L'umana specie, il luogo, il tempo, e 'l seme Ch' attende ciascun uom che Dio non teme. Loro accennando, tutte le raccoglie: Non mortui laudabunt te, Domine; ne- 104, 105. Brun. Latini, Cap. V: Suo corso e sua semente. Da serere, serimen, serimentum e semen, sementum — seme, semente e sermento. Virgilio Georg. II, 480: primus devecta cremato sarmenta. Ivi, 354: ...neu ferro laede retuso Semina-i magliuoli. V. 268: Mutatam ignorent subito ne semina matrem. Per semenza nel senso ordinario, Jam quae seminibus iactis se sustulit arbos Quique novas alitis nullo semine fruges. uti magnum per inane coacta Semina terrarumq; animaeq; marisq; fuissent, Et liquidi simul ignis: ut his exordia primis Omnia, et ipse tener mundi concreverit orbis. Con che dà egli al vocabolo semen la più ampia significazione. Lucrezio V.659: semina ardoris, Quae faciunt solis nova semper lumina gigni. Semente per semina. Bono Giamb. Tes. volg. Lib. V, cap. XIII: Ma elli addiviene loro (agli Smerli) una malizia (malattia), che si mangiano tutt'i piedi se uomo non li ritiene dall'uccellare al tempo della semente del lino e del miglio. Il Nostro chiama mal seme delle civili discordie di Fiorenza, quel motto del Mosca: Cosa fatta capo ha (Inf.XXVIII) come della scintilla, che battendo l'acciari 105 110 no si desta, disse il suo Maestro (En.VI,6): Quaerit pars semina flammae Abstrusa in venis silicis. Per dignità dell'umana natura (Sallust. Cat. I: Sed nostra vis omnis ec.), Inf. XXVI, 118: Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti Che ricever dovea la sua semenza. Però non ebber gli occhi miei potenza Che si levò appresso sua semenza. Nel senso generalissimo, Par. VIII, 137: Discorde a sé, come ogn'altra semente 106. Si ritrasser si ragunarono, si raccolsero ec. Ritrarre per ridursi, unirsi, ragunarsi, adunarsi ec. comé poco dopo dice il Poeta: e Anche di qua nuova schiera s' aduna. Dino Compagni: E intorno a loro (ai Magalotti) si raunavano d'un animo, più artefici minuti con loro si ritraevano. E dopo molto: E per simil modo (Carlo ponendo taglie) ritrasse molli danari. Cioè, accozzò, accumulò, ammassò, raccolse ec. Ser Brunetto Latini, Rettor.: Ma per ciò l'arte che fece (edidit) non mi pare del tulto malmendosa (ché assai pare ch' elli abbia in essa locate cose elette ingegnosamente e diligentemente ritratte dalle antiche arti...). Cioè raccolte ec. (Inf.III,55. Tratta ec.). Come d'autunno si levan le foglie, L'una appresso dell' altra, infin che 'l ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie; Similemente il mal seme d'Adamo: Gittansi di quel lito ad una ad una 112. Già Orazio in altro proposito avea (Poetica 60) detto: Ut silvae foliis pronos mutantur in annos E l'Ecclesiastico XXIV, 18: Sicut folium fructificans in arbore viridi, alia generantur et alia deiiciuntur; sic generatio carnis et sanguinis alia finitur et alia nascitur. Giobbe rassomiglia l' uomo a una foglia che se la porta il vento: Folium quod vento rapitur. Anche il suo Maestro prestò a Dante la bella similitudine, che pare più attesamente imitata. En. VI, 304 seg. Dopo aver detto: Huc omnis turba ad ripas effusa ruebat, Matres atque viri, defunctaque corpora vita Magnanimum heroum,pueri innuptaeque puellae Impositique rogis juvenes ante ora parentum. che sì bene rendesi dal Nostro (Inf. IV, 29) nelle: turbe ch'eran molte e grandi E d'infanti e di femmine e di viri ec.; soggiugne: Quam multa in silvis autumni frigore primo Lapsa cadunt folia,aut ad terram gurgite ab alto Quam multae glomerantur aves, ubi frigidus (annus Trans pontum fugat, et terris immittit apricis. Stabant orantes primi transmittere cursum, Tendebantque manus ripae ulterioris amore: Navita sed tristis nunc hos, nunc accipit illos: Ast alios longe summotos arcet arena. Quindi ne pare imitata, sotto sopra, l'immagine degli uccelli che gittansi pel richiamo (v. 117); e il Pronti sono al trapassar del rio (v. 124): e la tema volta in desio per la divina giustizia che sprona le anime, si lascia indietro i due versi di Virgilio 313, 314, fra i testè ad dotti ec. ec. Dalla stessa fonte virgiliana attinse benanche il Tasso la similitudine (Ger. liber. IX. 66.): Nè tante vede mai l'autunno al suolo 115 mento del Poeta in questo luogo, bisogna attendere a quell'altro, ov'egli dice (Inf. III, 104): Bestemmiavano Iddio e i lor parenti, L'umana specie, il luogo, il tempo, e il seme Di lor semenza e di lor nascimenti. Or qui è chiaro che il nascere si fa provenire dalla semenza propagata dal seme, onde nel tempo e nel luogo fu prodotta la specie umana, i cui individui