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al primo de' quali pare sia piaciuto di prenderla per semplice segno di vocazione. La forza invero della sclamazione sta in gran parte nella forma dell'ottativo Me foste state.

SOVRA TUTTE, suppl. le plebi; e per queste non son da prendere quelle soltanto, che stanno laggiù. Il Landino ci pare che la intenda arcibenissimo, chiosando egli: Sopra tutti gli altri uomini, ancora sopra quegli che sono negli altri cerchi. Nè è da credere che il Poeta parlando de' traditori defonti non abbia avuto la mente anche a quelli che ci vivono, e che non gli abbia considerati in genere come la più vile di tutte le plebi; massime che vi ha traditore, che (Inf. XXXIII, 155, segg.):

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- Ma

In anima in Cocito già si bagna, Ed in corpo par vivo ancor di sopra. MAL CREATA: mal nata, cioè, nata per tua sventura (Inf.V,7; XVIII, 76; XXX, 48). Infelicemente creata. Land. ledetta. Barg. Infelice, sciagurala. Volpi.- Sciagurata. Lomb.-Nata per tuo male, e perciò sciagurata. Biag. Disgraziata. Bianchi. Ad istrigare il testo secondo la sentenza ch'esso porta, facciamo che lo chiosi Dante stesso con le sue parole. MAL CREATA: Mal naturata. Nel comento alla Canzone sulla nobiltà, il Poeta scrive: Ahi malestrui (a) e malnati, che disertate vedove, che rapite alli men possenti, che furate ed occupate l'altrui ragioni ec. Ora cotali sono i traditori, sempre di natura vilissimi, a qualunque grado che gli giri la ruota della fortuna: e di ragione sempremai plebe, anzi la peggiore di tutte le plebi,secondo che il Poeta non dà nobiltà che ai soli valorosi; e tanta ne toglie altrui, quanto si è men perfetto naturalmente, e meno disposto nell'animo a ricevere da Dio la grazia delle virtù intel: lettuali e morali. Onde siccome i ribaldi traditori sono, perchè più rei, nel più basso luogo d'Inferno: così son detti sovra le altre malcreata plebe; perchè di tutti più imperfetti e di più malvagia natura. Questa sentenza è ribadita dalle

(a) « Quasi male istruiti, male educati ». Il Chiosatore.-E forse meglio: Fatti, generati in mal punto, procreati sotto malo astro, ovvero sotto l'influsso di maligna stella.

seguenti parole, che si leggono nel Convito per comento sulla Canzone della Nobiltà; la quale comprende (osiamo dirlo a chi vi rifletta seriamente) il cardine intorno al quale si gira l'idea morale di tutta quanta la Divina Commedia.

Nobile è

MAL CREATA PLEBE. «È da sapere che la viltà di ciascuna cosa dalla imperfezione di quella si prende, e così la nobiltà dalla perfezione; onde tanto quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile:quanto imperfetta, tanto vile (b).— Nobiltà s' intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa (c). quasi non vile (d).- Nobiltà comprende ogni virtù, siccome cagione effetto (e).E gentilezza dovunque virtute.-La nobillà, è cielo, nel quale molte e diverse stelle rilucono: riluce in essa le intellettuali e le morali virtù: riluce in essa le buone disposizioni da natura date,cioè pietà e religione: le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte..... Sicchè non dica quelli degli Uberti di Firenze, nè quelli de' Visconti di Melano: perchè io sono di cotale schiatta, io sono nobile; che il divino seme non cade in ischiatta, cioè in istirpe,ma cade nelle singolari persone nobili... Poi quando dice: Che solo Dio all' anima la dona; ragione è del suscettivo, cioè del suggetto, dove questo divino dono discende... Dico adunque,che Iddio solo porge questa grazia all' anima di quelli, cui vede stare perfettamente nella sua persona,acconcio e disposto a questo divino dono ricevere (f)».- Quelli in cui non rilucono queste buone disposizioni naturali sono dunque per Dante gl'ignobili e i mal creati. Questo si accorda assai bene con quel che altrove si dice, che ne' cor gentili s'apprende amore; mentre la ghiaccia del pozzo infernale è misera stanza alla fiera, selvaggia e vile plebe de' traditori. Dippiù, i comentatori che spongono mal creata plebe per torma o gente sciagurata, disgraziata, infelice, non si sono accorti, che il Poeta non intese chiamare sciagurati i traditori, per senso di pie

(b) Conv. pag. 183. Ven. 1758. A. Zatta.
(c) Conv. pag. 200.
(d) Conv. pag. 201.
(e) Conv. pag. 204.

