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L'umana specie, il luogo, il tempo, e 'l seme
Di lor semenza, e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
Forte piangendo, alla riva malvagia,

Ch' attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio con occhi di bragia

Loro accennando, tutte le raccoglie:
Batte col remo qualunque s' adagia.

Non mortui laudabunt te, Domine; ne-
que omnes qui descendunt in infernum.
E per lo contrario, Salmo XXI, 27: Lau-
dabunt Dominum qui requirunt eum.
XXXII, 1: Rectos decet collaudatio. Ec-
co perchè in Paradiso le soavi melodie
de' Cori beati.

104, 105. Brun. Latini, Cap. V:
Che ad ogni creatura
Dispose per natura
Secondo il convenente

Suo corso e sua semente.

Da serere, serimen, serimentum e semen, sementum — seme, semente e sermento. Virgilio Georg. II, 480: primus devecta cremato sarmenta.

Ivi, 354:

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...neu ferro laede retuso Semina-i magliuoli. V. 268:

Mutatam ignorent subito ne semina matrem.

Per semenza nel senso ordinario,
Georg. II, 57:

Jam quae seminibus iactis se sustulit arbos
Tarda venit, seris factura nepotibus umbram.
Per seminagione, Georg. I, 22:

Quique novas alitis nullo semine fruges.
Fa poi (Ecl. VI) che Sileno canti:

uti magnum per inane coacta Semina terrarumq; animaeq; marisq; fuissent, Et liquidi simul ignis: ut his exordia primis Omnia, et ipse tener mundi concreverit orbis. Con che dà egli al vocabolo semen la più ampia significazione. Lucrezio V.659: semina ardoris, Quae faciunt solis nova semper lumina gigni.

Semente per semina. Bono Giamb. Tes. volg. Lib. V, cap. XIII: Ma elli addiviene loro (agli Smerli) una malizia (malattia), che si mangiano tutt'i piedi se uomo non li ritiene dall'uccellare al tempo della semente del lino e del miglio. Il Nostro chiama mal seme delle civili discordie di Fiorenza, quel motto del Mosca: Cosa fatta capo ha (Inf.XXVIII) come della scintilla, che battendo l'acciari

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no si desta, disse il suo Maestro (En.VI,6): Quaerit pars semina flammae

Abstrusa in venis silicis.

Per dignità dell'umana natura (Sallust. Cat. I: Sed nostra vis omnis ec.), Inf. XXVI, 118:

Considerate la vostra semenza:

Fatti non foste a viver come bruti
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Per discendenza, Inf. X, 94:
Deh, se riposi mai vostra semenza.
Similmente, Parad. IX, 3:
Mi narrò gl'inganni

Che ricever dovea la sua semenza.
Ancora, ivi XXIII, 148:

Però non ebber gli occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiammia

Che si levò appresso sua semenza.
D'un erede rispetto ai suoi maggiori,
o del figlio rispetto al padre.Purg. VII, 27:
Tanto è del seme suo minor la pianta.
D'un'intera nazione, Inf. XXV, 60:
Onde uscì de' Romani il gentil seme.
Virg. Romana gens.

Nel senso generalissimo, Par. VIII, 137:
Sempre natura, se fortuna trova

Discorde a sé, come ogn'altra semente
Fuor di sua région fa mala prova.
(Vedi Inf. III, 115).

106. Si ritrasser si ragunarono, si raccolsero ec. Ritrarre per ridursi, unirsi, ragunarsi, adunarsi ec. comé poco dopo dice il Poeta:

e

Anche di qua nuova schiera s' aduna. Dino Compagni: E intorno a loro (ai Magalotti) si raunavano d'un animo, più artefici minuti con loro si ritraevano. E dopo molto: E per simil modo (Carlo ponendo taglie) ritrasse molli danari. Cioè, accozzò, accumulò, ammassò, raccolse ec. Ser Brunetto Latini, Rettor.: Ma per ciò l'arte che fece (edidit) non mi pare del tulto malmendosa (ché assai pare ch' elli abbia in essa locate cose elette ingegnosamente e diligentemente ritratte dalle antiche arti...). Cioè raccolte ec. (Inf.III,55. Tratta ec.).

