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da Tino (Venez. 1568), alla voce voto, che si legge anche in quell'edizione, notò voro, desiderio. Ma il Vellutello spiega colo per cogitato, pensato che val quanto pensiero. Il Rosa Morando (Par. III, 26): « Nell'Inferno ove il Poeta dice: Questi è Nembrotto, per lo cui mal coto. fu pur cangiata questa voce colo da qualche comentatore in voto; il che potrebbe stare; ma agli scrittori antichi lasciar si deggiono le parole loro proprie e di quel secolo. Mirabile la nota soppostavi dal Comentator nostro (a) che spiega prima coto per loto cotto, e per pietra da cote; indi riferisce quasi in aria d'impugnarla la sposizion della Crusca, che colo spiega ottimamente per pensiero. I Deputati ragionano a lungo su questa voce, e dicono esser derivata da coitare (ch'è il cogitare de' Latini) verbo molto antico e preso da' Provenzali, lasciata la I che que' nostri Vecchi facilmente toglievan via in certe voci, come in atare usato frequentemente per aitare. Dallo stesso coilare dicono essere pur derivata la voce coitalo per pensiero, e i composti trascotato e oltracotanza che adoprò Dante ». Il Nannucci (b), filologo che fu sì addentro nella storia della nostra lingua, dopo avere, e con vive ragioni e con l'autorità degli antichi testi, rifiutate le lezioni di quoto e di voto in questo luogo di Dante e nel Canto III, v.26 del Paradiso; plaudendo alle osservazioni de' Deputati al Decamerone, e a quelle del Rosa Morando, non lascia argomenti ch'ei non tratti, a dimostrare fino all'evidenza, che la lettera germana di questi luoghi sia colo, e che questa voce abbiasi ad intendere per pensiero.

« Ed infatti, così egli, in tutti i testi migliori si a stampa che a penna si legge pueril coto (c); e l'Ollimo, fra gli altri, citato dalla Crusca, chiosa puerile pensiero, e non puerile giudizio; segno patente che il testo avea pueril coto, non pueril quoto, come s'è stampato (d).

(a) Rivede le bucce al Venturi.

(b) Osservazioni sopra la parola Coro. (c) Allude al verso 26 del Canto III del Paradiso, dove la voce Coto è anche adoperata dal Nostro.

(d) « Son persuaso che il copiatore del Codice scrivesse quoto per colo, come si scrivea anticamente quore per core ».

Laonde ritengo per certo che tanto in questo luogo, quanto nel C. XXXI dell'Inf. debba leggersi coto, e che questo sia il vero vocabolo adoperato da Dante, come mi fo a dimostrare... Dal lat. cogitare i Provenzali derivarono cuidar e cuiar, ed i nostri coitare; e sebbene il Lombardi affermi che non si trova mai cotale coitare, pure si legge per ben sette volte ne' gradi di S. Girolamo.Così ex. gr. nel C. I del Grado I, Frati non coitate voi unqua che ciò sia verace credenza. E nel C.VII del Grado VII, Quel medesimo che voi coitrete che vi sia perdonato, per penitenza ci addomanda Iddio ec. Parimente da cogitatum fecero i Provenzali cuidat (e), ed i nostri cuitato e coitato per pensiero. Guido delle Colonne:

Che ho più durato ch'io non ho possanza Per voi, madonna, a cui porto lianza, Più che non fa assassino in suo coitato. Coiloso, cogitoso, pensieroso, in Provenz. coitos. Dante da Maiano Aggio visto mont'ore (f) Magn'uomo e poderoso Cader basso, e coitoso

Partir da gioco, e d'ogni dilettanza (g) ». E così seguita a confermar con esempi le voci cuitanza, sorcodanza, oltracotanza, tracotamento, tracotato, oltracotato (Inf. IX. 93, nota), che traggono origine dalle stesse fonti latino-provenzalesche. Indi prosegue: « Premesse tutte queste derivazioni di voci Italiane e Provenzali da cogitare de' Latini, passo alla voce coto. Un comentatore anonimo, in un Codice Riccardiano segnato col N. 1016, chiosando il per lo cui mal colo, dice: coto,idest cogito,cioè per lo cui mal pensiero, ed è parlar sincopato, che trae la lettera e la sillaba dal mezzo il nome, che dovrebbe dire cogito, ed egli dice coto. Anche il Portirelli interpreta colo per una sincope di cogito; ed il Postill.

