Page images
PDF
EPUB
[ocr errors]

Ciò che cela 'l vapor che l'aere stipa;
Così, forando l'aura grossa e scura,
Più e più appressando inver la sponda,
Fuggémi errore, e giugnémi paura.

36. IL VAPOR che l'aere stiPA: il vapore acqueo, cui l'aere addensa. STIPARE è voce venutaci dal Greco, e vale stringere, condensare, ec. (Inf. VII.19; XI. 3; XXIV. 82,note) - Virg. Æn. V.20. Consurgunt venti, atque in nubem cogitur aer. Un dotto comentatore: «'l vapor che l'aere stipa è la nebbia ». E sarebbe bella perifrasi dell' effetto pel modo onde la sua causa il produce; ovvero l'idea significata per la sua genesi. Ma poichè, sostituendo l' una voce in luogo delle molte che la definiscono, ne verrebbe questa sentenza (vv. 34-36: Quando la nebbia si dissipa, lo sguardo a poco a poco raffigura ciò che cela la nebbia; noi crediamo che il vapore cui l'aere stipa è, anzi che nebbia, l'elemento ond'ella si compone, e in cui si dissolve, sicchè lasci a poco a poco raffigurare ciò che prima celava. Conforme al Virgiliano: in nubem cogitur aer, il Bargigi chiosa: il vapor che stipa ed inspessa l'aere.

lui pareggiare si credenno. De primi che qui cominciarono a entrare, fu Nembrot con gli suoi seguaci e dopo lui ce ne entrarono tanti che se corpora mondane avessero,non caperebbero in cento così fatti giri. Ma oggi e sempre che il mondo durerà, non cesserà quell'orribile peccato da Dio maladetto, per lo quale mai non fina, che questo luogo ogni di si rinnuova di loro anime infelici. Questi che qui sono, gli uomini del mondo si sommisero non per difesa nè per aiuto di loro, ma solo per tenergli in servitudine, e sugare loro il sangue di tutte le vene. E quegli che parte fecero di quello donde esser ne doveano strani, mettendo il mondo in sì fatto squarto che tra gli uomini carità nè amistà che da natura procede (Inf. XI. vv.55-56; 61-66) non vale. Tra questi vanno gli traditori nascosti, i quali per fare gli tiranni signori, i loro vicini hanno consumati; ma poi, per assassini da coloro la cui tirannia favoreggiata aveano solo per di quella parte avere, furono da quegli morti e consumati. E quegli che nelle loro aringhe mostravano di consigliare il meglio del loro Comune, mostrando false ragioni, e per sè ovvero per suo amico, fanno e disfanno le leggi e' statuti, e mostrano di voler fare il meglio, qual è tutto il peggio della comune gente. Dacchè Natura lasciò l'arte di siffatti animali,non mancaron degli uomini, che in corpi anche pigmaici chiusero anime da Enceladi è da Tifeí.

37-38. FORANDO: penetrando con la veduta. Vellutello Con l'acume del vedere. Tommaseo Con l'Alfieri il Biagioli: FORANDO; a maraviglia esprime questa voce lo sforzo dell'occhio tra quell'aria densa e scura. Il Bargigi, al contrario spone: Col corpo mio forando io quell' aura grossa e scura, cioè per quell' aura continuamente facendo mio cammino e più e più appressando inver la proda del pozzo. Il Volpi conformemente, FORAR L'AURA ec. chiosa: Tagliar la nebbia col moto della persona. Ma pare evidente che il Poeta dir voglia,come appressandosi egli sempreppiù alla sponda, e l'aere grossa e scura infrapponendosi a minore distanza tra gli obietti e l'occhio, potea questo più agevolmente trapassarla e percepire le reali imagini. Il contesto è: con l'appressarmi più e più... forando l'aer ec. il qual forando è considerato molto bene dal Biagioli come l'effetto dell' appressarsi. Var. Il Lomb. legge aura con l'ediz. di Foligno, e col testo Bargigi. Aure hanno la 1a ediz. del Sansovino, Ven. 1564, la Fulgon., Roma 1791 ec. Il cod. Cass. aera. Aere,ed Aer gli altri.

38.PIÙ E PIÙ: ritrae dal magis magisque de' Latini.

APPRESSANDO

appressandomi. Sovente gli antichi soppressero l'affisso ai verbi n. pass. e a quelli che da' grammatici sono appellati riflessivi.

