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Avendo guerra presso a Laterano, (E non con Saracin, nè con Giudei; Chè ciascun suo nimico era Cristiano,

fermento farisaico del Giudaismo. Dante con un sol tratto di pennello dipinge al naturale i miseri tempi del clero corrotto. 86. Avendo guerrA PRESSO A LATERANO: Là stesso dove tenea il seggio del vicariato di Colui, che la Bibbia appella Principe della pace. PRESSO A LATE

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RANO, cioè co'Colonnesi, le cui case sono presso a San Giovanni Laterano (Land., Vellut. ec.). Il Bargigi spone: Il Principe di tutti i chierici, il papa, avendo guerra contro i Colonnesi ridotti in Prenestina, cillà vicina a Roma, della quale San Giovanni Laterano è chiamato la Catledral Chiesa. Le cagioni di questa guerra sono variamente accennate dagli scrittori. Il Landino e il Vellutello dicono che Jacopo e Piero Colonna erano stati contrari nella elezione di quel Pontefice,e che Sciarra avea dipoi rubate certe somme de' suoi tesori. È chi dice che Bonifazio, per saziar le libidini d'un suo nipote, invitasse a mensa una de' Colonna, la quale non si arrese alle voglie di costui e ne nacquero odii scambievoli. Altri afferma che i due Cardinali aveano secrete intelligenze con Federigo re di Sicilia. Certo è che Bonifazio: Privò questa famiglia di tutti gli onori e beneficii, e comandò ai già detti due Cardinali, che ponessero giù i cappelli e le vesti cardinalesche. E perchè non ubbidirono, privò tutta quella famiglia d'ogni onore, e dignità, e disfece le loro case in Roma, e tolse loro castella, parle ne delle agli Orsini, parle disfece, e finalmente assediò Nepi, la quale si dette con certi patti. Dopo non polendo aver Preneste città inespugnabile mandò da questo Conte Guido già frate minore, dal qual non potendo impetrare, che diventasse suo capitano in questa guerra, lo dimandò di consiglio. Ebbe per consiglio, che promettesse assai, e attenessi poco. Laonde Bonifacio fingendo di muoversi a misericordia, operò con amici comuni che si umiliassero. I Cardinali creduli vennero in veste negra, ed abietti è se gli gittaro

no ai piedi, confessandosi peccatori... ai quali il papa promesse la restituzione del tutto se davano Preneste. Dopo avutala la disfè da' fondamenti, e fecela rifare a piè del monte nella pianura, e chiamolla cività del Papa.Il che impauri in forma i Cardinali che dopo sempre si stettero occulli, infin che finalmente Bonifacio con quelle medesime arli, con le quali avea ingannalo altri,da Sciarra fu fallo miserabilmente morire. Landino - Tutto questo avveniva intorno all'anno 1297 (a).

87. E NON CON SARACIN ec.co' quali sarebbesi potula creder giusta la guerra. 88. CIASCUN SUO NIMICO ERA CRISTIANO: Era egli adunque lupo all'ovile. L'édiz. di Jesi ha: vicin ́era.

venir tempo, che i Francesi e i Tedeschi s'allar (a) « I cieli, i quali sapevano com' ei doveva gherebbero da Italia, e che quella provincia resterebbe in mano al tutto degli Italiani, accioctramontani non potesse nè fermare nè godere chè il papa quando mancasse degli ostacoli olla potenza sua, fecero crescere in Roma due potentissime famiglie, Colonnesi ed Orsini, acciocchè con la potenza e propinquità loro teBonifacio, il quale conosceva questo, si volse a nessero il pontificato infermo. Ondechè papa volere spegnere i Colonnesi, ed oltre ad avergli scomunicati bandi loro la Crociata contro. la Chiesa, perchè quelle armi le quali per cariIl che sebbene offese alquanto loro, offese più tà della fede aveva virtuosamente adoperate, come si volsero per propria ambizione ai Critroppo desiderio di sfogare il loro appetito fastiani cominciarono a non tagliare. E così il ceva che i pontefici a poco a poco si disarmavano. Privò, oltre di questo, due che di quella famiglia erano cardinali del cardinalato; e fugsconosciuto, fu preso da' corsari Catelani, e gendo Sciarra capo di quella casa davanti a lui messo al remo; ma conosciuto dipoi a Marsiglia fu mandato al re Filippo di Francia, il quale era stato da Bonifacio scomunicato e privo del regno. E considerando Filippo come nella guerra operata contro ai pontefici o e' si rimaneva perdente, o e' vi si correva assai pericoli, si volse agl'inganni, e simulato di voler fare accordo il quale arrivato in Anagnia dov' era il Papa, col papa, mandò Sciarra in Italia segretamente, convocati di notte i suoi amici, lo prese. E benchè poco dipoi dal popolo di Anagnia fusse liberato, nondimeno per il dolore di quella ingiuria rabbioso mori ». Machiavelli, Istor. Fiorent. Lib. I.

