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E fa ragion ch'i' ti sia sempre allato, Se più avvien che fortuna t'accoglia Dove sien genti in simigliante piato; Chè voler ciò udire è bassa voglia.

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145-147. E FA RAGION ec. Ord.: E se più avvien che fortuna t'accoglia dove genti sieno in simigliante piato, fa ragion ch'i' ti sia sempre allato ec. In sent.: Se altra volta ti troverai per caso dove avvengono di tali contese, pensa e fa conto come io stiali tuttavia allato, per riprenderli, siccome ora ho fatto. Val quanto dire: abbi davanti agli occhi la Ragione, onde ti guardi e vergogni di compiacerti nelle vili contenzioni ec.

145. FA RAGION: fa conto, stima, immagina,pensa ec.-Parad.XXVI,8 seg.: e fa ragion che sia

La vista in te smarrita e non defunta.

146. T'ACCOGLIA: ti conduca, ti faccia imbattere o capitare ec. Barg., Vent., Volp., Biag., Bianchi ec. - t'ac costi. Lomb. e Bianchi - Il Volpi avea detto: Accogliere per condurre, o cogliere. E quest'ultima significazione piacque al Tommaseo, che nota, AccoGLIA: colga. Il Blanc (Diz. dant.) dice questo verbo star qui: probabilmente per: ti colga, ti trovi. Cotesta probabilità salirebbe al grado della certezza, se dovessimo guardare alla sola autorità dell'illustre Sabenicese, e più dappoi che Giulio Ottonelli tenne la stessa opinione, appoggiandola a questo luogo dell' Ariosto (Fur. II, 53):

Nessun ripar fan gl'Isolani, o poco, Parte, che accolti son troppo improvviso, Parte, che poca gente ha il piccol loco.

ed il Parenti v'aggiunse (Ann. I, 55): « A confermazione di questo senso,giova riportare alcuni versi del medesimo Poela nell' Egloga di Tirsi e Melibeo, pubblicata nel Poligrafo del 1812:

Che saggio e cauto sia, te ne risolve Questo, che al varco abbia saputo accorre Quei che aver se 'l credean sotto la polve. E appresso:

Una tanta rovina, e sì di botto, Non è quasi possibil che si spicchi, Che molta turba non v'accoglia sotto». A noi non pare che la quistione stia qui a vedere se il verbo accogliere o accorre abbia o no il valore di cogliere per

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colpire o trovar sul fatto; ma di giudicare se al presente luogo dantesco cotesta significazione si addica meglio che l'altra di radunare, accostare, condurre, unire insieme cc. la quale anche gli è propria (Inf. IV, 9; VIII, 24; XIV, 114; XXIX, 100 ec.). Noi non capiamo come la fortuna colga uno fra genti che si azzuflino, piuttosto che ve'l faccia essere in mezzo: ella ci può adunare ove altri sieno in rissa, in quanto siam noi che fortuitamente e per caso vi ci possiamo imbattere, e con quelli trovare; ma che la fortuna vada poi spiando dove capiti un pover diavolo per corlo quasi in flagranza di colpa, questo ci pare sproposito sì badiale, che non crediamo possa mai esser entrato nel cervello dell' Alighieri; nè che sì dotti comentatori, riflettendo meglio e riconosciuto il vero, perfidiino, anzi che tornare all'antica interprelazione, ch'è come questa del Landino e del Vellutello: Quando avviene che a caso si ritrovi ov'è simil gente ec.

147. PIATO: litigio, contesa. Dial. Bol. e Mantov. Plèit, Franc. Plaide, nella stessa significazione. Voce venutaci dal basso lat. placitare. Nel dial. napol. chiaitare. Propr. è la contenzione delle parti litiganti innanzi al magistrato. Il Lasca (Streg. V, 1): Tra l'altre molte noje e infiniti fastidj che sono in questo mondo, questo del PIATIRE non è il minore;. avendo a praticar sempre con birri, messi, toccatori, nolaj procuratori, dollori e giudici, che ti aggirano con richieste, citazioni, contradizioni, esamine, testimoni, appellazioni, con leggi, statuli, ferie, di utili e disutili; e ti piluccano infino in su l'osso. e poi che tu resti vincilore del PIATO li trovi rovinato: e però si dice che egli è meglio un magro accordo, che una grassa sentenza.

148. VOLER CIÒ UDIRE È BASSA VOGLIA. Nell'Ecclesiastico XXIX, 28: Sepi aures tuas spinis, et linguam nequam noli audire, el ori tuo facilo ostia et seras

CANTO XXXI.

