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Del capo ch' egli avea di retro guasto. Poi cominciò: tu vuoi ch' io rinnovelli

Disperato dolor che 'l cor mi preme, Già pur pensando, pria ch' io ne favelli. Ma se le mie parole esser den seme Che frutti infamia al traditor ch' io rodo,

3. AVEA DI RETRO GUASTO (C. prec. v. 128 seg. ). GUASTO: guastato. Lat. va staverat: aveane sconciata la forma, distrutta, rovinata con impeto di feroce nemico.

DI RETRO. Pietro Alighieri crede ciò detto figuratamente, a significare che la atrocità del fatto di Conte Ugolino offende la memoria di Ruggieri: Nam sicut (Ugolinus) rodit caput dicti Archiepiscopi, ila mors dicli Comitis rodit memoriam, quae in cerebro fuit dicti domini Archiepiscopi.

DI RETRO. Là dove covarono i mai pensieri (v. 16).

4-5. RINNOVELLI ec. È pretto miniato il modo Virgiliano (En. II 2.) :

Infandum, regina, jubes renovare dolorem. «Ma il disperato dolor vantaggia l'infandum di cento tanti, ed è cosa atroce ». Cesari. Perciocchè è in Ugolino dolore non confortato da nessuna speranza; quindi immensurabile e d'una intensità infernale che non muta e non aspetta meglio; laddove il dolor d'Enea se nasce dall' amara e orribile rimembranza della patria distrutta, lo mitigano i Fati con la promessa d' una nuova Troja. DISPERATO. Morirono in cinque giorni; e vedendosi il Conte morire, domandò un frale per confessore, e non gli fu dato. L' Anonimo, e G. Vill. Lib. VII. Cap. 127.

Disperato dolor ec. In Virgilio, l' eroe Trojano scampato dalla tempesta, e tuttavia nell' apprensione di altri futuri pericoli, compone a speranza il sembiante, preme il timore nell' animo, si sforza

viene a dire il Poeta, che in quel modo colui se la nettava così alla meglio, tanto che potesse parlare il che fa presumere che gli restassero ancora su per le labbra i segni di quel sangue di cui le aveva imbrattate. A me par di vederli que' segni ; e ciò rende la pittura ancora più viva. Oh questa si è vera forza !

di parer sicuro, e si fa animo ad incuorare i suoi (En. I. 198-209): nella tempesta che travolge l'animo d'Ugolino,accade l'opposto. Di Enea vi è detto: curis ingentibus aeger Spem vultu simulat; di lui: disperato. L'uno: dictis moerentia pectora mulcet; l'altro non ha questa forza, guarda nel viso ai suoi figliuoli (v. 47 seg.), nè trova, fuor d'ogni speranza egli stesso, un motto solo onde gli conforti. Quelàmi.. per non farli più tristi (v. 64); Quel dì e l'altro stemmo tulli muti (v. 65). Enea: premit altum corde dolorem: ebbe almanco la potenza di comprimerlo nel fondo del cuore: Ugolino manca di questa forza ; e il dolore s' indonna di lui, gli opprime e serra lo spirito: questo è disperato dolore! Dante pare a noi ne abbia concepita l'infernale atrocità per riflessione sul Virgiliano:

Spem vultu simulat,premit altum corde dolorem. I due casi sembra che abbiano appena alcuna lontana simiglianza; ma il Poeta Fiorentino sa dal suo Maestro non solamente togliere lo stile, ma trovar nelle parole di quello il germe di certi concetti, ch' egli poi eleva all' ultimo segno della poetica ideal perfezione.

6-9. GIÀ PUR PENSANDO ec. Il pensar senza più a ciò che dir deggio di quel disperato dolore, m'opprime già pria ch'io ne ragioni. - PUR: solamente.

MA SE ec. Nondimeno, se dal racconto del fatto seguirà infamia al traditore nemico, io tornerò per quelle fiere memorie, tutto ch'io contener non mi possa, che in parlando non lacrimi insieme. En. II. 6 seg.:

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Quis talia fando
Temperet a lacrimis?