Come d'autunno si levan le foglie,

L'una appresso dell' altra, infin che 'l ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie; Similemente il mal seme d'Adamo:

Gittansi di quel lito ad una ad una
Per cenni, com' augel per suo richiamo.

112. Già Orazio in altro proposito avea (Poetica 60) detto:

Ut silvae foliis pronos mutantur in annos
Prima cadunt ec.

E l'Ecclesiastico XXIV, 18: Sicut folium fructificans in arbore viridi, alia generantur et alia deiiciuntur; sic generatio carnis et sanguinis alia finitur et alia nascitur.

Giobbe rassomiglia l' uomo a una foglia che se la porta il vento:

Folium quod vento rapitur. Anche il suo Maestro prestò a Dante la bella similitudine, che pare più attesamente imitata. En. VI, 304 seg. Dopo

aver detto:

Huc omnis turba ad ripas effusa ruebat, Matres atque viri, defunctaque corpora vita Magnanimum heroum,pueri innuptaeque puellae Impositique rogis juvenes ante ora parentum. che sì bene rendesi dal Nostro (Inf. IV, 29) nelle:

turbe ch'eran molte e grandi E d'infanti e di femmine e di viri ec.; soggiugne:

Quam multa in silvis autumni frigore primo Lapsa cadunt folia,aut ad terram gurgite ab alto Quam multae glomerantur aves, ubi frigidus

(annus

Trans pontum fugat, et terris immittit apricis. Stabant orantes primi transmittere cursum, Tendebantque manus ripae ulterioris amore: Navita sed tristis nunc hos, nunc accipit illos: Ast alios longe summotos arcet arena.

Quindi ne pare imitata, sotto sopra, l'immagine degli uccelli che gittansi pel richiamo (v. 117); e il Pronti sono al trapassar del rio (v. 124): e la tema volta in desio per la divina giustizia che sprona le anime, si lascia indietro i due versi di Virgilio 313, 314, fra i testè ad

dotti ec. ec.

Dalla stessa fonte virgiliana attinse benanche il Tasso la similitudine (Ger. liber. IX. 66.):

Nè tante vede mai l'autunno al suolo
Cader co' primi freddi aride foglie:
Non passa il mar d'augei si grande stuolo
Quando ai soli più tepidi s'accoglie..
115. Per cogliere appunto il senti-

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mento del Poeta in questo luogo, bisogna attendere a quell'altro, ov'egli dice (Inf. III, 104):

Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,

L'umana specie, il luogo, il tempo, e il seme Di lor semenza e di lor nascimenti.

Or qui è chiaro che il nascere si fa provenire dalla semenza propagata dal seme, onde nel tempo e nel luogo fu prodotta la specie umana, i cui individui vengono immediatamente da' genitori e tutto ciò per divina ordinazione: dunque quei tristi bestemmiavano quest' ordine naturale e il supremo autore di esso. In modo simigliante si dice de' peccatori carnali, che, menati dall'Infernale bufera, quando giunti sono davanti alla ruina, fra le strida, il compianto e il la

mento:

Bestemmian quivi la virtù divina.