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1 Giganti. Discesa nel nono cerchio.

Una medesma lingua pria mi morse,
Si che mi tinse l'una e l'altra guancia,
E poi la medicina mi riporse.

Così od' io, che soleva la lancia.

D'Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista, e poi di buona mancia.

auribus tuis. Ne' Prov. XXVI, 17: Sicut
qui apprehendit auribus canem, sic qui
transit impatiens, et commiscetur rixae
allerius. Quindi savissima la sentenza
virgiliana e secondo quest' altra degli
stessi Proverbi (XX, 3): Honor est homi-
ni qui separat se a contentionibus: om-
nes autem stulti miscentur contumeliis.
Il Savio Duca qui però raccomanda che
l'uomo non abbia a trovarsi di sua vo-
lontà o dilettarvisi; ma vuole che se mai
fortuna o caso ve 'l meni, sappia egli te-
ner presente la sua ragione.

1-3. UNA MEDESMA LINGUA ec. Int. Virgilio PRIA MI MORSE, mi punse con quel le parole (C. prec. v. 131 seq.): Or pur mira

Che per poco è che teco non mi risso.
di tal che MI TINSE ec. femmi di vergo-
gna arrossire; e poi egli stesso LA MEDI-
cina mi riporse: mi risanò confortando-
mi con quelle altre (vv. 142-144) dolci
ed umane:

Maggior difetto men vergogna lava,
che 'l tuo non è stato;
Però d'ogni tristizia ti disgrava.

Simigliantemente (Inf.XXIV, 16 segg.):

Così mi fece sbigottir lo Mastro,

Quand'io gli vidi si turbar la fronte,

È cosi tosto al mal giunse lo 'mpiastro. MORSE. Mordono figurat. la coscienza (Inf. XI, 52; XIX, 119), la cura (Inf. IX, 102), la morte (Purg. VII, 32), l'ira (Purg. XX, 144), il fuoco (Purg. XXVII, 10), la gratitudine (Purg. XXXI, 88), l'amore (Parad. XXVI, 51), la punizione (Parad. VII, 42), il dente per l'inimicizia (Parad. VI, 94). In quest'ultimo traslato Fedro disse della Vipera, limam momordit, imitando mirabilmente con la pronunzia delle parole il movimento del

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le labbra, nell'atto del mordere. Ed Ora-
zio, Lib. I, Epist. 16:
Mordear opprobriis falsis, mutemque colores?
Ma le parole del famoso Saggio pun-
gono per ironia che castiga, non per o-
diosa mordacità che avvelena.

4-6. LA LANCIA D'ACHILLE ec. Sent.La lingua di Virgilio pria mi morse, e poi sanò il morso ella stessa, in quella guisa che da' poeti si narra, la lancia d'Achille e di Peleo esser talvolta stata cagione e rimedio della ferita. Il Pelide, che percuote,e poscia risana Telefo figlio d'Ercole e re di Misia, così appo Ovidio (Met. XIII, 171 seq.):

Ego Telephon hasta

Pugnantem domui; victum orantemque refeci.
Ed ivi, XII, 112:

...

Opusque meae bis sensit Telephus hastae.
Ne' Tristi, Lib. V, Eleg. II:
Telephus aeterna consumptus tabe perisset,
Si non, quae nocuit dextra tulisset opem.
E Remed. Am., 48:
Vulnus in Herculeo quae quondam fecerat hasta,
Vulneris auxilium Pelias hasta tulit.

La lingua dell' uomo va bene assomigliata alla spada, alla lancia, alla saetta; ma quando è trisulca come della vipera, niente sarà che possa ai suoi morsi riporgere la medicina. La sola Ragione tocca senza fiele, ed ha la potenza d'operare i prodigi della lancia d'Achille.

6. TRISTA E... Buona mancia. Mancia, dono in genere, regalo, strenna. Il Poeta (Purg. XXVII, 119 segg.):

Virgilio inverso me queste cotali Parole usò, e mai non furo strenne Che fosser di piacere a queste iguali. TRISTA MANCIA Armida (Ger. XVI. 66 seq.) chiama la beltà dono infelice; e Vinc. da Filicaia, Son. 87:

Italia, Italia, o tu cui feo la sorte
Dono infelice di bellezza ec.