E nessuno era stato a vincer Acri,
Nè mercatante in terra di Soldano,)
Nè sommo uficio, nè ordini sacri

Guardò in se, nè in me quel capestro,
Che solea far li suoi cinti più macri:

89 seg. Perchè del carico fatto (v.88) a Bonifacio altri non abbia a scusarlo con dire che per zelo di religione foss' egli nemico ai tristi; si soggiugne: E NESSUNO ERA STATO a vincer ACRI (a) ec. cioè: ai cristiani da lui avversali non si poteva imputare nè che, rinnegata la fede ortodossa, combattessero co' Saraceni contro Acri; nè che, sendo mai stati ad esercitare i loro commerci con le genti di Soria, d' Egillo e d'altre parti dell'Oriente soggette al Soldano, potessero per cupidità di guadagno aver prestate agl'infedeli o armi, o veltovaglie,o favorito comechessia i nemici della Chiesa.

TERRA s'adopera in sentimento di città e anche di provincia, paese, regione. Inf. V, 60:

Tenne la terra che 'l Soldan corregge.

DI SOLDANO. Del Soldano è del MS. Frullani, del Bartoliniano, del Patav. 2, de' Pucciani 1, 10 e tra le variorum del Witte. Le altre tutte, e le più cospicue antiche edizioni, hanno di Soldano: il Biagioli, non vedendo come l'autore ab

(a) ACRI: S. Giovanni d'Acri detta anche Tolemaide (Akra, Akko), città posta sul Mediterraneo all'estremo confine della Siria (Turchia Asiatica), e presso un 70 miglia a Gerusalemme. Era la sola rimasta in Oriente ai cristiani,

ov'essi avean fatto centro di loro forze contro gl' infedeli. Il suo porto era frequentatissimo dagli asiatici e dagli europei. Il Papa vi tenea

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bia così potuto dire, invece che del Soldano, pensa che questo nome qui stia preso nel senso generico di Signore, per significare qual si sia terra degl'infedeli. E Soldano è in vero nome di dignità, applicato a molti despoti dell'Asia e dell'Affrica. Di S. Francesco si dice Parad. XI, 101 che:

Nella presenza del Soldan superba Predicò Cristo e gli altri che il seguiro. ove Soldano s'intende il Sultano d' Egitto.

91-93. NE SOMMO UFICIO ec. Non ebbe rispetto nè alla sua suprema dignità di Pontefice e Sacerdote, nè alla mia profession religiosa perch' egli abborrisse dal richiedermi d'un consiglio frodolente ec. Ordina e intendi, dal v. 85 al 98, così: Lo Principe de' nuovi Farisei Avendo guerra....... non guardò in sè sommo uficio e ordini sacri, nè in me l'esser frale di S. Francesco:

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ma come Costantino chiese Silvestro...

così questi mi chiese per medico a guarir della sua febbre ec.

SOMMO UFICIO, il quale è definito dalle parole di Paolo (Ad Hebr. V): Omnis namque Pontifex ex hominibus assumptus, pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum: ut offerat dona et sacrificia: qui condolere possit iis qui ignorant et errant; quoniam et ipse circumdatus est infirmitate.

miglia:

e

Che già legava l'umile capestro.

(Parad. XII, 132):

Che nel capestro a Dio si fero amici.
Vedi C. XVI, 106 not.