Sed si tantus amor casus cognoscere nostros,
Et breviter Trojae supremum audire laborem :
Quamquam animus meminisse horret, luctuque
Incipiam.
(refugi

Parlare e lagrimar vedrai insieme. Io non so chi tu sie, nè per che modo Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino Mi sembri veramente, quand' io t'odo.

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SEME: cagione.- Conv.: Se la prossimitade è seme d'amistà... manifesto è, ch'ella è delle cagioni stata dell' amore, ch' io porlo alla mia loquela, che è a me prossima più che l'altre. Questa locuzione bellissima, delle parole seme che frutti, è a nostro credere presa dalla Bibbia (Matth. XIII; Marc. IV; Luc. VIII), dove il Verbo di Dio è assomigliato al grano della semina.

Esser den semeE. È detto ciò conforme alla promessa del Poeta (C. prec. vv. 138 seg.):

Nel mondo suso ancor io te ne cangi,
Se quella con ch' io parlo non si secca.

9. PARLARE E LAGRIMAR... INSIEME. Il Petrarca: In guisa d'uom che parla e plora. Inf. V. 126:

Farò come colui che piange e dice. Ma all' espressione dello stesso pensiero, quanto diverse suonano le parole nella bocca del Conte rabbioso, da quelle che proferse l' innamorata Francesca! Si osservi il gran Maestro che non scambia mai tono, e sa adattar l'armonia alla natura degli affetti e delle cose che rappresenta. Bianchi.

PARLARE E LAGRIMAR VEDRAI. « Con questa evidente espressione viene a dire, che molte parole di quello sciaurato sarebbero nel racconto soffocate e mozze per l'angoscia del pianto; onde non le avrebbe già udite, ma piuttosto vedule, meglio argomentandole dall' atto della faccia e del labbro, che dal rotto suono di esse ». Perticari (Prop. vol. I. P. I. fac. 151). Forse sarà troppo sottile questa considerazione del gran letterato; perciocchè il lagrimare non è propriamente tutt' uno col piangere; e Ugolino stesso dice che il Poeta lo vedrebbe parlare e lagrimare insieme; il che importa che le parole del dannato non venivano dalle lagrime nè mozze nè soffocate.Dante alla voce vedrai dà, per catacresi, il significato di udrai: intendendosi rigorosamente vedrai lagrimare e udrai parlare e se il vocabolo vedere, che proprio significa un atto della facoltà vi

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siva, talora si usa in sentimento di giudicare, contemplare ec., che sono funzioni dell'intelletto; dovrà meno recar maraviglia quando esso si legga tolto a dinotar quelle della sensazione. Nè questa è sì ardita figura, che si disdica anche al comun favellare. Vedi ora come il Tasso fa obiettivo del vedere, quel che naturalmente non è che del solo udire (Ger. IV.):

Qui mille immonde arpie vedresti, e mille
Centauri e sfingi e pallide Gorgoni,
Molte e molte latrar voraci scille,

E fischiar idre e sibilar pitoni ec. Alla fin fine poi Ugolino dice: Vedrai me parlare e lagrimare insieme: cioè me parlante e lagrimante ec.

L'obietto della visione è il Conte; le parole e le lagrime son percepite in esso per mezzo de' sensi adatti di colui che lo

vede.

10-12. IO NON SO CHI TU SIE ec. Chi parla è naturale che voglia saper con chi. Ugolino non amò sapere come il Poeta si trovasse laggiù, nè chi egli si fosse : curiosità che molti di quegli spiriti vollero appagata. Lo stato d' Ugolino ciò non richiedeva. Egli cerca solo che le sue parole non sieno sparse al vento. Gli basta a cui egli parla, sia Fiorentino, cioè nemico ai Pisani, per esser certo che il suo pietoso racconto sarà per produrre il frutto desiderato.

