Page images
PDF
EPUB

Senza la testa, uscia fuor della grotta.
O tu, che nella fortunata valle,

trenta palmi, come disse più sopra. La
favola gli dà braccia quaranta. Ricor-
diamo però che i trenta palmi son dati a
Nembrot, ed osserviamo che il Vellutel-
lo (Descriz. dell' Inf.) calcola il braccio
per meno che di tre palmi: A voler che
la statura di questi due giganti (Nem-
brot ed Anteo) fosse una medesima, bi-
sogneria che ognuna de le 5 ale, con
le quali Anteo, senza la testa usciva
fuori de la grotta, fosse 6 gran palmi,
perchè 5 volle 6 fa 30. Ma perchè sap-
piamo non trovarsi ale che sieno a pe-
na 6 piccioli non che 6 gran palmi,
però intenderemo, che Anteo sia di sta-
tura inferiore a Nembrotto ec. Secondo
il computo del dotto P. G. Antonelli:
«L'Alla che credesi l'aune di Parigi, è
braccia Fiorentine 2,063. Dunque tren-
ta palmi, anco de' minimi, sarebbe più
che undici braccia; cinque alle, appena
dieci: dunque Nembrotte più grande di
Anteo ». Dippiù: un' Alla è braccia fio-
rentine 2,063; Anteo era di 5×2,063
10,315 braccia: ed essendo il palmo ar-
chitettonico, ch' era il massimo, uguale
a 0,5104 d'un braccio, doveva e con-
verso un braccio esser minore di due
palmi: e braccia 10,315 poco più che
palmi 20, per la statura d'Anteo.Il Tom-
maseo lo fa più alto, che Dante nol vol-
le. E sebbene le favole dieno a questo
gigante 40 braccia (a); noi abbiamo ra-
gione, seguendo il concetto del Poeta,
di scorciare cotal misura (Vedi la nota
al v. 98, in fine).

=

Questo e il seguente verso intesi nel senso arguto dal Torricelli, adombrano un Guido dell'Antella, come accennammo a pag. 514, not. (a).

115

testa. SENZA val qui oltre, non compresa ec. come il praeter de' Latini.

GROTTA: è detto il pozzo, quasi profonda caverna. Anteo dicono vissuto negli antri: xpizzo tego, abscondo, diede origine alla voce latina crypta, grotta, caverna, e anche sepolcro; e di cotesti giganti è già detto per Ezechiele: Quorum data sunt sepulcra in novissimis lacis. (Vedi vv. 32-33, nota). Lago per sepolcro usa il Nostro, Salm. 7, st. 8, nel senso ovvio delle Sante Scritture. E oscura caverna chiama l'Inferno, Rim. son. XXII.

-

115. FORTUNATA:misera a Cartagine. Tommaseo.-Nel C.XXVIII,8: fortunata - FORTUterra per fortunosa ec. Vedi. NATA VALLE: Felice a Scipione perchè lo Intenfece reda di gloria. Landino. de fortunata rispetto a Scipione, per la conseguita vittoria in quella. Vellut. All'impresa però di Virgilio, di grattare con questa parlata le orecchie ad Anteo, per ottenerne il bramato favore, pare conduca meglio che FortuNATA intendasi o per essere stata condecorata da Anteo medesimo,o per l'uFORTUNATA: bertà del suolo. Lomb. fortunosa, dove ha giocato la sorte. Biag. Perchè in essa terra... la fortuna mostrò il suo potere, o perchè teatro di fortunose vicende. Bianchi. «Penso che si chiami fortunata la pianura di Zama, lungo il fiume Bagrada, ove la fortuna agitando maturava e risolveva i fati di Roma e di Cartagine ». Strocchi. Di rischio grande. Cesari.

[ocr errors]

VALLE; perchè Scipione s' accampò nella pianura di Zama presso il fiume 114. SENZA LA TESTA: senza contar la Bagrada (b), e Annibale occupò il monte di lungi a quattro miglia (c). V. nota seg.