Noi demmo 'l dosso al misero vallone,
Su per la ripa che 'l cinge d'intorno,
Attraversando senza alcun sermone.
Quivi era men che notte e men che giorno,
Si che 'l viso m' andava innanzi poco:

che l'Ab. Regner Desmarais reca in lat.: Italia, infausto Coeli quae munere pulcra ec. In Ovidio, Met. IX, 180 seq., Ercole ardendo nel veleno di Nesso, così a Giu

none:

Mors mihi munus erit: decet haec dare dona no(vercam. E volto poco dipoi a chi recata gli aveva la funesta camicia di Deianira (Ivi v. 213):

Tune, Licha, dixit, feralia dona tulisti? Così il mal guiderdone, il perverso merito ec. Dante, Salm. VI:

Onde vedendo la contrizione

Del popol d'Israel, son più che certo
Ch'egli avrà di lui compassione:
E lasceragli ogni perverso merto.
Perverso merto, demerito, colpa.

7. DEMMO IL DOSSO ec.: volgemmo le spalle ec. Lat. terga vertere o dare, fuggire. In sent. Ci partimmo dal MISERO VALLONE della decima e ultima bolgia.

8-9. SU PER LA RIPA ec. ATTRAVERSANDo ec. Int. Camminando non su per lo giro dell'argine che cinghia la bolgia (a), ma passando quest'argine e traversando lo spazio posto tra esso e il pozzo che tiene il centro di Malebolge. Nel C. prec. v. 87. Di traverso; e nel C. XXV, 81: La via attraversa.

SENZA ALCUN SERMONE: senza proferir verbo (XXIX, 70), « per meditare, dice il Biagioli, le vedute cose, e soprattutto il Poeta nostro fra le altre la puntura testè ricevuta da Virgilio ». Senza alcuna cosa dire, ma cogitabondi, come

(a) Il Vellutello comenta: « Su per la ripa ch'ei,cioè la quale egli vallone cinge d'intorno. Altri testi dicono, Che il cinge. Per li quali bisogneria intendere, che la ripa cingesse il vallone, il che sarebbe falso perchè quest'ultima bolgia, la qual domanda vallone, cinge intorno l'ultima riva che la divide dal nono cerchio, come la penultima riva, che la divide dalla penultima bolgia, cinge d' intorno lei ». Ma non si pare come la bolgia cingesse i suoi argini, anzi che questi circondasser quella, la cingessero,la tenessero in mezzo.

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vuol inferire. Vellut.-Bisognava lasciar trascorrere alcuno spazio, perchè potesse Dante riaversi da quella sua confusione che gl'impedia il favellare: Virgilio non avea nulla da meditarvi, ma non credette bene muover la voce, prima che nel suo alunno non fosse la turbazione del

tutto sedata. Nel che si porge il savio ammaestramento, che la Ragione aspetta il punto ch'ella non parli a voto. Forse a scuoter il nostro Poeta da quel morale torpore, non sopravvenne inopportuno l'alto rimbombo del corno di Nembrotto, che rompe quell'aura fosca: siccome il greve tuono gli ruppe il sonno e riscosselo:

Come persona che per forza è desta,

sulla dolorosa proda d'abisso.

10. QUIVI ec. Quando ci partivamo della X bolgia, stendendo i nostri passi verso il pozzo, non era nè notte nè giorno perfetto; era l'ora del crepuscolo vespertino. Secondo il nostro computo (C. XXIX, 10, nota) essendosi dal punto che Malacoda parlava ai Poeti,insino all'uscita dell'ultima bolgia, messe ore 4 » 22' » 28"; se da questo tempo si torrà un'ora del crepuscolo che qui si accenna, il cammino dalla V bolgia alla X è lecito inferire che sia stato di ore 3 » 22′ » 28′′. Quest'ora di crepuscolo serotino si crede poi bastato a visitare la Caina, l'Antenora, la Tolomea e la Giudecca, ultime stanze del basso Inferno (Torricelli, Studi sul Dante, Vol.II, pag. 346; Nap. 1853). 11. SI CHE еc. Int. La poca luce faceva ch'io non potessi discernere gli obielti lontani Quasi dica io vedeva poco più là, che dove io ero. Landino

Viso altrove per faccia,aria del volto. Qui vale vista, occhio, come nell' Inf. IV, 11; IX, 55, 74; X, 34; XVI, 123; XX, 10 ec. Ivi XVIII, 127 seg.:

Appresso ciò lo Duca: Fa che pinghe
Mi disse, un poco il viso più avante.

