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Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva,
Qual suole uscir delle marcite membre.
Noi discendemmo in su l'ultima riva

Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
E allor fu la mia vista più viva
Giù ver lo fondo, dove la ministra
Dell'alto Sire, infallibil giustizia,

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Insembremente per insiememente. (C. XVIII, 5); ed ogni argine è conside

Guido delle Colonne:

Così son volentieri in accordanza
La cera con lo core insembremente.

Anche insembra per insembre, insieme, fu in uso appo gli antichi.

51. QUAL SUOLE USCIR. Venir hanno le antiche edizioni di Foligno, di Mantova (an. 1472); di Napoli (an. 1474); il cod. Filippino (sec. XIV); i Riccardiani 1004, 1024, 1027; il Magliabechiano, il Bartolin., i quattro Patavini, il Dante Antinori, e la edizione Nidobeatina. È anche lezione del testo Fulgoni, Roma 1791; della Minerva, Padova 1822; e prescelta dal Witte. Uscir il cod. di M. Cassino ec.

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DELLE. Var. Dalle Varior. del Witte; ediz. del Fulg. e della Minerva. La prima lez. è più probabile secondo l'uso Toscano di adoperare le preposizioni del genitivo ove il verbo dominante significhi origine, partenza, ec. MARCITE. Var. Marcide ha il testo Bargigi; e Fracide si trova eziandio nelle variorum del Witte MEMBRE. Il Poeta usò più sovente il plurale membra. Membri Inf. XVI, 10. Qui membre, e non per la rima; siccome non istretto da essa dice (Inf. XXXIII, 119) frulle in mezzo al verso. Così vestige (Parad. XXXI, 81, vedi nota), e mille altri esempi simiglianti. Vedi C. VII, 20, nota; e giudica da te se stia la sentenza del Poggiali: MEMBRE è totalmente suggerito dalla rima per MEMBRA; e se Dante fosse tanto soggetto alle licenze, quanto lo credettero i dotti comentatori.

52-53. ULTIMA RIVA-Del lungo ScoGLIO. Dunque il lungo scoglio vi ha più rive; che sono i diversi argini che cingono le dieci bolge. Quest'ultima qui è quella che confina col profondo pozzo

rato come ripa o riva alla quale si giunge, o arriva. Il LUNGO SCOGLIO è poi evidentemente (C. XXIII, 134 seg. V. nota) quel:

...

sasso, che dalla gran cerchia Si muove, é varca tutti i vallon feri. V'ha chi spone: discendemmo del (dal) lungo scoglio ec.

PUR DA MAN SINISTRA: sempre ec. Altrove (C. XXVIII, 68, nota):

Noi ci volgemmo ancor pure a manca. 54. FU LA MIA VISTA PIÙ VIVA, che non innanzi (v. 39): più viva, perchè gli obietti più dappresso poteano per luce più attiva meglio discernersi: e in questo senso la luce è vita degli occhi, nè gli occhi morti non vedon lume. In sent. Vidi più chiaro.

55-56. DOVE LA MINISTRA ec. Ordina:

Dove la infallibile giustizia, ministra dell'alto Sire ec.-ALTO SIRE: Dio.Salm. penit. III:

Deh! non mi abbandonare, o Signor mio,
Degnati, i' prego, starmi in adjutorio
Contra li miei nemici, o alto Dio.
Nel Salm. V:

Però che dal luogo alto, ed eminente
11 Signor nostro ha riguardato in terra.
Il testo sacro: De excelso sancto suo:
Dominus de coelo ec.

Nel Salm. VII:

O Dio eccelso sopra gli altri Dei, Fa sì, ch'io senta la tua volontade Perchè tu sol mio Dio, e Signor sei. SIRE, Signore. Era bene distinguerlo con l'epiteto allo dagli altri Siri. Anche nel Purgatorio (XV, 112):

Orando all'alto Sire in tanta guerra. Quivi (C. XIX, 125): giusto Sire.Nel Paradiso (XIII, 54): il nostro Sire; (C. XXIX, 28): Sire dell'essere, Dio Creatore. -Da Senior avemmo Seniore, Signore, e gli accorciati ser, sere, sire, e siri al meno. Si trova, in antico, anche

Punisce i falsator, che qui registra. Non credo ch'a veder maggior tristizia

Fosse in Egina il popol tutto infermo, Quando fu l'aer sì pien di malizia, Che gli animali, infino al picciol vermo, Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo,

