e Parad. XXX, 17: to cavate dal Lat. Fui, fuisli ec. che si Fosse conchiuso tutto in una loda. deriva dall'antico Fuo, e questo dal greDi che poi lode (Lat. laudes), Pa- co. L'o si conserva bene nelle inflessioni rad. X, 122; e alte lode, ivi XIV, 124. Fosti, Foste, Fossi, Fosse ec. per Fu Similmente calla per calle, Purg. IV, sti, Fuste ec. che più si conformano al 22; froda per frode, Iof. XVII, 7 e molti latino. L'u sovente si scambiò con l'o, dialtri come lila, apa, cota, falcia, sela, cendosi, v. gr., dederont, vollis, volgos, sorla, froda ec. per lite, ape, cote, fal- servos, coi ec. per dederunt, vultis, vulce, sete, sorte, frode ec. gus, servus, cui ec. Foi per fui, nonchè Altresì negli aggettivi; e si disse bene nel verso, si adoperò nella prosa. Panun tempo: celesta, crudela, sublima ec., nuccio dal Bagno: come ora: celeste, crudele, sublime ec. Che in tal maniera foi adesso priso. Laonde Parad. XV, 145: Il Frezzi, Quadr. Lib. I, cap. XVIII: Quivi fu’io da quella gente turpa ec. Li dissi di Cupido, e come foi Disviluppato dal mondo fallace. Con lui tra boschi per diversi canti. Da ultimo, quanto a lodo, veggansi e Lib. II, cap. IX: not. Purg. XXII, 3 e XV, 51. Qual ora sete voi, ed io già foi. Fosli è tuttavia in onore. Lodo qui s'intende per buona fama, contrapposto ad infamia. Come dunque Fo. Il B. Jacopone Lib. I, sat. V, 5: Pianto fo il primo cantare. l'infamia non è che per fatti eccesiva Fomo e Fom. Idem. Lib. II, cap. mente viziosi ed atroci; così questo lodo non s'intende meritato se non da coloro, XVII, 2: Quando in lui fom battezzati. che s'acquistarono rinomanza per azioni Foste è in uso. generose e grandi. Assai poco bene che Foro. Il Frezzi. Quadr. Lib. IV, cap.XII: non meriti il Paradiso; o poco male che Alli quai prima elli ordinati foro. non vada sollo il giudizio di Minosse, hanno lor pena al di sopra de' gironi del L'Ariosto, Orl. Fur. C. XX, 18: Tartaro. E poichè di codesti buoni e ma Dalle lor donne i giovani assai foro, li infinita è la turba: ecco la ragione on Ciascun per sè, di rimaner pregati. de il Poeta dice averne visti sì gran nu Il Tasso Gerus. liber. XV, 12: Nell'isola di Francia eletli foro. mero, che mai non si sarebbe creduto: Che morte tanti ne avesse disfatto. Dante l'usa molte altre volte, come Inf. III, 39 - XXII, 76 - Purgat. IX, — 39. Foro dice non forzato dalla rima, 22 36 nè qui nè altrove (Inf. XXII, 76-Purg. XXVIII, 96. Parad. XXIII, 131 IX, 22,XI, 36–Par. XXIII, 131, XXVIII, 96, ec.) come s'avvisa il Mastrofini ei chè anche ed in prosa se ne trovano e Nè son voci acconce solo alla rima; comentatori annotano; perciocchè e fuori della rima, ed in prosa, foro per furo- sia. Le lingue romanze usitaron quasi sempi, e fuor di rima nella stessa poeno fu comune ai nostri primi scrittori; e tutte le medesime inflessioni. fra gli altri de' meno antichi l'adoperarono il Tasso e l'Ariosto. 40. Men belli. La perfetta bellezza Da Fu si fece Fo (mille ne son gli e- non va disgiunta dalla bontà, dalla virtù, sempi): e come da Fu venne Furono; dal valore. I cieli, se vi avessero avuta così da Fo, Forono e Foro. La scala lor sede gli angeli cattivi, cioè gli spiridelle mutazioni è: Fo, forono, forno ti vili, codardi, dappoco, stati sarebbero (per sincope), foron, foro. Le quali ulti- non compiutamente belli: ovvero, meno me due inflessioni avemmo noi di comu- belli di quel che or sono, per aver cacne co' Provenzali. Queste voci furon cer- ciato gl'imbelli. XII, Nè lo profondo Inferno gli riceve, 41 e seg. Profondo inferno, chi ben Ma quanto l'idea cristiana sorvanzi la l'intende, è tutta la parle