10. TU SIE: tu sii, o sia. Albertano, Cap. 2: Sia la lua mano sopra la tua bocca, acciò non sie ripreso a parola stolta. Sie anticamente per tutte a tre le persone singolari del presente congiuntivo; indi sieno, per la terza plurale, che oggi è più a grado che siano. I nostri primi scrittori chiusero in E le anzidette voci in tutte le coniugazioni (Inf. XXV, 6, nota.); Sie in ispezialità seguì la forma latina antica siem, sies, siet.

11-12. FIORENTINO MI SEMBRI.. QUAN

D' 10 T' ODO.-
D'10 T'ODO.- Farinata simigliantemen-
te (Inf. X. 25) gli dice:

La tua loquela ti fa manifesto
Di quella nobil patria natio ec.

Tu dèi saper ch' io fui Conte Ugolino,
E questi l'Arcivescovo Ruggieri:

13. UGOLINO Conte di Donoratico fu dei Gherardeschi da Pisa. Guelfo disertò la sua fazione, e con l'Arcivescovo Ruggieri ed altri compartitanti Ghibellini fece a tradimento cacciar fuori di Pisa il Giudice Nino suo nipote, per occupar la signoria che quegli vi teneva. Dipoi a non molto, l'Arcivescovo tradì il traditotore, e imputandogli d'avere per qualsisia cagione tradite e rendute ai Fiorentini e ai Lucchesi molte castella, il popolo rivoltatoglisi contro, corse furibondo al palagio, e preso lui con due figli e due nipoti, gli mise in prigione, dove furono tutti dopo alcun tempo lasciati miseramente perir di fame. Ugolino tradì per ambizione il suo partito, e questa colpa fece più grave e più brutta col tradimento del proprio sangue. Il Villani (Lib. VII. Cap. 120.): Il Conte Ugolino anzi che il Giudice Nino si parlisse, per coprire suo tradimento, ordinata la cacciata del Giudice, si parti di Pisa, e andossene a un suo Maniere (a) chiamato Sellimo, e come seppe la partita del Giudice Nino, tornò in Pisa con grande allegrezza e festa, e da' Pisani fu fatto Signore con gran trionfo e onore; ma poco stelte in Signoria, che la fortuna gli si volse a contrario, come piacque a Dio, per li suoi tradimenti e peccati; che di vero si disse che fece avvelenare il Conte Anselmo da Capraia suo nipote figliuolo della serocchia per invidia ch' ebbe di lui, perchè era lenuto in Pisa molto grazioso, temendo non gli togliesse suo stato. Gli stette adunque bene la posta datagli dal Poeta, là dove sono i più rei dell' Antenora, e proprio sulla linea che è confine tra questa zona e la Tolomea. Var. Fui 'l Conte Ugolino lez. più comune. Fui Conte Ugolino hanno i codici Cassin., Filipp., Vat. 3199, le quattro prime edizioni di Foligno, Mant., Jesi e Nap., la 1a delle Sansoviniane, il testo Barg., e il MS. Estense, che legge:

Tu dei saper ch' io fui conte Ugolino.
Sulla quale lettera, prescelta eziandio

(a) Abituro nobile e forte.

dal Witte, così il Parenti : « Nessun poeta esiterà mai nella scelta. Come si levi acconciamente l'articolo a simili titoli d'autorità, lo mostra per tutti quel verso dell' Ariosto nella prima stanza del suo poema Sopra Re Carlo Imperator Romano. Chi sa che un qualche giorno un saccente non s' avvisi di correggere: Sopra il Re Carlo? Ma in questo caso almeno il verso non diventerà di dodici. sillabe (Ann. 2, 164) ». Anche nel VI del Purgatorio si dice (v. 19): Vidi Cont'Orso ec.