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57. Qui: in questo mondo, dove il Poeta scriveva della sua Visione. REGISTRA: segna qui nel suo libro, e li nella X bolgia punisce i falsatori. Il Vellutello: CHE QUI REGISTRA. I quali in questo tal fondo condanna. E dice registra perchè data la sentenza contra del reo, quella si registra, acciò che tale qual ella è, si possa poi a tempo publicare. Il Bargigi: I quali falsatori Iddio qui pone perchè sempre vi stieno. Anche il Bianchi crede con più ragione riferibile il qui non al mondo presente, ma alla bolgia; dove i peccatori son registrati, cioè collocati. Così anche il Venturi. Ma il Lombardi non pare s' apponga mal tenendosi alla prima interpretazione; considerando che nel v. 50 è detto quivi della bolgia, e che non farebbe poco appresso dir qui. Arroge, che nel verso precedente si legge dove; e qual costrutto sarebb' egli quello dell'alto Poeta? Il dotto comentatore vide questa maniera di parlare figurata corrispondente a quella del sacro ritmo:

Dies irae:

Liber scriptus proferetur,

In quo totum continetur, Unde mundus judicetur. Il Biagioli segue il Lombardi. Il Tommaseo chiude tutto e bene in un motto:

REGISTRA: nel mondo li scrive, giù li punisce.

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FALSATOR: gli Alchimisti ec. V. nota al principio.

58-66. NON Credo che ec. Non credo che a vedere in Egina il popol tutto infermo...fosse maggior tristizia,ch'era a vedere per quella oscura valle languir gli spirti ec.

59. EGINA isoletta della Grecia vicina

alle coste dell'Attica. La famosa peste mandata da Giunone agli Eginesi è mirabilmente descritta da Ovidio (Metamorph. VII, 523-657). Eaco loro re pregò Giove suo padre, che il popolo distrutto gli rinnovasse; e un infinito numero di formiche fu trasmutato in uomini detti Mirmidoni. Dante da questa descrizione del Poeta Latino toglie non poche bellissime immagini. Gioverebbe raffrontare i due poeti, chi volesse vedere anche nel diverso genio il perfetto magistero dell'arte.

Ovid.ivi 548: Vitiantur odoribus aurae. 60. MALIZIA: malignità, corruzione.

61 seg. GLI ANIMALI... CASCARON TUTTI. Ovid. ivi 547: Corpora foeda jacent. Omnia languor habet;silvisque,agrisque,viisque

GENTI ANTICHE. Anche Ovidio le dice

antiche, e chiama recenti quelle che fu(VII, 652 segg.): ron rese ad Eaco per la grazia del Nume

Vota Jovi solvo, populisque recentibus urbem Partior, et vacuos priscis cultoribus agros.

63. I POETI (Ovidio ec.) HANNO PER FERMO: tengono per cosa cerla la sopraccennala metamorfosi delle formiche in uomini ec.: io da queste tali cose tolgo alcuna similitudine, per ritrarre le vere cose ch'io vidi nella X bolgia (a).

(a) Strabone sotto il velame della favola troest in fabulis, vocantur Myrmidones, quod pova questo elemento storico: Eginetae, non ut pulo peste absumpto, ex voto Eaci, Juppiter

Si ristorar di seme di formiche:

Ch'era a veder per quella oscura valle
Languir gli spirti per diverse biche.
Qual sovra 'l ventre, e qual sovra le spalle

64. SI RISTORAR: si rinnovarono, DI SEME DI FORMICHE. Una formica ad un uomo è come seme, sì picciolo, rispetto ad un albero. SEME anche per sostanza, e più per origine ec. (C.II, v. 105 seg., nota). Debbe corrispondere eziandio al sentimento delle parole Ovidiane (VII, 654), dal Nostro imitate, che sono: Myrmidonas que voco,nec origine nomina fraudo. L'Anguillara:

Considerando poi chi furo, e come
Ebber dal prego mio gli umani accenti,
Per dimostrar l'origine col nome,

Gli chiamai Mirmidon da' lor parenti.
Noi vediamo nelle parole di Dante
un'antitesi non artificiata, che ove l'uma-
na generazione si ristora del seme d' A-
damo, quel popolo Eginese si ristorò
del seme di formiche.

66. LANGUIR. Ovid. VII, 548-Omnia languor habet ec.

PER DIVERSE. Ivi v. 584:

Quo se cumque acies oculorum flexerat, illic
Vulgus erat stratum; veluti cum putria motis
Poma cadunt ramis, agitataque ilice glandes.

BICHE: mucchi. Traslato dalle mete,
o biche, che son cumuli, o acervi di co-
voni, o manipoli di spighe ammonti-
cellati. PER DIVERSE BICHE: Per diverse
parti e per diversi modi. Bargigi.
Nel citato luogo d'Ovidio (v. 613):
Nec locus in tumulos,nec sufficit arbor in ignes.
Dante che non potea erigervi delle
tombe, vi descrive le biche di ombre vi-

ve ammucchiate.