Si vede quindi che l' Alighieri pone una differenza notevole tra seme e semenza. Il diligente comentatore non dee passarsene senza notare che è dall' uno all' altro. Seme, semenza, nascimento: ecco tre cose che interessano l'attenzione del filologo alla retta intelligenza di questi luoghi. Il seme è opera della creazione, la semenza è della propagazione, il nascimento appartiene alla generazione o germinazione attuale. Il seme della specie umana è in Adamo; la semenza ne' suoi discendenti che per quello moltiplicano; il nascimento è di coloro che per la virtù o potenza generativa vengono al mondo in atto. Nel primo si considera la natura della forza procreatrice posseduta da uno come prima efficienza creata; nel secondo la moltiplicazione di tal potenza in più; nel terzo l'atto qual'effetto proporzionato di quella. Adamo è seme della specie umana; gli uomini venuti da lui ne sono la semenza; il nascimento è la comparsa dell' individuo nel tempo e nel luogo, passato certo spazio dalla sua generazione. Anche del fru

Così sen vanno su per l'onda bruna; Ed avanti che sien di là discese, Anche di qua nuova schiera s'aduna.

mento diciam seme al granello, per la sua forza di germinare in pianta di tale natura; semenza del grano, a quello stesso seme moltiplicato per diverse germinazioni, che salvasi per la semina; e nascimento alla spiga che sorge sul campo. Il Poeta con dire: il seme di lor semenza, ne dà due cose ad intendere: la prima, che l'uno non è l'altro; la seconda, che l'uno è dall'altro dipendente, la semenza dal seme, com'effetto dalla sua cagione. Or quantunque tutti gli uomini dir si possano seme o semenza d' Adamo; a voler sottilmente guardar la cosa, si vedrà, che tra esso seme e la generazione in atto ne' figliuoli degli uomini, vi corre il lungo intervallo della semenza, che, avuta origine da quel seme, propagò nella succession del tempo e moltiplicò il genere umano. Vera, per conseguenza, che dir si possa seme d'Adamo, è la immediata figliuolanza di lui; nella quale, siccome fu Abele innocente, e Caino malvagio; quello vuolsi intendere per lo buono e questo per lo mal seme. Il mal seme d'Adamo è dunque, anche secondo la locuzione biblica, Caino e i discendenti (a). Onde l'Alighieri, che tanto pregia il linguaggio de' libri sacri, chiamò i dannati generazione caina; essendo tali più o meno tutti quelli, che violano la legge divina; la quale impone agli uomini la dilezione scambievole, come a fratelli, perchè figliuoli d'uno stesso padre nell'ordine di natura, e della grazia. E non dubito, che tra i più maligni sterponi della razza caina non sien passati per la mente al Poeta coloro, che mossi da superbia, invidia ed avarizia, fomentarono, accesero ed attizzarono a Firenze il fuoco della discordia fratricida e liberticida. Il Compagni, fra le altre vive dipinture della fierezza de' fiorentini pone questa: Non valse parentado nè amistà; nè pena si polea minuire ne

(a) I figli d'Isacco son detti (Genes. XXI) seme d'Abramo. Cristo seme di Davide, II, Reg. VII ec. ec. Anche Virgilio chiama Enea Anchi sa satus (En. VI, 331, e altrove).

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cambiare a coloro, a cui determinate erano. Nuovi matrimoni niente valsero; ciascuno amico divenne nimico; i fratelli abbandonavano l'un altro, il fi gliuolo il padre: ogni amore ogni umanità si spense ec. Or chi mai potrebbe credere che Dante avesse inteso per mal seme d'Adamo, altro che coteste belve feroci? questa razza caina, che inondo la sua patria di pianto e di sangue? (V. not. Inf. III, 5 e 6). Egli chiamò mal seme il motto maledetto del Mosca: e Virgilio anche (Georg. II, 151) disse della fiera genia delle tigri ec.

At rabidae tigres absunt, et saeva leonum
Semina.

