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Non punger bestie, non che membra umane, Quant' io vidi in due ombre smorte e nude, Che mordendo correvan di quel modo, Che 'l porco quando del porcil si schiude. L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo

nale in atto di avventare contro i nemici di Giunone le serpi velenose. Considerate le parole del Poeta latino (Met. IV, 494 seq.):

Inde duos mediis abrumpit crinibus anques; Pestiferaque manu raptos immisit: at illi Inoosque sinus Athamanteosque pererrant; Inspirant graves animas, nec vulnera membris Ulla ferunt: mens est, quae diros sentiat ictus. Quindi le furie muovono, pungono e instigano immediatamente cui hanno infetto del loro veleno.(Loc. cit.v.505 seq.):

Vertit furiale venenum Pectus in amborum,praecordiaque intima movit. nè altro da questo pare che far si possano le furie quando esse sieno in altrui; sicchè noi crediamo costruire così: Ma nè furie di Tebe, nè Troiane si vider mai tanto crude in alcuno; non (si vider mai furie tanto crude) punger beslie, non che membra umane; quanto (crude) io (le) vidi in due ombre ec. s'intende pungere, concitare, operare i loro funesti effetti. Udiamo ora il Biagioli: «A dimostrare che il Lombardi non ha inteso questo luogo, il quale con la sua Nidob. scrive il ver. 25 vidi in due ombre, come pur la Crusca in margine, invece della lezion vera vidi du' ombre, basta scriver queste parole nel diritto loro costrutto: ma nè furie tebane tanto crude, nè furie troiane tanto crude si videro mai in alcuno, non si videro tanto crude punger bestie, non che membra umane, quanto crude io le vidi pungere due ombre smorte e nude. Buona sposizione anche questa; ma varrà essa a dimostrare che il Lombardi non abbia inteso questo luogo? Chi disse mai al Biagioli che vidi du' ombre è la vera lezione,se non fossegli rivelato dallo spirito di Dante? Noi abbiamo col paragone de' due Poeti classici fatto vedere che la chiosa Lombardiana non è da spregiarsi. Nè la sola Nidobetina legge vidi in due ombre; essa è anche la lettera sostenuta da' Pucciani, da' Riccardiani

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1004, 1024, 1025, 1026, 1027; dal мs. Frullani, dal cod. Filipp. (Sec. XIV), dall'ediz. del Fulgoni, della Minerva ec. e prescelta da G. B. Niccolini ec. poichè presenta la seguente più natural costruzione: Ma nè furie tebane nè troiane si vider mai tanto crude in alcuno, quanto crude io le vidi in due ombre smorte e nude. Le quali cose fanno vedere che le dimostrazioni del Biagioli non son sempre fondate, nè corretti ed infallibili i suoi giudizi.

24. NON PUNGER BESTIE, NON che ec. Oltre l'interpretazione già data, noi sospettiamo che in questo verso il Poeta voglia significare anche le due differenti maniere di furore: l'uno che agitava Atamante ad uccidere il figlio; l'altro che punse Ino a correre ed annegarsi. Quello insano distende i dispietali artigli (vv. 4-10); a questa è il dolore che fa torta la mente (18-21): l'uno per rabbia diventa fiera crudele e micidiale; l'altra per pietà di madre si dispera e corre a morte le furie instigano Atamante ed Ino, ma gli effetti si producono da due differenti cagioni, fierezza, e amore, la prima delle quali è possente nelle bestie, la seconda nelle membra umane.

25. DUE OMBRE: l'una di Gianni o Vanni Schicchi; l'altra di Mirra. Qui il Poeta tocca di coloro che contraffanno le altrui persone.

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Del collo l'assannò, sì che, tirando,
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.
E l'Aretin, che rimase tremando,

Mi disse: quel folletto è Gianni Schicchi,

il ventre al fondo sodo: e forse meglio che al pomo d'Adamo, se addentato dalla parte posteriore del collo tra le vertebre cervicali.

