Page images
PDF
EPUB

E poi che i duo rabbiosi fur passati, Sovra i quali io avea l'occhio tenuto, Rivolsilo a guardar gli altri mal nati. I' vidi un fatto a guisa di liuto,

Pur ch'egli avesse avuta l'anguinaia Tronca dal lato che l'uomo ha forcuto.

sembra che Dante per le parole dando al testamento norma abbia con elocuzione poetica voluto significarci quello stesso che se altri dicesse, quel tale aver fatto un testamento nuncupativo; intendendosi per norma niente altro che la dichiarazione del testatore, secondo la quale il testamento dovea poi venir disteso dal notaio: norma che dalla legge VIII del Codice Giustinianeo (Lib. VI, Tit. XXII) è appellata col nome di moderamen voluntatis (a). Per tal guisa il Poeta ci vien dicendo qualcosa di meglio che i comentatori non hanno osservato, e determina in ispezialità quale forma di testamento prescegliessero Simone e Gianni per ottenere con più sicurezza il loro intento.

46. I DUO RABBIOSI: Gianni Schicchi e Mirra.

47. SOPRA I QUALI ec.: i quali avea io guardato fisso, attentamente.

48. GLI ALTRI MALNATI (b): i falsificatori di monete. MALNATI. C. V, 7: anima mal nala. Nel C. XVIII, 75 seg.:

Lo Duca disse: Attienti, e fa che feggia Lo viso in te di quest'altri malnati. 49-57. In sentenza: Io vidi uno cui

tanto era gonfiato il ventre e sottile il collo col capo, che sarebbe parso simigliantissimo a un liuto, se dall'ingui

testaturi.

voluntatem suam declarare, ut iidem omnes audiant, qui eo mortuo, sunt de illius voluntate Consueverunt testamenta haec a Notariis mandari scriptis, Notarii enim fides pro fide testium recipitur praemortuorum ec. J. Vinc. Gravinae, Oper. tom. II, Lib. II, Tit. IX, De testamentis ordinandis.

(a) Hac consultissima lege sancimus, ut carentes oculis, seu morbo vitiove, seu ita nati, per nucupationem SUAE CONDANT MODERAMINA VOLUNTATIS, Scilicet praesentibus septem testibus... edoceant ec.

(b) Il testo Bargigi ha: gli altri ammalati,e il Zacheroni nota: «La lezione ammalati ben s'addice in questo luogo pieno di furibondi, di rabbiosi e d'idropici ».

50

naia gli fossero state tronche le cosce: l'idrope, la quale siffallamente dispaia le membra e le disforma della natural proporzione,faceagli tenere i labbri rivollati l'un verso il mento,l'altro in su verso il naso; proprio come gli tiene chi per continuo ardor di febbre ha la bocca arsiccia, e gran sete.

le di corde. Lat. testudo.

49. LIUTO e leuto, stromento musica

50-51. L'ANGUINAIA- TRONCA DAL LATO (c) ec. L'anguinaia tronca dalla parte ove l'uomo ha le cosce con le gambe. Se consideriamo l'anguinaia come luogo medio tra gli arti superiori e gl'inferiori, essa avrebbe avuto a esser tronca, mozza o scema di questi ultimi, perchè quel cotale avesse potuto render la perfetta imagine d'un liuto. A noi perciò piacerebbe la lezione dall'altro; non solo per la ragione arrecata dal Zacheroni, ma eziandio perchè la si trova in codici di grande autorità: principalmente poi

considerando che dal lato accenna il luogo del corpo, non mica la parte di esso, la quale molto propriamente per l'altra lettera verrebbe significata. Il Bargigi chiosa: L'INGUINAIA TRONCA: separata e tagliata dall' altro che l'uomo ha ov'è l'inforcatura delle cosce; o dall'inCHE L'UOMO HA FORCUTO (d) forcuto guinaia in giù, ove l'uomo s'inforciglia per le cosce e gambe che, a guisa di forca, si partono l'una dall'altra. Lingua forcuta, perchè in partes... fissa duos, è detta nel C. XXV, 134.

(c) Dall' altro leggono le antiche edizioni di Foligno, di Mantova (an. 1472), il cod. di Berlino (Bibl. real.); il Filippino (sec. XIV), e il testo Bargigi; dove il Zacheroni annota: «< La lezione dall'altro ti porta più presto a comprendere la parte che dovrebb'essere tronca, mentre non è così colla lezione comune ».

(d) Ove l'uomo è forcuto è tra le Variorum del Witte. Il cod. Cassin. ha: che luomo e forchuto.