interna del Co. pagana non è a dire. Non offre questa, no immaginato dal Poeta, dove vari come l'altra, sì gran dovizia di sublimi scompartimenti sono ordinati, secondo la concetti, tanta morale filosofia, tanto digradazione e natura de' reati e delle pe- scernimento e giustizia nella partizione ne. I Gentili lo dissero Tartaro. La par- de' vizi e de' reati, e nell'applicazione le superiore è de' virtuosi, come Virgi- delle leggi punitive; nella gradazione lio, Omero, Platone ed altri molti, che delle virtù e de'merili, e nella proporziovissero più o meno secondo i detlami nata attribuzione de' premi. La dipintudella legge naturale; ma non ebbero Bat- ra poetica di questi luoghi fatta per Dan ; tesimo, nè fede nel Cristo venturo. I Pa- te (checchè il Cassinese Frate Alberico e gani appellarono questo luogo Elisio: il altri gli avesser potuto prestare delle lonostro Poeta lo dice Limbo, quasi Lem- ro visioni) è, e sarà la più perfetta, la bo, parte superiore ed esterna del Cono più compita, che siasi polula fare da ininfernale; dove furono, secondo la fin- gegno mortale. zione del Poeta, gli antichi Patriarchi in- Allusive alle idee degli antichi sulla fino alla trionfale discesa del Redentore. vita futura son le parole di Catone riseE questo è detto il Limbo chiaro, a dif- rite da Sallustio (Catilin.): Bene et comferenza dell'oscuro, dove vanno i vili o posite (ironia) Caius Caesar paullo unte callivi, luogo neutro, cioè nè Inferno nè in hoc Ordine de vita et morle disseruit; Paradiso. Gli antichi, come si ha da Vir- falsa, credo, exislumans quae de infegilio, ammisero anche un luogo di pur- ris memoranlur: diverso itinere malos gazione: il loro Paradiso era un campo a- a bonis loca tetra, inculta, foeda atque meno; l'Inferno un luogo tenebroso e ter- formidolosa habere ec. Il Latini traduribile (a). Ecco un parallelo tra le viete ce: « Cesare ha parlato bene e artificiosuperstizioni degli antichi e l'invenzione samente, come voi avete udito, della vialligheriana, che tiene alla cristiana cre- ta e della morte, quando elli disse che denza circa la vita futura. appresso della morte l'anima non avea ANTICHI MODERNI nè bene nè male: ma quando elli parla 1. TARTARO 1. Inferno che va di- così, elli non crede a quello che dicono stinto in tre parti: cioè, dello inferno, che i rei sono disceverati in Inferno profondo da' buoni e sono messi in luogo orribile Tartaro,in Elisio o Lim e felido e spaventoso » (b). bo chiaro, e in Limbo La Chiesa cristiana, che ritrasse dal 2. Elisio 2. PARADISO gentilesimo non poco delle forme, del 3. PURGATORIO 3. PURGATORIO culto e delle voci e locuzioni, nella preVeggasi ciò che per noi è notato (Purg. ghiera pe'defunti intuona: Domine,... a XXVIII, 128). poche bellezze, che l'Allighieri ritrasse e reco (a) Anchise ad Enea (En. V, 733): felicemente nella Divina Commedia. Il monitu Non me impia namque Divilm di questo luogo rende, ad esempio, l'imTartara habent, tristes umbrue:sed amena piorum mayine del Vuolsi cosi colà dove si puote ciò Concilia Elysiumque colo. che si vuole (Inf. V), e di quell'altro simigliante La Sibillä (VI, 530 segg.): verso (Inf. VII, 11). Sed te qui vivum casus, age fare vicissim, Le parole: tristes sine sole domos ci son ri. Attulerint? Pelagine variis erroribus actus, cordate per quelle del Nostro: An monitu Divin? an quae te fortuna fatigat, Quivi sospiri pianti ed alti guai Ut tristes sine sole domos, loca turbida adires? Risuonavan per l'aere senza stelle. (Inf. II, 22 seg.) Hic locus est, partes ubi se via findit in ambas : e: loca turbida son rese in quelle altre: Dextera, quae Ditis