vengono immediatamente da' genitori e tutto ciò per divina ordinazione: dunque quei tristi bestemmiavano quest' ordine naturale e il supremo autore di esso. In modo simigliante si dice de' peccatori carnali, che, menati dall'Infernale bufera, quando giunti sono davanti alla ruina, fra le strida, il compianto e il la mento: Bestemmian quivi la virtù divina. Si vede quindi che l' Alighieri pone una differenza notevole tra seme e semenza. Il diligente comentatore non dee passarsene senza notare che è dall' uno all' altro. Seme, semenza, nascimento: ecco tre cose che interessano l'attenzione del filologo alla retta intelligenza di questi luoghi. Il seme è opera della creazione, la semenza è della propagazione, il nascimento appartiene alla generazione o germinazione attuale. Il seme della specie umana è in Adamo; la semenza ne' suoi discendenti che per quello moltiplicano; il nascimento è di coloro che per la virtù o potenza generativa vengono al mondo in atto. Nel primo si considera la natura della forza procreatrice posseduta da uno come prima efficienza creata; nel secondo la moltiplicazione di tal potenza in più; nel terzo l'atto qual'effetto proporzionato di quella. Adamo è seme della specie umana; gli uomini venuti da lui ne sono la semenza; il nascimento è la comparsa dell' individuo nel tempo e nel luogo, passato certo spazio dalla sua generazione. Anche del fru Così sen vanno su per l'onda bruna; Ed avanti che sien di là discese, Anche di qua nuova schiera s'aduna. mento diciam seme al granello, per la sua forza di germinare in pianta di tale natura; semenza del grano, a quello stesso seme moltiplicato per diverse germinazioni, che salvasi per la semina; e nascimento alla spiga che sorge sul campo. Il Poeta con dire: il seme di lor semenza, ne dà due cose ad intendere: la prima, che l'uno non è l'altro; la seconda, che l'uno è dall'altro dipendente, la semenza dal seme, com'effetto dalla sua cagione. Or quantunque tutti gli uomini dir si possano seme o semenza d' Adamo; a voler sottilmente guardar la cosa, si vedrà, che tra esso seme e la generazione in atto ne' figliuoli degli uomini, vi corre il lungo intervallo della semenza, che, avuta origine da quel seme, propagò nella succession del tempo e moltiplicò il genere umano. Vera, per conseguenza, che dir si possa seme d'Adamo, è la immediata figliuolanza di lui; nella quale, siccome fu Abele innocente, e Caino malvagio; quello vuolsi intendere per lo buono e questo per lo mal seme. Il mal seme d'Adamo è dunque, anche secondo la locuzione biblica, Caino e i discendenti (a). Onde l'Alighieri, che tanto pregia il linguaggio de' libri sacri, chiamò i dannati generazione caina; essendo tali più o meno tutti quelli, che violano la legge divina; la quale impone agli uomini la dilezione scambievole, come a fratelli, perchè figliuoli d'uno stesso padre nell'ordine di natura, e della grazia. E non dubito, che tra i più maligni sterponi della razza caina non sien passati per la mente al Poeta coloro, che mossi da superbia, invidia ed avarizia, fomentarono, accesero ed attizzarono a Firenze il fuoco della discordia fratricida e liberticida. Il Compagni, fra le altre vive dipinture della fierezza de' fiorentini pone questa: Non valse parentado nè amistà; nè pena si polea minuire ne (a) I figli d'Isacco son detti (Genes. XXI) seme d'Abramo. Cristo seme di Davide, II, Reg. VII ec. ec. Anche Virgilio chiama Enea Anchi sa satus (En. VI, 331, e altrove). 120 cambiare a coloro, a cui determinate erano. Nuovi matrimoni niente valsero; ciascuno amico divenne nimico; i fratelli abbandonavano l'un altro, il fi gliuolo il padre: ogni amore ogni umanità si spense ec. Or chi mai potrebbe credere che Dante avesse inteso per mal seme d'Adamo, altro che coteste belve feroci? questa razza caina, che inondo la sua patria di pianto e di sangue? (V. not. Inf. III, 5 e 6). Egli chiamò mal seme il motto maledetto del Mosca: e Virgilio anche (Georg. II, 151) disse della fiera genia delle tigri ec. At rabidae tigres absunt, et saeva leonum Similemente, similmente ec. Lo vostro amor, che m'ave, Ed eo siccom la nave Che gitta alla fortuna ogni pesanti, A voi, bella, li miei sospiri e pianti. E quanto vuol, voglio similemente. Così anche Coralemente per Coralmente cioè Cordialmente ec. UmilemenNaturalmente e simiglianti. te per Umilmente; Naturalemente per 120. Schiera. Pensatamente il Poeta pare abbia qui usato il vocabolo Schiera, che venne agl'Italiani dal ceppo barbaro Scara, brigala di soldati detti scariones; onde obscariones e scariones appellati í servi