92. CAPESTRO: il cordone de' Franil suo Legato, e loro Luogotenenti i re di Francescani, detti (Parad. XI, 86 seg.): facia, d'Inghilterra, ed altri principi cristiani; i cui soldati, che qui stanziavano, incirca quattordici mila, ridotti alla fame per le male paghe, rubando e assassinando i Saraceni che vi facevano loro traffichi, ruppero la triegua che era tra i cristiani e il Soldano di Babilonia: il quale, non potuto impetrare d'esser de' danni rifatto, venne con grand'oste ad Acri, e assediatala e avutala per forza, comecchè da' Templari valorosamente difesa, la saccheggiò, e furon più che sessanta mila tra morti e presi. Rinnegati italiani vi stettero coi Saraceni a combattere; nè mancò qualche cristiano, che per danaro recasse provigioni ed arme al nemico. Il commercio de' Fiorentini n' ebbe gran rotta. (Vedi il Vill. VII, 144-145. Land. e Vell.).

93. SOLEA, al tempo antico, Li suoi CINTI, i frati da esso cordone cinti, o che di quel si cingono, FAR PIÙ MACRI, per le astinenze, i digiuni, e la mortificazion della carne, che non sono i frati d' oggidì. Ai religiosi tralignati il Poeta rimprovera le carnali lautezze: per

Ma come Costantin chiese Silvestro
Dentro Siratti a guarir della lebbre;
Così mi chiese questi per maestro

bocca di S. Benedetto (Parad. XXII, 73-
93) ai Cassinesi; di S. Bonaventura (Pa-
rad. XII, 112-117) a' Francescani; di
S. Tommaso (Parad. XI, 124-132) ai
Domenicani (a).

94. COSTANTIN CHIESE SILVESTRO. È bello udir le parole dello stesso Dante (De Monarch. III, Zatta, pag.71) che pone in dubbio questa tradizione omai tenuta per favolosa: Dicunt quidam adhuc, quod Constantinus Imperator,mundatus a lepra intercessione Sylvestri, tunc summi pontificis, Imperii sedem, scilicet Romam, donavit Ecclesiae cum multis aliis Imperii dignitatibus..... Constantinus alienare non poterat Imperii dignitatem nec Ecclesia recipere... Si ergo aliquae dignitates per Constantinum essent alienatae (ut dicunt) ab Imperio... scissa esset tunica inconsulilis, quam scindere ausi non sunt qui Christum verum Deum lancea perforarunt. (V. Inf. XIX, 115 segg.) Dittam. II, 12:

Il magno Costantin ch'essendo infermo
Alla sua lebbra non trovò sostegno
Quando Silvestro a Dio fedele e fermo,
Partito da Siratti, e giunto a lui

Sol col battesmo gli tolse ogni vermo.
95. DENTRO SIRATTI, che stavasi na-
scosto in una caverna del monte, a sal-
vo delle persecuzioni che si facevan
contro i Cristiani.

SORATTI e Soratte: oggi Monte di Sant'Oreste. S'inalza 2000 piedi sopra il livello del mare,e in tempo d'inverno è il primo ad essere coperto di neve. Sulla sommità di questo monte, il quale è nella antica Etruria vicinissimo alla riva destra del Tevere, eravi al tempo di Virgilio un tempio dedicato ad Apollo. Dipoi molto Carlomagno fratello di Pipino costrusse il monastero di S. Silvestro sul pendio sud-est che da Roma si vede: onde pre

(a) Erasmo in uno de' suoi colloqui, I ricchi poveri Franciscani,dice fra gli altri: Nam quod in vobis pessimum est animus est: corpore nimium valetis, planeque melius habetis ista parte, quam expediat nobis, qui alimus uxores, et filias ec. Amstelaed. 1754, p. 229 segg.

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se anche il nome di Monte di S. Silve-
stro; come di Sant'Oreste si dice dal ca-
stello e villaggio posti nella vetta di que-
sta montagna. En. VII, 696:
Hi Soractis habent arces, flaviniaque arva ec.
A GUARIR ec. per ottenerne la guari-
gione.

LEBBRE per lebbra. I sustantivi femminili della prima in a presero; per conformità di desinenza, l'e in fine al numero del meno, come quelli dello stesso genere, i quali appo i Latini furono della terza e quinta coniugazione: e così, come requie, progenie ec.; nube, tigre, sorte ec. si fece lebbre, spade, sponde, persone, maniere ec. invece di lebbra, spada, sponda, persona, maniera ec. Ed è questa la ragione, perchè il nostro Poeta usò talpe (Purg. XVII; 1), ale (Purg. XXIX, 109) ec. per talpa, ala ec. I quali nomi così finiti al singolare occorrono sovente, nonchè nelle antiche scritture, in autori approvati di più secoli posteriori a Dante; e non soltanto in rima, ma e fuori di questa nel verso, e nella prosa; sustantivi o addiettivi che essi nomi si fossero. Va detto lo stesso de' nomi propri; onde Dante Par.III,118:

Quest'è la luce della gran Gostanza

Che del secondo vento di Soave ec.
dove Soave sta per Soavia o Suavia, da
Suapia, nome che gli antichi dettero alla
Svezia. Simigliantemente Par. XIX, 124:

Vedrassi la lussuria e il viver molle
Di quel di Spagna e di quel di Buemme.
Buemme oggi detta Boemia;ant. Boem-
ma, Buemmia e Buemma; onde come
Buemme. Così diciamo ancora Firenze,
da Soavia, Soave, così da Buemmia,
ch'è da Fiorenze per Fiorenza dal lat.
Florentia. Il Cellini Ricord. e Docum.

Arei mezzo pieno Fiorenze di valorose
Firenza il Pucci Centiloq. C.

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opere.
XIII, 62:

Per memoria di Carlo e di Firenza. I Francesi: Florence, Italie, France ec. (Vedi anche Purg. XXV, 26).

96. MAESTRO: medico. Voce ovvia in questo sentimento nel Sacchetti, nel Lasca e in cento altri antichi scrittori. Il

A guarir della sua superba febbre:
Domandommi consiglio, ed io tacetti,
Perchè le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse: tuo cuor non sospetti:
Finor t'assolvo, e tu m' insegna fare

Bocc. VIII, 9: Il Maestro la cui scienza
non si stendeva forse più oltre che me-
dicare i fanciulli dal laltime.— E mae-
stria per l'arte medica. Guid. Cavalcan-
ti, son. VI:

E porto nello core una ferita

Che si conduce (arguisce) sol per maestria Che sia com'egli è morto aperto segno. MAESTRO qui ha doppio senso. Tommaseo Perchè Guido era vecchio nell'arte d'ordire aguati, e poteva Bonifacio ben dirgli:

Tu duca tu signore e tu maestro. Maestro, fra gli altri significati, si dice al pastore, al timoniere e al domator delle belve. C. XVIII, 132, nota.

-

97. SUPERBA FEBBRE. Ardentissima superbia ed ira di vendicarsi de' Colonnesi. Land., Vellut.- Superbo odio. Barg. Superbo sdegno. Lomb.-Odio generato da superbia. Bianchi - Ogni passione violenta è febbre secondo S. Ambr. Febris nostra superbia ec. Il peccato è febbre dell' anima. Il Rossetti dice che saria bastato al Poeta chiamar lebbra la superbia stessa: «Ma la metafora sua è assai più giusta, perchè in quella superba febbre vedi proprio l' irrequieta effervescenza di quell'orgoglioso, che, dice Gio. Villani VIII, 63, tutto si rodea come rabbioso ». Sublime espressione della passion di quello animo, da desiderio di vendetta e da superbia egualmente infiammato. Biagioli Dante simboleggia anche la superbia nel Leone che gli veniva:

Con la test'alta e con rabbiosa fame, Si che parea che l'aer ne temesse. or la febbre di cotesto vizio, ch'è principio e nascimento di tutti gli altri, aveva continuo quel Papa; al quale fu Profeta Silvestro nel dirgli: Intrasti ut vulpes; regnabis ut leo; morieris ut canis (a). Il confronto tra la lebbra di Costantino e la febbre di Bonifazio, i rimedì l'uno spirituale apprestato al primo dal santo pon

(a) Benvenuto da Imola. Purgat. XX, 85-90.

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tefice, l'altro temporale dal falso Guido prescritto al secondo, sa nonchè di acre ironia, ma di satira più caustica ed arcigna che a prima vista non si parrebbe.