Similemente, similmente ec.
Jacopo da Lentino:

Lo vostro amor, che m'ave,
M'è mare tempestoso

Ed eo siccom la nave

Che gitta alla fortuna ogni pesanti,
E scampane per gitto,
Di loco periglioso,
Similemente eo gitto

A voi, bella, li miei sospiri e pianti.
Lapo degli Uberti:

E quanto vuol, voglio similemente. Così anche Coralemente per Coralmente cioè Cordialmente ec. UmilemenNaturalmente e simiglianti. te per Umilmente; Naturalemente per

120. Schiera. Pensatamente il Poeta pare abbia qui usato il vocabolo Schiera, che venne agl'Italiani dal ceppo barbaro Scara, brigala di soldati detti scariones; onde obscariones e scariones appellati í servi de' vescovi e degli abbati, i custodi delle carceri, ed anche i carnefici; sendo che Obscaren valse abscindere. Indi la maledetta genia degli scherani e degli sgherri, degli sgherigli o sgarigli, voci usate da Dino Compagni, per dinotare quella gente armata, che correva qua e là a difendere e offendere, senza ordinanza militare (Murat. Rer. italic. script. T. I, par. II, pag. 92). Ai tempi di Dante molti di cotestoro stavano agli ordini del Bargello; e molti altri, fuori d'ogni ordine, furono a Fiorenza, per costumi e per fatti, degni d'annoverarsi tra

Figliuol mio, disse il Maestro cortese,
Quelli che muoion nell' ira di Dio,
Tutti convegnon qui d'ogni paese;
E pronti sono al trapassar del rio,
Chè la divina giustizia gli sprona
Sì, che la tema si volge in disio.
Quinci non passa mai anima buona;

E però se Caron di te si lagna,

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Ben puoi saper omai, che 'l suo dir suona.

Finito questo, la buia campagna

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Tremò si forte, che dello spavento

La mente di sudore ancor mi bagna.

La terra lagrimosa diede vento,

Che balenò una luce vermiglia,
La qual mi vinse ciascun sentimento;
E caddi, come l' uom cui sonno piglia.

la sbirraglia. Da questi tristi, che rap-
presentano l'elemento della forza brutale
avverso la ragione, son chiamati schiera
complessivamente tutti coloro, che alla
riva d'Acheronte ritraggonsi.

Che se l'Alighieri (Inf. IV, 101) dice: Ch'essi mi fecer della loro schiera. ciò v'è detto come per un contrapposto, per significare che se egli si partì dalla masnada de' tristi, fu degnato di far parte della nobile compagnia de' famosi poeti. Anche bassa è l'idea ch' egli mostra attaccare a cotesta voce, quando disse (Inf. II, 105):

Ch'uscio per te della volgare schiera? Schiera chiamò (Inf. XV, 16) la torma de' sodomiti, gente di poco lume, i quali guardavano sbirciando:

Come vecchio sartor fa nella cruna. Schiera dello eziandio lo stuolo di quelli, che, per magrezza e per voler leggieri, gli parvero nel Purgatorio (XXIV) simili agli uccellacci del Nilo gentaglia vissuta soggetta al ventre, colà purgavano le macchie, che avea loro lasciate nell'anima il peccato della gola.

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probabile, che Dante abbia qui la voce schiera adoperata a bello studio, secondo la forza che in essa è insita, ovvero nel sentimento della sua primigenia significanza.

123 e segg. Orazio Lib.II, Od.XIV, 10: Scilicet omnibus,

Quicunque terrae munere vescimur Enaviganda (tristis unda), sive reges,

Sive inopes erimus coloni. Caronte però traghetta, secondo l' invenzione di Dante, le sole anime prave; onde disse al Poeta:

Per altre vie per altri porti Verrai a piaggia non qui per passare.

128. CARON. Voce presa dal primo caso del nome lat. Charon; comunemente diciamo Caronte togliendo la voce, come si è fatto di tanti altri sustantivi, dal sesto Charonte.

129. Che qui vale quel che, ciò che, che cosa: ed è dal quae quarto caso plurale del pronome quod de' latini. Esempi, in verso e in prosa, a dovizia. Dino Comp. Intell.

Se noi passiam, parrà che noi faremo.
Cioè, dice Cesare ai suoi: se passiamo
il Rubicone, parrà quello che noi faremo.
Jacopone da Todi:

Non dimandare agli uomini
Che lor nega natura.

