questo qui significarci il breve tempo che corse sarebbe un' altro argomento contro l'odi più lune; di che abbiamo più sopra pinione che ammette la lunga prigionia (v. 26, nota) ragionato.

da' poeti Provenzali e nostri. Il Petr.: E
dirò cose manifeste e Conte, i. note »-
Conto per cognito, conosciuto, è in Fra
Guittone (Lett. XXII): Acciocchè (per-
ciocchè ) voi, che non cONTO m'avete
già, ma a voce d' alcun cortese, che
senza merto allrui lauda, mosso vi sie-
te amore offerendomi-E nel Novelli-
no, II: Maestro, avvisa questo destrie-
re, che mi è fatto cONTO, che tu se'mol-il
to saputo. Quindi anche conto per
nobile, famoso, rinomato ec. Per la qual
cosa parve al Ch. Tommaseo bene chio-
sare: « E forse anche conte, perchè di
famiglie cospicue e note troppe a Ugoli-
no ». - - Noi che non mandiamo tra le
cagne le chiare parentele de' Gualandi
ec., adottiamo l'antica esposizione del
Buti, e dippiù diciamo che conte può
qui significare (senza le tante stiracchia-
ture) quel che il vocabolo per sè porta,
cioè cognite, ch'è più che note. E fuori
allegoria si direbbe che le persone man-
date all'assalto d' Ugolino fossero per
lunga pruova giudicate idonee all' im-
presa, quasi cani dimestici e fidi al loro
signore. E di cotesti ve ne dovettero es-
sere in mezzo ai popolani che, a detta
del Villani, corsero furibondi al palagio
del Conte. Meo Abbracciavacca in una e-
pistola a Fra Guittone usa la voce con-
tanza, nel sentimento di familiarità più
probabilmente, che di fama o celebrità:
ed è fuori dubbio che contezza non vale
se non dimestichezza in questo passo
del Novellino (XCI): Questi li promise
(certi fiorini), e partissi, e prese lanta
contezza che vi tornò l'altra mattina.
Si vede quindi quali cagne stesser pron-
te a' servigi di Messer l'Arcivescovo.

33. MESSI. Lo infamarono a istigazione del Vescovo. Tomm.

FRONTE. Voce d'uso militare e in la

tino e in italiano. Tomm.

S' AVEA MESSI DINANZI DALLA Fronte. Menando egli quel tradimento s'era, quasi duce di quell' assallo (significato per la caccia), messo a capo del popolo,

LO PADRE E I FIGLI : il lupo e i lupicini (a).

35. SCANE: zanne o sanne, si dice ai denti di presa così del cane, come del cinghiale e simili. All. Zahn. Secondo tal' etimologia il Blanc crede preferibile a questa lezione l'altra sane, che il Lombardi fa voce sincopata, del pari che Baco per Bacco (Inf.XX, 59). E sane hanno la Nidob., l' ediz. Mant., 1472; la Fulgon., Rom. 1791: l'adottarono il Biagioli, gli editori della Minerva, Pad. 1822; e il Witte la registra tra le sue

(a) Lupus ad personam hominis avari et infidi refertur... Sin a lupo vulneratum, vel morsum se videre visus fuerit: cruciatum et vim ab significatis et eventis somnior. ex Ind., Pers., hoste iniusto et avaro feret. (Jo. Sambuci, De Egipt. disciplina. Francof. 1577). Non senza ragione il Poeta dà il nome di lupo ad Ugolino, Guelfo e traditore; che non assale, ma è assali to dai cani. Canes ad inimicos referuntur.- In visis regiis per quemlibet canem' miles intelligitur.

Mi parea lor veder fender li fianchi.
Quand' io fui desto innanzi la dimane,

Pianger sentii fra 'l sonno i miei figliuoli,
Ch' eran con meco, e dimandar del pane.

Variorum. Ma il Buti legge scane chiosando; scane hanno i codd. Cassin., Ang., Caet., e Vatic. 3199; la 3a ediz. Rom., i testi del Barg., del Land., del Vellut., del Volpi, del Vent. del Cesari, del Niccolini, del Bianchi, del Tommaseo ec.