39. FUGGÉMI ERRORE: conoscendo non esser torri; e giugnÉmi paura: vedendo ch'erano smisurati giganti. Il Barg. ha:

Fuggimmi errore e crescemmi paura. Così anche il Lombardi. Con questi due verbi al passato mal si esprimerebbe la gradazione, secondo la quale veniva dilequandosi l'errore dalla mente del Poeta, e pigliando luogo la paura: il che voll'egli significare pe' due gerundi de'vv. 37, 38.- Fuggemi hanno le più cospicue edizioni di Foligno, di Jesi, (1472); di Nap. 1474; il cod. Vatic. n. 3199; di

Berlino (Bibl. Real.); il Filipp. (sec. XIV); l'ediz. del Burgofranco, Ven. 1529; la Rovilliana, Lion.1551, ed altre posteriori — Fuggiami, la prima Sansovin.,. Ven. 1564, e tra le Varior. del Witte, il quale presceglie fuggiemi pel suo testo. La Fulgoniana, Rom. 1791, gli editori della Minerva, Pad. 1822, leggono fuggimmi con l'edizione Mantovana del 1472. Cresciemi il cod. di S. Croce; crescemi le succennate edizioni di Foligno, di Jesi, di Napoli; i cod. Vaticano, di Berlino, Filippino, con altre ediz. posteriori. Il Witte presceglie cresce'mi. Le edizioni del Fulgoni e della Minerva hanno crescemmi; e cresceami è tra le Varior. del Witte.

[ocr errors]
[ocr errors]

So

pravvenire ec. è voce dal Nostro adoperata spessissimo in rima ed in prosa. Nella Vita Nuova. L'ora che il suo dolcissimo salulare mi giunse —Quand'ella appariva... mi giugnea una fiamma di carità - Poichè la mia beatitudine mi fu negata, mi giunse tanto dolore che ec. In questo stato dimorando, mi giunse volontà di scrivere ec. bene, ch'ella non è saputa: e che se fosse saputa,io credo,che pietà ne giugnerebbe altrui. - Appresso la mia transfigurazione mi giunse un pensamento forte, il qual poco si partia da me, anzi continovamente era meco. Com'io immagino la sua mirabile bellezza, sì tosto mi giugne un desiderio di vederFuggiami errore e cresceami paura la. Per la pielosa vista che negli ocè lettera del codice Bartoliniano, dello chi giugne. Voglia mi giunse di diStuardiano e del Pucciano 7. Giu- mandare.-Mi giunse una dolorosa ingneami, la 1a delle Sansovin., Ven. 1564. fermità. Di necessità conviene, che Giugnèmi, che noi adottiamo con la più la gentilissima Beatrice alcuna volta si parte de'moderni, è del codice del Boc- muoja. E però mi giunse un sì forte caccio, e di più altre autorevoli edizio- smarrimento che ec. · In questa imni. Quanto poi alla forma di codesto Fug- maginazione mi giunse tanta umilgèmi e Giungèmi o Giugnèmi diciamo, tà ec.-Allora dico, che mi giunse una che dalle antiche configurazioni savire, immaginazione d'Amore ec. Mirabidovire, sentire, avire, movire, uscire, le letizia me ne giugnea ec. E in rima: vedire, fuggire, giungire ec. formandosi le terze singolari del perfetto savie, dovie, sentie ec. ne venivano regolarmente le terze plurali savieno, dovieno, sentieno ec., e, fognandovisi l'i, savèno, dovèno, sentèno ec. come in molti luoghi del nostro poeta, e di altri scrit- Fu giunta dalla sua crudelitate.tori. Quando dunque si facea unione Sicchè mi giunse nel mio cor paura Di dimostrar cogli occhi mia viltate. della terza singolare con un affisso, laIn simiglianti frasi Dante usa il verbo sciavasi talvolta similmente fuori l'i, e venire; come: A me venne un pensiesi diceva per sentiemi, moviemi, facie- ro Tanta onestà venta nel cuor di mi ec. sentèmi, movèmi, facèmi ec.: e quello Mi venne volontà di dire ancosì del pari fuggèmi e giungèmi o giu- che parole ec. - Salm. LIV, 5: Timor gnèmi, come in questo luogo del Nostro, et tremor venerunt super me (a) invece di fuggiemi, giungiemi o giu- rem. XLIX, 24: Dissoluta est Damascus, gniemi per fuggivami, giungevami ec., versa est in fugam, tremor apprehendit non mica per mi fuggì, mi giunse, coeam: angustia et dolores tenuerunt eam me intese il Mastrofini ed altri che con- quasi parturientem. Ora quell'errore che fondono due tempi del verbo che vanno fugge, e quella paura che giugne, come distinti. Il Biagioli ritiene la nostra le- il Poeta più e più appressa alla proda del zione,e fa bene; erra poi, nè è da udire, pozzo, non può farsi che gradatamente; quando asserisce che fuggèmi e giu- e questo esclude affatto la nozione del gnèmi son voci alterate da' menanti o cogliere, che al verbo in questo luogo si applica dal Ch. Tommaseo.