14. L'ARCIVESCOVO ec.

Ruggieri degli Ubaldini, arcivescovo di Pisa cospirò con Lanfranchi, con Sismondi, con Gualandi ed altre case Ghibelline, per abbattere la parte Guelfa, a far cadere di stato Nino di Gallura col tradimento del Conte Ugolino suo zio; e, messo questo in luogo di quello, privar poscia anche lui di signoria e di vita, con quanti dei suoi più cari si potesse,e cacciarne e sperderne i seguaci dell'avverso partito (a).

(a) Dalle parole di G. Villani pare si possa inferire questo essere stato il vero disegno preconcetto dal Ghibellino Arcivescovo, che prima appaga la perfida ambizione di Conte Ugolino, e poi a non molto lo tradisce.

«Tosto li sopravvenne, come piacque a Dio per li suoi tradimenti, e peccati come era conquaci, di cacciare di Pisa il Giudice Nino, e'suoi ceputo per lo Arcivescovo di Pisa, e suoi secol tradimento, e trattato del Conte Ugolino. Scemata la forza de' Guelfi l' Arcivescovo ordinò rore di popolo il fece assalire e combattere al di tradire il Conte Ugolino, e subitamente a fupalagio, facendo intendere al popolo, ch'elli avea tradite e vendute le loro castella ai Fioren

tini, e Lucchesi, e senza nullo riparo rivoltolisi il popolo addosso, si arrendeo preso; nel detto assalto fu morto un suo figliuolo bastardo, e un suo nepote, e preso il Conte Ugolino, e due suoi figliuoli, e due nepoti figliuoli del figliuolo, e li misono in prigione, e cacciarono di Pisa la sua famiglia e' suoi seguaci, e Visconti, e Ubizinghi, e Guatani, e tutte l'altre case Guelfe, e così fu lo ingiusto traditore dal traditore tradito giustamente. Onde parte Guelfa di Toscana fue a grande abbassamento, ed esaltazione de' Ghibellini, che per questa rivoluzione di Pisa crebbe molto la loro forza, e dei Ghibellini d'Arezzo ec. ». Vill. Lib. VII. Cap. l'uccisione d' un nipote dell' Arcivescovo fatta 120. L'indole perfida e truce di Ugolino; da Ugolino stesso, o da un suo parente, per gelosia d' una donna; il malo stato di Písa sotto

Or ti dirò perchè i son tal vicino. Che per l'effetto de' suo' mai pensieri,

Ugolino e Ruggieri entrambi nella stessa buca (C. prec. v. 125), dove la seconda cerchia di Cocito confina con la terza in modo però che il Conte sia l'ultimo, come il più reo tra gli spiriti dell'Antenora; l'Arcivescovo (avvegnacchè, qual reo di tradita amicizia, più grave colpa lo prema) sia posto il primo, come men reo, fra i dannati della Tolommea, sì perchè tradì chi non avea già gran ragione di fidarsi in lui, ch'era uomo di avverso partito, ed è detto vero che inimico tuo ne credas in aeternum; sì ancora perchè il Conte stesso mal pre

tendeva osservata a sè la fede che non era egli usato di tenere altrui. Dante in quella fossa seppellisce due colpe di diverso grado, e che si toccano negli estremi e forse non è dove abbia egli più studiosamente meditato, e lasciato da meditare, che in questo luogo, a trovare e intendere come la ragione de' delitti e delle pene assegni in tanto spazio un medesimo punto a due traditori di ordine diverso,i quali, per l'intento della invenzione poetica, hanno pure a star

la signoria del Conte: le castella per fame d'oro vendute ai nemici de'Pisini: e il sapersi che nel

la battaglia della Meloria,sin dal 1284, avea egli già nel forte della mischia con un terzo delle forze pisane voltate le spalle ai Guelfi genovesi non per viltà, ma per fare che la Ghibellina Pisa scemata di forza potesse cadere sotto il dominio di lui; inducono a credere ch'esso Conte Ugolino non fosse, almeno nell' opinione de' maggiorenti, avuto in conto di personaggio degno che reggesse i destini di quel comune: sicchè i disordini accaduti tra il mese di luglio 1288 e il mese di marzo seguente non fecero, che accelerare la rovina di quel despota signorotto, assai tempo innanzi già preordinata.

