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D'una catena, che 'l teneva avvinto

Dal collo in giù, sì che 'n su lo scoperto
Si ravvolgeva infino al giro quinto.
Questo superbo voll' essere sperto
Di sua potenza contra 'l sommo Giove,

ne. Simili a questo sono i tramutamenti
che adduciamo dal Decamerone (Giorn.
VIII, nov. VIII, Titolo): L'altro...fa che
l'uno è serrato in una cassa..., l'altro
con la moglie dell'un si giace.—Il Ce-
sari dice che cotesto dire sente del pro-
prio. Noi non tanto per l'uso (che sarà
per avventura rifermato da ben pochi e-
sempi), quanto per la ideologia crediamo
che Dante, a scriver da suo pari, non
potesse dire nè altrimente, nè meglio.Im-
perocchè ALTRO val qui secondo (come
l'alter de' latini), e riferito a braccio di-
nota specchiatamente il sinistro, che
tien le seconde parti, e non le prime ri-
spetto al destro; avvegnacchè ottenga
qui il primo posto nell' ordine delle pa-
role, siccome apparve primo al Poeta,
nell'ordine delle percezioni. Dante segue
da sommo pittore la sintesi del pensiero;
e spesso le sue trasposizioni, che ai mi-
seri pedanti fan torcere il grifo, son del-
le bellezze, che non si aprono ai ciechi.

86-88. SUCCINTO... D'UNA CATENA. De

cevolmente ha legate ambo le braccia, l'uno dinanzi, e l'altro di dietro, acciocchè l'uno non possa dare aiuto all'altro. Barg. Ma non senza che il sinistro braccio va legato innanzi, piuttosto che il destro. Anche questa è imagine del sinistro uso fatto della forza (a). E invero le sante scritture non attribuiscono che alla diritta mano le opere buone. S. Matth., VI, 3: Te autem faciente eleemosynam, nescial sinistra tua quid faciat dextera tua. E al contrario ab antico alla mancina si dette sempre il biasimo dell'opre furtive. Catullo: Manu sinistra non belle uteris ec. Sicchè la mano che fu nascoso stromento di reità, si porta, in pena, succinta dinanzi. Ma se la destra di Fialte fosse simbolo di sua sterminata forza,e secondo il Salmo 143, v. 11, potesse dirsi di

(a) Tommaseo. Illustr. al fine del C. XXXI dell'Inf. pag. 458.

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lui: Dextera eorum dextera iniquitatis; il tenerla ora stretta al tergo dalle aspre ritorte, può anche significare che Dio reprime in senso contrario quella mano ch' erasi innanzi spinta alla violenza, e avendola in odio la vuol quasi rimossa dal suo e dall'altrui sguardo. Orazio (Lib. III, Od. IV):

iidem (Dii) odere vires Omne nefas animo moventes.

88-90. IL TENEVA AVVINTO ec. Sent. Una catena lo tenea legato dal collo in giù fino al ventre, cingnendolo cinque volle; avvolgendoglisi con cinque giri, o dandogli cinque volle intorno; sicchè con essa era egli bene assicurato, nè potea dare un crollo. Oto fratello ad Efialte: Vinctus sedet immanis serpentibus Othos (b).

89. IN SU LO SCOPERTO: sopra la parte scoperta; nel corpo che riusciva sulla proda del pozzo.

91-92. VOLL'essere sperto ec.: volle

sperimentare la sua potenza; volle far pruova di sua forza, (come il Poeta spiega, v. 94) contro Giove. Aloèo figlio

di Titano e della Terra ebbe da Ifimelia Efialte ed Oto. Altra favola li fa nati ba

stardi di Nettuno e d'Ifimelia, moglie di
Aloèo (c). Cotesti aloidi crescevano nove
dita ogni mese, ed Omero li fa alti nove
passi. Virgilio (En. VI, 582 seq.) gli
pone nel Tartaro:

Hic et Aloidas geminos, immania vidi (lum
Corpora,qui manibus magnum rescindere coe-
Aggressi superisque Jovem detrudere regnis.

ESSERE SPERTO, ci pare che ritragga della forma latina, che ha il deponente

(b) Nel poemetto detto Culex, attribuito a Virgilio.

(c) Acciocchè sempre i giganti sieno prole illegittima, e forse per accennare a qualche antica storia di navigatori prepotenti e scuotitori della terra, come Nettuno fa col tridente. Tommaseo.-Sono figliuoli di Nettuno, perchè gravi movimenti, e gravi tempeste commovono i superbi, come Nettuno, cioè, il mare le commove. Landino.