magni sub'moenia tendit: Come la rena quando il turbo spira. (lvi v. 30 Hac iter Elysium nobis: at laeva malorum (b) Catone teneva più che non Cesare alle creExercet pocnas et ad impia Tartara millit ec. denze religiose. Questi era perciò uno spirito Gioverà leggere la descrizione che nel VI li- forte del suo tempo, e così amico della liber: bro della Eneida vien fatta e del Tartaro e de- tà de' Romani, come i presenti materialiști si gli Elisi; e cercare tra i versi Virgiliani le non mostrano teneri della nostra, Oscuro. Che alcuna gloria i rei avrebber d'elli. profundo lacu; libera eas de ore Leonis, tuti promettere da questi enti miseri ed ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in infelici. obscurum ec. Ecco il profondo inferno Il Monti credette che il profondo ine il Tartaro dantesco: quello stesso, ferno non ricevesse gli angeli cattivi per cioè, de' pagani e della chiesa cristiana una ragione tutt'opposta: cioè, perchè antica e moderna. Vedete, cosa chiara da essi non avrebbero i rei punto di gloanche ai ciechi, da quel profundo lacu ria; epperò gli rifiutano come cosa vile. tratta la voce lacca e moltiplicata in di- L'Inferno è negazione d'ogni gloria. versi ordini per tulto l’Orco o Lacu in- Quella di cui parla Dante, vuol intenderfernale (Inf. VII, 16 XIII. 11 ec.). si d'una gloria non vera, a che allude Questa voce è anche nel Purgatorio con le parole alcuna gloria: d'una glo(VII, 71) usurpata per significare la ca- ria che in certo modo ne ha le apparenvità nel seno d'un monte, circonda- ze, ne mentisce le sembianze e per tale ta da un orlo o lembo rilevato; ma per si tiene dagl' insipienti. Questa gloria, similitudine e licenza da non disdire al della quale son capaci i rei, ce l'insegnapoeta. no qual fosse i libri sacri ove si dice deAncora è da potare, che Dante proba- gli empi: Gloriantur cum male fecerint. bilmente dal descritto luogo di Sallustio, L'è dunque il vanto d'aver fatto il male; e dalle due vie, accennate da' versi di vanto che si può dare Lucifero ribelle al Virgilio, tolse la frase posta in bocca a suo creatore e per superbia precipitato Caronte (Inf. III, 91): in abisso. Or qui dice Dante che se quePer altre vie per altri porti ec. gli angeli inelli venuti fosser là dove imperocchè questo per altre vie pare stanno i rei; questi, non fosse altro, pre so avrebbero una certa gloria sopra di pretto miniato il diverso itinere sallustiano; e il Poela latino dice la via infer- quelli, dicendo: noi pugnammo almanco nale partita in due rami; per quello da contro la Divinità; noi abbiamo fatto alman manca si mettono i rei; da destra i cuna cosa, e fosse pure mal falta: ma buoni. Dante si trova sulla proda d'abis- voi siete de' codardi, de' vili, degl' imso, senza passare le onde brune del fiu- gli altri rei ai cattivi ed inerti spiriti u belli. Lo stesso presso a poco direbbero me Acheronte. (Inf. IV. 7 seg.). mani. E sarebbe cotesta una vanagloria, 42. Molti intendono che questi angeli una millanteria, e una specie di consolacattivi non son ricevuti nel profondo zione che Dio non dovea loro accordare. inferno, perchè essendo angeli conferi- A conferma di quanto si è detto, ricorrebbero alcuna gloria ai rei. Questa dino i lettori che gli antichi usarono il interpretazione non sta, considerando vocabolo gloria non soltanto per significhe codesti angeli, teologicamente par. care la chiara rinomanza di alte geste lando, cioè secondo la mente del Poeta, tornate in comun bene degli uomini; ma non potevano nulla dare altrui di quello l' usurparono altresì in sentimento di che non ebbero per sè stessi. Eglino