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nel medesimo tempo d'esso Conte, a noi piace di credere a Dante, perchè.. egli chiama essi suoi figliuoli ciascuno per lo suo proprio nome. Vellut. Jacopo Mazzoni stimò che il Poeta intese, alterando la storia, giovare alla misericor36. FENDER LI FIANCHI. « Viva pittura di quest' alterazione lo riprende dicendia ch'egli allora volea commuovere; e di questa rincalzata caccia! Questo aldo, ch' era tanto fresca la memoria di lassamento e questi morsi al Conte presagivano fame, o morte ». Cesari.-(a). quel fatto al tempo di Dante, e tanto vicino il luogo ove avvenne, ch'egli l'a37-39. INNANZI LA DIMANE : prima del-vrebbe sempre consigliato a raccontar l'aurora, o avanti l' alba, dicono gli e- la in quel modo medesimo che successpositori che prescelgono la lettera più se.Torquato Tasso attribuì al Poeta lune pel v. 26.- DIMANE, quasi l'ora di lo stesso fine in avere alterata la storia; mane. Cesari.-Vedi la nota al verso cima non si mostra, come il Mazzoni, sì tato. - L'ora del sogno fa ad Ugolino pronto a porger consigli a Dante. Al v. più credibile l'annunzio tristissimo (Inf. 61 osserva: Altera Dante qui la istoria XXVI, 7). facendo che tutti questi fossero figliuo li, perchè parte ve n'era di nepoti; ma forse ciò fece per muover maggior compassione. —» Ma il Poeta non alterò punto questa storia, e Dante e il Villani facilmente si concilian fra loro. Dante gli chiama tutti e quattro Figliuoli: ciò però non s' oppone a quanto narra il Villani, perchè dice nello stesso tempo che i due Nipoti d' Ugolino erano figliuoli del Figliuolo; sicchè suoi figliuoli ancor' essi si poteano per lui chiamare. Nè alterando questa Storia nel modo che falsamente crede il Mazzoni aver fatto

PIANGER SENTII FRA 'L SONNO ec. I figliuoli sognando piangono, e dimandan del pane; chè già prima di sentir l'uscio inchiodato, il padre ed essi aveano patita alcuna penuria di cibo, e tutti omai presentono la fame nel sogno, innanzi che i suoi morsi gli laceri crudamente, nella realtà: Il sogno non è solamente l'apprensione ma la memoria del patimento. Tommaseo.

FRA 'L SONNO dormendo (v. 26, no1a, a pag. 606).

I MIEI FIGLIUOLI. Gio. Villani dice due figliuoli e due nipoti del Conte. Chi dice vero, il Cronista o il Poeta? Quantunque che l' uno, e l'altro autore fosse

(a) Ecco l'interpretazione di simiglianti sogni, secondo il Sambuci nell'opera citata: Si quis adlatrantem sibi canem videre visus fuerit, verbis infami cum homine dimicabit. Ac si quidem a cane visus sibi fuerit morsus,ab eiusmodi hoste vexabitur Si videre visus fuerit, canem lacerantem vestes suas, ab hoste infami divitiarum et gloriae detrimentum sentiet. Si quis eas partes (coxas et renes) fractas videre visus sit, vel quod ex earum morbo nequeat ambulare: in adflictionem, et morbum, et orbitatem liberorum incidet.- Si quis videre visus sit coxas flagris aut gladio confractas, brevi

morietur.

Dante, si giova alla misericordia; perchè anzi maggior misericordia producono due Nipoli figliuoli del Figliuolo ; se è vero, com'è verissimo, che l' amore de' generanti ne' generati discenda ». Rosa Morando. - FIGLIUOLI appella Ugolino anche i nipoti con quell'uso che tutti ci diciamo figli di Adamo.Lomb.Ma, se così fosse,fratelli e non figliuoli dovrebbegli chiamare. Adunque chiamagli figliuoli e pel vincolo del sangue, e per la differenza dell' età, e perchè poleva amarli come figliuoli ec. Biag.

DIMANDAR DEL PANE. Jer. Thr., 4: Parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis.