Ma io senti' sonare un alto corno

Il Poeta, Rim., Son. IX:

Io son si vago della bella luce

Degli occhi traditor che m'hanno occiso; Che là dov'io son morto e son deriso, La gran vaghezza pur mi riconduce: E quel che pare, e quel che mi traluce, M'abbaglia tanto l'uno e l'altro viso, Che da ragione e da virtù diviso, Seguo solo il disio, com'ei m'è duce. Il Lombardi legge n'andava, secondo la Nidobeatina. Questa variante è nella Fulgoniana, nell' ediz. della Minerva, e segnata tra le Variorum del Witte. Tutti gli altri codici hanno la nostra lettera. Il Biagioli: È Dante che parla, e dee parlare solo del viso suo, e però disse M'ANDAVA. Potea parlare anche del viso di Virgilio, se questi, non avesse potuto, come spirito, spingere i suoi occhi per entro l'aura fosca, dove non penetrava lo sguardo di Dante.

12-13. MA IO SENTI' Sonare ec. Quantunque io non vedessi,pure sentii sonare ec. Barg. Non vedevo molto, ma sentivo: perchè dove mancava la luce, per la qual si vede, abbondava il suono, pel quale udiamo. Landino. La particola MA presero taluni come pleonastica. Al Venturi parve ritener essa molto del verum o at,che i latini usarono al cominciamento della sentenza, quando vi si passa da un'altra diversa; pure dice, che: Ha un pochettino dell'avversevole, contrariando in qualche modo al detto: poco ci vedeva, ma ci sentiva bene.

MA 10 SENTI' ec. Ordina: Ma io sentii sonare un corno tanto alto, che drizzò tulli ad un loco gli occhimici seguitando (cioè seguitanti) la sua via contra sè (in direzione contraria alla linea, per la quale quel suono a me veniva). Il Biagioli frantende chiosando ALTO per in allo loco. Si snaturerebbe la proprietà della frase UN Alto corno; nè a farlo cel consente il dire, che ad orecchio si giudica del luogo onde perviene un suono, e che il Poeta poco appresso (v.19 seg.) soggiunge aver portato in là volta la testa, ed essergli parso di vedere molte alte torri. Tenendo col Biagioli il TANTO del v. 13 dovrebbe significare tanto fortemente che sarebbe gratuito; al contrario, se pure si voglia intendere: sentii

sonare un allo corno, il tanto modificherà di leggieri l'aggiunto, e sarà come si dicesse tanto alto. Il Daniello costruisce anche: un corno tanto alto; e tanto allo vale per lui tanto altamente, tanto fortemente. Pare che questi dotti non vedessero come al corno, anzi che al sonare, convenir potesse l'epiteto alto. Per nostro avviso può benissimo addirsegli, lor natura, ma perchè si veniva terribile e non perchè già le corna s'estollono di il suon del corno, cui dava fiato il gistromento ciò ch'è proprio del suo suogante, ed è non istrano che si dia allo no; siccome il Petrarca appellò chiara d'Achille: e quella chiarezza in traslato la tromba, onde Omero si alto scrisse significherà, non solo i famosi e nobili carmi del greco vate; ma l'altezza del suono che veniva dall'epica tromba, cui diè fiato quel Signore dell' altissimo canto: il che si fa chiaro dalle parole che il divino cantor di Laura poco appresso soggiunge:

Ma questa pura e candida colomba,

A cui non so se al mondo mai par visse, Nel mio stil frale assai poco rimbomba. con che vuol dire, la sua lira non esser sì chiara, nè sì alta, che render possa il suono dell'omerica tromba. Che poi a chiamarsi alto un suono non sia necessario ch'esso muova da allo luogo, non crediamo ci faccia mestieri di dimostrarlo, quando il Nostro, stando già sull'entrata dell'Inferno, intese alti guai e voci alle e fioche (C.III), le quali certo non gli venivan dall'alto. Il Tasso (Ger.XIII,74):

Accompagnan le genti il lampo e 'l tuono
Con allegro di voci ed alto suono.
Ed ivi C. XIV, 32:

E non udian ancor come risuona
Il roco ed alto fremito marino.
Il campo stesso de' crociati (Ger. III,1):
In voce mormorava alta e sonora,

E prevenia le trombe; e queste poi Dier più lieti e canori i segni suoi. ALTO CORNO Val qui dunque, come chiosa il Bianchi, corno di allo e forte suono. E noi oseremmo dire che anzi valesse alto suono di corno, a cui è riferito il che del v. 14. Vedi nota al v.13 in fin.