L'ASSANNO: lo prese con le sanne. Ciò dice il Poeta stando, (giusta il Vellutello e il Lombardi) nella similitudine del porco, del qual le sanne sono. Il Biagioli crede ciò detto soltanto a dimostrar la rabbia e la forza dell'arrabbiato spirito. Ma se il porco che del porcil si schiude potè servire come imagine dell'insano furore, il Poeta significò ciò che volle il Biagioli, senza uscire dello stesso traslato e usarne due ove gli potè bastare un solo; il che sarebbe difetto dell' arte. Quanto al senso morale, il Landino dice: Capocchio fu derisore e riprenditore oltre modo. E questi comunemente trovano chi morde loro. E per questo finge il poeta che egli fosse morso e preso in sul collo, perchè questi, che riprendono a torto, quando son poi ripresi non sanno rispondere. Adunque sono presi in sul collo: perchè chi stringe il collo, e la gola, fa tacere.

30. Grattar gli fece il ventre: Risparmiandogli di menar sopra sè il morso dell' unghie per la gran rabbia del pizzicore (C. XXIX, 73-84). AL FONDO SODO: della bolgia, ch' era scavala nello scoglio tutto di pietra di color ferrigno (C. XVIII). Del senso morale così il Landino: Lo fe percuoter nel fondo sodo della bolgia, quasi dica lo distese in terra: perchè chi con infamia abbatte altri, altri abbatte lui: nè può star lungo tempo, chỉ dà simili morsure ad altri, che non rovini al fondo, e in basso, e vile stalo. Ricordi il leggitore come cotesto Capocchio con lingua serpentina mordesse i Sanesi (C. prec. vv. 125-132 ec.).

FONDO SODO, alcuno intende duro terreno o pavimento di quella bolgia. SoDo da solidus. · FONDO SODO: cioè sassoso e duro. Bargigi. · Sodo dicesi anche

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una terra non arata, nè aperta, nè lavo-
rata. I Latini chiamavano ager restibilis
il campo stato in riposo l'anno della ro-
tazione agraria: e restare è, secondo il
resistere.
Dacerio, durare, perseverare,
Il fondo, adunque, della bolgia essendo
sodo resisteva perchè, trascinatovi su
Capocchio, potessero le sue stianze venir
meglio grattate, che se quello stato fos-
se cedevole o polveroso.

31. L'ARETIN: Griffolino d' Arezzo
(XXIX, 109), l'un de'due alchimisti che
sedevano a sè poggiati (ivi v.
73) RI-
MASE TREMANDO. Tremavan già prima en-
trambi (ivi v. 98); e questi or trema an-
cor più, temendo non l'ombra furiosa
abbia ad assannar lui, come assanna Ca-
pocchio suo consorte. E cotesta tema è
prodotta da rimordimento di colpa. Al
solo giusto può dirsi (Prov. III, 25): Ne
pave as repentino terrore, et irruentes
tibi potentias impiorum.

32. QUEL FOLLETTO È GIANNI SCHICCHI. Costui dicono che fu de' Cavalcanti di Firenze, atto a contraffar chi che volesse. Messer Buoso Donati ricchissimo morivasi ab intestato, e un suo nipote Simone per far cadere a sè l'eredità che spettava ai più stretti parenti, venne con lo Schicchi a casa Messer Buoso già infermo, e sotto specie di visitarlo soffocatolo, pose a letto lo Schicchi,il quale per Buoso morto testò in favore di Simone,regalando a sè stesso il lascito d'una cavalla d'assai gran pregio. Or Gianni Schic chi e Mirra si veggono, dopo i Falsatori di metalli, ir furibondi qua e là mordendo altrui per la decima bolgia; pena debita a coloro che falsarono la persona: Nam (parole del chiosator Cassinese) sicut ipsi de eorum natura trahunt et aliam proferunt ita in alio mundo sunt tamquam alieni a mente et sic furiosi debent censeri. Il ch.Tommaseo: Caco corre affocando i dannati: un diavolo sta alla posta a passarli a fil di spada: qui le ombre mordono. I contraffattori di