Disse 'l mio Duca, ond' egli ha cotal merto.
Fialte ha nome; e fece le gran prove

Quando i giganti fer paura ai Dei:
Le braccia ch' ei menò giammai non move.
Ed io a lui: s'esser puote, i' vorrei
Che dello smisurato Briareo ·
Esperienza avesser gli occhi miei.

Experiri ne' tempi composti; e che tan-
to vaglia, quanto voluit se expertum es-
se, cioè averne una pruova di fatto.

92. IL SOMMO GIOVE s'intende quello stesso, del quale si dice (Purg. VI, 118 seg.):

o sommo Giove,

Che fosti in terra per noi crucifisso. I giganti pugnano col vero Dio, e son da lui consunti; i miti, nel fondo, son veli della storia e simbolo di verità.

93. HA COTAL MERTO: è si punito: quasi dica la sua superbia qui s'ebbe il meritato guiderdone, quello d' esser sì avvinto da catene (v. 96) ec. - MERTO: merilo, ciò che uno si merita del suo fatto; qui per meritata pena, o, come dice il Cesari, aggiustata mercede. (V. Meritum nel Forcell.). Il Nostro usa altrove perverso merto per demerito o colpa (v. 6, nota).

94. FIALTE. Vedi le note ai vv.91-92, ed al v. 84 (a).

FECE LE GRAN PROVE: mostrò di quanta forza egli fosse, addossando monti a monti per assalire Giove; pose tutta la sua forza. Più sopra (v. 91 seg.): Voll'essere sperto Di sua potenza ec.

(a) « Efialte valeva l'incubo, secondo l'origine della voce saltare sopra (Macrob. I, in Som. Scip.); e Giuseppe Ebreo e Agostino attestano la tradizione che da demone incubo o succubo sotto certa costellazione nascano corpi giganti. (Anche nella Somma). Tommaseo ». Virgilio (Georg. I, 176 seq.) enumera i giorni buoni e cattivi alle piantagioni e alle semine. Nel quinto furon generati Pluto e le Eumenidi; nel quinto ancora:

Partu Terra nefando (phoea, Cocumque, Japetumque creat, saevumque TyEt coniuratos coelum rescindere fratres.

Gli antichi faceano l'oroscopo de' nati: dei giganti cercarono conoscere in qual punto della stella ei si venissero ad infestare il mondo.Forse vani eran cotesti calcoli: ma secondo noi nou vano sarebbe l'osservare e notare almeno il luo

go e il seme di lor semenza e di lor nascimenti.

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95. QUANDO ec. Nella pugna di Flegra (Inf. XIV, 58).

FER PAURA ec. Ovid. Coelitibus fecis-
Orazio:

se metum.

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Magnum illa terrorem intulerat Jovi Fidens, iuventus horrida brachiis, Fratresque tendentes opaco Pelion imposuisse Olympo. Vedi vv. 32-33, nota. (Georg. I, 281 seq.):

E Virgilio

Ter sunt conati imponere Pelio Ossam
Scilicet, atque Ossae frondosum involvere 0-
(lympum:
Ter pater extructos disiecit fulmine montes.

Il tardo andamento de' primi due versi, la faticosa pronunzia delle vocali senza elisione, voci e numero, fanno una mirabile e viva dipintura degli sforzi di que' giganti: la rapidità poi del terzo, accenna la facil vittoria di Giove.

96. LE BRACCIA ec. Int. ha finito per sempre di combattere; la forza ch' egli no; se in vita mosse, ed agitò troppo le abusò nel tempo, gli è repressa in eterbraccia in altrui danno, qui gli son legate eternamente. Psalm. XXVIII, 4: Secundum opera manuum eorum tribue illis. E la forza ond' altri oppresse, lui stesso non potè francheggiare dal meritato gastigo.Ps.XLIII, 4: Brachium eorum non salvavit eos. Ed è notevole come si nomini, quasi a bello studio, più volte braccia (v. 48, 87, 95), alludendosi all'Oraziano iuventus horrida brachiis, cui forse ebbe l'occhio il Poeta. A questo verso odi il Cesari esclamare: 0 verso, che vali mille! e concetto, che centomila! e merto ben degno! Il Bargigi: Congrua pena è che in quella cosa più sia umiliato l'uomo,nella quale più si è insuperbito.