La grave idropisia che sì dispaia

Le membra con l'umor che mal converte,

52. GRAVE, perchè pesante, fastidiosa; e per gli effetti dell' intorpidimento e gravezza delle membra. Nel v.106 seq.:

[ocr errors]

Ancor che mi sia tolto

Lo muover, per le membra che son gravi. DISPAIA: sproporziona. Il lat. par è dal gr. pà, juxta, apud ec. che si adopera nelle comparazioni. Dispaiare è propr. dividere o guastar il paio, la coppia: qui vale rendere una cosa difforme dall' altra, sicchè non possano comporsi e star bene insieme, quasinon essendo dello stesso paraggio o della medesima condizione. L'idropisia dispaia le membra, in quanto di esse fa che alcune intumidiscano, altre dimagrino; e si alteri quella proporzione, secondo la quale hanno a rispondersi nella loro relativa forma e grandezza naturale. 53. CON L'UMOR CHE MAL CONVERTE. In sentenza: L'idropisia dispaia le membra, facendole altre tumide, tese, slargate ed altre macere e cachettiche, perocchè MAL CONVERTE, cioè non rivolge equabilmente per tutte le parti del corpo gli umori, dal cui equilibrio e regolare distribuzione dipende lo stato sano.« Dando alla parola converte male il significato di volge,dirige male, devia dal corso che l'umore dovrebbe tenere,si verrìa così ad avere un senso più conforme alla natura dell'idropisia, la quale non consiste nella mulala o trasformala natura, ma nello stravaso, come dicono,e deviamento dell'umore. Così ne pensa un erudito signore; e, per nostro avviso lo fa molto saviamente e per conto della spiegazione naturale di tal malattia, e per il proprio significato ancora della parola: giacchè il primitivo senso del latino convertere (che è il vero padre del nostro) si è quello di volgere in altra parte,o in giro. Quindi anche il Tasso molto propriamente usò questa voce in questi bei versi del C. XVI, st. 8 della sua Geru-, salemme:

Qual Meandro fra rive oblique e incerte

Scherza e con dubbio corso or cala or monta,

Queste acque ai fonti, e quelle al mar converte, E mentre ei vien, sè, che ritorna, affronta. »

P. Dal Rio

Nondimeno al convertere latino è anche insita la significazione di mutare, transformare; sicchè quasi tutt'i comen tatori pigliano la voce convertire nel significato di trasmutare, elaborare, digerire, assimilare. Quindi il Landino chiosa L'UMOR CHe mal converte: Imperocchè questo morbo il qual nasce quando l'umor il quale si deve convertire in vero nutrimento, si converte in acqua ec. MAL CONVERTE: l'umore, il quale si dee convertir in nutrimento e nell'idropico si converte in vento e acqua. Vellut. CONVERTE MALE: non in sostanze confacevoli,ma dannose. Lombardi. Mal digerisce. Volpi. Non trasmula a dovere per essere nell'idropico guasti i vasi a ciò necessari. Venturi. A cagione dell'umore che in cattiva sostanza converte. L'idropisia guasta e corrompe gli umori.Bianchi.— OMOR, Som. Privatio debitae commensurationis humorum est de ratione speciei aegritudinis. CONVERTE. Assimila; o: rivolge ai luoghi dove non dovrebbe. Così il dottor Cioni. Som.: Virtutem naturae potentem ad convertendum multum cibum. Tommaseo Il Bargigi intende: Che il mal converte, cioè coll'umore causalto dal male. Noi opiniamo che Dante qui non ha voluto mostrarsi più patologo, che poeta, per ispiegarci incidentalmente la natura del morbo, anzichè accennare il fatto e lasciare che altri, se il voglia, ne rintracci le cagioni. Fra i tanti composti di vertere, egli non adopra nè avertere, nè divertere, nè pervertere, nè invertere ec.; ma convertere che propriamente significa volgere più cose insieme a un luogo. Egli, come ci avvisa, intende assegnare una ragion pratica, patente e manifesta agli occhi di tutti, del perchè l'idropisia dispaia le membra e fa che il viso non risponda alla ventraia; e questa ragione si è, perchè quella mal converte l'umore, cioè con danno della persona raccoglie l'umore tutto a una parte, e fa che un' altra ne abbia difetto. Non vorremmo che il prestigio di credere

[ocr errors]