67-84. QUAL SOPRA IL VENTRE ec. Il modo della pena, cui sottostanno i falsatori Alchimisti, de' quali qui specialmente si tratta, significa la colpa loro e gli effetti che l'esercizio di quell'arte fisicamente produce. Perocchè quel gia

formicas in homines mutarit: sed quod formi-
carum in morem terram fodiant, cum agricul-
turam exercentes, tum lateribus coctis destituti
in antris subterraneis habitantes. Lib. VIII.
E forse Ovidio medesimo dipigne questi uomi-
ni a colori più vivi, assimigliandoli alle formi-
che: (VII, 656 seg.):

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parcumque genus, patiensque laborum, Quaesitique tenax, et qui quaesita reservent.

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cere l' uno sul ventre o sovra le spalle dell'altro, e quell'andar carpone trasmutandosi a gran pena di luogo in luogo, senza forza di levar la persona o rizzarsi in piedi, ne dipinge l'immagine di uomini non valenti a star da soli, e far di sè sostegno a sè stessi; che, quasi nati del seme di formiche, hanno sì di queste l'industria, ma che non aoperano se non istrisciandosi sulla terra, condannati dalla mala natura a ragunare soltanto quello che al ventre giova, non levando la mente al di sopra della materia e commettendo che languisca lo spirito (v. 66) astretto, contro sua natura, a contenersi nella bassa cerchia delle cose, che solo al corpo s' attengono. La rabbia scabbiosa, e le schianze, che han cotestoro dal capo a' piè, sono imagini

della sordida brama che mai non s'attuta per soccorso di eterno grattare. Il languore, l'infermità e il tremor delle membra (v. 98) son da considerarsi come effetti,o della colpa,o del troppo aver trattato il mercurio ed altre nocive sostanze (a), ovvero del timore non venisse la falsità colta e punita dalla giustizia. La similitudine che il Poeta trae dalle tegghie appoggiantesi l' una all' altra, pare accenni ai fornelli,al fuoco e ai vasi usati dagli Alchimisti. E a noi par di vedere che nel confronto fra gli Eginesi e questi dannati il Poeta abbia avuto in mira una certa simiglianza, ch'è tra la peste prodotta dalla corruzion dell' aria, e quella che viene dai crogiuoli,in cui si rifondono e dileguano i metalli; e dal puzzo che gittavano il fumo, i gas, e i vapori delle varie sostanze che, al suo intento, l'Alchimista ebbe mestieri d'adoperare.

(a) Il Lombardi dalla Diatriba de morbis artificum scritta dal Ramazzini adduce: Carolum Lancillotum chymicum nostratem satis celebrem ego novi tremulum, lippum, edentulum, anhelosum, putidum, ac solo viso medicamentis suis, cosméticis praesertim, quae venditabat, nomen et famam detrahentem. - Avicenna, parlando del mercurio, dice: Eius vapor facit accidere paralysim.

L'un dell'altro giacea, e qual carpone
Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,

Guardando ed ascoltando gli ammalati,
Che non potean levar le lor persone.
Io vidi duo sedere a se poggiati,

Come a scaldar s' appoggia tegghia a tegghia,
Dal capo a' piè di schianze maculati:
E non vidi giammai menare stregghia
Da ragazzo aspettato dal signorso,

69. SI TRASMUTAVA: si tramutava, si movea di luogo in luogo. TRAMUTAVA ha il testo Barg. e l'ediz. recente del Tommaseo. Trasmutava leggono col codice Cassinese, il Landino, il Lombardi, il Biagioli, G. B. Niccolini, il Bianchi ec. Al Venturi parve in quel si trasmutava fatta dal Poeta un' allusione alla sembianza d'animale che rendevan le ombre camminanti carpone. Ma Ovidio (VII, 573 seq.), onde il Nostro imitò, dice: si prohibent consistere vires Corpora devolvunt in humum. . .

...

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SCHIANZE: croste. Schianza, stianza e schianzo dicesi alla pelle che si secca sopra la carne ulcerata. Berni, Rim.:

Con porri e schianze e suvi qualche callo.
Il Pulci, Morg. XIII, 53:
Che pensi tu che gli dessi (desse) un buffetto
Da far caderli dal capo due schianzi?

76-84. In sentenza: Io non vidi ragazzo che aspettato dal suo signore menasse si presto la stregghia, per ripulire il cavallo e recarsi da lui; o che proclive al sonno facesse colla striglia più spesse e più lunghe le tirate, affrettandosi di

70. SENZA SERMONE: senza parlare; fornire cotesto servigio e andarsi a dor

taciti.