97-99. I' VORREI CHE ec.: Sarei vago di veder Briareo che, come dice la fama, era cento volle più allo d'un uomo ordinario,e tenea cinquanta capi e cen

Ond' ei rispose: tu vedrai Anteo
Presso di qui, che parla, ed è disciolto;

to braccia. Virgilio avealo già nell'Enei-
de (Lib. X, 564 seq.) stupendamente
descritto:

Aegaeon (a) qualis, centum cui brachia dicunt, Centenasque manus;quinquaginta oribus ignem Pectoribusque arsisse, Jovis quum fulmina contra Tot paribus streperet clypeis, tot stringeret enses. Il Tasso (Ger. XVIII, 35 e 36) descrivendo le trasformazioni di Armida che dal mirto apparisce a Rinaldo, dice:

Crebbe in gigante altissimo, e si feo Con cento armate braccia un Briareo. Cinquanta spade impugna, e con cinquanta Scudi risuona, e minacciando freme. 98. SMISURATO BRIAREO. Nota il P.Cesari come questo verso mostri soverchiar la misura. Il metro stesso che ci forza di pronunziarlo sillaba per sillaba senza nessuna elisione, cel fa parer lungo lungo conforme allo smisurato Briareo. Questo nome si crede fatto da pi valde e apys Mars, o da Epiz robustus sum. Efialte è maggior di Nembrotte, e questi più grande d' Anteo: più alto di essi è Briarco, che Virgilio chiama smisurato. Or la maggiore altezza qui è simbolo di superbia: le misure, adunque, che il Poeta ci accenna, rispondono al suo concetto; e contengono la ragione ond'egli fa Anteo men degli altri punito, e degno a cui parli il savio Duca,e commetta l'officio di torre in braccio lui e l'alunno in un fascio, e calarli nel pozzo.

99. ESPERIENZA AVESSER ec. Di ciò che per altri si dice noi abbiamo esperienza, quando ci sarem fatti certi co' propri sensi. Dante volea veder con gli occhi suoi quello che intorno alle mostruose, terribili forme del gigante Briareo, avea già letto nelle storie favolose e ne' poeti. 100. TU VEDRAI ANTEO. Virgilio svoglia Dante dal veder Briareo, e gli dice

(a) Altrove (En. VI, 287) è chiamato centumgeminus Briareus e posto in sull'ingresso delPorco, tra le mostruose ombre infernali. Egeone fu nome impostoli dagli uomini, Briareo dagli Dei, secondo il Landino. Omero lo appella Egeone, ma lo rappresenta qual difensore di Giove contro Pallade, Giunone e Nettuno. Questo nome doppio: « attesta doppia lingua, cioè guerra di nazione o di razza, guerra simboleggiata dal contendere degli uomini contro gli Dei. Tommaseo ».

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che appresso non lungi da Efialte vedrebbe invece Anteo.

101. Che parla ed è disciolto. Tutto al contrario di Nembrot, il quale non parla, ma suona il corno, o manda voci bestiali vuote di senso; è disciolto al contrario di Fialte, che dal collo all'ombelico è stretto da dura catena. Il Rossetti dà un senso politico, o vogliam dire allegorico civico, a queste voci parla e disciolto; attribuendo al Poeta l'intendimento di voler sotto il nome d'Anteo significare un Lambertuccio Orgogliosi non legato al Papa e Ghibellino (b). Il Torricelli opina altrimente (Vedi vv. 32-33, nota in fine).

È DISCIOLTO, perchè non era stato con gli altri giganti alle pruove oltraggiose contro Giove. Il Poeta lo accenna (vv. 119-121), conforme a quel che ne scrisse Lucano (Phars. IV):

coeloque pepercit Quod non Phlegraeis Antaeum sustulit arvis. Per la poetica invenzione eragli neces