(e) « E gli Spagnuoli cuidado ». (f) Molte volte ».

(g) Nel dialetto calabrese vive la voce scuitato per chi non si dà un pensiero di cosa al mondo, ed anche il verbo scuitare n. pass., dicendo scuitarsene di checchessia per non se ne curare. Scuitato e scuoietato dicono nel napo letano all'uomo scapolo, a colui, cioè, che non essendo legato in matrimonio, vive in istato li bero e spensierato,cioè senza i pensieri e le cure,che incumbono al padre di famiglia. E le son pure voci, che vengono dalla stessa sorgente.

Pure un linguaggio nel mondo non s'usa.

Caet. notò in margine cogitata.Ora, bene adoperarono e costoro e tutti gli altri interpreti, che diedero alla voce coto il significato di pensiero, se non che errarono nell'assegnarne la discendenza, non essendo, come mi sembra, una sincope nè di cogito nè di cogitata (a). I nostri antichi fecero un largo uso de' participi sostantivati, dicendo ex. gr. destinato per destino..; ed i Provenzali, dezirat per desiderio,... alla maniera de' Latini, che dissero erratum, il fallo... Ora, se io dicessi che come per es. tronco è sincope di troncato, cerco di cercato... ec. così coto è sincope di cotato, ossia cogitato, preso come participio sostantivato, cioè per cotamento, vale a dire cogilamento o pensiero, non direi cosa nè contro regola nè contro ragione... Ma recherò un'altra origine del vocabolo coto, la quale aggiunta a quella ora accennata, mi pare che dovrebbe por fine a qualunque questione. Abbiam veduto come i nostri antichi, nel derivare dal latino cogitare le loro voci, si sono sempre tenuti stretti ai Provenzali; e nella lingua di questi appunto si troverà il coto Dantesco. I Provenzali a significare pensiero, idea ec. oltre al cuidat adoperarono eziandio le voci cuida, cuda, cuia, cug, cuit, cut. Ora, che coto, se pur non si voglia una sincope di cotato, non sia il cut de' Trovatori, nessuno me lo leverà del capo. Che se mi si obbiettasse che Dante, se avesse tolto il suo coto dal cut Provenzale, avrebbe detto cuto e non coto, risponderei che in molte voci derivate dal latino, che aveano 0, i Provenzali per lo più lo cambiavano in U, ed i nostri lo conservavano... Concludendo, o sia coto sincope di cotato,

(a) « Anche il Galvani nelle sue Osservazioni sulla Poesia de' Trovatori deriva la parola coto da cogito, al modo de' Provenzali, che dalla prima voce del presente dell'indicativo formavano il nome sustantivo, come ex. gr. vol, volere, volontà dal volo de' Latini: vol de folla gen, volontà di folle gente. Se non che io vedo per gli esempi che i nostri adoperarono a que sto ufficio non l'indicativo (*) ma l'infinito ec.>>

(*) Ed anche f'indicativo, siccome per molti esempi dimostra egli stesso nell'Analisi critica dei verbi italiani (Fir. Le Mon. 1843) a pag. 367.

od anche di cogito, se altri il voglia, o sia il cut de' Provenzali, in qualunque maniera si prenda, credo che si debba facilmente convenire esser questa la voce usata da Dante; voce dalla quale discende un senso chiaro e naturale, e non dubbio e forzato, come da quoto, da compulo, da loto cotto (b), da potenza e da voto ». Genes. XI, 6: Nec desistent a cogitationibus suis, donec eas (civitatem et turrim) opere compleant.

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brod autore della Torre. (Genes. XI, 3 La Bibbia non fa espressamente Nemseq.): Dixitque aller ad proximum tem et turrim, cuius culmen pertingat suum... Venite faciamus nobis civila

ad coelum: et celebremus nomen no

strum antequam dividamur in universas terras. Vi è però detto: Fuit principium regni eius Babylon ec. S. Agostino a lui attribuisce l'idea dell'immensa mole (c): ed Armannino lo chiama il

