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D'un corpo usciro; e tutta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più d'esser fitta in gelatina:
Non quelli, a cui fu rotto il petto e l'ombra

dro e Napoleone, Conti di Mangona: Tanto perversissimi liranni e di pessima natura, che tutti quelli essi confinavano, era necessario, che cedesser loro il possesso de' suoi terreni, e case, o che da essi fossero morti, come a molti era di già avvenuto, ma che non avendo ultimamente più con chi contendere, ognun di loro pensò di voler dominar solo (Vellut.) e l'uno a tradimento uccise l'altro (a).

FUE: fu. Di coteste uscite, che alcuni dicon fatte per la rima, si hanno negli antichi scrittori innumerevoli esempi anche nella prosa: Giue, sue, cosìe, tue, piue ec. per giù, su, così, tu, più ec. Novellin. XL: Levossi sue, e prese un miuolo (bicchiere), e lavollo di vantaggio. Vedi C. XXIV, 90, nota.

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CAINA. Così noma questa prima parte della ghiaccia, da Caino, che uccise a tradimento il fratello Abele (Genes. IV,8). Il Poeta lascia supporre che nella medesima zona di ghiaccio stesse già confitto anche Caino; ma gli parve più utile trarre gli ammaestramenti da' tempi vicini a noi, e descrivere le pene terribili cui sottostanno le anime di coloro che son ricordati dalle storie moderne, e che discesero del mal seme di quel primo fratricida. Nel C. V, 107 è preparato questo luogo di pena a Gianciotto Malatesta. Prima di porsi all'opera, avea dunque il Poeta disegnata la tela di questo gran quadro.

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(a) Il chiosator Cassinese: Comes Neapoleo expulit proditorie... ejus fratrem de eorum communibus castris. Unde dictus Alexander proditorie eum occidit postea.

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59. CERCARE: percorrere stimando minutamente ogni cosa. Inf. XX, 55; XXI, 124; Purg. XXVIII, 1, ec.

60. GELATINA: La metafora non si sconviene al dicitor Senzorecchi IN GELATINA: cioè, in questo ghiaccio, il qual finge simile alla gelatina, per esser come quella gelato, e in luogo di carne o d'altro che si fa, contien in sè questi peccatori. Vellut. Alcuno intende qui gelatina per gielo, fuor d'ogni figura. I versi del Pulci (Morg. magg. C. XXII, 104) son questi, che si citano in esempio: Tutta la notte vi si borbottava, Ognun volea pur Gano in gelatina; Ma sopra tutti Astolfo vel tuffava. Dove la sentenza è, che ognuno volea che Gano fosse morto e fatto in pezzi; minuzzato proprio come la carne da far gelatina: e Astolfo parlava, che parea fosse già in quell' atto il cuoco di cotesta vivanda. Non è dunque dal Pulci adoperato il vocabolo gelatina per gelo: dal Nostro sì, ma figuratamente.

61-62. NON QUELLI ec. Mordrec, figlio bastardo di Artù (b), tentò con tradimento torre il reame a suo padre. Da ultimo s'era messo in agguato per ucciderlo; ma questi sì lo passò d'una lancia fuor fuori dal petto alle reni; che il sole penetrando per la vasta ferita, ruppe col suo raggio in terra l'ombra del corpo traforato.

Secondo che questo fatto si narra nella Storia di Lancillotto del Lago (Lib. III, Cap. 126) è da tenere che il Poeta abbia usato in questo luogo il vocabolo OMBRA, come va preso nel senso proprio; cioè di quella figura o imagine, che ogni corpo che stia di contro al sole gitta dall'opposta parte. Così veramente l'intese

(b) Artù o Arturo fu quel famoso principe della Gran Brettagna, il quale nel sesto secolo istituì l'Ordine de' cavalieri della Tavola Rotonda, chiamati anche col nome di cavalieri erranti; di cui i torneamenti, le giostre e le imprese, porsero si ricca materia di fole agl'ingegni de' romanzieri antichi.

Con esso un colpo per la man d'Artù;

ro Pietro di Dante, l'Antico, il chiosator Cassinese (a), il Guiniforte (b), il Daniello, il Volpi, il Lombardi, il Cesari, il Blanc, il Bianchi e il Tommaseo.