non millanteria, spavalderia ec. Fra le coms'ebber mai nessuna gloria; perchè, con- medie di Plauto e di Terenzio àvvene alsistendo questa nella visione di Dio, cuna, in cui si descrive il carattere del quando per un solo istante avuta l'aves- Milite glorioso, ch'era uno di que' solsero, ed ei non sarebber poluti cadere dati, i quali, senz'avere pur fiutato le auin peccato, nè esser codardi e cattivi, ove re della battaglia, nonché odorato la trattavasi di pugnare per l'Altissimo. Nè marziale flagranza della polvere incesa vale il dire che la natura angelica seco su' campi; tornansi ai lor focolari, narporta sempre de' pregi, delle perfezioni rando di sè quante prodezze non si direbe bellezze superiori allo spirito umano: bero di Morgante, o di Orlando. Insomchè, nulla essendo più spregevole d'una ma, questa gloria, che da' cattivi avrebgrandezza vilmente caduta, non si com- bero i rei,discogherebbesi per una tracoprende qual gloria i rei si sarebber po- tata diceria, come quella in cui esce Plu 49.LT Donna Egid. 1, art . alenere e thed elli Ed io : Maestro, che è tanto greve A lor, che lamentar li fa sì forte ? 45 tone appo il Tasso (Gerus. liber. IV, prima e dopo di lui non molto, posero il st. 15): segnacaso a questo pronome, che avea Ah! non fia ver; chè non son anco estinti già ricevuta l'impronta di legittima voce chi). Dicerolli. Dicerò è futuro da DiceRimase a noi d'invitto ardir la gloria. re. Le altre voci dicerai, dicerà, diceD'elli. Elli per egli s'inviene nelle remo, dicerete, diceranno ec, furono rescritture de'primi secoli di nostra lingua. golarissime, ed usitate un tempo. Viene dal lat. ille, permutate, per meta- Il Nostro, nelle rime: tesi, le vocali estreme. Così si disse lo dissi: donne, dicerollo a voi. Ancora: quelli per quello e quegli, ch'è qui-ille. E dicerò di lei piangendo pui (poi). Egli è pur l'antico illi fatto igli e poi egli originariamente plurale, come fra gli al Brunetto Latini, nel volgarizz.dell'Oraz. tri si vede da questo esempio. Lucano per M. Marcello: Ma dicerai che poco non volg.: Or pur veggio che in tutti i mo sia a te lasciare tanla gloria dopo te. di sarebbe il nostro meglio l'aspettare Dante stesso, Parad. IX, 61: e lo 'ndugiare, che noi aviamo assai Su sono specchi, voi dicete (dite) troni ec. vivanda, della quale egli hanno poca, E Parad. XXXIII, 123: É tanto che non basta a dicer poco. o quasi neente. Nè sempre sarà quel ri E vedi Purg. XV, 82 e 89. pieno che dicono i grammatici. Igli provenutoci da illi e da illis fu adoperato dialetto Dicere; e molte voci che son og I Napolit. tuttavia hanno viva nel loro al terzo caso d'ambi i numeri, come otlimi scrittori usarono gli pronome. Tav. gi in onore ed attribuisconsi da' gramrotond.: E dice infra suo cuore ch' ella matici al verbo Dire, sono regolarmente farae a Tristano non bene, sella altro piegate da Dicere. igli (gli) potrae fare. - E appresso: Li Del resto dicerolli può equivalere a due cavalieri erranti si feggiono alli x dirolloti, dirottelo, tel dirò, lo ti dirà ec. cavalieri, e prima ch' egli (eglino) igli Rem tibi perpaucis (verbis) expediam, o simile. e l'intera locuzione risponde alla latina: (a loro) rompano le lancie, ciascheduno E Ser Brunetto Rettor. lib. I: Sovente abbaltea tre cavalieri. Igli al nominati e molto ho io pensato in me medesimo vo: Allora lo ree Marco di quelle avventure si ne fu mollo allegro, e tutti dio della eloquenzia hae fatto più bene se la copia del dicere e lo sommo sluigli (gli, o quegli ) altri baroni si ne o più male alli uomini e alle cittadi.fanno grande festa. Di questa fonte ne E parlando