(b) 11 cod. Cassin. ha: per lo cui mal collo. colligitur gigantem illum Nebroth fuisse illius (c) De Civit. Dei, Lib. XVI, cap. IV: « Unde conditorem, quod superius breviter fuerat intimatum, ubi cum de illo Scriptura loqueretur ait initium regni eius fuisse Babylonem, id est quae civitatum ceterarum gereret principatum, ubi esset tamquam in metropoli habitaculum regni: quamvis perfecta non fuerit usque in tantum modum, quantum superba cogitabat impietas... Tutam veramque in caelum viam molitur humilitas, sursum levans cor ad Dominum, non contra Dominum: sicut dictus est gigas iste VENAficatur hoc nomine, quod est VENATOR, nisi aniTOR CONTRA DOMINUM... Quid autem hic signimalium terrigenarum deceptor, oppressor, extinctor? Erigebat ergo cum suis populis turrem contra Dominum, qua est impia significata superbia».

Lasciamlo stare, e non parliamo a voto:
Chè così è a lui ciascun linguaggio,
Come 'l suo ad altrui, che a nullo è noto.

primo fra i giganti. (pag. 514 nota (b)); onde Dante ebbe qualche ragione di confondere la storia di Nembrot (a) con quella della torre; di supporre che costui si vedesse innanzi agli altri torreggiare sul pozzo come superbo ed avido di fama, e di farne il simbolo storico delle discordie e delle dispersioni originate dalla superbia de' prepotenti.

79-81. LASCIAMLO STARE. Stare con molta proprietà usato. Il Gigante era fitto nel pozzo, e sopra esso levavasi come torre ferma. Di chi fosse potuto muoversi sarebbesi detto lasciamolo andare. -A voro: invano, cioè, a chi non c'intende. Al. lez. lascialo; lascianlo.

-

80-81. CHÈ ec. Sent. Perocchè tutt'i linguaggi sono a lui così oscuri, come a noi è stato il suo, che a nessuno è noto: ovvero, perchè egli non intende le nostre parole,siccome lestè non abbiam noi intese le sue, nè v'ha chi possa mai intenderle (v. 67). A che dunque gli ebbe Virgilio dette le parole de' vv.70-75, sapendo già che Nembrot non era per capirne un iota? Gli parla irosamente, dice il Biagioli, e: Forse vuol qui dimostrare il Poeta che l'umana scienza sola, da sè, senza altro lume superiore, può talora dar nelle scartate; a meno che non si scusi Virgilio con dire, che volle insegnare a Dante come s'abbia a comportare con gli sciocchi quando sono da ira menati. Il Vellutello sup

(a) Gli storici fanno di Nembrot quel Belo, che in Assiria gittò le fondamenta della gran città cui chiamo Ninive dal nome di suo figlio Nino; e credono che la torre di Babel fosse la stessa che quella di Belo, la quale fu più alta delle piramidi,e servi di specola ai Caldei.Erodoto, lib. XI, cap. 18, dice ch' era formata con otto torri l' una posta sopra l'altra, e che dalla prima all'ultima diminuivano in grossezza: alla prima si dà uno stadio quadro di base ed altrettanta altezza, delle altre non si dicono le dimensioni: Sopra l'ultima era collocato il tempio di Belo. Si fa ascendere la torre babelica sino all'altezza di 27000 passi. Diversi danno diverse misure, e da ciò stesso l'incertezza de' giudizi. Rettificarli è impossibile, chè da molti secoli s'ignora dove la torre fosse pur situata.

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pone che Virgilio, avvegnacchè spirito, conobbe per effetti la sciocca e confusa anima di Nembrotte, e che Veduto,.. essi non intendere nè poter essere intesi da costui, determina di lasciarlo stare. A noi garba questa interpretazione. Il Cesari nelle sue Bellezze scrive: Questo luogo m' ha sempre dato da pensare: se costui nulla intendeva di nostro parlare; e Virgilio ben sel sapeva; or come dunque parlò a lui per modo, come s'egli dovesse poterlo intendere ! 0 vorrem noi credere Dante aver detto e fatto uno strafalcione di questa posta?... Virgilio, sentito gli svarioni di quella bestia, mosso da sdegno e dispetto di lui, si sfoga in quelle parole di vitupero, non a lui proprio indirizzandole; che ben sapeva, e sì il disse, che avrebbe parlato a voto (b), ma seco medesimo; ovvero parlando colla sciocchezza di lui da esso personificata; e perciò credo che Dante abbia detto ver lui, non a lui ec.