E questo fu l'effetto de' mai pensieri cioè dei malvagi disegni dell' Arcivescovo (v. 16), coi quali niente ha che fare, a nostro giudizio, nè il tradimento delle castella pisane, nè la vendetta che Ruggieri volesse fare del nipote che gli fu morto; essendo tutte queste cose materia di fatto, non mica di pensiero, di consiglio, di sospetto, come hanno finora franteso i comenta tori. Secondo la nostra esposizione, i vv. 16-18, aprono il vero concetto del Poeta; il quale, senza partirsi dalla storia, volle, con un di que'suoi tratti maestri, delineare l'orditura di quella trama, in cui l'infelice Conte Ugolino si lasciò corre, tradito meno dagli altri, che dalla propria ambizione.

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vicini l'un dell'altro e fitti insieme nello stesso ghiaccio.

15. PERCHÈ I SON. Abbiamo prescelta questa lezione che si nota nelle Varior. del Witte. La più comunemente seguìta è perch'io, e perch'i'. Il Fanfani scrive: «Se dovessi dir io, questa grafìa qui adottata da tutti gli editori (cioè perch'i'), e l'altra simile perch' io son tal vicino, non è la sua vera. Ti dirò perchè io son tal vicino: qui si desidera o un pronodica vicino a chi: e questo desiderio si me o una particella pronominale che ci adempie grafizzando,

ro».

Or ti dirò perchè i son tal vicino. Allora avremo quella i particella pronominale di terzo caso, la quale accomoda ogni cosa; e il discorso riescirà più chiaha perchè li; il cod. Filipp. e quel di - E infatti la prima edizione di Jesi Santa Croce, perch' ei son. Generalissicotesto i nell' anzidetto sentimento (Inf. mo fra gli antichi nostri scrittori l'uso di V, 78, nota), e il Nostro in vari luoghi

non ne fu schivo.

TAL VICINO. TAL: divoratore di lui. Così molesto. Bianchi. Tommas. Tale quale tu mi vedi, cioè trattandolo si fieramente. Biag.TAL VICINO per

tormentatore. E non ha dubbio che in sentenza vi si vuol dire, come spose il Guiniforte: or ti dirò perch' io gli son tal vicino, perch'io gli rodo il capo.Vicino in tal modo, spone il Fanfani Vicino a tal, chiosa il Volpi. - Per noi vicino è qui un sustantivo. L'ediz. di Jesi, e il Cod. di Santa Croce leggono mal vicino; le Varior. del Witte del suo mal. Niente di peggio che un mal vicino. La vicinanza genera dimestichezza ed amore. Il Conte era bensì vicin dell' Arcivescovo, ma quella prossimità più lo infiammava contro il nemico,ed egli mostrava l'odio suo per si bestial segno (C. prec. v. 133).

16-18. CHE еec. -In sentenza: Non dico quello che già tulli sanno, come io fidavami di lui, ed egli covava nell'animo suo in che modo polesse per

Fidandomi di lui, io fossi preso

E poscia morto, dir non è mestieri.
Però quel che non puoi avere inteso,

dermi; e tanto fece che i suoi malvagi
disegni furono compiuti.