Il Landino spone diversamente: NON QUELLA A CUI FU rotto il petto e L'OмBRA, cioè il petto è le reni, perciochè l'ombra del pello va alle reni. E in simil modo il Vellutello: il petto, e le reni, che fanno ombra al petto. Secondo questi valentuomini dir potriasi ombra ora il petto rispetto alle reni, ora queste rispetto a quello; e così il lato dritto al manco e viceversa. Un corpo avrebbe in tal modo tante ombre quante facce, ed in sè stesso, non mica fuori di sè: la qual cosa è tanto strana, che pare impossibile sia potuta capire nella mente di sì dotti comentatori. L'ombra non s'intende senza la luce: il petto e le reni, alle tenebre o al sole, persistono, e non si fanno ombra a vicenda. Guardando il sole ad oriente, l'uomo gitterà l'ombra a occidente, e questa non vuol confondersi colle reni,che son la parte oscura della persona, cui il petto è irradiato di luce.Ruppe IL PETTO E L'OMBRA: non intendiam noi che abbia rotto il petto e l'ombra del petto, ma il petto e l'ombra dell'uomo che stava col petto di contro al sole. Alla voce ombra in questo passo di Dante è insita la nozione ovvia del comune linguaggio; e il raggio solare qui rompe l'ombra in terra, come altrove (Purg. III, 16) l'ombra rompe in terra il sole.

Al Venturi neppure entrano troppo, nè soddisfanno quelle spalle ombra del petto, che con l' Imolese intesero il Landino e il Vellutello. Non fa egli tampoco buon viso alla prima interpretazione, ch'ei

(a) Iste Mordret filius naturalis regis Artusi Brittanei prodidit dictum ejus patrem unde postea tractú temporis dictus ejus pater ita animose vulneravit eum in pectore cum telo quod radius solis per vulnus transivit ad aliam partem et quod est quod dicit de ruptura ejus umbre.

(b) QUELLI: Morderetto, a cui con esso un colpo fu per la man di Artù, suo padre, rotto il petto e rotta l'ombra, forato il petto in tal modo, che anche parve rotta l'ombra del corpo suo nel mezzo di essa, parendo il raggio del sole passato per entro la ferita.

crede del Daniello, quando l' è ben più antica. Udiamone le ragioni: Una fenditura di tal fatta, che vi passi di mezzo il Sole, fa una lancia che ferisce di punta? Non ci veggo nè pure quel verisimil più largo, che almen servar debbono come inviolabile i Romanzieri. Oh! se per la ferita fosse voluto far passare il disco del Sole, e noi saremmo col dotto P.Venturi; ma se il raggio solare, e chi mai non sa ch'esso suol anche farsi via per un piccolo forellino ? Non hanno qui luogo le sperticate iperboli romanzesche, che anche nella sfera dell' ideale van sottoposte alle leggi del verosimile: qui la cosa è tanto simile al vero, per quanto può essere il vero stesso; un fatto, dico, che potè fisicamente avvenire nel caso di Mordrecco: or tolto l'impossibile, la cosa straordinaria ingenera quel maraviglioso che non iscema fede all' invenzione, e accresce bellezza alla poesia eroica, nonchè alla romanze

sca.

Chi sa, che forse chiamando Dante ombra l'anima nel C. XXXIII, verso 135 non voglia qui dire semplicemente: gli ruppe il petto e l'anima; cioè gli aprì il petto, e gli ruppe i legami che tenevano al corpo congiunta l'anima, sicchè separossi da quello. Non vogliam qui sottilizzare, dicendo che romper l'anima non è già rompere i legami che la tengon congiunta al corpo; nè che Dante non avrebbe usata una frase contraria alle opinioni sue intorno alla semplicità dello spirito umano: ma ci basta osservare contro il P. Venturi che, anche nel luogo citato da lui, Dante chiama ombra, non già l' anima che in atto trovasi nel congiunto umano; ma si quella, che partita dal corpo piglia delle vane sembianze, onde la sua forma invisibile venga percepita dal senso mortale. Laonde fallito cotal principio all'egregio comentatore, la sua chiosa tanto varrebbe, quanto dire che Artù rompesse al figlio il petto e l'anima la quale svolazzava dove che sia,ed era in tutt'altro luogo dal corpo ferito; o, in altri termini, che il padre uccidesse il cadavere Ed io ho udidel proprio figliuolo!! to uno sgherro minacciare coll'archibu

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Non Focaccia; non questi che m'ingombra

so impostato ad un altro ribaldo: ti brucio il corpo, e l'anima, con espressione bestiale, e più tosto una cosa simigliante a quesia men mi dispiace.Chi disse: ti brucio il corpo e l'anima, usò invero una frase bestiale, e pure di grandissima forza; ma se invece detto avesse: ti brucio il corpo e l'ombra, si sarebbe egli tenuto dal ridere, anche in

tanto pericolo, il suo avversario? Ora

dell' Oratoria e della Poetica; dove ha diavoli di assai più fino giudizio e sano criterio, che non sono stati gli stessi più celebri comentatori.