E va rabbioso altrui così conciando. Oh, diss' io lui, se l'altro non ti ficchi Li denti addosso, non ti sia fatica A dir chi è, pria che di qui si spicchi. Ed egli a me: quell' è l'anima antica

persone mordono, quasi per vendicare un sull'altro l'inganno teso ad altrui, e stracciare co' denti la maschera che li copre. La prima delle due chiose ci sembra più probabile; ma sopra entrambe valgono per morali sposizioni di questo luogo le parole della Bibbia: Prov., XXII, 8: Qui seminat iniquitatem, metet mala, et virga irae suae consumabitur.Ecclesiaste, VII, 10: Ira in sinu stulti requiescit. Vanni nel proprio furore è pena a sè e ad altrui; ed è chiamato Folletto spirito o demone pazzo e insensato, perchè forse il poeta tenne a mente ciò che leggiamo nell' Ecclesiatico XXXIX, 33 seq. Sunt spiritus qui ad vindictam creati sunt, et in furore suo confirma

verunt tormenta sua: in tempore con

summationis effundent virtutem: et furorem eius qui fecit illos, confundent. La rabbia di Mirra è immagine dell'osceno e reo ardore che sentì in sua vita, cui non il figlio di Venere in lei accese, ma una delle atre furie infernali. Ovidio (Met. X, 311 seq.):

Ipse negat nocuisse tibi sua tela Cupido, Myrrha: facesque suas a crimine vindicat isto. Stipite te Stygio tumidisque adflavit Echidnis E tribus una soror.

Uscendo dalle favole, udiamo Cicerone (Pro Rosc. Amer.): Nolite putare, quemadmodum in fabulis saepenumero videtis, eos, qui aliquid impie scelerateque commiserint, agitari et perterreri furiarum tedis ardentibus: sua quemque fraus, et suus terror maxime vexat: suum quemque scelus agitat, amentiaque afficit ec. Nel ritrarre le furie di Mirra non pare altro fosse l'intendimento del Poeta, che porgerne quel morale ammaestramento, che sotto il velo de' miti rendeano più sacro e solenne gli antichi savi. Le ombre di Vanni e di Mirra, ritratte dal Poeta quali tormentatrici di Capocchio e Griffolino, significano per minor pena più lieve colpa; perocchè i due primi fanno si obblii il vin

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col d'amor che fa natura offendendo sè, o i pochi; gli altri due come falsatori di metalli ledono i dritti dell'università; ed oltre di sentire o di temere il morso delle furie, si rincalzano tremanti e rognosi, giacendo languidi nel fondo della bolgia; quasi per darci esempio di quella sentenza dell' Ecclesiastico (XXX 14, seq.): Melior est pauper sanus, et fortis viribus, quam dives imbecillis et flagellatus malitia. Salus animae in sanctitate justitiae, et melior est omni auro et argento.

33. CONCIANDO. Acconciare propr. ornare, ordinare, mettere in assetto ec. Onde Fra Giord. Pred. XLV. Soleano i fanciulli andare lisciati e acconci come pulcelle tutti fregiati. E Pred. IX: Il nè di correggia, perocchè quando egli cane non abbisogna... di vestimenta, si leva e scuotesi, si è vestito e acconciato. Il Poeta usa qui la voce, per ironia, in sentimento di acconciare, come si dice, pel dì delle feste. Nello stesso traslato è preso il verbo accismare (C. XXVII, 36).

34. ОH. Questa interiezione significa la maraviglia ch'ebbe il Poeta in sentendo nominare quel folletto fiorentino, e insieme, per la particola apprecativa SE che vien di seguito, il desiderio di sapere se l'ALTRO folletto fosse anche della sua terra natìa. Ed ecco la vera ragione, per la quale gli si risponde: è l'anima antica ec., sapendo lo Schicchi penetrar nella mente del Poeta, meglio forse che far non sogliono i chiosatori.

36. SI SPICCHI: si distacchi, si allontani, si parta di qui, sbietti.

37. ANTICA. Nel C.XXVI, 85, il Poeta chiama antica la fiamma d'Ulisse- Inf. I, 116: gli antichi spirili dolenti; II, 102: antica Rachele; V, 71: le donne antiche e i cavalieri Parad. VIII, 6: le genti antiche; XXVI, 92: Padre an

Di Mirra scelerata, che divenne

Al padre, fuor del dritto amore, amica. Questa a peccar con esso così venne,

Falsificando sè in altrui forma;

Come l'altro, che 'n là sen va, sostenne,

tico. E in più altri luoghi. ANTICA: che visse ne' tempi antichi. Dicendosi qui ANIMA ANTICA si potrebbe intendere o la parte per tutta la persona; ovvero chè lo spirito di Mirra era quivi dannato da lungo tempo.-Il Lombardi la vuole antica per rapporto a Gianni. V. la nota 34. 38-41. MIRRA. Arse costei di lascivo amore pel padre Cinira re di Cipri. La fiamma oscena le fu accesa nell' animo dall'ira di Venere; perchè Cecri sua madre osò preferirsi alla Dea.Ciniro, conosciuto l'inganno della figlia incestuosa e il proprio fallo, volle ucciderla; ma ella fuggì nell'Arabia; dove partorì Adone,

e venne trasmutata nell' albero del suo nome (a).