(f) Conv. pag. 205 segg.

Me' foste state qui pecore o zebe!

tà che di cotestoro egli avesse colaggiù, dove:

...

vive la pietà quando è ben morta; ma volle con quest'apostrofe far loro una delle sue più acerbe invettive.

PLEBE ha dunque più peso, che non portano le voci torma, mollitudine,gente ec. per le quali la credettero spiegare il chiosatote Cassinese, il Lombardi, il Biagioli ec. Questo molto qui adoperato chiude in sè la sintesi degli elementi, che fanno tutto intero il morale sistema generato nella mente dell' Alighieri, e dominante per tutta la Divina Commedia. ONDE: del quale luogo.

PARLARE DURO. Simigliantemente (Inf. I):

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non accorda con plebi sottinteso,ma con pecore o zebe; e ciò per un modo dell'attrazion greca, la quale avvicina l'elemento copulativo della proposizione più all'attributo, che al subietto (Inf. VI,36; VIII, 78). Ancora, l'accordo potrebbe esservi fatto col soggetto voi, che invece di qui hanno in questo luogo alcuni testi, come notò il Witte. Ma noi non ci gloriamo di pedanteria.

Qui: in questo mondo. Al. lez. voi.

PECORE O ZEBE: « Que' miseri avrebbero di bel patto ricevuto d'essere mutati in qual si è più sozzo e vile animale ». Lo dice Antonio Cesari; ma non sappiamo se a questo patto si sarebbero accomodati que'superbi e rei traditori. Nè altro dice il Poeta; se non che a lui pareva che, a rispetto di quelle pene ch'ei portavano in eterno, sarebbe stato lor meglio di nascere pecore o zebe.

Ahi quanto a dir qual'era è cosa dura Questa selva selvaggia ed aspra e forte! 15. ME' FOSTE STATE ec.: « Voi FOSTE, voi sareste qui MEI, cioè meglio pecore O ZEBE O capre, che uomini ec.». Barg.« Ellissi, insieme e sintesi: ellissi peroc- PECORE. Ci piace qui osservare che il chè dicesi me' foste state, invece di me' nostro Poeta dove, nel Convito, ragiona sarebbe che foste state; sintesi, pel nume- della cechità di discrezione di quegli ro plurale invece del singolare, che richie- uomini volgari, che non acquistano l'aderebbesi la mal creata plebe ». Lomb. bito di virtude sì morale, come intellel— Il Venturi, e il Biagioli più volentieri tuale, scrive: Questi son da chiamare che ogni altro, ricolmano il vuoto della PECORE e non uomini, che se una pecocreduta ellissi così: «Meglio era,o sareb- ra si giltasse da una ripa di mille pasbe stato per voi... se foste state...peco- si, tutte l'altre l'andrebbono dietro: e re o capre». Di Giuda traditore disse una pecora per alcuna cagione, al se già Cristo... Bonum erat ei, si natus passare da una strada, salta,tulle l'alnon fuisset homo ille. Questo motto si tre saltano,eziandio nulla veggendo da rassomiglia nella sentenza alla frase Dan- saltare. E i'ne vidi giù molle in uno tesca, e però ce 'l ricordano a questo pozzo saltare, per una che dentro vi luogo, l'un dopo l'altro, il Vellutello, il saltò, forse credendo saltare uno muro; Venturi,il Lombardi,il Biagioli e il Tom- non ostante che 'l pastore, piangendo e maseo. Dimanderemmo, se la lingua ita- gridando, colle braccia e col petto diliana avesse o no, come la madre sua,la nanzi si parava. E però chi dalla forma dell'ottativo, senza bisogno di ricor- ragione si parle, e usa pur (solo) la rere ai parlari ellittici che qui si raffaz parte sensitiva, non vive uomo, ma vizonano da questi dotti comentatori. Oltre ve bestia.....,asino vive direttamente,diche in questo passo la voluta figura gram- co, perocchè il pensiero è proprio atto maticale sarebbe inetta e strana; il modo della ragione, perchè le bestie non pendesiderativo suppone, più che la sola sano, che non l'hanno; e non dico pur sentenza, un affetto ch'è ben naturale al- delle minori bestie, ma di quelle, che l'animo concitato del Poeta. Quanto al hanno apparenza umana, e spirito di restante, vada pure la sintesi o la silles- pecora, o d'allra bestia abbominevole. si; se non che diciamo che plebe come In questo luogo del Poema è come se nome collettivo chiama a sè naturalmen- l'autore dir voglia: Giacchè viveste da te il numero de' più; e che foste state pecore e da bestie vili;deh piaciuto fos

Come noi fummo giù nel pozzo scuro
Sotto i piè del Gigante, assai più bassi,
Ed io mirava ancora all'alto muro,
Dicere udi' mi: guarda come passi;
Va sì, che tu non calchi con le piante

se al cielo, per lo vostro migliore, che bestie affatto e non uomini foste pur nati!