Che 'l viso non risponde alla ventraia,
Faceva a lui tener le labbra aperte,
Come l'etico fa, che per la sete

omniscio il nostro autore lo avesse a far
comparire ignaro dell' arte poetica (la
quale abborre dalle astruserie scientifi-
che) e pomposo di cognizioni che nol
toccavano. Crediamo anzi ch'egli miras-
se meno all'Etiologia che all' Etica; vo-
lendo porgere morale ammaestramento,
che siccome all'idropico nuocono i gua-
sti umori raccolti; così all' uomo cupido
le mal ragunate ricchezze, e simile in
ambidue la non sazievole sete. L'avaro
empie la borsa, come l'idropico la ven-
traia. Che se poi piacerà attenersi al-
la comune spiegazione de' dotti, noi do-
vrem dire che in queste parole di Dante
era già il portato di quanto sulla natura
dell'idrope han poscia messo alla luce
la Fisiologia e Patologia de' moderni.
Abbiamo su questo passo invitato la se-
ria attenzione di nostro nipote Giuseppe
Di Siena; il quale ne dà la sposizione nel-
le parole che qui in nota (a) ci è piaciuto
di riferire; maggiormente ch'elle favori-
scono l'altrui,più che la nostra opinione.

(a) Quando accade un transudamento e versamento sieroso nel cavo addominale, per diverse condizioni abnormi dell'organismo, e tale versamento è del solo addomine, senza iposarca ed idrotorace, allora il corpo dell'individuo assume, come dice il poeta, l'aspetto di un liuto, per essere le pareti addominali tese, tumide immensamente e slargate. Tal fatto costituisce in vero l'idrope ascite: e riguardo a quel che l'Allighieri dice: La grave idropisia, che dispaia le membra con l'umor che mal converte, dee spiegarsi così. L'idropisia ascitica non è un processo morboso sui generis; essa costituisce un sintoma ordinario e comune di varii morbi, cancri epatici e peritoneali, peritoniti, degenerazioni amiloidee, e tumori splenici per mal'aria. Ora tutti questi processi, che determinano in loco la idropisia addominale, per pressione sulla vena delle porte,o per flogosi, arrecano sul generale dell'organismo una imperfetta nutrizione, o perchè, come in caso di cancro, l' umore nutritivo viene assorbito dal neoplasma generatosi e crescente, o perchè, come in caso di tumori splenici da mal' aria e degenerazioni amiloidee, tali glandule affette o versano nel sangue abnormi prodotti di loro elaborazione, oppure ciò non fanno perchè degenerate,e quindi essendo organi elaboratori e depuratori del sangue, cessata od alterata la loro funzione, l'organismo si ammala e cade in marasma, assumiendo gli arti ed il torace la forma dello scheletro.

55

54. IL VISO NON RISPONDE ALLA VENTRAIA: la faccia non corrisponde, mal si confà, non è proporzionata alla pancia; essendo questa troppo gonfia, e quella troppo magra e secca.

55. FACEVA LUI: « meglio assai dice il preferita, faceva a lui »; ed è secondo Biagioli, che la Nidob. dal Lombardi altri « forse la vera ed originale lezione ». Piacque, crediamo, a cotestoro il costrutto latino del quarto caso con l'indefinito; e la più parte de' codici e dell'edizioni così hanno. L'adottarono fra gli altri il Landino, il Venturi, e tra i più moderni G. B. Niccolini ec., il Bianchi e il Tommasco; ma questi chiosa, Lui: a lui, come fece il Vellutello, sponendo: Faceva tenere a costui le labbra apersendo proprio della nostra lingua e non te. Il costrutto: Faceva a lui tener, esmeno legittimo dell'altro, toglie ad uomo serio la facoltà di pronunziare cotali sentenze di meglio assai, e di forse la vera ed originale. A non ir più lungi, in questo stesso Canto è la forma: grattar gli fece 'l ventre. E in molti altri luoghi (V. C. XXIX, 117, nota). Oltre alla Nidobeatina, hanno a lui l'edizione Mantovana (an. 1472); la Fulgoniana (1791); il Cod. Filippino (Sec. XIV), e il testo Bargigi: e dopo il Lombardi ritennero questa lezione nel loro testo gli editori della Minerva ed il Witte.

56. Erico: chi è infermo di febbre etica o abituale, cioè quotidiana, cro

Dippiù è da notarsi che una volta fattasi la idropisia, ci ha compressione sullo intestino, e quindi imperfetta assimilazione dei cibi, compressione sul diaframma (muscolo respiratorio), e quindi imperfetta ossidazione organica: e tutte queste condizioni alterano per l'idropisia addominale gli umori nutritivi, aggiungendo pure che il siero colletto in quel cavo ed a lungo trattenutovi, fa mal governo delle parti che circonda, ed esso stesso subisce delle alterazioni qualitative, e venendo in parte assorbito dai linfatici o dalle vene altera anche esso gli umori che circolano per il corpo, ed il CONVERTE del nostro poeta è da ritenersi per altera. Tale è la spiega vera che poggia sui fatti fisiologici e patologici.

