Incontanente intesi, e certo fui, 62. Cattivo (v. 37) è anche detto il coro degli angeli nè a Dio fedeli, nè ribelli, ma che furon per sè. I cattivi co' cattivi. Cattivo è il contrario di Buono, e buono vale: Integer vitae scelerisque purus (Oraz. Lib. I, Od. 22) o come direbbe Dante, colui: Che fu al dire e al far così intero. Or nè si dice, nè si fa integralmente e qual si deve niuna cosa da chi non abbia vita, vigore, valore, forza (a). Buono è inteso con proprietà nella detta accettazione, anche dove Orazio disse: Cattivo è dunque inesperto, invalido, inetto ec. Lucano. Come Pompeo parlò: Chè chiunque vincerà sarà tenuto crudele, e chi sarà vinto, sarà tenuto per cattivo e sventurato. Cattivo opposto di valente, strenuo, prode ec. Il Giamboni, Stor. Paol. Oros. Lib. III, cap. I: Rade volte due signori (duci) così pari di bontà (il testo ha: pares omni industria) si rincontraro in battaglia. Quindi ben-nati per venuti da buoni germi, da uomini generosi, valorosi ec. a cui la colpa si disdirebbe. Oraz. (Lib. Fortes creantur fortibus et bonis. e dove (Lib. IV, Od. 5) alludendo al bel- IV, Od. 4): licoso Romolo, gli volge le parole: Divis orte bonis, optime Romule. appellandolo ottimo, come in arme valorosissimo figliuolo di Marte. Buono per atto, idoneo ec. in Virgilio (Ecl. V): Cur non, Mopse, boni quoniam convenimus ambo (a) È notevole come dal Compagni designansi Indecorant bene nata culpae... est in equis patrum Šensit iners timuitque mortem... Da' quali luoghi, ed altri molti che allegar potrebbonsi, la voce cattivo contrario di buono e di forte apparisce non altro per Dante voler dire, che imbelle, codardo, inerte, vile, dappoco: aggiunto di coloro che non son buoni a nulla. Vedi di questo canto i versi 36, 40, 41, 42. Dal Volgarizzamento di Lucano (approvata scrittura del 1313) adduco un passo che a fermare la vera accettazione, in cui è tolta dall' Alighieri qui la parola cattivi, val più che ogni altra chiosa che vi si faccia sopra a mo' d'oracolo; e si cogliesse anche bene al segno. V'invito tutta quanta l'attenzione dello studioso cultore della divina poesia di Dante. E Cesare che nel piano di Tessaglia parla confortando i suoi a battaglia: Andate dunque e combattete sie (si) arditamente che tutti sien morli quelli selvaggi barberi, villani, malvagi, vili e neghittosi, e quelli grandi re, che tengono quelli grandi reami pieni di mal Questi sciaurati, che mai non fur vivi, Che, mischiato di lagrime, a'lor piedi vagi (a) genti, isconfitti (b), fuggiti di battaglia, acciò che l'uomo conosca che Pompeo, che tanti trionfi ha già avuti per molte cotali regioni ch'elli conquise, non fosse degno d'averne pur uno solo (c) per tutte queste genti, i quali voi troverete oggi sì cattivi e sì codardi, ch'a pena vi sarà niuno onore d'averli vinti. L'illustre Tommaseo comenta assenna tamente questo luogo di Dante, dicendo: « I vili dispiacciono a tutte le parti >> Arreca da altri le seguenti chiose. Armannino, nel suo Inferno: L'anime di quegli perduti, che, nè bene nè male fecero nel mondo, ma come cattivi, menano la vita senza frutto. Crescenzio: «Piante inferme e cattive. La servitù (captivitas) tali risica di rendere gli uomini >>. Questa sentenza è del Tommaseo. Bocc.: Il fante di Rinaldo, veggendolo assalire, come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò. Conv.: Gli abominevoli cattivi d'Italia, ch'hanno a vile questo prezioso vol 65 rienza sua propria, che quello Spirito e non le masse sono la vita delle nazioni, sa che la prima pena sia data ai cattivi gente codarda e intesa solo a tutto ciò ch'è materia: gittati però e vinti nel duolo sul vestibolo dell' Inferno; avuti in disdegno dagli stessi rei. Son nudi, perchè come belve umane permanendo nello stato naturale non attesero, per dappocaggine, con l' opera della mente e della vita attiva, ad ornarsi nè di lodati costumi, nè di quelle oneste dovizie, che son come vestimenta del nostro pellegrinaggio. Mosconi e vespe sono i ministri della divina Giustizia. Le mosche assidonsi oziose sull'aratolo, sul dorso e sulle corna de' buoi affaticati al lavoro. I mosconi tormentano in Inferno i cattivi, come quassù trafiggono le pigre bestie. Le vespe vi son messe non senza sottile intendimento del Poeta. V'ha pure una genia di cattivi