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COME A SCALDAR S'APPOGGIA TEGGHIA A TEGGHIA: Come s'appoggia una teglia a un'altra, acciocchè due vivande diverse si riscaldino a un medesimo fuoco. O meglio: come occorre che ad una teglia che sta sul fuoco a cuocere la vivanda, altra venga accostata, perchè vivanda già cotta e raffredda vi si riscaldi. Questo paragone non è tratto dalle cucine de'grandi. Dante non scrisse pe' Luculli e per gli Apici soli, e i paragoni si hanno a prendere dalle cose più ovvie e comuni.

Ordina: I' vidi duo, dal capo a' piè maculali di schianze, sedere a sè poggiali, come a scaldar tegghia s'appogyia a legghia,

mire: come quegli Alchimisti martoriati da rabbiosa prudura, nè altro refrigerio avendo che il grattarsi, menano spesso sopra sè le unghie; e con quelle traggon giù la pelle rognosa, qual per coltello si levano le scaglie delle scardove.

76. MENARE STREGGHIA: stregghiare, stregliare, strigliare. STREGGHIA, streglia, striglia, stromento di ferro a quattro o più laminette dentate, col quale si ripuliscono cavalli, muli ec. da quella polvere forforacea, che lor si forma sulla pelle e tra i peli.

77. RAGAZZO, fante che s' adopera a vili servigi; e qui vuolsi intendere quegli che diciamo con altro nome garzone, mozzo di stalla. I Latini ebbero anche puer per fanciullo, e per servo. La variante a ragazzo ceda il luogo a questa che noi prescegliamo, confortati da' migliori codici, e perchè meglio corrisponde al Nè da colui del verso seguente.

SIGNORSO, al. lez. Signor so: signor suo. È risaputo che i possessivi mo, to, so, ma, ta, sa per mio, tuo, suo, mia,

Nè da colui che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso

Dell' unghie sovra sè per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso.
E si traevan giù l'unghie la scabbia,
Come coltel di scardova le scaglie,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia.

tua, sua si usarono da' nostri antichi a
mo d'affissi co' nomi di parentela, come
suorsa, fratelmo, mogliema, figliuoto,
nepotiti ec. Signore avvegnachè non sia
del novero di tali nomi, segue la stessa
legge; nè manca qualche altro esempio,
come di casata invece di tua casa ec.
Talvolta appo gli antichi si trovano usati
questi pronomi disgiunti e dopo del no-
me. Oltre la lezione del Bargigi, la qua-
le potrebbe valere per un esempio, ec-
cone qualche altro. Pannuccio del Bagno:
A perder sa virtù rimane istecco.
Franco Sacchetti:

In altro spenda omai il tempo so
Ancora:

Chi'l ben soffrir non può

Se trova il mal, ragion è che 'l sia so.

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E XII, 274:

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et laterum juncturas fibula mordet. 81. Pizzicor: prudore — CHE NON HA PIÙ SOCCORSO: non ha refrigerio e alleviamento migliore, che quello di lacerarsi con le unghie proprie. Più per maggiore e migliore, facciamo che sia un'enallage, onde si pone l'avverbio per l'aggettivo; la quale non è rara ne' nostri scrittori.

82. Ripiglia dal v. 79: Ciascun menava il morso delle unghie. E l'unghie si traevan giù la scabbia, cioè le croste. Chi schifasse la ripetizione qui della stessa voce, non vedrebbe, per misera ischifiltà pedantesca, la naturalezza de' colori di questo tratto; e farebbe meglio di non leggere il libro, che non è per lui.

SCABBIA. Il senso morale di questa voce adoperata dal Nostro a significare la malattia de' falsatori de' metalli, si fa piano dalle parole di Orazio che appella scabbia l'amor della pecunia,il cui contatto, non men che la rogna, morde e serpeggia tra gli uomini e li rende irrequieti. Ad Iccio che ricco vivea pur sano tra tanti di siffatti scabbiosi, e la mente levava alle cose sublimi (Lib. I, Epist. XII) scrive:

Nil

Miramur, si Democriti pecus edit agellos, Cultaque, dum peregre est animus sine corpore (velox: Quum tu inter scabiem tantam,et contagia lucri parvum sapias, et adhuc sublimia cures ? 83-84. COME COLTEL trae giù LE SCAGLIE DI SCARDOVA, O d' altro PESCE. Il testo del Bargigi ha:

Come il coltel da scardova...

e l'annotatore scrive che una tale lezione è conforme a quella de' migliori codici, ed è molto migliore della comutrario, che oseremmo questa volta crene. È per noi tanta la ragione del con

dere meno del solito alla infallibilità dei

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