(a) Plutarco, nella vita di Sertorio: « Quei di Libia raccontano che in questo luogo (Tingi) seppellito fu Anteo; ma Sertorio, non sapendo dar fede ai barbari intorno alla di lui grandezza, scavar ne fece il sepolcro; e trovato avendovi un corpo lungo, per quel che dicono, sessanta cubiti, sbalordito rimase, e, scannate vittime, vi accumulò sopra di bel nuovo il terreno, e ne accrebbe l'onore e la fama ». - Altri credono qui detto per isbaglio sessanta, invece di sei cubiti.

(b) Liv. Lib. XXX, cap. 19: Ad Bagradam flumen, unde castra Romana conspiciebantur.

(c) Liv. Lib. XXX, cap. 24: Scipio haud procul Nadagara urbe, tum ad caetera loco opportuno, tum quod aquatio intra teli coniectum erat, consedit. Annibal tumulum a quatuor millibus inde, tutum commodumque alioqui, nisi quod longinquae aquationis erat, cepit.

Che fece Scipion di gloria reda,
Quand' Annibal co' suoi diede le spalle,

116. FECE SCIPION DI GLORIA REDA.
Publio Scipione per la insigne vittoria
che sopra Annibale riportò in Zama,ven-
ne onorato del glorioso titolo di Africa-
no,che dipoi fu cognome della famiglia.
Scrivendo al Senato dice: Vinsi tutta l'A-
frica, non ne riportai che la gloria. Li-
vio (Lib. XXX, Cap. 36): Primus certe
hic imperator nomine victae ab se gen-
tis est nobilitatus: exemplo deinde hu-
ius,nequaquam victoria pares, insignes
imaginum titulos, claraque cognomina
familiae fecere (a). Lucano Phars. IV.:
Sed maiora dedit cognomina collibus istis,
Poenum qui Latiis revocavit ab arcibus hostem,
Scipio. Nam sedes Libyca tellure potito
Haec fuit. En veteris cernis vestigia valli.
Romana hos primum tenuit victoria campos.

E questa insigne vittoria, che rese immortale il nome di Scipione, fu divinamente ordinata, secondo gl'intendimenti del nostro Poeta, che la grandezza di Roma reputava provvidenziale all' impero del mondo. Così egli nel Convivio (b):E non pose Iddio le mani, quando per la guerra di Annibale, avendo perduti lanti cilladini, che tre moggia d'anella in Affrica erano portate, li Romani vollero abbandonare la terra, se quello benedetto Iscipione giovane non avesse impresa l'andata in Affrica per la sua franchezza?

detto la ereda e lo ereda. Gir. Be-
niv. rim.:

Già di tal fatto il tuo leone ereda ec.
E 'n preda

[ocr errors]

Han la tua vigna, che con tanto zelo
Piantasti sol per farne 'l cielo ereda.
Il Vill. Lib. IV, Cap. 21: Ella rimasa
ereda si deliberò di maritare.

Così Dante disse Duca per duce, e gli antichi usarono il duce e la duce, come Virg. scrisse dux foemina facti, parlando della Didone; e i nostri primi scrittori adoperarono il prenza, lo etera, lo aiera, il toraca ec. per il prenze, l'etere, l'aere, il torace ec. nonchè seta, nuba, froda, cota ec. per setè, nube, frode, cote, e mille altri.

REDA dicono tuttavia nel contado i To

scani; rede i calabresi al primo nato. Il Biondelli (c) ci apprende che ne' vari dialetti d'Italia ha un simile significato: nel Bresc. Rés, parto, bambino; V. T. Ràis, ragazzino, ed Eres, figlio maschio; Gael. Rais, germoglio, virgulto: secondo tali nozioni noi non saremmo alieni dal credere le parole del Poeta voler significare che la valle di Zama ha quasi dato alla luce e partorilo Scipione alla gloria.