che, come la vespa esopiana, pretenderebbe levarsi sopra le api industri, con tutto il suo lavorio non sia da agguagliare ai favi del mele. Le lagrime, che gocciano commiste col sangue giù per terra, sono l'inutile pentimento, e la vita inetta dell' uomo, che non torna alla terra senza lasciare alcun tribolo alla umanità. Questo sangue che cade ai piedi è segno della vita che invece di elevarsi si atterra, invece di salire alla Divinità, diviene alimento di schifosi lombrichi: i vermi lo ricolgono come cosa loro. Dante che sa come l'eternità del Vero e del Bene abbisogni della contingenza del tempo, perchè baleni i suoi fulgori alla mente e rinfocoli il petto ai mortali; parla il più sovente che puote il linguaggio biblico, sicuro che la vera Religione favorisce e promuove la spirituale e politica rigenerazione. La quale tanto abborre i cattivi; quanto le pecchie laboriose hanno in dispregio gl'inerti fuchi e dannòsi, cui discaccian via dalle loro arnie. Da fastidiosi vermi era ricolto. E tu, che se' costi, anima viva, 69. FASTIDIOSI, schifosi, nauseanli, sozzi ec. Bono Giamboni Giard. di Consol. cap. I: E santo Anselmo dice: 0 uomo perchè enfi (ti gonfi)? cosa fastidiosa perchè insuperbisci? 80. Vedi il Vereor ne de' latini! Canities inculta jacet: stant lumina flamma 70 75 80 85 In codesta figura lo ritrasse Michelangelo nel Giudizio della Cappella Sistina. 87. È come dire: Nell'inferno. Secondo Ser Brunetto il Paradiso terrestre fu Pacino Angiolieri non molto prima di luogo: Dante: Quando faceste dono Me (a me) di vostra amistade, Diceste: temo non dispiaccia a Dio. Gli fosse grave. Dante da Maiano: Che non vi grevi e non vi sia pesanza cioè, non vi gravi, non vi sia grave, mo- 82. Immagine simigliantissima a quella, sotto cui Virgilio (En. VI, 298) ci dipinge il navalestro infernale: Portitor has horrendus aquas, et flumina servat Terribili squalore Charon, cui plurima mento Ov'era ogni diletto, E nel Tesoro Lib. III, cap. 2, discorrendo del Paradiso celestiale: Là non v'ha nè freddo nè caldo, se non perpetuale tranquillitade e temperanza. L' Inferno adunque dovea esser l'opposto. 88. Che sia anima viva nel senso letterale, non può essere chi nol sappia. Che cosa poi vaglia nel figurato, checchè altri ne dica, a saperlo è necessario volgere un'occhiata alla sacra scrittura, per veder quivi in che sentimento sieno adoprate le voci vita, vivo, morto ec. Trasandando l'antico, e venendo al nuovo testamento, udiamo Cristo dir di sè: Ego sum via, veritas, et vita: qui credit in me etiam si morluus fuerit vi Partiti da cotesti, che son morti. Ma poi ch'e'vide ch'io non mi partiva, vet; et omnis, qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum. Altrove: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata. Vita è dunque Dio stesso, vita il suo Regno, dove niun viene che non sia prima rinato di acqua e di Spirito (Giov. cap. III, v. 5). Rinascere di spirito è ertrare in una vita nuova mercè l'interiore rinnovellamento dell'anima; nascer d'acqua è venire nell'umanità rigenerato dal battesimo. Chi è nato della carne è carne (loc. cit. v. 6) e senza la verità che irradi la mente e lo spirito, resterebbe l'uomo quasi materia morta. Dacchè la luce è venuta al mondo chi non cammina secondo quella è condannato (Ivi cap. III, v. 19). Ora in Cristo è la vita luce vera che allumina ogn'uomo, che venga in questo mondo. La carne è corruzione, egoismo, servitù, catena che avvince se stessa. Un popolo carne, tuffato tutto negl'interessi e nelle cure materiali, dato ai sensi, al lusso e alle voluttà si nutre e ingrassa per apparecchiare un pasto ai vermi. I despoti sanno a menadito che non si può tiranneggiare un popolo veramente di Dio. Essi perciò lo vogliono popol-carne che viva, fuor di sè, straniato dal nobile suo fine. Quando il popolo romano non tenne in pregio la vera libertà; Cesare, Ottaviano, Tiberio, Nerone ec. non mancarono di dare i grandi spettacoli pubblici per divertirlo, e carezzarlo, come si fa a focoso cavallo, che si vuol tenere alla briglia. Ma non s' infrena lo spirito! Esso sta sopra la materia, come Dio, da cui viene, sovrasta su tutto l'universo. Esso è libero di sua natura, non ha forza che l'incateni. La politica dello spirito ravviva, salva, francheggia e libera l'umanità: gli ammaestramenti dello spirito fan rinascere i morti, siccome l'eterna Parola suscitò Lazzaro dalla tomba. Chi aneli, dunque, alla vita, ascolti non la carne, ma lo spirito; il quale vivifica e può fare che l'umanità risorga dal fetido fracidume del vecchio mondo. Ma lo spirito della vita non è fuori la dottrina di Cristo, che illumina i ciechi, raddrizza gli storpi, conforta gli uomini ad una fratellanza sin 90 cera ed amorevole; gli aduna, gli stringe con vincoli di vera civiltà in comunanza, che non è di triboli, di dolori e di oppressante schiavitù. Ecco quali sono i vivi di Dante, e la vita nel senso teologico, ch'è quello, a cui egli tanto applicò la sua mente. E questo senso abbraccia eziandio il politico, il civico, il morale, l' anagogico, il tropologico e quanti ne divisino le menti sottili: dappoichè vita è vis, cioè forza, vigore, valore, azione, virtù ec.; nissuna delle quali può esistere dove il cuore sia gelido, l'anima ghiaccia; ove non spiri alito vitale di bontà, di verità, di bellezza; dove, in una parola, non è amore o carità, la quale è simboleggiata nel rosso colore, perchè ha potenza, come l'ardore e la fiamma del fuoco, d'illuminare, di scaldare, di muovere, di struggere la materia e raffinare l'uomo purificato come oro dalle sue mondizie. Epperò buoni si dicono i vivi, cattivi i morti, de' quali Dante stesso dice: Questi sciaurati che mai non fur vivi. e Caronte a lui (v. 89): Partiti da cotesti che son morti. 89. Partiti. Dividili, separati, allontanati, sègregati. Brun. Latini, Oraz. per M. Marcello: E non mi parea lecila cosa, che io stessi e usassi nelle antiche sedie di voi, Senatori, secondo che io era usato, stando Marco Marcello partito e rimosso da mе ес. Virgilio mise in bocca del navalestro infernale simiglianti parole dirette ad Enea, che, anche vivo, attentavasi di varcare la Stigia palude. En. VI, 390: Umbrarum hic locus est, Somni Noctisque sopoCorpora viva nefas stygia vectare carina. (rae Ma il lettor diligente noterà fatto anima viva dal Nostro, quel che Virgilio disse corpora viva. Dante sapea che l'anima non muore giammai; sì perchè, oltre le ragioni filosofiche ec., non ne avrebbe tante trovate di là; e sì perchè mette il Cavalcanti alla pena di coloro che con Epicuro: l'anima col corpo morta fanno. L'aggiunto di viva significa dunque la vita dello spirito, che si dona dalla grazia quando si osserva la Disse: per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui, per passare: Al nocchier della livida palude, Che 'ntorno agli occhi avea di fiamme ruote. Ma quell' anime, ch' eran lasse e nude, legge divina; dicendo Ezechiele 18 (e In Dante Alighieri non sono soltanto i tropi, cui bisogni por mente! 95 100 98. seg. V. la nota al v. 82 seg. di questo canto. Queste rote di fiamme, che avea Caronte intorno agli occhi, sono significate da Virgilio per le parole sublimissime: stant lumina flamma; le quali forse si lasciano indietro la frase dantesca. 100. Lasse, stanche del viaggio della vita (lassus viarum): Nude, perchè l'uomo nudo nasce, e nudo torna alla terra. Job.: Nudus egressus sum ex utero matris meae, et nudus reverlar illuc. Lasso val poi anche misero, infelice; nel zione, o senza. Inf. XXVIII: Partiti. Partire (att. e n. pass.) allontanare, dividere, separare ec. Onde partenza per allontanamento, divisione, separazione ec. Guido delle Co- qual sentimento s' adopera con esclama lonne: Senza misfatti non dovea m punire Partito m'avete da voi; cioè, diviso, allontanato, scacciato cc. Novellino, LXXV: Compagno mio, io mi voglio partir da te, perch'io non t'ho trovato leale com'io credeva. Onesto Bolognese: Quanto maggiore è rio, maggio si mostra, E quanto più, più nostra Io mi partii Poco è da un, che fu di là vicino. Chi fu colui, da cui mala partita (partenza) 97. Fur quele le... gote rende a parola quel che della Sibilla narra Virgilio En. VI, 102: .... Cessit furor, et rabida ora quierunt. Che dissi, lasso! capo ha cosa fatta. Quando risposi cominciai: Oh lasso! ec. Temea, lassa! la morte.. reina... incominciò fortemente a pian- reina. Cioè misera ed infelice. 103. Bestemmiare per maledire è dai primi vagiti di nostra favella, servato an cora nel dialetto calabro che ha Jestima- Geso Cristo l'altissimo Che poi que' dannati bestemmiasser |