Io son quelli che non andrò più incon-
61. QUELLI: quegli. Volgar. Lucan.:
tro. Quando uno di voi crolla una
io chi è quelli (Vedi Inf. III, 42, not.
lancia, o brandisce una ispada, sì so
in fin.; XXVIII, 134). Questa lezione è
de' più preziosi codici.
de' più preziosi codici.- Var. quello,

quella.

63. FOCACCIA fu pistoiese. Dicono che a tradimento mozzò egli la mano a un suo cugino, e uccisene il padre: di che nacque poi tanto scandalo nella città, che la numerosa e potente famiglia di lui, detta de' Cancellieri, scissa in due parti fieramente nemiche, diede origine a quelle maledette fazioni de' Bianchi e de' Neri, che prima Pistoia, e poi Firenze e tutta Toscana per sì lungo tempo tennero tribolata (a). È da notare che questo traditore parricida è col sacrilego ladro Fucci, natio di quella stessa patria (Inf.XXIV, 125), alla quale il Poeta (Inf. XXV, 10) si volge con quella terribile apostrofe, riferendo forse a lei la principal cagione de' mali che straziarono Firenze, e delle sciagure che Vanni medesimo (Inf. XXIV, 142 segg.) gli annunzia, e Ciacco (Inf. VI, 64 segg.) glien'era stato il profeta.

non crediamo che quel valente espositore, il quale si mostra tanto geloso del verosimile, permetterebbe poi contro il decoro, che Dante usasse nel sacro poema delle espressioni bestiali, o simili a quelle d'un ribaldo o d'uno sgherro. Al Portirelli piacque nondimeno la sposizione del Venturi; e il Biagioli la fa tutta sua, biasimando il Lombardi, cui il proprio senno persuase di seguir l'antica, e chiamando illusi tutti coloro che tennero con essolui. Noi abbiamo riprovato falsa l'opinione favorita dal Biagioli. Dov'egli scrive che questo modo di dire inteso altrimenti sarebbe favoloso e ridicolo, vietando al Poeta di seguitare la favolosa istoria; risponderà egli a sè medesimo, come altra volta gli fece buono l'aver seguito la falsa voce volgare, che portava Attila distruttor di Firenze: Era al tempo di Dante una favolosa tradizione sparsa per tutt' i popoli d'Italia, e singolarmente creduta dal popolo fiorentino, che Dante, poeta, e non già storico, secondò per non contrapporsi all' opinion generale (Biag. (a) I comentatori_variano alcun poco le cirCom. al C. XIII, 149). Il P. Cesari oscostanze del fatto. Vedi il Landino, il chiosator Cassinese ec. - Son da leggere a tal proserva eziandio che: Volendo prendere posito le Storie Pistolesi delle cose avvenute in quest' OMBRA per l'anima..., Dante a- Toscana dal 1300 al 1348, compilate da un ano- Gio: Villani (Lib. III, vrebbe con due parole del senso mede- nimo contemporaneo. simo replicata la rima. E potrebbesi il principio delle rivoluzioni di Pistoia. ToloCap. 32, 38) ed altri riferiscono all' anno 1300 forse aggiugnere; che questa cosa del- meo da Lucca (Vedi Rer. Italic. Script., Tom. l'ombra rolta non la dice esso Dante; XI, pag. 1296) scrive d'un M. Vanni di Gualsi questo Camicion de' Pazzi in infer- di Guglielmo Amadori, a cui il fratello dell'offredo, che nel 1286 veniva ferito da Mess. Dore no, dove la critica non suole aver trop- feso tagliò la mano. Il Cassinese (Chios. marpo luogo: e se il fatto fosse ben falso, gin., Inf. VI, 49; XXXII, 63) dice come le fanon sarebbe da reputare al Poela. Stazioni Guelfa e Ghibellina preesistevano già in bene; ma non però crediamo che a di- Pistoia; che i Cancellieri, dapprima Guelfi puri, si divisero dipoi in Bianchi e Neri; con questi, fendere il Poeta, ci sia qui necessario che della linea de' Damiata furono gli offesi, d'offendere le anime dannate, con dire tennero i Guelfi; a quelli, della linea de' Raniech'elle patiscono difetto di critica là nel- ri, di cui era questo traditore Focaccia, s'accol'Inferno; dove si osservano i precetti

starono i Ghibellini; e che cotesta scissura avvenne tra gli anni 1297 e 1298.