L'un verso 'l mento e l'altro in su riverte. O voi, che senza alcuna pena siete

(E non so io perchè) nel mondo gramo, Diss' egli a noi, guardate e attendete

nica e lenta accompagnata da emaciazione di tutto il corpo e da gran sete e siccità di bocca. Gr. os, abitudine, consuetudine. - Febris hectica, intemperies calida et sicca totius corporis. Castell. Lexic. medic.

[ocr errors]

57. L'UN... RIVERTE. RIVERTE: riversa in giù verso il mento l'un dei labbri, quel di sotto, e l'altro labbro di sopra riverte in su verso il naso. Bargigi. RIVERTE: rivolta. Volpi, Venturi, Vellutello, Lombardi, Bianchi-«< Voce dantesca è, e non d' altri, ch' io sappia, questo riverlere ». Venturi << Ma, nota il Lombardi, se non trovasi usato da altri rivertere, trovasi usato riverso da rivertere; il che basta per capire che non è rivertere voce affatto Dantesca ».— Il Frezzi, Lib. II, Cap. XV:

[ocr errors]

Il quale essendo in esilio riverso. Il B. Jacopone, Lib. III, Od.XVIII, 4: Del fuoco appreso, ed in ciel poi reverso. Reverte in sentimento di ritorna, il Frezzi Lib. IV, Cap. XVII:

Che poi l'abbraccia quando a lui reverte.

dove

Il verbo era dunque d'uso comune, avvegnacchè il valore che la voce ha in questo luogo del Nostro non sia tutt'uno con quello di ritornare. Il ch. Tommaseo adduce da G. Villani un passo, il verbo pare si abbia la identica significazione: Faceano rivertire i cavalli e ergere indietro. Gli è vero che il Villani fu posteriore all'Alighieri, e potrebbe dirsi la voce in cotal sentimento usata ad imitazione; ma noi crediamo più probabile che Dante adoperando un verbo d'origine latina, non sia stato nè il primo, ně l'ultimo a toglierlo nella detta accettazione; dappoichè il Revertere val retrovertere ch'è propriamente volgere indietro, o rivoltare; come hanno inteso gli espositori.

58. SENZA ALCUNA PENA. Dante v'era vivo; Virgilio, sebbene dannato, non sosteneva pena di senso con quelli del lim

60

bo chiaro, de' quali egli disse (C. IV, 41 seg.):

Semo perduti, e sol di tanto offesi,
Che senza speme vivemo in disio.

58-61. O VOI CHE еc. Qui Dante pone in bocca di quel monetiere le parole della Scrittura (Thren. Cap. I, 12): 0 vos omnes qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus, voltate ed acconciate al suo proposito. Così fa che Guido da Montefeltro ne proferisca alcune altre di sè, le quali ne' libri sacri son dette degli Apostoli (C. XXVII, 77 seg. nota). Osserviamo perchè si vegga quanto la lingua nostra ciò, lungi dal farne un carico al Poeta, cismo latino, ma ancora dalla Bibbia; si sia avvantaggiata non solo dal classionde gravi concetti e locuzioni di antica vaghezza i primi nostri scrittori ebber tratti, senza intento di profanare le cose sante, applicandole talvolta alle profane.

MISERIA DI MAESTRO ADAMO, non è senza sottile intendimento detta dal Poeta. La miseria d'un monetiere è come la sete di Tantalo.

59. MONDO GRAMO: Inferno, altrove detto cieco mondo. GRAMO, pieno di tristezza ed afflizione; dove son le anime dolenti.All.gram, triste. Il Poeta, Inf.1,51: E molte genti fe già viver grame. Purgat. XXII, 42: Voltando sentirei le giostre grame. Inf. XX, 81:

E suol di state talora esser grama. Ne' quali luoghi può la voce gramo prendere i rispettivi significati di infelice o misero, penoso, pericoloso e malsano. L'ultimo de' quali converrebbe forse in questo passo qui, dove si tratta di una bolgia piena d'infermi, il cui puzdali di Valdichiana (C. XXIX, 46 seg.). zo è rassomigliato a quello degli ospeMa oltre la derivazione che si fa di questo vocabolo dalla lingua germanica; ci piace notare, che que' dannati arsi da sete, arrabbiati dal pizzicore della scab