Quae, quamquam amisit veteres cum corpore (sensus, Flet tamen,et tepidae manant ex arbore guttae. Ovidio narra cotesta favola (Met. X, 300-503).

SCELERATA. Di Firenze, nella epistola ad Arrigo, scrisse il Poeta: Haec Myrra scelestis et impia in Cinyrae patris amplexus exaestuans (b).

CHE DIVENNE ec. Il che se vogliasi pronome vada pure; ma per particella causale vi sta meglio, considerando la sentenza d'Ovidio (Met. X, 314 seq.):

Scelus est odisse parentem: Hic amor est odio majus scelus... Ed è ragione che tal sia; perocchè l'amore ai genitori impostoci dalla legge naturale e divina, è come cosa sacra, prossimo alla reverenza e pietà religiosa, che sarebbe scelleraggine di violare.

(a) Nella pistola ad Arrigo di Luzimburgo Dante alla favolosa Mirra rassomiglia Firenze, poichè: Veramente ella sè incende e arde nelli diletti carnali del padre, mentrechè con malva gia sollecitudine si sforza di corrompere contra a te (o Arrigo) il consentimento nel Sommo Pontefice, il quale è padre de padri.

(b) Di questa epistola originariamente latina, e che per molto tempo giacque nascosta, esiste un'antica traduzione, la quale nell'addotto passo dice: Questa è Mirra scelerata ed empia, la quale s'infiamma nel fuoco degli abbracciamenti del padre.

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Quo mente feror? quid molior ? inquit. Di, precor, et Pietas, sacrataque jura parentum, Hoc prohibete nefas,scelerique resistile tanto.Spes interdictae discedite; dignus amari Ille, sed ut pater, est.

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Nec, quot confundas et jura et nomina, sentis?

Ultra autem sperare aliquid potes, impia virgo?

Tune eris et matris pellex, et adultera patris?
Tune soror gnati, genitrixque vocabere fratris?
Nec metues atro crinitas angue sorores,
Quae facibus saevis oculos atque ora petentes
Noxia corda vident? At tu, dum corpore non es
Passa, nefas animo ne concipe: neve potentis
Concubitu vetito Naturae pollue foedus.

40-45. QUESTA ec. In sentenza: Mirra falsifica sè in altrui forma, cioè, dandosi per altra donna a disfogare il male acceso ardore: COME L'ALTRO, Gianni Schicchi, falsificò altri in sẻ per lo desiderio di possedere una cavalla. E forse il furor che lo agita è segno, che anche questi seguì da bestia l'appetito, siccome quella fece a mo di colei, Che s' imbestiò nelle imbestiate schegge (Purg. XXVI, 87).

41. FALSIFICANDO SE ec. Ovid. (Met. X, 437 seq.):

Ergo legitima vacuus dum conjuge lectus,

Nacta gravem vino Cinyram male sedula nutrix, Nomine mentito, veros exponit amores.

42-43. SOSTENNE: ebbe animo, osò, non si vergognò; tolse l'incarico,fu capace, potè: tutte nozioni proprie al verbo sostenere. Anche il lat. sustinere fra gli altri significati, oltre del perferre, pati ec. ha quelli ancora di: alicui rei parem esse; rei se congruenter gerere; repraesentare, posse, audere: i quali meglio s'acconciano al nostro sostenne, che non fanno il s'impegnò di rappre

Per guadagnar la donna della torma,
Falsificare in sè Buoso Donati,
Testando, e dando al testamento norma.

sentare e il s'offerse di due illustri com-
mentatori; i quali pare abbiano inteso
sporre soltanto la sentenza, non badan-
do alla proprietà della voce.