ZEBE: capre. « Chiamò le capre zebe, perchè così le chiamano i pastori nostri ». Landino.-ZEBE. i. capre sic dicte a zebello, zebellas, quod idem est quod salto, saltas. Chiose sincr. del Cassin.-E Jac. dalla Lana: ZEBE sono li capretti saltanti; e sono detti zebe, perchè vanno zebellando, cioè saltando. Il Gherardini registra Zebellare in sentimento di Saltare (a). ZEBA, la capra. Voce per certo derivata dalla forma bassa e plebea all. ZIBBE, di cui si valgono i

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contadini invece di ziɛGHɛ. Blanc. In ebr. zeb, lupo; tzaphir, becco; hez, capra; tzebi, capra e capriuolo. Arab. zebi e zebe,capriuolo,zoebjet, pecora.Nel dialetto Bresciano:zaver,caprone ec. Il Vossio: Leve... discrimen, inter caPer et tsapir vel TSAPER; e trae la voce, anzicchè da carpere, da vocabolo ebraico, che vale edere, vorare.

17. SOTTO I PIÈ ec. Ciò mostra che il fondo del pozzo pende, e va digradando, e restringendosi, a mo' di pevera o imbuto, sicchè s'appunti al centro dov'è fitto Lucifero; imperocchè posati appena da Anteo, o iti pochi passi, trovaronsi già i Poeti scesi assai più in giù da' piè del gigante.

18. MIRAVA ANCORA ec.Non si vede qui col Biagioli l'effetto della curiosità; ma la continuazione di quella maraviglia mista alla paura, che nacque,e durò nell'animo del Poeta, mentre fu egli preso e posato. In quel che paventava del gigante, misurava con l'occhio l'altezza della proda; e come quegli si chinò e rifece diritto, quasi in un punto; avvenne che il Poeta era già nel pozzo, e alle mura di quello teneva ancora fisso lo

(a) Voci e maniere di dire italiane additate ai futuri vocabolaristi. Milano 1840. Per Gio. Bat. Bianchi.

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sguardo. Se ci si nega tale continuità, diremo piuttosto, che Dante messo giù in quel fondo, levò gli occhi a guardare l'iterior parete del pozzo, non per semplice curiosità, ma per volere meglio esser certo s'egli stesse fuori del passato periglio: così uscito della Selva:

Si volse indietro a rimirar lo passo, Di che stimiamo esser cagione non la cuChe non lasciò giammai persona viva. riosità, ma un naturale istinto che fa oscillare lo spirito tra il contento del cansato pericolo, e il timore, che per qualche istante ci contende il tenere per fermo l'ottenuta salvezza, e fa dubitare della stessa realtà.

Dall' animo del Poeta ci avvisa dovere escludere cotesta curiosità e vana vaghezza, con tanto più di ragione, che il mirare alle mura del pozzo, il rimirar lo passo,il volgersi e guatare all'acqua perigliosa ec. son frasi allegoriche al viaggiator penitente, il quale torna col pensiero al male della colpa aborrita, alla fossa ov'era caduto, foveam in quam cecidit; e vestono a colori di poetica luce le sentenze bibliche: Recogitabo tibi omnes annos meos in amaritudine animae meae. David. Memento... unde excideris, et age poenitentiam. Ap.

il

19-21. GUARDA COME PASSI. Così udì

Poeta dirsegli da un'anima che temea forse non venisse calpesta da lui, che vi andava col peso del corpo (Lomb.); o perchè vedealo distratto guardare alle pareti del pozzo, e per poco riguardo avrebbe in camminando potuto anche involontariamente offenderla (Biag.); ovvero per l'una e l'altra ragione insieme; che andava alienato, e che avea le calcagna di polpe e di ossa. Il Tommaseo pensa che Dante si credesse quivi, come altrove (Inf. XXVII, 25 ; XXXIII, 11) un peccatore morto e caduto nel cieco mondo. E invero non è concepibile come uno spirito potesse venire calcato dai piè d'un vivo. L'anima che grida:

Le teste de' fratei miseri lassi.
Perch' io mi volsi, e vidimi davante

E sotto i piedi un lago, che per gielo
Avea di vetro e non d'acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo

GUARDA COME PASSI, non dee dunque te-
mere,se non che d'un atto di disprezzo,
che pesa eziandio ai vili. E in queste pa-
role orribilmente pietose è un documen-
to contro la superbia, porto da chi per
traditore giace sepolto nella fossa del
superbo Lucifero. Nè mancava per Dan-
te che calpestasse le teste di questi vili,
più volentieri che non fece agli abjetti
golosi;de' quali scrive (Inf. VI,34,segg.):
Noi passavam su per l'ombre che adona

La greve pioggia, e ponavam le piante
Sopra lor vanità che par persona.
Al. lez. Fa si ec.