117. ANNIBAL CO'SUOI DIEDE LE SPALLE: si volse in fuga. Lat. dare o vertedella frase, noi pensiamo che qui essa re terga. Avvegnacchè tale sia la forza valga il medesimo, che nel v. 7:

REDA: erede. Ereda hanno altri testi. Noi seguiamo la lezione delle quattro prime edizioni di Mantova, di Jesi, di Noi demmo il tergo al misero vallone. Foligno e di Napoli; del cod. Filipp., del Čassin., del Berlin. (Bibl. Real.), del il suo Duca si volgessero in fuga dall'ulDove il Poeta non vuol dire ch'egli e testo Bargigi,e di più moderne edizioni, tima bolgia, ma che si partivano da quelcome della Fulgoniana, della Miner-la. Che la gente d'Annibale fuggisse non va ec. ec. Anche perchè il Poeta usa questa voce altre volte. Purg. VII, 118; XIV, 90; XVIII, 135; XXXIII, 37; e Pa rad. XII, 66. EREDA O REDA è poi di comun genere, essendosi anticamente

(a) Toccando del trionfo avuto da questo sommo capitano, il grande storico dice (Lib. XXX, capo ult.): Pace terra marique parta.... Italiam,effusis non urbibus modo ad habendos honores, sed agrestium etiam turba obsidente vias, Romam pervenit, triumphoque omnium clarissimo est invectus.

(b) Venezia 1758, Zatta. Pag. 169.

v'ha dubbio, scrivendo Livio (Lib. XXX, Cap. 26): Multi circumventi in acie caesi, mulli per patentem circa campum fuga sparsi, tenente omnia equitatu, passim interierunt.Ma del sommo duce Cartaginese non si potria asserire tanta viltà. Egli si ritrasse del campo per savio consiglio, quando, adempiute tutte le parti di gran capitano, vide venirgli meno la speranza di superare il nemico:

(c) Dialetti Gallo celtici ec.

Recasti già mille lion per preda;

E che, se fossi stato all' alta guerra
De' tuoi fratelli, ancor par ch'e' si creda
Ch' avrebber vinto i figli della Terra;

Annibal cum paucis equitibus inter tumullum elapsus, Adrumetum perfugit, omnia et in praelio, et ante aciem, prius quam excederet pugna, expertus. Non è da confondere la prudenza con la viltà, nè credere che Dante tenesse per un dappoco convertito in fuga quell'Annibale, il cui senno e valore fece gran maraviglia allo stesso Scipione e agli altri uomini esperti della milizia: Confessione etiam Scipionis, omniumque peritorum militiae, illam laudem adeptus, singulari arle aciem eo die instruxisse.

118. RECASTI GIÀ ec.: CHE (v. 115) RECASTI GIÀ ec. Virgilio volge queste parole ad Anteo, per conciliarsene l'animo, lodandolo dalla forza in che superava gli stessi leoni, e faceane abbondantissima preda e pasto. Il Poeta ebbe l'occhio ai versi di Lucano (Phars. IV, 601 seq.), il quale dice di Anteo:

[ocr errors]

latuisse sub alta

Rupe ferunt, epulas raptos habuisse leones.

119-121. SE FOSSI STATO ALL' ALTA

GUERRA ec. Anteo non fu de' giganti che assaltarono il cielo (v. 101 nota). Virgilio, a farlo più mite, gli dice ora, che se stato vi fosse a quella guerra, avrebbero forse i mortali superati gli Dei.

119. ALTA GUERRA.A niun'altra meglio si converrebbe l'epiteto di alta, che alla guerra combattuta tra numi e giganti ; dove tutte furon messe in opera le forze del cielo e della terra; dove furono i monti gli strali e le bombe da una parte, dall' altra i tremendi fulmini di Giove; dove il possesso del reame celeste era il premio della vittoria. A noi pare di maggior valore l'alta guerra di Dante, che

non il bellum immane Deorum di Lucano (Phars. IX).