dell'Esordio: Intenti li farevenne l'articolo determinativo. Di una e mo (gli uditori) dimostrando che in ciò, di due elli pronunziate come gl ne fanno che noi diceremo sieno cose grandi, fede mille altre voci, come capilli, filio, nuove ec. E nel volgarizz. dell' Oraz. caballi, mirabilia, folio, melius ec. che contro Catilina: Se io comandassi che tu primitivamente si proferirono per l sem- fossi morto; credo che tulli dicerebbero plice o raddoppiata: capelli, mellio, ca che io avessi fatto questo bene anzi Elli al caso retto. Ristoro d'Arezzo: 2° Molto breve. Breve per Brevemente. elli è falto ec. Dante e gli altri scrittori Entendi quel ched io ti dico breve, 2 Questi non hanno speranza di morte : E la lor cieca vita è tanto bassa, Che 'nvidiosi son d'ogn'altra sorte. 50 Che girando correva tanto ratta, Che d'ogni posa mi pareva indegna : 55 Di gente, ch' io non averei creduto, Che Morte tanta n' avesse disfatta. Guardai, e vidi l'ombra di colui, % Setery) 60 49. Lassa, lascia ec. Il Petrarca: Bono Giamb., Volgar. di Vegez. lib. Lassare il velo per sole o per ombra, II, cap. XXIII: Quando sono richiesti Donna, non vi vid’io ec. Egid. Colonna, Gover. de' princ. Lib. trombe suonano. Quando le insegne ad alcuna operazione i cavalieri, le III, part. II, cap. X: Il tiranno non las muovere si debbono, suonano i corsa lenere scuole, e non lassa istudiare ni (a). Colui che portava l' insegna era nel suo reame i suoi soggetli, acciò detto Gonfaloniere, oggi Alpere, lat. Siched ellino non diventino savi ec. Bo- gnifer, Vexillarius. Mover l'insegna (Șino Giamb., Form. onest. vit., Prudenz. gna movere) era un movimento d'evoluIX: Non sii sempre in opera, ma alcu- zione militare. Starebbe a vedere che na fiata lassa riposare lo tuo cuore ec. l'insegna di cui parla Dante non fosse cioè: lascia, permetti che riposi ec. Que- portata il da qualche Gonfaloniere della sto lassare è il sinere da' latini costrutto repubblica fiorentina!... Ma quella mossa a un di presso come fa qui Dante. Oraz. in giro è infernale; è una marcia sforzaLib. II, Od. 15: Nec fortuitum spernere cespitem ta fatta senza progresso, perchè intorno Leges sinebant. allo stesso centro; il più gran male che si Simile a questi parlari è ancor quello Deus meus, pone illos ul rotam, et si possa desiderare ai tristi. Salm. 82: del Farinata (Inf. X): Ma fu' io sol colà, dove sofferto cut stipulam in faciem venti. Fu per ciascun di torre via Fiorenza, Indegna d'ogni posa. Dante mantiene Colui che la difesi a viso aperto. alla voce indegna la forza del verbo diin quanto che qui la voce soffrire ha lo gnari di voce comune: sicchè pud d'ogni stesso valore di lassare, permettere, sos- posa indegna intendersi non degnata, tenere ec. simigliantemente al sinere e non fatta, non reputata, non giudicala al pati de' latini. degna di posa. Virgilio Ecl. IV, in fin.: Cui non risere parentes 52 seg. Cotesta pena d'un rapido cor- Nec Deus, hunc mensa, Dea nec dignata cubili est. rer girando è debita agli empi; i quali si muovon sempre e non progrediscon mai. (a) Nel poema L'Intelligenza, attribuito al Salm. XI, 9. In circuitu impii ambu- Compagni, son tutt'uno insegna e segno. Dove Lucano mette Roma in prosopopea che dice a lant. Ai cattivi benissimo applicata; per- Cesare, ancor di là dal Rubicone: Quo ferlis ciocchè, non avendo in lor vita nulla di mea signa viri? conformemente il poeta italiano traduce: bene operato, e stati essendo inerti e dappoco; conveniva fosser mossi e volti Figliuoli, ove volete voi venire? Recate voi incontra me mie insegne? invano per quell'eterno giro. (V. Inf. IV, 53 seg.) . |