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21. FRATEI: Son detti, secondo alcuni, o rispetto a Dante, come individui dell' uman genere; o chi parla intende dire di sè e di suo fratello, ch'erano i due fitti nella ghiaccia (vv. 55-60), e primi al rischio di essere pesti (v. 41, seg.), come col Vellutello intendono Vent., Lomb., Biag., Ces., Bianchi ec.; ovvero: «Lo crede un dannalo, come altri altrove » Tommasco: cioè Della medesima quasi confraternita e com pagnia di delilli e di pene. Venturi. . Questa opinione non pare nè strana, nè indegna d'essere favorita dal Tommaseo: perciocchè la Divina Commedia, essendo polisensa, può ammetter l'una e l'altra interpretazione, e con la comune accordarsi eziandio bene quest'ultima;la quale,mentre ha più di bellezza poetica,non lascia di essere ancor vera; in quanto che Dante ci si volle egli stesso presentare come traditore di Beatrice; e costei (Purg. XXX, 124 segg.) gliene fa rimprovero, dicendo:

Si tosto come in su la soglia fui

Di mia seconda etade, e mutai vita, Questi si tolse a me, e diessi altrui. Tanto giù cadde, che tutti argomenti Alla salute sua eran già corti, Fuor che mostrargli le perdute genti. 23 seg. UN LAGO: Cocito. Qui si vede qual sia questo stagno: di che acque si faccia è altrove (Inf. XIV, 103-120) mirabilmente descritto.

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23-24. PER GIELO AVEA DI VETRO ec. Per esser ghiacciato da algente freddo, rendea simiglianza di vetro.-PER GIELo: per cagion del gielo. « Di questa voce gelo in significato puramente di ghiaccio fa di mestiere servirsene con discretezza ed in luogo opportuno e con giudizio ». Redi Lett. Gelo è propr. eccesso di freddo, contrario a calore. Dante qui (Vedi anche v. 47) con molta proprietà accenna la cagione onde fossero le acque di quello stagno rapprese e agghiacciate (Inf. XXXIV, 46-52).

-

AVEA DI VETRO... SEMBIANZA. Rim. Canz. X:

La terra fa un suol che par di smalto, E l'acqua morta si converte in vetro Per la freddura che di fuor la serra. Nel C. XXXIII, le lagrime raggelate son dette (v. 98) visiere di cristallo, (v. 128) invetriate lagrime.Tanto è naturale la simiglianza che si pone tra il ghiaccio e il vetro! I Greci dissero Crystallos a ciò che i Latini nomarono glacies.-Germ. glass, vetro; Franc. glace, cristallo. Dial. calabr. Chiatru, ghiaccio; gr. K0px, invetriata.

25-30. In sent. Il ghiaccio di Cocilo era più solido, che non quello della Danoia e del Tanai: e se vi fossero su caduti degli alli monti, non lo avrebbero, nonchè rollo, ma nemmanco screpolato o fatto incrinare dall'orlo.

25. AL CORSO... VELO: perchè il ghiaccio di que' fiumi vela e copre il restante dell'acqua, che sotto la crosta gelata fa il suo corso.

VELO. Duri veli (v. 112). La terra fe del mar velo (XXXIV, 123). Virg. Georg. III, 360 segg.:

Concrescunt subitae currenti in flumine crustae,
Undaque jam tergo ferratos sustinet orbes,(stris.
Puppibus illa prius, patulis nunc hospita plau-

Sagg. nat. esp., 171: Questa verisimilmente non fu altro che acqua... rimasta presa tra essa crosta e quel primo velo che di lei fece il freddo nel cominciare ad agghiacciarla.

Di verno la Danoia in Austericch, Nè 'l Tanai là sotto 'l freddo cielo,

26. DI VERNO... IN AUSTERICCH: due condizioni necessarie a significare il tempo e il luogo, cioè di che stagione e sotto qual clima ghiacci il Danubio: fiume che nel suo lunghissimo corso attraversa regioni assai più meridionali come s'appressa alle foci, che non son quelle più prossime alla sorgente.