43. La donna della tORMA (a): la più

vistosa cavalla dell' armento buona a
propagar la razza. Virg. Egl. VII: Vir
gregis ipse caper deerraverat.-Georg.
III, 124 seq.:

Impendunt curas denso distendere pingui
Quem legere ducem, et pecori dixere maritum.
Ed Orazio, (Lib. I, Od. 17):
Impune tutum per nemus arbutos
Quaerunt latentes, et thyma deviae
Olentis uxores mariti.

TORMA: branco, armento di cavalli.
Lat. Turma, schiera, frotta ec.

44. IN SÈ. Il Vellutello intende: In sè testando e pare dir voglia: In persona di esso Buoso. Sono in relazione Falsificando sè in altrui forma (v. 41), e Falsificare in sè Buoso. Mirra potè fingersi altra donna qualunque; lo Schicchi dovette farsi creder Buoso e non altri, e quasi tramutare in sè l'identità del testatore.

BUOSO DONATI (Vedi v. 32, nota) (b). 45. DANDO AL TESTAMENTO NORMA: Dettandolo a norma delle leggi. Lomb. Dando norma ed apparenza di realtà al testamento. Barg. Osservando le forme legali perchè avesse validità. Bianchi-Sanzionandolo col vigore del le forme legali. Biagioli. NORMA: le

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(a) Cotesta famosa cavalla o mula, come alcuno dice, donna (domina, signora, e reina) del branco, fu con proprio nome chiamata madon na Tonina, siccome si ha da un comento antico pubblicato dal Wernon.

(b) « Benvenuto racconta che Buoso Donati dell'illustre famiglia fiorentina di tal nome, aveva nel suo testamento fatto grossi legati in favor della Chiesa, il che poco piacque al suo figliuolo Simone, il quale per liberarsene indusse Gianni Schicchi, eccellente falsario di persone a porsi nel letto di Buoso, fingendosi lui ancor vivo, e così dettare un testamento più a suo modo. Il medesimo Buoso trovasi probabilmen: te nell'lnf. XXV, 140, fra i ladri di baratteria ; però secondo altri, non lui, ma Buoso degli Abati debbesi intendere per questo dannato ». L. G. Blanc., Voc. Dant.

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gale. Tommas.- Dando forma al testamento. Vellutello. Il Poeta già prima ha detto testando ch'è un disporre giusta le formole prescritte dalla legge: dare una norma è dare una regola, secon

do la quale abbiasi a fare un cosa; può

essere dunque che cotesto Vanni si dica aver dato norma al lestamento, in quan

to non solo ha egli adempiuto le parti di testatore, ma eziandio di giureconsulto e di notaio: chè non rogandosi un falso atto da un notaio che non sia un notaio da succiole; lo Schicchi testò e dette la norma, o l'ordine, secondo il quale si dovè fare il testamento, acciocchè non fosse poi irrito e nullo; massime a quella clausola dov' egli lasciava a sè medesimo la donna della torma. Il notaio,non il testatore dà la forma legale al testamento; questi presta la materia, ch'è l'espressione della sua volontà. Qui Gianni non solo è testatore, ma dirige eziandio l'opera del notaio. Nè soltanto contraffà il morto che paia vivo in lui; ma dispone, dà ordine e norma tale, che abbia ad esser tenuto per autentico un testamento falso.O meglio intenderemmo: TESTANDO ec.: Falsificò Buoso in alto di testare e dar norma al testamento: pigliando norma non in sentimento di forma legale, ma di quel tale ordine, secondo cui il notaio viene scrivendo e il rito prescritto dalla legge, come il teperfezionando l'atto testamentario giusta statore vien pronunziando la sua volontà. Così ci apparisce tutta quanta l'arte frodolenta dello Schicchi, il quale per lunga ora sostiene in iscena, e rappresenta al naturale, la parte sua.

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Ma noi crediamo che il testamento fatto dallo Schicchi fosse stato nuncupativo, il quale più che l'olografo e per iscritto poteva falsificarsi; perciocchè alla validità dell' atto bastava che il notaio scrivesse quello gli veniva riferito da'testimoni, ai quali il testatore avea dichiarata la sua volontà (c). Ora a noi

(c) In testamento... nuncupativo, sufficit Testatorem palam, hoc est, coram septem testibus

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