Ben se' crudel, se tu già non ti duoli,

40-42. Ben sei cRUDEL ec. Quel parlare e pianger de' figliuoli fra 'l sonno ammonisce il padre, che anch'essi già sognano di sventura. L'agonia del ferale supplizio ch'ei già presentiva, moltiplica ora il tormento, e con più fieri colpi gli percuole il cuore l'angoscia e l'amaro caso de' suoi diletti. Tutto sopra l'anima sua scende il cumulo degli strazi e dei mali che seco porta la comune sciagura. Strazi ineffabili, dacchè aspettati son peggiori che il mal presente. Ora chi ascolta Ugolino sarebbe crudele, se non sentisse, e non mostrasse sentir pietà del caso che il sogno di lui e de'figliuoli gli presagivano: e questo GIÀ (v. 40) prima che non fosse quegli venuto alla fine della dolorosa narrazione. L'esclamazione compresa in questo trinario non rompe oziosamente il racconto. Rivela l'anima tuttavia esacerbata d'Ugolino; invita l'uditore ad attendere PENSANDO (v. 40), quasi pesando ed estimando la portata del gravissimo suo dolore; chiede che altri per sè contempli quello che potenza di parola non vale a significare; dispone il Poeta in suo favore contro l'Arcivescovo; e lo aguzza, perchè non si lasci scappar via come ciancia sonora nemmeno un accento di quello ch' egli sta per proferire. Pietro Alighieri a questo luogo cita la sentenza di Cassiodoro: Piaculum quoddam est inler tristes velle gaudere, et humanitatis refugit affectu qui dolorem non sequitur alienum. Per Dante è pietà quella nobile disposizione d'animo apparecchiata di ricevere amore, misericordia ed altre caritative passioni; e dire pietoso è la maggior lode che ad altri si faccia nemico di pietà è tanto quanto fiero, crudele, villano: amiche le sono, o tutt'uno con lei, l'umanità, la gentilezza, il valore, la cortesia. Chi non rimpiange Beatrice, ita pur gloriosa in loco degno:

Cuore ha di pietra, si malvagio, e vile, Ch' entrar non vi può spirito benegno. Non è di cuor villan si alto ingegno; Che possa immaginar di lei alquanto: E però non gli vien di pianger voglia (a). È chiamata gentile la donna che si com

(a) Vita Nuova, canz.: Gli occhi dolenti ec.

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piange dell' impedimento ove la pielosa Beatrice manda il cortese Virgilio ; ed è Lucia detta nemica di ciascun crudele. Pietà, gentilezza e amore son principio e fine di tutto il sacro Poema: ed il Poeta come uomo morto cade vinto dalla pietà per la Francesca, e all'animo gentile pesa finanche l' affanno di Ciacco. Com'è mai che a noi pare vederlo ora sì freddo alla presenza di Ugolino, che questi sclami: BEN SEI CRUDEL... E SE NON PIANGI DI CHE PIANGER SUOLI? Cioè, come spone il Cesari: 0 tu sei spietato, che non piangi mai di miseria che tu vegga: ovvero se non sei così, qual'altro dolore aspetti vedere maggior di questo, che ti cavi le lacrime? Noi non sapremmo strigarci di questo dubbio che ci è surto in mente, se non considerando: 1o Che omai debbe il Poeta aver fatta sua la sentenza della Ragione che lo guida:

Qui vive la pietà quand' è ben morta. 2o Che il nostro mistico pellegrino camminando per questo primo stadio del suo viaggio, ch'è la via purgativa per opera del pentimento, là più s'attrista, scolorisce nel viso, e piange, dove sente in sua coscienza il morso del vizio che vi si punisce:e poichè da tradimento non ebb'egli mai l'anima offesa, ci sembra in questa cerchia disamorato il suo cuore e irrigidito, come il ghiaccio che fascia gli spiriti dei traditori.-3° Ugolino fu uomo feroce. Dicono ferisse di pugnale nel braccio a un nipote, che gli consigliava provvedesse di vettovaglie la città (b). Or non merita compassione chi altrui non la ebbe.-4°. Ancora, il Poeta con questa sua impassibilità ci vuol significare il ribrezzo ch'egli sentiva del tradimento; onde può dirsi che da questo gelo, che difende a quel cuore la misericordia, divampi la fiamma dell' ira sua contro i traditori, e l'ardore dell'affetto che portava alla patria, all'amicizia, all'ospitalità, al benefizio, alla fede privata e alla pubblica. E da ciò fu che l'esser villano a Frate Alberigo, anima crudele dell' ultima posta (Inf. XXXIV), tenn'egli in luogo di cortesia.

(b) Tronci, Ann. Pis., 1287.

Pensando ciò ch' al mio cuor s' annunziava; E se non piangi, di che pianger suoli?