dal Poeta.

GIUGNEMI: mi raggiungeva,mi coglieva. Tommas.-Giugnere per venire, so

[ocr errors]
[ocr errors]

E con tutta la vista vergognosa
Ch'era nel viso mio giunta cotanto ec.
Sicchè dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute.
Quando lo immaginar mi vien ben fiso,
Giugnemi tanta pena d'ogni parte,
Ch'io mi risquoto per dolor ch'io sento.
Quando la donna mia

(a) 11 Mattei parafrasa: Tremo e pavento.

Ge

Perocchè, come in su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona;
Così la proda, che 'l pozzo circonda,
Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove dal cielo ancora quando tuona.
Ed io scorgeva già d'alcun la faccia,

Le spalle e 'l petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
Natura certo, quando lasciò l'arte

40. CERCHIA TONDA. Il Poeta dà nome di cerchia al muro di roccia che ricinge Malebolge (Inf. XVIII, 3, 72; XXIII, 134). Nel Parad. XV, 97, come qui, cerchia si dicon le mura o bastite d'una città o d'un castello; che però non è ozioso l'epiteto di tonda che le si dà.

41. MONTEREGGION. Nel contado di Sic-
na fu un antico castello così nomato, le
cui mura erano guernite di torri, delle
quali appariscono ancora le rovine (a)
SI CORONA: En. X, 120 seg.:

Miseri stant turribus altis
Nequidquam, et rara muros cincere corona.
Il Tasso, intendendo della moltitudine
de' difensori congregata in cerchio (Ger.
XI, 32):

Già men folta del muro è la corona.

[merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small]

40

45

Lomb. Il Biagioli ci vede un modo ellittico, e vi supplisce con l'altezza. Il Tasso (log. cit.) imita Dante, Dicendo:

E quinci in forma d'orrido gigante Dalla cintola in su sorge il Soldano. 44-45. CUI MINACCIA GIOVE ec. Gli spaventa, e tonando pare dia segno di volerli tuttavia fulminare. Ogni volta che stride la folgore nelle superne regioni del cielo, rinnova nel pensiero de' Titani la paura, ricordando loro la tremenda disfatta nella pugna di Flegra (Inf. XIV, 58), e parendo che Giove non anco ponga gl'iracondi suoi fulmini.

46-48. ED 10 SCORGEVA GIÀ ec. Il senso della vista, che di lontano (v. 26) ingannavasi, ora che Dante s'è appressato alla proda del pozzo, può ben vedere che quelle parutegli in prima torri ei son giganti; e d'alcuno distingue le parti della percezione complessa, la faccia, le spalle, il petto, gran parte del ventre e le braccia; quanto appariva dal mezzo in su della persona: e questo è detto non solo per notare il progressivo discorrimento dell'occhio, ma per significare come a quel luogo il Poeta erasi già approssimato.

48. PER LE COSTE IN GIÙ ec. Le braccia eran distese e cadenti lungo le coste: più d' appresso si vedranno (v. 86 segg.) succinte d'una catena; e le ritorte che le avvincono, fanno meno temerne la forza feroce giustamente repressa (v.111).

49-57. Il Poeta, che ora finge aver veduti sensibilmente que' giganti, esce in questa sentenza: Natura ben fece di tuttavia procrea balene ed elefanti; son non più produrre di cotali mostri: chè se questi però meno feroci e nocivi di quelli.