de' vescovi e degli abbati, i custodi delle carceri, ed anche i carnefici; sendo che Obscaren valse abscindere. Indi la maledetta genia degli scherani e degli sgherri, degli sgherigli o sgarigli, voci usate da Dino Compagni, per dinotare quella gente armata, che correva qua e là a difendere e offendere, senza ordinanza militare (Murat. Rer. italic. script. T. I, par. II, pag. 92). Ai tempi di Dante molti di cotestoro stavano agli ordini del Bargello; e molti altri, fuori d'ogni ordine, furono a Fiorenza, per costumi e per fatti, degni d'annoverarsi tra Figliuol mio, disse il Maestro cortese, E però se Caron di te si lagna, 125 Ben puoi saper omai, che 'l suo dir suona. Finito questo, la buia campagna 130 Tremò si forte, che dello spavento La mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, Che balenò una luce vermiglia, la sbirraglia. Da questi tristi, che rap- Che se l'Alighieri (Inf. IV, 101) dice: Ch'essi mi fecer della loro schiera. ciò v'è detto come per un contrapposto, per significare che se egli si partì dalla masnada de' tristi, fu degnato di far parte della nobile compagnia de' famosi poeti. Anche bassa è l'idea ch' egli mostra attaccare a cotesta voce, quando disse (Inf. II, 105): Ch'uscio per te della volgare schiera? Schiera chiamò (Inf. XV, 16) la torma de' sodomiti, gente di poco lume, i quali guardavano sbirciando: Come vecchio sartor fa nella cruna. Schiera dello eziandio lo stuolo di quelli, che, per magrezza e per voler leggieri, gli parvero nel Purgatorio (XXIV) simili agli uccellacci del Nilo gentaglia vissuta soggetta al ventre, colà purgavano le macchie, che avea loro lasciate nell'anima il peccato della gola. 135 probabile, che Dante abbia qui la voce schiera adoperata a bello studio, secondo la forza che in essa è insita, ovvero nel sentimento della sua primigenia significanza. 123 e segg. Orazio Lib.II, Od.XIV, 10: Scilicet omnibus, Quicunque terrae munere vescimur Enaviganda (tristis unda), sive reges, Sive inopes erimus coloni. Caronte però traghetta, secondo l' invenzione di Dante, le sole anime prave; onde disse al Poeta: Per altre vie per altri porti Verrai a piaggia non qui per passare. 128. CARON. Voce presa dal primo caso del nome lat. Charon; comunemente diciamo Caronte togliendo la voce, come si è fatto di tanti altri sustantivi, dal sesto Charonte. 129. Che qui vale quel che, ciò che, che cosa: ed è dal quae quarto caso plurale del pronome quod de' latini. Esempi, in verso e in prosa, a dovizia. Dino Comp. Intell. Se noi passiam, parrà che noi faremo. Non dimandare agli uomini E se in Paradiso (XXVIII, 75) gli venner vedute delle sante creature, che rendevano somiglianza d'una schiera di volatili, la quale si faccia in aere or tonda, or lunga; essendo quivi non più che una Il Nostro, nell'Inferno (XVI, 122): similitudine, non torna da ciò più onore e che il tuo pensier sogna alla voce, di quello che s'abbia per sè Tosto convien che al tuo viso si scopra. medesima. Sicchè ci avvisa essere almen e in mille altri luoghi. CANTO IV. Primo cerchio, o il Limbo. Ruppemi l'alto sonno nella testa Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi, Dritto levato, e fiso riguardai, Per conoscer lo loco dov' io fossi. Che tuono accoglie d'infiniti guai. Tanto, che per ficcar lo viso al fondo, 7 seg. Virgilio assai più minutamente, nè però con maggior potenza d'espressione, En. VI, 273, dice: Vestibulum ante ipsum, primisque in faucibus Sul primo entrar della città dolente Stanno il pianto, le cure e la follia Che salta è nulla vede e nulla sente. Evvi il turpe Bisogno e la restia e Inerzia colle man sotto le ascelle E la Discordia pazza, il capo avvolta 5 10 15 sione più spaventevole, ed in un motto riciso: tuono d'infiniti guai. La narrazione è posteriore alla Visione; ma il Poeta segue l'ordine progressivo e naturale delle sue impressioni. 10 seg. Come dunque giudicarne della profondità? Risponderebbe il Poeta col verso precedente, che quella era la valle d'abisso dolorosa: Che tuono accoglie d'infiniti guai. Con l'esperienza giudichiamo abitualmente della distanza de' luoghi, onde parte una voce, un suono, lo scoppio d'un archibugio ec. che viene a percuotere il senso dell'udito. Così Dante stesso, Inf. XXXIV, 129, dice: Luogo è laggiù da Belzebù rimoto Tanto, quanto la tomba si distende, 15. Virgilio così a Dante. Il nostro Poeta riconosce il primato che il vate latino aveva sopra di lui, ed usò a un di presso la locuzione simile a quella di Dameta, che donando la sua cornamusa a Coridone gli dice (Eclog. II, 38): Te nunc habet ista secundum. |