Alla miseria del maestro Adamo:

Io ebbi vivo assai di quel ch' i' volli,
Ed ora, lasso! un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti, che de' verdi colli
Del Casentin discendon giuso in Arno,

bia, mossi dal fuoco d'infernale furore,
parlando dell'Inferno avran voluto per le
VOCI MONDO GRAMo alludere alla pena, cui
soggiacciono, d' un' arsura che assimi-
gliasi al fuoco. Il Poeta (C. XV, 109) ap-
pella grama la turba dannata nel sabbio-
ne del fuoco: grame le voci che venivan
su per la fiamma che involve gli spiriti
de'frodolenti consiglieri (C.XXVII,115):
e questo non ci par fatto senza alcun ri-
guardo avere alla proprietà del vocabolo,
che l'Alighieri credette forse originata
dal lat. cremare. Ne' dialetti Milanese e
Pavese: Gremà e Grimà, abbronzare con
ferro caldo. Nel calabrese gremare si
dice di chi è nel bollor della febbre; e
fuoco dicono a una sventura qualunque.
Gramaglia è vesta di lutto. Cramaglie-
ra s'intende appo i calabri la catena del
camino sovrapposta al fuoco e annerita
dal fumo. In Bresciano Engremis, vale
anche accorarsi; e non è difficile che
siensi cavate da voce significante l'azio-
ne del fuoco, delle altre che vengon ora
a dinotarci delle impressioni di dolore
fisico, e di miseria o tristezza morale.

61. ALLA MISERIA. Perciò è detto su (v. 59) MONDO GRAMO; chè, come nota il Landino: « Gramezza in Lombardo si

gnifica misera, e grave voglia di quello, che non si può avere ».

MAESTRO ADAMO da Brescia fu monetiere. Appellato col titolo di maestro qui, e di mastro più appresso (v. 104), perchè fu ottimo in quell' arte; e perchè altri non abbia a confonderlo, senza questo distintivo, col primo uomo. Un titolo che rammenta un' arte stata causa di perdizione sa d'un non so che d'ironia. Costui falsò i fiorini a posta de' Conti di Romena, e scoperto fu preso ed arso in Firenze nel 1280.

62-63. IO EBBI ec. Ebbi denari quanti ne volli, e per essi ogni cosa che mi venisse in talento: ora bramo una piccola goccia d'acqua. Sapientemente il

65

Landino: Non può dimostrare maggior miseria, che aver grandissimo desiderio di quello, che non si può avere, e s'accresce la doglia, quando si vede privato di cosa, della qual nessuno è sì povero, che non abbondi, come è l'acqua, ed egli non ne può aver solo una gocciola. IO EBBI VIVO. Ecco miniata l'imagine della sentenza evangelica (Luc. Cap. VI, 24, 25): Vae vobis divitibus, quia habetis consolationem vestram. Vae vobis qui saturati estis:` quia esurietis ec. E la miseria di Mastro Adamo è ritratta dal Poeta,come S. Luca fa quella del ricco Epulone (Luc. Cap. XVI, vv. 19 seq.): Cum esset in tormentis...clamans dixit, Pater Abraham, miserere mei, et mitte Lazarum ut inlingal extremum digili sui in aquam, ul refrigeret linguam meam ec.

64-75. In sentenza dice mastro Adamo: In mezzo all'ardente sete che soffro qui in inferno, mi si fanno presenti all'immaginazione le chiare e fresche acque de' ruscelletti, che da' verdi colli del Casentino dismontano in Arno: e questo fantasma non è di quelli che lievemente dileguansi, e non fanno nell' anima alcuna impressione; ma la divina giustizia opera, che il luogo dov'io peccai, standomi sempre innanzi alla fantasia, m'asciughi con la rimembranza delle sue acque ben più, ch' io non mi discarno per dura idropisia (a).

65. CASENTIN. « Casentino tratto di paese contenuto fra il torrente Duccaria ed il fiume Arno, insino ai confini del

(a) Il Tasso, come già notò il Guastavini, da questo luogo del nostro Poeta imitò, nel XIII, 60 della Gerusalemme, questa bellissima ottava: S'alcun giammai tra frondeggianti rive, Puro vide stagnar liquido argento; O giù precipitose ir acque vive Per alpe, o in piaggia erbosa a passo lento: Quelle al vago desio forma e descrive, E ministra materia al suo tormento: Chè l'imagine lor gelida e molle L'asciuga, e scalda, e nel pensier ribolle.

« PreviousContinue »