Di sì fatti animali, assai fe bene, Per tor cotali esecutori a Marte. E s'ella d'elefanti e di balene

49-50. LASCIÒ L'ARTE DI SÌ FATTI ANIMALI: cessò di produrre più giganti al mondo.-L'arte di natura son le leggi, secondo le quali essa adopera le sue forze, a porre in essere gli svariati effetti. E poichè l'arte umana è imitatrice della natura, non è la natura senza arte. Filosofia nota (Inf. XI, 99 segg.):

Come natura lo suo corso prende

Dal divino intelletto e da sua arte. Che l'arte vostra quella, quanto puote, Segue, come il maestro fa il discente; Si che vostr'arte a Dio quasi è nipote. Secondo questa idea, nel Purg. XXV, 70 segg., è detto:

Lo Motor primo a lui si volve lieto

Sovra tant'arte di natura, e spira
Spirito nuovo di virtù repleto.
E nel Paradiso, VIII, 122 segg.:
dunque esser diverse

Convien de' vostri effetti le radici:
Perchè un nasce Solone, ed altro Serse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
Che, volando per l'aere, il figlio perse.
La circular natura, ch'è suggello

Alla cera mortal, fa ben su' arte

Ma non distingue l'un dall'altro ostello. L'arte che qui s'accenna dal Poeta, ci richiama ai suoi principt metafisici intorno all'ordine dell'universo, e alla dipendenza delle cause seconde dal primo motore nella produzione degli esseri. L'arte ec. il chiosator Cassinese: sc. usum generandi:

-

ANIMALI. Così chiama anche l'uomo (Inf.V). Tommaseo.- Se non che lì Francesca parla all' animal grazioso e benigno; cioè a Dante che non visitava l'inferno in ispirito, ma in anima e corpo: ed ella movea la sua voce a un vivo, non all'ombra virgiliana. Qui siffatli animali si riferiscono ai giganti, mostri bestiali peggiori degli elefanti e delle balene; e che perciò hanno del genere, più che della specie. Lucan., IX:

Nec de te, Natura, queror: tot monstra ferentem, Gentibus ablatum dederas serpentibus orbem.

51. PER TOR ec.: Perchè essendo Marte Dio delle battaglie, questi per le sue smisurate forze prevalevano tanto a lutti gli allri uomini, che era necessario a ceder loro. E così venivano a tiran neggiare, e a farsi suddito tullo il mon

[ocr errors]

50

do, privando ciascun di libertà, e molte volle di vita. Vellut. A questo si riducono le sposizioni degli altri interpreti. Osserviamo solo che Dante non mostra di voler Marte senza esecutori, ma non gli vuol cotali. La guerra ha le sue ragioni e le sue leggi, e i Giganti che combattono contro Giove,non osservano nè quelle,nè queste. Forza di corpo e virtù di animo fanno mestieri alle imprese marziali: Nam (Sallust. Catil.) et prius quam incipias, consulto, el, ubi consulueris, mature facto opus est. Ita utrumque, per se indigens, alterum alterius auxilio viget. Ma ne' giganti per forza fu violenza e furore; l'astuzia e la frode tenne luogo del consiglio e della saviezza.

PER TOR COTALI. Al. lez. torre tali, del Cod. Cass.; toller tali l'Ang. E. R. ec.

Quanto al costrutto del trinario (49-51), non crediamo passarcene leggermente.O si hanno ad ordinar le parole: Natura certo quando lasciò l'arte di siffatti animali, per lor colali esecutori a Marte, fe assai bene; ovvero, che più ci aggraderebbe, così: Natura fe certo assai bene, quando lasciò l'arte di siffatli animali; per torre a Marte cotali esecutori. E in questo secondo modo vorremmo, che la frase per torre avesse ad intendersi di tempo passato, cioè, per aver tollo; poichè tolse ec. (V. Inf. IV, 25, nota, in fine).

52-57. Preoccupazione. E se volessi dire ch'ella genera Elefanti, che vincono di grandezza tutti gli altri animali terrestri, e le balene che sono maggiori, che gli altri pesci; risponde, che benchè tali animali abbiano gran forze: nondimeno gli uomini sono superiori d'ingegno, e d'industria, con la quale non solamente resistono, ma gli vincono. Ma ne' giganti, perchè erano uomini, era congiunto l'ingegno con la forza. Landino.