E se in Paradiso (XXVIII, 75) gli venner vedute delle sante creature, che rendevano somiglianza d'una schiera di volatili, la quale si faccia in aere or tonda, or lunga; essendo quivi non più che una Il Nostro, nell'Inferno (XVI, 122): similitudine, non torna da ciò più onore e che il tuo pensier sogna alla voce, di quello che s'abbia per sè Tosto convien che al tuo viso si scopra. medesima. Sicchè ci avvisa essere almen e in mille altri luoghi.

CANTO IV.

Primo cerchio, o il Limbo.

Ruppemi l'alto sonno nella testa

Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi,
Come persona che per forza è desta:
E l'occhio riposato intorno mossi

Dritto levato, e fiso riguardai,

Per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è che 'n su la proda mi trovai
Della valle d'abisso dolorosa,

Che tuono accoglie d'infiniti guai.
Oscura, profond' era, e nebulosa

Tanto, che per ficcar lo viso al fondo,
Io non vi discernea veruna cosa.
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo,
Incominciò '1 Poeta tutto smorto:
Io, sarò primo, e tu sarai secondo.

7 seg. Virgilio assai più minutamente, nè però con maggior potenza d'espressione, En. VI, 273, dice:

Vestibulum ante ipsum, primisque in faucibus
Luctus, et ultrices posuere cubilia Curae: (Orci
Pallentesque habitant Morbi, tristisque Senectus,
Et Metus et malesuada Fames,ac turpis Egestas,
Terribiles visu formae, Letumque, Labosque,
Tum consanguineus Leti Sopor, et mala mentis
Gaudia, mortiferumque adverso limine Bellum,
Ferreique Eumenidum thalami,et Discordia de-
Vipereum crinem vittis innexa cruentis. (mens,
Il Monti paragona Parigi del 1793 al-
l'Inferno, e ne pinge il ritratto con colo-
ri tolti da questa descrizione Virgiliana.
Basvil. II:

Sul primo entrar della città dolente

Stanno il pianto, le cure e la follia Che salta è nulla vede e nulla sente. Evvi il turpe Bisogno e la restia

e

Inerzia colle man sotto le ascelle
L'uno all'altra appoggiato in sulla via.
Evvi. l'arbitra Fame a cui la pelle
Informasi dall'ossa, e i lerci denti
Fanno orribile siepe alle mascelle.
Vi son le rubiconde Ire furenti

E la Discordia pazza, il capo avvolta
Di lacerate bende e di serpenti ec.
Dante trovandosi sull'orlo d'abisso,
non poteva ancora descrivere, quasi per
filo e per segno, i mali del luogo tarta-
reo; ma tutto si raccoglie in una confu-

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sione più spaventevole, ed in un motto riciso:

tuono d'infiniti guai.

La narrazione è posteriore alla Visione; ma il Poeta segue l'ordine progressivo e naturale delle sue impressioni.

10 seg. Come dunque giudicarne della profondità? Risponderebbe il Poeta col verso precedente, che quella era la valle d'abisso dolorosa:

Che tuono accoglie d'infiniti guai.

Con l'esperienza giudichiamo abitualmente della distanza de' luoghi, onde parte una voce, un suono, lo scoppio d'un archibugio ec. che viene a percuotere il senso dell'udito. Così Dante stesso, Inf. XXXIV, 129, dice:

Luogo è laggiù da Belzebù rimoto

Tanto, quanto la tomba si distende,
Che non per vista, ma per suono è noto
D'un ruscelletto che quivi discende ec.

15. Virgilio così a Dante. Il nostro Poeta riconosce il primato che il vate latino aveva sopra di lui, ed usò a un di presso la locuzione simile a quella di Dameta, che donando la sua cornamusa a Coridone gli dice (Eclog. II, 38):

Te nunc habet ista secundum.

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