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81. A NULLO È NOTO (v.67,nota in fin.). Per l'Ab. Lanci le parole a nullo son riferi bili ai soli Dante e Virgilio, come vi si dica: a nullo di noi due. Io, dice argutamente il Bianchi, l'estenderei anche a tutti quelli che han credulo d'intenderlo.

A NULLO: a niuno. Nullus per nemo appo i latini. I primi nostri scrittori usaron frequentemente nullo per nessun e addiett., e sust. come fa il Nostro in questo luogo e altrove (Purg. XIV, 89; XVI, 98; Par. XV, 119). Fra Giord. Pred. XVI: Onde nullo in questa vila, nullo, può sapere o essere certo s' egli è di quegli eletti. - Pred. VIII: Non si tro

(b) Potè dirlo anche dappoi che l'ebbe saputo per pruova. Le son parole proferte appresso al motto Nembrottiano: Ruphegi mai ec.: e Virgilio (v. 72) dice: Da sè stesso s'accusa: gli fu dunque manifesto a certi segni. Non crederemmo necessario di concedere a quel Savio un intuito si penetrante negli altri spiriti, perchè abbia poi a parlare non col Gigante, ma colla sciocchezza di lui.

Facemmo adunque più lungo viaggio
Volti a sinistra; e al trar d'un balestro

va...che Iddio convertisse, e desse gra-
zia a nullo in sul mal fare. E così di
molti altri. V. Inf. VI. 48, nota.

82. FACEMMO... PIÙ LUNGO VIAGGIO: andammo oltre, proseguimmo il cammino. Lat. iter facere, andare. Il Lombardi chiosa: andammo innanzi; e il Biagioli: «Ma no, che vi s'oppone il volti a sinistra. Adunque andammo più lungi girando a mancina.-Ma chi va più lungi, quale che sia la linea per la quale si muove, non torna egli indietro. Il Lombardi, per noi spone bene: e lo dimostriamo geometricamente; acciocchè le sottigliezze solite del valente critico non vagliano, anche in questo luogo, ad offuscare la luminosa chiarità

del vero.

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ad ogni conto un più lungo viaggio che non fu quello insino ad N. Ora sta a vedere se movendosi per l'arco NF potesse dirsi col Lombardi ch' eglino andassero innanzi. Lo si può benissimo 1. perchè da N passarono a F; 2. perchè per ogni passo che si volgono intorno al pozzo van sempre crescendo le distanze loro dalla linea BD, a cui è relativa la posizione di esso pozzo; essendo AB > FG, FG> CN; e che quindi trovandosi in F e poi in A, sono iti successivamente innanzi per le quantità dinotate dalle linee PF, QA. Il Biagioli pretende che, a potersi dire andammo innanzi, Dante e Virgilio avrebber dovuto da N muoversi sulla retta NO in continuazione della CN. Ma Dante partito da Fialte per andare ad Anteo, dice egli stesso (v. 112):

Noi procedemmo più avanti allotta. Andò egli dunque innanzi da F ad A: e perchè nol potè fare anche da N ad F? A noi sembra che la chiosa Lombardiana sia tortamente da quel sottile critico intesa, o che questi abbia colto il comentatore e il Poeta nel medesimo fallo. Non dissimuliamo che si potrebbe giustificar Dante; il quale da N a F trovavasi già sul cammino circolare, e che da F ad A ben disse d'esser proceduto avanti, secondo la stessa linea; ma noi abbiamo testè arrecati gli argomenti che rincalzano la sposizione del Lombardi; sebbene lieve non sembrici l'obiezione,

che prevediamo ci si potria fare dagli

altri.

Sia C il punto dove i Poeti volsero le spalle al misero vallone (v. 7); e sia CN la linea per la quale si misero in direzione opposta al suono che veniva loro Non è poi vero che il volti a sinistra da N, dov'è Nembrot. Il più lungo viag- s'opponga all'andammo innanzi: lo abgio s'intende quello ch'eglino fanno da biamo già dimostrato segnando le linee esso punto N volgendosi a sinistra per del viaggio Dantesco. Il viandante che la curva circolare del pozzo NFA, prima giunto ad un bivio pigli la via da manca quanto è la distanza d' una balestrata o da dritta,non dirà egli, e non sarà cer(v. 83) da N ad F dove poniamo Fialte, tissimo di andare innanzi e procedee poscia procedendo ancor più oltre fire oltre nel suo cammino? Ora il dotto no ad A ch'è il luogo d'Anteo: l'arco NF, e vie maggiormente l' altro NFA, debb'essere il cammino che il Poeta ne accenna, che s'ha da intendere più lungo di quello indicato dalla retta CN. Quando i Poeti sono in F han fatto già

Biagioli perfidierebbe, e vorrebb'egli esser tanto sottile, che per impugnare una chiosa, dovess' anche rinnegare il senso comune?