Col capo si, ch'io non veggio oltre più,
E fu nomato Sassol Mascheroni:

Se Tosco se', ben sai omai chi fu.
E perchè non mi metti in più sermoni,
Sappi ch' i' fui il Camicion de' Pazzi,
Ed aspetto Carlin che mi scagioni.
Poscia vid' io mille visi cagnazzi

63-64.M'INGOMBRA COL CAPO SÌ, CH'ı'ec. Slammi innanzi, e mi occupa ed impedisce sì,ch'io non veggo.Inf. II, 46; Purg. III, 30. Ingombrare per impedire, fare ostacolo ec. costrutto col terzo, o col quarto caso.

65. SASSOL MASCHERONI fu Fiorentino. Uccise a tradimento l'unico figlio di suo fratello per succedergli all'eredità. Erane egli il tutore. Per sentenza pubblica gli fu mozzo il capo. Così scrivono l'Antico, il Cassinese, il Guiniforte, il Tommaseo e il Blanc, ec. Il Landino dice: Sassol... ammazzò un suo zio. E così chiosano il Vellut., il Volpi, il Vent., il Biagioli ec.

66. BEN SAI ec. Ben dèi saper chi fu, il testo Viv. e il cod. Flor. Chi e' fu, Varior. del Witte. Che fu, lez. unica del Cod. Cassin.

BEN SAI... CHI FU: ciò che fece ec. Bargigi.

67. PERCHÈ ec. «Ma notando qui le peculiari bellezze; bellissimo mi par que sto Metter in sermoni, che vale Dar cagione, o maleria di parlare; e importa, Per tagliar le chiacchiere. Cesari.

METTI per metta. I verbi della seconda coniugazione, che alla seconda persona singolare del congiuntivo presente uscir dovrebbero in a, si trovano sovente finiti in i appo gli antichi. Così nel Nostro (Inf. VII, 117) credi per creda; (XXIV, 140) godi per goda. È simile in assai altri luoghi. Vedi Inf. XV, 69,nola. 68. CAMICION DE' PAZZI. Messer Alberto Camicione de' Pazzi di Valdarno uccise a tradimento Ubertino suo consanguineo. Camiscion hanno il Bargigi, il Cassin, e il Cod.Filip.-Sappi ch'io sono, leggono col Cod. di Berl., col Cassin, e con la Nidobeat. le ediz. del De Roman., del Fulgoni, della Minerva ec.

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69. CARLIN, anche de' Pazzi di Valdarno, corrotto con danari,tradì ai Neri Fiorentini il Castello di Piano di Trevigne. che tenea pe' Bianchi, allorchè gli Usciti di Firenze, tra' quali fu Dante, ebbero invano tentato un assalto alla Lastra. A questi lo rivendette, dopo molte fatiche. e perdite sostenute per riaverlo. Gio: Vill. VIII, 52. Dino, II, 123.

ASPETTO... CHE MI SCAGIONI, ben dice il Camiscione; perciocchè al suo congiunto, qual traditore della patria e di tanti amici e parenti ch'erano nel Castello, toccava l'Antenòra, luogo ben più orribile che non la Caina: e Siccome dal maggiore è vinto il meno; così veniva in certo modo la grave colpa di quello a far parere la sua al paragone tanto più lieve, quanto era diversa la misura della

pena.

SCAGIONI: Scolpi, scusi. SCAGIONARE è il contrario di accagionare, che vale impulare, incolpare. E lo stesso scusare nostro non è altro, che l'ex-cusare,quasi ex-causare, purgare di colpa, giustificare. Con simigliante figura Gerusalemme, chiamata donna da lupanare, è delta aver con le gravi sue turpitudini falle parer buone e pudiche le sorelle città, Sodoma e Samaria. Vicisti eas sceleribus tuis, et iustificasli sorores tuas in omnibus abominationibus, quas operata es. Ezech., Cap. XVI, 51.

70. POSCIA ec. Il Poeta, senza degnavenuto nell' Antenora, ch'è il secondo re pur d'un motto il Camiscione, è già compartimento della ghiaccia.