MAL PENSIERO: mal consiglio.Barg.MAI PENSIERI : erano le instigazioni della sua gelosia, e il desiderio della vendetta.Bian. «PENSIERI per sospetti, che avesse cioè il Conte rendute, o disegnato di rendere ai Fiorentini e Lucchesi le castella, delle quali si erano i Pisani impadroniti. Che non fosse cotale tradimento se non in sospetto, pare lo indichino i versi 85, e 86.:

Che se 'l Conte Ugolino aveva voce D'aver tradita te delle castella.—» Lomb.Noi non tocchiamo nè le critiche fatte dal Biagioli a questa interpretazione, e nè quelle che altri fece a lui. Ci parrebbe vano insistere su coteste chiose; essendo certi che i mai pensieri qui accennati dal Conte Ugolino altri non sono, se non quelli che si arguiscono dalle parole del Villani: COME ERA CONCEPUTO per lo Arcivescovo di Pisa, e suoi seguaci, di cacciare di Pisa il Giudice Nino, e' suoi col tradimento e trallato del Conte Ugolino. Scemata la forza dei Guelfi, l'Arcivescovo ordinò di tradire il Conte Ugolino. I più illustri comentatori citano a questo passo dantesco lo storico fiorentino; ma non hanno attentamente considerato che, fuori d'ogni controversia, il Poeta e il Cronista s'accordano a dire, che la rovina del Conte era già premeditata da quando egli perfido e soro si fidava di quel prete ghibellino e degli altri parziali. (Vedi v. 14, nota (a)). PER L'EFFETTO De'... mai pensierI. Michaea, VII, 13: Et terra erit in desolationem propter habilalores suos, el propter fructum cogitationum eorum.

MAI: Mali. (Vedi v.87,nota a figliuoi). 17. FIDANDOMI DI LUI. Avea Ugolino fatto un trattato proditorio co'Ghibellini, a capo de' quali era l'Arcivescovo. Finchè non fu preso seguitava a fidarsene : or come cotesto, se avess' egli già prima ucciso per lieve cagione un nipote di quel prelato? Questo è dunque un' altro argomento che rincalza ciò che per noi su è detto (vv. 16-18); e fa parere alie

na dalla mente del nostro Poeta, la sentenza, che col Landino ed altri tenne il Ch. Tommaseo: Cacciato Nino di Gallura, Ugolino, per pretesto da nulla, uccise il nipote dell' arcivescovo di lì la vendetta (a).

Questo fidandomi di lui ha valore di significare la colpa speciale di ciascun de' due traditori. Ugolino Guelfo non può fidarsi dell'arcivescovo Ghibellino, che tradendo il proprio partito e l'Arcivescovo trade chi per vincolo di congiura eraglisi collegato in amicizia. L'uno e l'altro usaron la frode in colui che si fida (Inf. XI, 53). Al poeta fu necessario il porre quel fidarmi nel senso che abbiamo spiegato; perciocchè altrimenti non sarebbc toccata a messer Ruggieri quella posta fra i traditori.

siccome prender si deve nel Purgatorio 18. MORTO per ucciso intende il Blanc, (V. 52):

Noi fummo già tutti per forza morti. Ma se Ugolino non fu propriamente ucciso, secondo che suona questo vocabolo, si lasciato perir di fame; ci avvisa che il fossi, avente innanzi a preso piena forza di verbo, sia da sottintendere poi come semplice ausiliario davanti al participio morto; e che questo ritenga la voce intransitiva, al contrario che nelle frasi avere ed esser morto.

DIR NON È MESTIERI. La fama pubblica dovea aver già detto abbastanza del tradimento fatto ad Ugolino, e della sua morte in carcere. Ma se con rapida preterizione trasanda i minuti particolari del fatto, accenna però tutte le fila principali della trama funesta (v. 16-18, nota).

19-21. PERÒ cc. In sent.: Perciò io

narrerò soltanto quel che nel segrelo

(a) Fidava l'incauto nell' amicizia che quel prète dissimulatore già dimostrava, nè più pensava all' ingiuria; ma chi la fa, la scrive sulla rena; e chi la riceve, nel marmo. Bianchi-Dato pure che tanta buaggine fosse in quel Conte, da credere amico, a cui aveva ucciso un nipote; tanta indolenza in un arcivescovo di quel tempo, da poter dissimulare sì grave offesa; resta però sempre salda l'opinione che abbiamo di sopra esposta,

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