120. TUOI FRATELLI: gli altri giganti, perchè tutti quanti progenerati dalla Terra, loro madre comune.

120

ma par che si creda. Si mette in dubbio che pur potessero esser di quelli, che pensassero possibile la vittoria de' giganti. Nè altrimente dovea parlare Virgilio, che scrisse:

Hic genus antiquum Terrae, titania pubes Fulmine deiecti, fundo volvuntur in imo. e che con altri aurei suoi versi (vedi vv. 95, nota) accenna quanto agevol fosse a Giove il giganteo trionfo. Pure con questi luoghi oratori egli allenisce e si acquista l'animo del mostro uditore, e lo reca a far quello, di che sta per richiederlo (v. 122). Dante poi allude alle parole di Lucano:

Coeloque (Tellus) pepercit,

e

Quod non Phlegraeis Antaeum sustulit arvis. e ne mitiga l'esagerazione con quel par ch'e' si creda. Poeta Teologo concilia il bello delle favole col vero religioso, mai esser vinto. «< Quando un Poeta, è non pensa che il Sommo Giove potesse essenzialmente Cattolico, non crediamo che possa giammai mostrarsi essenzialmente pagano ». Così il Torricelli (a), assennandoci che Dante con arte finissima dice a Virgilio in riguardo alla discesa di Enea in Inferno, (C. II, 13): Tu dici; (ivi, v. 16 seq.): se... fu corlese; (ivi, v. 25): gli dài tu vanto; ma quando poi si viene a S. Paolo, francamente afferma (v. 28):

Andovvi poi lo Vas d'elezione.

124. I figli DELLA TERRA: i giganti ; come porta lo stesso nome 2i2s, quasi Lucan.Phars. IV: 242Evès, terrigena ec. Terra sui fetus. quoque tam vastas cumulavit munere vires

Hoc

[ocr errors]

Virgilio, Æn. VI, 580: Genus antiquum Terrae, titania pubes. —Ovidio, Met. I, 158:

Perfusam multo natorum sanguine Terram
Immaduisse ferunt.

Vedi la nota precedente.

(a) Studi sul Dante, Vol. 2, pag. 199. Nap.

PAR CH'E' SI CREDA. Non dice si crede, 1853.

Mettine giuso, e non ten venga schifo,
Dove Cocito la freddura serra.

Non ci far ire a Tizio, nè a Tifo:
Questi può dar di quel che qui si brama:

122-123. METTINE GIUSO ec. mettici, ponici giù, al fondo; là, Dove COCITO LA FREDDURA SERRA: dove il freddo stringe e congela Cocito, lago infernale, e fondo d'ogni reo (v. 102).

NON TEN VENGA SCHIFO: non avere a disdegno di ciò fare. Virgilio parla a un gigante, che di sua natura superbo, potea tenere in dispregio due pigmei, e come atto vile il chinarsi a render loro il servigio di che veniva richiesto. Non ti sdegnare, perchè noi siamo molto minor peso, che non si conviene alle tue braccia. Landino.

FREDDURA: freddo, siccome calura antic. per caldo, calore, caldezza; gelura per gelo ec. Guido delle Colonne: Amor non cura di far suoi dannaggi Che li coraggi mette in tal calura,

Che non pon rifreddar già per freddúra. Chiaro Davanzati:

Per lo caldo ho freddura.

Il Nostro, Rim. Canz. X:

La terra fa un suol che par di smalto,
E l'acqua morta si converte in vetro,
Per la freddura che di fuor la serra.

124-125. NON CI FAR IRE ec. Quasi dica, benchè questi due ci potrebbero por giù, nondimeno portaci tu, acciò che il grado sia tuo. Landino. Guadagna tu quest'obbligo da noi, perchè questi Può dar di quel che si brama qui, intendendo, come dirà di solto, della fama sua, la qual può rinovar al mondo. Vellut.