VID' IO MILLE VISI CAGNAZZI. Mille: moltissimi. Sì grande era il numero de' traditori della patria! VID' 10... VISI. Sebbene fossero anche questi chini sulla ghiaccia, Dante gli affisò quanto potette; e niente più gravava a que' rei. Di tutti quei visacci erano visibili al Poe

Fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
E verrà sempre, de' gelati guazzi.

ta le imagini, che lo specchio dello stagno rifletteva.

e per fame d'ambizione e d'oro, vanno presi a quella specie di politica idrofobia, che gli fa rabbiosi volgere il dente micidiale contra il petto della propria madre.

71-72. RIPREZZO. Tremito ed orrore venne anche al Poeta (Inf. XVII, 87), quando fu egli per montare sulla groppa di Gerione. Lo rabbrividì più sempre la sola rimembranza DE' GELATI Guazzi, stanza di traditori che portano durissima pena della loro perfidia.

72. Guazzi. Guazzo è proprio acquaccia, detta quandochessia, per corruzio

se la terminazione maschile, come fecero assai altri nomi. Abbiamo guazzoso,e guazzo sincope di guazzato in sentimento di molle, bagnato. Ottaviano degli Ubaldini:

E gli occhi della gatta ch'hai si guazze (a).

70-71. VISI CAGNAZZI... PER FREDDO. Di quel colore tra il paonazzo e il nero che il fortissimo sido manda alla pelle, e che assimigliasi al color morello delle lividure e delle cangrene. Livido è chi trade il congiunto di sangue (v. 34), nero chi la patria. La stessa gradazion del colore è segno della maggior gravezza del delitto e della pena. Cari sunt parentes, cari liberi, propinqui, familiares; sed omnes omnium carilates patria una complexa est. Cic. De Off. I, 17.Nessun altro colore meglio si conviene al viso di que' traditori. Cagnazzo in talne,l'aguazza e poi la guazza, che presentimento è nel Sacchetti (Nov. 92): Vuo' tu celestrino? no; vuogli verde? no;... vuogli cagnazzo! no. Nondimeno al Blanc pare che questa voce ritenga qui il significato primitivo e principale di simile a cane, canino: il Landino e il Vellutello intendono per CAGNAZZO, viso grinzo e deforme, come moslacci di cane. E veramente il Poeta (v. 105) dice che Bocca latra, mentr' ei lo ciuffa: nomò Cagnazzo (Inf. XXI, 119) uno dei diavoli, che stanno a guardia della pegola nella bolgia de' barattieri, e lo fa di tutti gli altri astutissimo, chè tanto vale anche cagnaccio. VIA COSTÀ CON GLI ALTRI GANI è detto in ispregio al bizzarro Argenti (Inf. VIII, 42) fatto lordo e brutto del fango, in cui era tuffato. Sono i golosi intronati dal trifauce dimonio (Inf. VI), che latra caninamente; e un pugno di terra gittatogli nelle bramose canne lo acqueta, come cane che pria ti mostra le sanne, e, poi che morde il pasto, non intende che a disfamarsi. Se i due fratelli traditori ci han pocanzi resa l' imagine di cozzanti becchi, vorrà or qui il Poeta, con l'espressione de' VISI CAGNAZzi, significar non solamente il tetro lividore delle facce; ma dipingere eziandio al vivo que' brutti ceffi de' traditori della patria; la natura de' quali, PER cagion del FREDDO (che in traslato è difello di umanilà) tanto ha del canino, quanto anch'eglino traggono vilmente all'osso,

La locuzione avverbiale: A guazzo, che si adopera quando si vuol dire che un fiume si passi o guadi, nè per ponte, nè in barca, nè a nuoto, ma sì bene a piedi o a cavallo per dove l'acqua è più bassa; o quando s'aggiunge a Calamaio, che non inzuppi l'inchiostro in borra di seta, o in qual si voglia stoppaccio di stracci o di spunga; o quando specifica un modo del dipingere con colori stemperati nell'acqua ec.; e tutte le altre voci e maniere che ne son derivate, ci fan capire che i GELATI GUAZZI di Dante son le acque de' fiumi infernali che ristagnano, e gelano in Cocito.Le dice nel numero plurale, per significare, che avendo egli veduti MILLE VISI CAGNAZZI,gli fu necessario guazzare, a piè asciutto, e aprirsi il passo per più vie, attraverso le teste de' traditori (v. 77) fitti qua e là in diverse parti della ghiaccia infernale. Il vocabolo, dunque, ritenendo la nozione di guado o passo, che gli è qui sì propria, come altrove (Inf. XII, 139), ci spiega qualcosa dippiù,

(a) Per guazzi. Aggiunto anticamente invariabile.

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