(b) « Andate a male le cose di Arrigo, in sulle prime l'Alighieri riparò a Bologna; la quale avvicinata a parte quelfa, aveva a capitano del avvegnacchè la si fosse in quel mezzo tempo

popolo Lambertuccio Orgogliosi, valoroso in armi e di famiglia ghibellina. Questi era disciolto, cioè non legato col papa; parlava, che nel gergo ghibellinesco significa appunto essere ghibellino; proteggeva in segreto i ghibellini, non osando farlo apertamente. Ecco adundendo a capello. Egli servi di nascosto, zitto que di certo (!) il nostro Anteo, tutto risponzitto, l' amico ghibellino senza lasciar vestigio del fatto suo (Allega i vv. 142-145). El desiderato servigio poi fu cotale, che essendo Dante in Bologna, se non ghibellina al tutto, almeno ai Ghibellini non nimichevole, fu lievemen te posato nel fondo d'ogni reo, cioè in Roma medesima, là dove per lui, dopo sinistrata l'impresa d' Arrigo Cesare, non fù mai più buon aria, e non che avervi mai più posto piede, certo non desiderò unqua il servigio di venir colà lievemente posato». Il Picchioni (Cenni critici sulla Div. Comm. illustrata dal Kopisch, ec. Mil. 1846) chiama tutto questo non senso e connessione di fatti e di verità, ma: un' accozzaglia di fantasticherie, con le quali si dà opera a mutare il senso coperto ma sublime di bene ordinata epopea in scempie allusioni e capricciose, dettale dalla bassa passione, che a torto si suppone aver guidato e infiammato il divino poeta (op. cit. pag. 398 seg.).

Che ne porrà nel fondo d'ogni rèo.
Quel, che tu vuoi veder, più là è molto,
Ed è legato e fatto come questo,
Salvo che più feroce par nel volto.
Non fu tremoto già tanto rubesto,
Che scotesse una torre così forte,
Come Fialte a scuotersi fu presto.
Allor temetti più che mai la morte;
E non v'era mestier più che la dotta,

sario ciò fare, a voler prendere da lui il
servigio di farsi mettere giù nel fondo;
e trovò bene opportuno di far libero del-
le braccia colui, che non avea quanto
gli altri abusato della forza direttamente
contro il cielo.

102. NE PORRÀ NEL FONDO D'OGNI REO: ci metterà giù nella ghiaccia dello stagnante Cocito (vv. 122 seg.). FONDO D' OGNI REO. Come dicesse la sentina d'Inferno: LA OVE PIÙ NON SI DISMONTA, ove si dirocciano le lagrime munte dai delitti degli uomini e goccianti (Inf.XIV, 118) per le fessure della statua che simboleggia le età del mondo. REO, reilà, male. Altrove (Inf. VII, 16 seg.):

seo.

Prendendo più della dolente ripa Che il mal dell'universo tutto insacca. Ora di cotesta ripa si accenna il fondo (XI, 64 segg.). Sceglie a portatore il gigante più moderno e più moderato. Tra' prepotenti e tra gli impotenti edificatori di torri, i più giovani son quasi sempre i più moderati. Ciò conferma il fine politico del Poeta in questa imagine de' giganti. Tomma- (Vedi not. v. 98, in fine). 103.QUEL CHE TU VUOI VEDER:Briareo. 104. È LEGATO E FATTO COME QUESTO: Briareo è legato come Fialte. FATTO COME QUESTO: non ha le cinquanta teste e le cento braccia come contano le favole, ed io cantai; laonde non è perchè tu desideri di vederlo. Per le cento braccia di quel gigante veniva significata la sua forza possente: e il Poeta Teologo vuole uscir delle favole per dar luogo alla realtà de' reati umani puniti dalla divina giustizia.

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106-108. NON FU TREMOTO ec. Fialte si diè di tratto un tal crollo, che impetuoso tremuoto non iscuotè mai sì forte un'alta torre. Acconcia similitudine, poichè di torre rendeva immagine questo, come gli altri giganti (v.20). Sentito ragionare di Anteo disciolto, della forza de' suoi fratelli e del feroce Briareo, Fialte venne talento, comecchè vano, di scapestrarsi.

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106. RUBESTO: impetuoso intendono col Lombardi, il Bianchi, il Blanch. Robusto e forte. Bargigi. Spaventevole, tremendo. Volpi. Con l'Alfieri il Biagioli: «RUBESTO, considerati gli effetti proporzionati all'intensità che gli si presenta quale nell'uomo la robustezza, o l'esser robusto. COME FIALTE ecc., cioè come Fialte fu presto a scuotersi forte.Onde debbesi intendere nel primo termine della comparazione l'idea che nel secondo si accenna, e in questo, quella che s'esprime nel primo; cioè nel tremuoto la forza e la prestezza, siccome in Fialte la prestezza e la forza». Rubesto, epi

teto dato dal Poeta al fiume Archiano impetuoso e gonfio per la pioggia (Purg. V, 125), e non parrebbe il caso di poter dedurre la nozione del vocabolo dall'idea della robustezza. Anzichè da robustus potrebbe farsi Rubesto da rubeus, che primitivamente valse ruvido e rosso e poscia violento, rapido, furibondo ec. con metafora tolta dall'uomo cui l'ira accende in furia e in fiamma l'arde. — [] Buti, conforme al testo del Viviani,legge:

Non fu tremuoto mai tanto rubesto. 110 seg. E NON V'ERA MESTIER ec.: E perch' io vi morissi bastata sarebbe la 105. Più feroce: Briareusque ferox. sola paura, S'io non avessi viste Le biLucano, Phars. IV. TORTE che tullavia lo tenevano strello e

S'io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta,

E venimmo ad Anteo, che ben cinqu' alle,

bene assicurato, anche dopo ch'ei si fu terribilmente scosso.-Al. lez. Fuor che la dotta.

DOTTA: paura. Dal Provenz. doptar (lat. dubilare) i nostri antichi fecero e usitarono dottare per dubitare, vacillare, temere; dottanza per dubilanza, timore ec. Vit. nuov. p. 10:

Ora ho perduta tutta mia baldanza In guisa che di dir mi vien dottanza. E nelle Rim. Son. XXI:

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Ch'io ho dottanza che la donna mia Non vi faccia tornar così dogliose. Lucan. (Volg. del 1313): Cesare... tenne il viso alto, e fue di sì fiera contenenza, e ebbe tale grazia che non dottò niuno, anzi fu dottato da tulli coloro che lo guardavano. - Io non dotto neente di mia vittoria. Brun. Lat., Oraz. per M. Marcello: E se alle predette cose che avvengono cotidianamente all'uomo, che tutte son da temcre, s'aggiunge dotlanza di tradimento e d'aguato, che Dio crediamo noi che possa, s'anco a lui piace dare aiuto al Comune?-Egidio Col., Regg.de' Princ. Cap. VII: Nè non imprenderanno mai gran cosa a fare per dottanza di non perdere li loro denari. Idem Lib. III, part. II, cap. X: Elli (il tiranno) non lassa tenere scuole e non lassa istudiare nel suo reame i suoi suggetti, acciò ched ellino non diventino savi, dottando sempre di essere ripreso delle sue male opere.- Ivi, Cap. XI: E così, disse il tiranno al fratello, non posso io essere lieto nè fare bella cera, che tuttavia mi dotto di morte ec. Bon. Giamb. Form. d'on. vit.: Delle cose che sono dottose (dubbiose, franc.douteuses), non dare giudicamento... Nullo prode uomo non dice: così non credeva io, anzi attende non dolla. Ivi, Magnanim.: Grandissimo bene è all'uomo non

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dottare (test. lat. vacillare); ma essere permanente a sè medesimo..... ed attendere la fine della sua vila siguramente. Ivi II: Non mellere lo tuo corpo a pericolo come folle, e non dollare come pauroso.-Fra Guitt, ai Fiorentini:

-

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E quanti anche hanno intra voi di tali, che dottan poco, che in vostra guerra periranno se dura! Dotta poi è da doptata per doptatio (dubitatio); siccome da ascensio, remissio, retentio, missio, defensio ec. si fece appo i nostri antichi ascensa, remissa, retenta, missa, defensa cc. Oltracciò siccome i participi passati de' verbi tenner luogo di sustantivi, anche con la terminazione del femminile, e si disse; dimorata e dimora; osata e osa (ardire); limosinata e limosina ec.; così da doptare venne doptata e dopta o dotta per timore, paura ec.-Il frequente uso che di cotesto dottare fecero i nostri vecchi scrittori, e la formazione della voce dotta secondo l'analogia della lingua bene avvertiti avrebber tolto d'impaccio il Landino, che prende dolla per otta, ora, momento, e frantende chiosando: Ogni breve tempo ch'io stavo con tanta paura, sarei morto, ma ec. Simile dell' Imolese: Non expediebat aliud ad mortem meam nisi simplex motio Gigantis: il che mostra che il Poeta non venne inteso in questo luogo. Il Vellutello, il Guiniforte e il Tassoni seguirono l'interpretazione del Landino. Il Parenti propugnò la nostra, che ormai è la più comunemente ricevuta.

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