A TIZIO (a), NÈ A TIFO (b). In questa menzione è una memoria lusinghiera ad

(a) Tizio perchè tentò Latona fu saettato da Apollo. I poeti dicono che in Inferno ingombra egli col corpo disteso sette iugeri, e un avvoltoio gli rode il fegato che sempre rinasce a nuova pena. Vedi Virgilio,Æn. VI, 595 seq.-Ovid. Met. IV, 456 seq. ec.

(b) Tifo, detto anche Tifeo (Par. VIII, 70) fu gigante fulminato da Giove e sepolto nella Sicilia, per modo che la man destra sta sotto il promontorio di Peloro, la manca sotto Pachino, le piante gravate da Lilibeo, e il volto gli è premuto dall' Etna; ond' esala fumo e fiamme, che sono il fiato del superbo sempre acceso nel l'ira. Vedi Ovid. Met. V, 346-358.

125

Anteo; poichè Lucano lo dice più forte
di quelli due giganti:
Nec tam iusta fuit terrarum gloria Tiphon,
Aut Tityos.Briareusque ferox:coeloque pepercit,
Quod non Phlegraeis Antaeum sustulit arvis.
e Virgilio trae vantaggio anche da que-
sto, a rendere più efficace la sua diceria,
e recare il gigante al suo piacere.
125. QUESTI: Dante.

PUÒ DAR DI QUEL CHE QUI SI BRAMA: Può dar fama, che sola delle cose piacenti con effetto bramar si può qui nell'Inferno. Bargigi. Veramente anche un Ciacco prega che il Poeta lo rechi alla mente altrui (Inf. VI, 89). Pier delle Vigne (Inf. XIII, 76 segg.):

E se di voi alcun nel mondo riede,

Conforti la memoria mia, che giace Ancor del colpo che invidia le diede. Ser Brunetto (XV, 119):

Sieti raccomandato il mio Tesoro.

Dipoi in tutto l'Inferno trovi appena il Rusticucci (XVI, 85) che dice:

Fa che di noi alla gente favelle. e quel mal seme delle Fiorentine scissure, che (XXVIII, 106):

Gridò: Ricorderati anche del Mosca. I più famosi non chiedono al Poeta che rinfreschi nel mondo la loro memoria; nè Farinata, nè Ulisse, nè altrettali; perciocchè o son certi della loro rinomanza, o poco hanno in istima il bene della terra, poichè perduto ebber quello del cielo. Per l'opposta ragione troviamo che punto non curano di lor fama, coloro, che vissero nella sozzura delle usure, delle adulazioni e ruffianerie; nè i simoniaci, nè gl'indovini, nè i barattieri, nè gl'ipocriti, nè i ladri. Il Conte Guido da Montefeltro (XXVII, 66) avrebbe per tema d' infamia taciuto anche il suo nome, ove saputo avesse che il Poeta era per tornar vivo nel mondo: il simile de' seminatori di scisme e de' falsatori. Potremmo arguire per induzione che di là non si prendono la menoma briga di raccomandare sè alla memoria de' vivi, nè i più grandi, nè i più piccoli: non quelli,perchè non abbisognano d'altri che

Però ti china, e non torcer lo grifo.
Ancor ti può nel mondo render fama;

ristori la loro buona fama; non questi,
perchè sanno di essere sempre infami:e
che sebbene un'onorata rinomanza sia il
più nobile desiderio dell' uomo; pure i
sommi l'acquistano e non la cercano; i
vili non la curano; i mezzani vanamente
s'arrabattano di possederla. Non direbbe
perciò Virgilio:

Questi può dar di quel che qui si brama. intendendo che la rinomanza sia la sola cosa desiderata generalmente da tutti gli infernali. Oltracciò anche quelli, che non mostrano la menoma brama d' essere rammemorati nel mondo, s' appalesano però curiosi di saper delle cose di qua: come il Rusticucci che dimanda de' costumi di Firenze, Guido Montefeltrano che chiede saper dello stato de' Romagnoli ec. Sicchè quel che quivi si brama può essere anche l'aver novelle del dolce mondo. Il Torelli crede infatti che per questo verso si dica poter Dante satisfare a cotal vaghezza; e che nell' altro, 127:

Ancor ti può nel mondo render fama. si dica appunto, come per opera del Poeta poteva Anteo essere richiamato alla memoria degli uomini. Ma il dire assolutamente quel che qui si brama significherebbe allora qualche altra cosa di più conto che la rinomanza stessa, e bisognerebbe trovarla, ch'è impossibile; imperciocchè dov'è Nembrot e coloro che tentarono di salire al cielo, niente pare che potess' essere più desiderabile della fama. E se i due versi 125, 127 mirano a un punto, e la brama non è che di vivere ne' ricordi del secolo; bisognerà prender la voce ancor non in sentimento di oltre a ciò, dippiù ec.; ma di tuttavia, anche ora ec. significando che Dante, sendo ancor vivo, potea bene dare di quel che qui si brama: il che fa credere agevolissimo quello che Anteo non sarebbe potuto aspettarsi da un morto. Laonde noi pensiamo che il qui si BRAMA va inteso non già di tutto l'inferno, ma del solo pozzo e de' giganti che l'incoronano; perciocchè i costruttori della Torre vollero ottenere per quella la celebrità del loro nome (Gen. XI): Et

celebremus nomen nostrum ; e i Titani furono ancor più tracotanti. La superbia va in cerca di nominanza. La Genesi (VI, 4) li chiama Potentes a saeculo viri famosi. Anteo non è men superbo de-. gli altri suoi fratelli co' quali perciò torreggia; e S. Vittore scrive: Spiritus superbiae amor propriae laudis. Dando dunque al qui il senso restrittivo che noi diciamo, si schivano molte difficoltà nell'interpretazione del passo, e le parole del Poeta, che mai non gitta invano un monosillabo, esprimeranno un concetto egualmente sublime, che vero: perchè vi s'accenna IL FONDO D'OGNI REO, essendo la superbia principio d'ogni peccato e ogni peccato superbia.

126. NON TOrcer lo grifo: Non lor

cere il muso, quasi disdegnandoli di
fare quello che io ti dimando. Barg.-
Cotesto non s'accordando nè con le po-
tenti parole di Virgilio, nè con la pron-
tezza onde chinossi Anteo; crediamo che
significasse un atto di dispregio, che
questo Gigante fece in sentir nomare
Tizio e Tiro. La superbia, secondo che
dice Santo Agostino, èe levamento mor-
tale della mente, la quale suo pari e
suo minore hae in dispregio, e vuole
ai suoi maggiori signoreggiare. Bono
Giamb. Giard. di Consol.-Intanto par-
ve quell'atto sì brutto a Virgilio, ch'egli
non potè tenersi ch' ei nol dipignesse
per la frase torcer lo grifo, che si dice
proprio del porco, e non assimilasse al-
le bestie colui che avea per movimento
di superbia torto sozzamente il muso.-
GRIFO: Dopo lodatolo,e promessogli fa-
ma, acciocchè non sia adulazione, gli
dà della bestia; ed è perorazione infer-
nale. Come dire: non far lo sdegnoso;
che altri ci potrà rendere lo stesso ser-
vigio. Tommaseo.-Ser Brunetto Latini,
nel Tesoretto:

O s' hai tenuto a schifo
La gente, o torto il grifo.

127. RENDER FAMA. Rendere in com

penso del servigio prestato. A Pier delle Vigne Virgilio (Inf. XII, 52 segg.) dice:

Ma dilli chi tu fosti, sì che 'nvece

D'alcuna ammenda tua fama rinfreschi
Nel mondo su, dove tornar gli lece.

« PreviousContinue »