83. AL TRAR D'un balestro: a un tiro di balestra. L'a in questi parlari serve

Trovammo l'altro assai più fiero e maggio.
A cinger lui qual che fosse il maestro

Non so io dir; ma ei tenea succinto
Dinanzi l'altro, e dietro 'l braccio destro,

alle misure: come qualor si dica, a due passi, a un miglio, a un tiro di scoppietto, di cannone ec. Codesto computar le distanze dal tratto d' un dardo, d'una pietra, d'una ruzzola ec. è antico modo usato anche nel linguaggio degli Ebrei, e ritrae molto della vetusta semplicità de' popoli non usi ai sistemi metrici ec.introdotti ne'tempi più civili: tuttavia non è senza diletto quello che ne ricorda i costumi primitivi dell' umanità; e gli accorti poeti ne fan tesoro. Virgilio (En. XI, 608 seq.): Jamque intra jactum teli (a) progressus uterque

Substiterat.

Il Tansillo (Podere, Cap. I) vuol che il podere ch'altri acquisti non sia lontano: Ma sia che bisogni ir, poich'uom si sbarche, Duo tratti d'arco.

In S. Luca, XXII, 41: Et ipse avulsus est ab eis quantum iactus est lapidis.Il Nostro, nel Purgatorio (III, 67 segg.):

Ancora era quel popol di lontano,

I' dico dopo i nostri mille passi,

Quanto un buon gittator trarria con mano.BALESTRO è dal latino Ballista, dal gr. Bao, iacio, appellata (b). Il Poeta usa balestro per balestra, anche altrove (Purg. XXXI, 16 segg.):

Come balestro frange, quando scocca

Da troppa tesa la sua corda e l'arco,
Che con men foga l'asta il segno tocca ec.
Vedi Inf. XXII, 78, nota.

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cinger lui ec. E in questo parlare il che va preso qual particola pleonastica, mentre il fosse vi sta per fosse stato, e scusa il fuisset latino. V. Inf. XXIV, 34-36, nota.-MAESTRO. Ben riconosciamo quanto larga significazione si abbia cotesto vocabolo, di capo, cioè, trovatore, lavoratore, artefice ec.; ma in questo luogo pare s'imberci il segno cui mirava il poeta, se ricorderemo che MAGISTER proprie est potestatis nomen, non sapientiae, qual si conveniva al punitor d'un gigante. E maestro è detto dal Nostro il falconiere, e dal Tasso chi doma un fiero leone. Inf. XVII, 132. Del resto è inteso qui per maestro quegli, del quale il Poeta dice (Inf. XIX, 10 segg.):

O somma Sapienza, quanta è l'arte Che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, E quanto giusto tua virtù comparte !

E il NON SO DIR qual si fosse il maestro a cinger Fialle è per un modo di favellare; chè sa poi ben egli che qualunque venisse deputato a quell' opera, non fu che per suprema disposizione della divinità punitrice, così in questo luogo, come là (Inf. XIV, 6) dove:

Si vede di giustizia orribil arte. Ma chi fosse il maestro a cingerlo, dice non sapere, per esser leggier cosa intender del sommo e giusto giudice. Vellut. Nel Salm. LIV, 24: Tu vero Deus deduces eos in puteum interitus. E nel CXLIX: Ad alligandos reges eorum in compedibus et nobiles eorum in manicis ferreis. Chi gli pone nel pozzo, altresì ve gli lega.

86. SUCCINTO: legato, cinlo, stretto.Dal lat. succingi ch'è subtus cingi, co m'era di quelle braccia circondate da catene.

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87. L'ALTRO... E... IL DESTRO BRACCIO:

sinistro e il destro. Avvegnacchè bizzarro si paia questo dire, ed altri, a riordinar la voluta Sinchisi, costruisca: (vv. 86-87) ma ei tenea succinto il braccio destro dietro, e l'altro dinanzi; pure non è nuovo il costrutto, nè senza ragio

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