Var. D'inverno ediz. di Jesi: lez. prescelta dal Witte L'inverno, Cod. del Bocc., e Cod. di Berlino (Bibl. Real.). LA DANOIA. Dal lat. Danubius, si fece Danubio, Danuvio, Danuio, Danoio; e quindi Danubia (ch'è nelle Varior. del Witte), e Danoia; siccome di molti altri nomi maschili venutici dalla seconda dei latini: quali Arpina, Brandizia, Salerna ec. per Arpino, Brandizio, Salerno cc.;e se ne ha esempi in solenni scrittori.Trovasi il Danoia ne' vecchi comen

ti a questo verso; ma gli antichi fecero femminine coteste voci. Anche noi diciamo la Volga. Quando più piacesse dire il Danoia, il Volga, vi si sottintenderebbe il nome generico fiume.

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AUSTERICCH: Austria.- Var. Osterlicchi, i Cod. Filipp.; Cassin.; di S. Croce; l'ediz. di Fol.; di Nap. Osterlichi, ediz. di Jesi. Osteric prescegliesi dal Witte, le cui Varior. hanno Osterlecchi; Estrelicchi; ver Strillicchi-Ostericchi, il Cod. di Berl., l'ediz. Fulgon., e della Minerva. · Osterichi, l'ediz. di Mant.Auscericchi,il Cod. Riccard. n.o 1028.La nostra lezione è quella delle ediz.del Burgofr., Ven. 1529; della Rovilliana, Lion. 1551; della 1a Sansov., Ven. 1564; del testo Zatta, Ven. 1757; dell' Aldina (1514): adottata dal Vent., dal Biag., da G. B. Nicc., dal Bianchi e da altri.-Austrelicchi il Bargigi Austericchi, la Cr., il Land. il Vellut., Daniello da Lucca, il Dionisi, il Costa, il Viviani, il Foscolo, l'Antico, l'Aldina (1503) ec. Osterricchi la Nidob. e il Lombardi. Ostericch con alcuni MSS. il Tommaseo. Quindi si vede quanto malagevol fosse il giudicare della genuina lezione. Perciocchè sulla fede di alcuni testi, al

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tri pretendono che Dante cansasse le voci di tronca desinenza, secondo il precetto Oraziano, che le parole strane,ove faccia mestieri, voglionsi recare parce detorta nella nostra favella: altri, al contrario, pensano che il Poeta ponesse a bello studio coteste rime tronche; essendo aspre e chiocce com' ei le voleva, formando una onomatopea più che mai espressiva del suono vero e naturale del vetro o del ghiaccio che si fende, e delsiffatte sono convenienti alla imagine che la crudezza del raggelato stagno. Parole si vuol dipinta. Delle voci imitative del suono furon vaghi i più eccellenti poeti.A lungo menerebbeci il volere annoverarTich, lach, toch; (Ivi IV, 3): Ticch,tacch; ne gli esempi.-II Lasca (Pinzoch.III,8): Diavol ch'ell'oda? tacch, ticch, tocchec. per esprimere al naturale i picchi all' uscio. Il Doni, Stufaiuolo I, 4: Tic, tac, o maestro.... aprite. Id. III, 2: Tic, loc, tac. Plauto. Persa, II, 3, 12:

Tax, tax tergo meo erit, non curo. Ennio spresse il suono della tromba con la voce taralantara; il greco Aristofane pose il coax, coax delle rane e 'l cra de' corvi. Il nostro Lucrezio imitò il bau, bau de' cani col verbo baubari. Nec stloppo tumidas intendis rumpere buccas. Persio lo scoppio delle gote gonfie (Sat.V):

Il Buonarroti nella sua Fiera significò il suono del violino e della cetra, per le voci lirun, lirun e zon, zon; e al Nostro non parve che il verso (Par. X, 143):

Tin tin sonando con sì dolce nota ec.

fosse indegno di stare tra i più melodiosi del suo Paradiso.

27. TANAI. Lat. Tanais, Tana, oggi Don, gran fiume della Moscovia, il quale mette nel Mare d'Azof o palude Meotide. Virg. Georg. IV, 517 seq.: ...Hyperboreas glacies, Tanaimque nivalem, Arvaque riphacis numquam viduata pruinis ec.

SOTTO'L FREDDO CIELO: Sotto 'l freddo aere. Perchè in tal regione poco vi ponno i raggi del sole. Vellut. «Non è riempitura là sotto il freddo cielo; ma denota la parte più settentrionale, lad

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