SEGUITANDO: seguitanti. Il gerundio

Tanto, ch' avrebbe ogni tuon fatto fioco; Che, contra se la sua via seguitando, Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco. Dopo la dolorosa rotta, quando

tien luogo alcuna volta del participio presente. Eccone qualche esempio. Onesto Bolognese:

Ch'io la trovassi sol un'ora stando.
Fra Guittone:

Vedendo molti stando innamorati.

E, Lett. XXV: Corona ci è, coronando (coronante, o che corona) ogni vincente, e mannaia, colpando (colpante per colpente o che colpisce) ogni perdente testa.

Viceversa il participio presente latino voltasi per lo gerundio nel nostro volgare.

13. AVREBBE OGNI TUON (a) FATTO FIOco: vinto, cioè, il rimbombo di qual più allo tuono si fosse mai udito scoppiare. Di due sensazioni, che si hanno simultaneamente, la più forte attenua la meno. Ne' suoni anche accade quello che nella luce: il sole ecclissa le minori stelle.

Froco. Il Biagioli trae questa voce dal Lat. flaccus, fiacco, debole; il Blanc da floccus che primitivamente valse a dinotare ciò ch'è piccolo, di poca forza ec. Il Poeta là dove (C. III) dice: Voci alte e fioche fa un contrapposto tra il significato delle due voci: e questo è altro argomento a convincersi che l'alto del v. 12 sia da prendere addiettivamente, siccome il fioco del v. 13.

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(a) SUON hanno il cod. Bartolin. e il Fl.; e benchè il Portirelli ne sostenga la lettera, dicendo che giova a render più forte la comparazione; pure a noi sembra che avverrebbe il contrario. La nostra lezione pare abbia a tenersi per la vera, perchè conforme a quella di tutti gli altri testi; e principalmente perchè rende il concetto più fedele a quello, che, del corno d'Orlando, scrive Turpíno con le seguenti parole, le quali in questo passo il Poeta ebbe presenti: Roland print adonc son cor d'yvoire, qui sonnoit plus cler, et plus hault que nulle trompette, du quel il cornoit ainsi haultement, que le son sembloit êstre tonnerre.

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del suono in direzione contraria; andando, cioè, verso il punto, onde il suon del corno si propagava.

15. TUTTI AD UN LOCO. Supremo grado dell'attenzione. TUTTI: in tutto, interamente. Seppure altri non voglia prender questa voce come un ripieno.

16-18. DOPO LA DOLOROSA ec. Ordina: Orlando non sonò si terribilmente dopo la dolorosa rotta, quando Carlo Magno perdè la santa gesta. Tocca qui il Poeta della disfatta di trenta mila (secondo altri di venti mila) cristiani che Carlo avea sotto la condotta di Orlando lasciati in Roncisvalle, nella impresa ch'egli assunse di scacciare i Mori dalla Spagna. Fu in questo incontro, che il gran paladino, fuggitosi dietro un monte sonò si altamente il suo corno d'avorio, che quel suono fu udito da Carlo di lungi otto miglia (b). Detto poco più su che ogni tuo

(b) Poichè Carlo Magno ebbe con le armi sottratta quasi tutta la Spagna dal dominio degli infedeli, risolvette di tornare in Francia; ma rimanendovi ancora in Aragona, presso a Saragozza, due re infedeli, Marsire o Marsilio e Beligando, fratelli, i quali simulavano di essergli obbedienti, mandò loro da Pamplona Gainellone (Ganellone, Gano) suo ambasciatore, ordinando ch'eglino si battezzassero, o a lui pagar dovessero un tributo. Marsilio e Beligando per gran doni corruppero Gano; il quale tornato a Carlo offerse il ricco presente, che quelli gli mandavano, oro, argento, gioie, buon vino e

belle femmine saracine in copia; dicendo che i due re deliberavano venire in Francia, umiliarsi al suo cospetto e, preso il battesimo, giurargli fedeltà; se però egli lasciasse loro il governo della Spagna. Carlo credette al falso parlar di Gano,ed affrettossi di tornare in Francia, per ivi attenderli; e prudentemente dispose, che Orlando con altri prodi Cavalieri e venti mila soldati stessero di retroguardia a Roncivalle, finchè col grand' esercito non avess'egli valichi i Pirenei. Di questo avvisati Marsilio e Beligando si collocarono a Roncisvalle in insidie con cinquanta mila combattenti. Venti mila di questi furono da Orlando trucidati nel primo assalto; ma gli altri, ch'erano freschi di forza e superiori di numero, si scagliaron contro i cristiani già stanchi, e li tagliaron a pezzi, potendo salvarsi appena Orlando, Balduino, e pochi altri dispersi per la selva. Orlando qui suona il

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