D'ELEFANTI... NON SI PENTE: non si pente di produrre; continua a generare di colesli animali. Notisi la forma la

Non si pente; chi guarda sottilmente,
Più giusta e più discreta la ne tiene:
Chè dove l'argomento della mente

S'aggiunge al mal volere ed alla possa,
Nessun riparo vi può far la gente.
La faccia sua mi parea lunga e grossa
Come la pina di san Pietro a Roma;

tina del verbo poenitere costrutto col ge-
nitivo della cosa, che uno duolsi d' aver
fatto.

PENTE. Var. Pentì, pentio, pentè, nelle Varior. del Witte. Pentè piacerebbe al Torelli. Ritenne questa lezione il Tommaseo. Noi leggiamo col cod. Cassin., col testo Barg., del Lomb.,del Venturi, del Biag., del Niccolini, del Bianchi ec. che seguono la lettera delle più cospicue edizioni: maggiormente che il verbo di tempo presente significa meglio la continuazione dell'opera;e il pentì potendosi riferire al tempo che non ci nacquero più giganti, lascerebbe dubbio, a chi non vedesse oggidì elefanti e balene, se natura si fosse posteriormente anche pentita di cotesti altri animali.

54. Più giusta, nell' aver cessato di creare esseri tanto nocivi: PIÙ DISCRETA, perchè mostra saper discernere che gli elefanti e le balene, tuttochè abbiano gran corpo e gran forza, essendo mossi dal solo istinto, non riescono così nocevoli come que' mostri umani. LA NE TIENE: cioè, chi guarda sottilmente, giudica che in ciò natura adoperi con giustizia e con discernimento. Il Torelli vorrebbe anche leggere ne la tiene. Suo gusto particolare!

[ocr errors]

55. ARGOMENTO DELLA MENTE ec. Argomento per istromento, mezzo, ripiego, provvedimento ec. che si ordina a un fine. Qui è la ragione, l'ingegno ec.Arist. Polit., I, 9: Siccome l'uomo, se sia perfetto in virtù, è l'ollimo degli animali; così, se si diparta da legge e da giustizia, è il pessimo di tutti, avend'egli l'arme della ragione. Dal Tom

maseo.

56. S'AGGIUNGE ec. Dove la sottilità dell'intelletto s'aggiunge al mal volere, ed alla possa di far quel male, allora

[ocr errors][merged small]

la gente non vi può fare nessun riparo. Sola la possanza di far male, se non vi è la volontà, ed il sapere, rare fiale nuoce: dove sia il potere, il volere, e non vi sia il sapere, ancora vi si può trovar riparo: se vi è il sapere, il potere, e non vi sia il volere, non nuoce se non per disventura: se vi è il sapere, il volere, e non vi sia il potere, poca stima ne facciamo noi; ma dove concorrano queste tre cose, polere, volere, e sapere, ovvero industria di fare il male, raccomandati a Dio, che se tu in queste cose non sopravvanzerai quel che nuocer ti vuole,non lo potrai scampare. Barg.

Al. lez. s'aggiugne, si giugne. .57. NESSUN. Som.: Peior est malus homo quam bestia. Tommaseo.

58. SUA: riferito a quel solo, cui, fra gli altri giganti, era più fisso l'occhio del Poeta (v. 46); e che vedrem tra poco essere stato Nembrotte (v. 77).

59. LA PINA DI SAN PIETRO. La gran pina di bronzo, che qui dice il Poeta, fu secondo il Ciampini (De sacris aedificiis, Cap. 4. Sec. 10) anticamente sulla cima della Mole d'Adriano (oggi Rocca S. Angelo), d'onde gittata da un fulmine vuolsi venisse trasportata nella piazza di S.Pietro, dov' era ancora al tempo di Dante. Oggi esiste nella scala dell' Abside di Bramante. Nel Landino leggiamo: Dimostra per certa comparazione che la faccia di costui era sì grande, quanto è una pina di bronzo, la qual dicono, che fu già in su la cupola di Santa Maria rotonda detta Panteon; ma gillata giù da una saetta, ne' tempi miei era in su i gradi della chiesa di fuori di S. Pietro in Vaticano. Coloro, adunque, i quali tengono col Salvini, che Dante abbia qui nominata la palla della Cupola di S. Pietro (poichè l'eccelsa Basilica

« PreviousContinue »