41. PENSANDO ec. «Ho letto in un codice, che 'l mio cuor s'annunziava, cioè, annunziava a sè; che è troppo più vero e vivo del comune, al mio cuor s'annunziava ». Cesari. - Nè un codi ce, nè un ms. solo ha questa lezione; ma chel mio cuor sanumptiava legge il Cassinese; ciò che 'l mio le quattro prime edizioni di Fol., Mant., Jes., e Nap.; il MS. Filippino; i Pucciani 1, 2, 5, 7, 8, 9.; i Riccard. 1004, 1026, 1027, 1031; il MS. Frullani, il Magl., il Dante Antinori, i Patavini 2, 9, 67, l' ediz. Ven. del 1491; un esemplare della Div. Comm. del 1487 veduto dal Pr. Rosini, il quale tenne in pregio anch' egli questa lezione,e vi notò come cosa mirabile il cuore paterno che ha presentimento della grande sventura; ne scrisse a G.B. Niccolini, e questi credette prescieglier la detta lezione pel suo testo, sendo essa corrispondente a quel dettato « me lo diceva il cuore » E, soggiunse il valentuomo, a dire il vero, in mezzo alle sventure viene comunemente in sulle labbra, e Dante l'ha pure usato nel sonello che incomincia « Deh Peregrini, che pensosi andate » dicendo nella prima terzina:

Certo lo core ne' sospir mi dice

Che lagrimando n' uscireste pui. Così hanno eziandio i testi del Land. e Vellut., del Lomb., e del Bargigi. A quest'ultimo il Zacheroni nota: «Che il mio cor s' annunziava o si nunziava è espressione tutta della natura, dice il Viviani, ed io aggiungo esser anche familiare, dicendosi comunemente: il cuor me lo diceva ». Il Witte scelse questa lettera pel suo testo, e segnò l' altra fra le Variorum. Il Bianchi scrive dopo tutto questo: «Altri men felicemente leggono:

Pensando ciò che al mio cor s'annunziava.» La nostra lezione è del Cod. Caetani, delle ediz. del Burgofr. Ven. 1529, del Rovellio, Lion. 1551 ecc. seguita dal Venturi, dal Volpi, dal Biagioli e recentissimamente dal Ch. Tommaseo. La varietà delle due lezioni sta nello scambio, potuto di leggieri farsi dai copisti, d'una

vocale per l'altra: e a noi par bene questa volta non istare alla fede de'molti testi; perciocchè se può rettamente dirsi me 'l diceva il cuore, non può mica del pari ammettersi la forma il cuor s'annunziava. Un annunzio ci richiama necessariamente l'idea d' un' entità esterna a chi esso si fa, e un cuore che annunzi a sè stesso dovrebb' essere simultaneamente in sè e fuori di sè: dire a sè stesso una cosa ch' ei non si sapeva, sarebbe un cuore sciente ed ignorante insieme, il che è assurdo. Quando diciamo il cuore o il pensiero me'l diceva, la lingua non fa contro l' Ideologia. Sebbene le facoltà psichiche sieno l'anima stessa, i suoi affetti, i suoi atti e le suscettività sue si considerano per astrazione distinte da lei; ma questo facciamo rispetto alle modificazioni ch'ella per le sue potenze attive opera sopra sè stessa, o che in lei si operano nello stato passivo, ovvero che una facoltà sopra un' altra influisca: non è mai però che queste potenze agiscano come che sia sopra sè medesime, o che i sentimenti e gli affetti sieno centro a sè stessi della propria virtù, termine obiettivo alla propria attività. Così diciamo che l'intelletto illumina la mente, e non sè stesso; che il desiderio muove non sè stesso, ma la volontà; che amor ci muove, sdegno ci sospinge, ira ci trasporta a checchessia, non mai che l'amore, lo sdegno e l'ira muovano, sospingano e trasportino sè stesse. La stessa coscienza non vede sè in sè stessa, ma è lo spirito che in quella si specchia. I sensi esterni sono all'anima nunzi del mondo sensibile; ma gli occhi vedono, gli orecchi odono altro da sè medesimi. La frase il cuor s'annunziava ci pare dunque illegittima, poichè contraria alle leggi ideologiche, le quali governano l'umano linguaggio. Questa lezione infatti snatura il concetto dell'autore, il quale descrive il sogno d'Ugolino, e accenna quello similmente fatto da' figliuoli, appunto per dare ad intendere che cotesti sogni, e non il cuore, prenunziavano all'infelice Conte l'imminente sciagura.

Già eran desti, e l'ora s' appressava

Se diamo al cuore la forza di presentirla, svanirà tosto l'importanza del sogno, con grave detrimento dell' invenzione poetica; e se anche diciamo che il cuore abbiane il presentimento per effetto di quel sogno, noi confonderemo i termini, chiamando col nome di presentimento, ch'è spontaneo e inesplicabile, ciò che è un presagio, un nunzio, un avviso che muove da nota cagione. Dante dà al sogno d' Ugolino la stessa efficacia che il Tasso attribuisce a quello di Arsete (Ger. XII, 37-40); il quale da un sogno, come da un messaggier del cielo, intende gli strani accidenti ond' era minacciata Clorinda. Così appo Virgilio (En. XII, 845-868) Turno stupisce, si raggriccia e divien muto, per la paura che gli mette la Dira mandata da Giove; la quale in forma d' uccello gli s' aggira svolazzando intorno, e con le ali gli percuote lo scudo, in augurio funesto di vicina morte. Dove dunque piacque anche al nostro poeta di creare una simigliante cagione, che operasse sul cuore turbato del Conte Ugolino, non è chi possa ragionevolmente annientarla, contraffacendo alle norme dell'arte, e più a quelle dell'Ideologia, della lingua e del senso comune (a).

43. ERAN DESTI. Tra le Varior. del

Witte è annoverata la lezione eram desti, che fu adottata dal Volpi e dal Venturi, e trovasi nella stampa di Ven. 1757 per Ant.Zatta ec. Il Biagioli chiosa: Già erùm desti, intendi tutti noi, io e tutt'i miei figliuoli poch' anzi non ben dêsti ancora. E, se il Lombardi avesse capito il senso giusto del fra 'l sonno, non avrebbe scritto già eran desti, come vuole la Nidob., per l'istesso errore. E, in pruova del sentimento nostro, leggesi in

(a) Mons. Luigi della Vecchia, nella sua versione latina elegantissima (*) della Divina Commedia, reca il concetto dantesco di questo luogo, ne' seguenti versi:

Dura silex tibi corde riget, ni totus inhorres, Vel reputans animo quid cor patris ista mone

(rent.

(*) Se ne leggono più tratti nell' Omaggio a Dante Alighieri offerio da' cattolici Italiani nel maggio 1865, sesto centenario della sua nascita. Roma. Tip. Monaldi 1865.

margine all' edizione della Crusca: Crediamo che stesse meglio eram, prima persona, perchè meglio risponderebbe a quel ne soleva, e che sia scorso sì falto errore per la mala e confusa ortografia di quei tempi.—Ma, con la buona pace del sig. Biagioli, non è la sola Nidobeatina che porti questa lezione; ma è ancora de' Codd. Cassin., Filipp., Pucciani, Riccard. 1004, 1024, 1025, 1026, 1027,1031; del MS. Frullani, Magl., del Dante Antinori, de' quattro Patavini, del Bargigi, dell'ediz. Mantov.1472, della 1a Sansov., Ven. 1564, della Fulgon., Rom. 1791,del De Romanis, Rom. 1822,e della Minerva. La ritennero Benvenuto nel suo comento, il Land. e Vellut.: Poscia anche il Cesari, il Bianchi, il Tommaseo. Il Witte la prescelse pel suo testo; il Perazzini la difese, e G.B. Niccolini scrive: Nel verso 37 avendo già detto Ugolino « Quando fui desto innanzi la dimane» non gli rimaneva ora di annunziare che il destamento de' figli. Egli è per questo che insieme col Lombardi fu da noi prescelta la lezione eran desti della Nidobeatina.... Nè come pensa il Biagioli le fa contro l'espressione fra 'l sonno del verso 38, perocchè per essa non vuol dirsi che Ugolino mezzo tra il sonno e la vigilia sentisse i figli piangere e domandar del pane, ma sibbene che destatosi prima di loro gli udi far l'una e l'altra di queste cose, Se il Biagioli mentre ei dormivano. mostra il proprio errore nello sforzarsi di riprendere altrui, non è questo un argomento che vaglia contro la lettera che a lui piacque; e,considerato bene ogni cosa, si vedrà che potrebbe egualmente aver luogo ed eran ed eram. Non poteva egli dire Ugolino eram, quando ben l'uno fosse desto prima degli altri ? Ed era egli necessario si dicesse eram per le ragioni addotte dalla Crusca? A ritenere come la più probabilmente vera la lettera eran desti, muove noi la concorde aurità di preziosissimi testi; e il considerare che ove si tolga il trinario (40-42) di esclamazione, il Conte che avea testè detto:

-

Pianger sentii fra 'l sonno i miei figliuoli ec.

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