98. TACETTI: tacqui, come da temere, credere ec. temetti, credetti ec. Tacqui è conforme al lat. tacui.

99. PAROLE EBBRE: non ragionevoli ; da uomo briaco d'ira e mala volontà. Tibul. III, 6, 36: Ebria verba.

100. MI DISSE. Ridisse hanno il cod. Filippino (Sec. XIV), di Santa Croce, le cospicue edizioni di Mantova, di Foligno (an. 1472); e quella di Napoli 1474 ed anche la Fulgoniana, Rom. 1791. Poi mi ridisse è tra le variorum del Witte. Il Lombardi leggeva ridisse, con la Nidobeatina, dando alla voce il valore di ripigliò. Gli editori padovani (an. 1822) non gli menaron buona cotesta chiosa. Noi accetteremmo la variante ridisse per le ragioni appunto, ond' essi la mutarono dal testo Lombardiano. A confortare il Frate, forse più che una volta il S. Padre disse e tornò a dire: Tuo cor non sospetti ec. e cotesta ripetizione di parole non è strano avesse il Poeta voluto per esso verbo significare. La nostra lezione, è d'altronde del cod. Vatic.3199 e d'altri testi antichi, seguìta da' moderni comentatori.

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Si come Penestrino in terra getti. Lo ciel poss' io serrare e disserrare, Come tu sai; però son duo le chiavi, Che 'l mio antecessor non ebbe care. Allor mi pinser gli argomenti gravi

suo valore ordinario è fino ad ora. Intesa la voce in questo significato si esprimerebbe per essa il generoso intendimento che avea Bonifacio di voler dare a Guido una sua piena papale assoluzione di tutt'i peccati già commessi per l'addietro,e di quello eziandio ch'egli dubitava dover di presente commettere durante il tempo del secreto colloquio.

M'INSEGNA ben detto s' egli avea già chiesto Guido a MAESTRO (v. 96). M' insegna è stato adottato da' più sull' autorità del Tempiano, de' Pucciani 2, 3, 4, 5, 8, 9, 10, de' Riccard. 1004, 1024, 1025, 1026, 1027, del Magliab., del Buturl., del Bartolin., de' MSS. Poggiali e Frullani, della Nidob., dell'ediz. d'Aldo del 1515, e della Venez. del 1491-M'insegni hanno l'ediz. del Zatta, Ven. 1757 e le variorum del Witte. M'insegnie il cod. del Boccaccio. La Crusca si tenne alla lettera m' insegni, che non è da avere punto in dispregio, considerando che Dante potè costrurre quella e col soggiuntivo, dandole il valore di a patto, a condizione che ec.siccome in questo luogo di Fra Giordano (220): Pochi uomini vengono a confessione; ed ecci di quelli che n'anderebbero volentieri a san Jacopo, ed e' non fossero tenuti di confessarsi. Ed altri molti che incontra leggere negli eccellenti scrittori.

102. PENESTRINO. Al. lez. Pellestrino, Palestrino, Penestino, Pelistrino. È l'antica Praeneste, oggi Palestrina, piccola città della campagna di Roma, e ai tempi di Dante fortezza de' Colonnesi; la quale non potuta avere per forza, fu lor tolta per inganno da Bonifacio VIII.

104. PERÒ SON DUO ec. (C. XII, 58, nota (b)).— PERÒ: forse perocchè. Torelli. 105. IL MIO ANTECESSOR: Papa Celestino NON EBBE CARE: avendo rinunziato il papalo. (Vedi C. XIX, 56-57, nola) ANTECESSOR: ironia diabolica. Tommasco.

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Haec ubi dicta

Agrestem pepulere, domo levis exilit: inde ec. Argomenti gravi: di gran peso: quali erano quelli che Bonifacio allegava dalla Scrittura in favore della sua potestà di sciogliere e di legare, Matth. XVI, 19: Et tibi dabo claves regni coelorum ec. Dante pare ci dipinga l'animo del Conte Guido come fluttuante tra la tema di cadere in peccato dando il fraudolento consiglio al Papa, e quella di peccare ancor dippiù disubbidendo all'autorità di lui e non inchinandosi alla reverenza delle somme chiavi. De' due partiti malo il primo, peggiore il secondo: ed egli, giusta gli ammaestramenti dell' umana prudenza, schivò il tacere che gli sembrò il peggio; e parve starsene tanto pago all'anticipata assoluzione, che tenendosi già lavato della colpa (v. 108 seg.) vivesse senza niun rimorso la vita che gli avanzava; se non che poi da questo sonno lo riscossero (v. 121) gli argomenti del nero Cherubino, contro i quali non valse il Serafico Padre a trarre un suo religioso dalla perdizione. Il Poeta vuol così dimostrare di che valore fossero certi argomenti gravi de' Papi, e la superstizione de' suoi contemporanei nel credere che non si fallisse al porto sol per indossare l'abito di S. Francesco. Non hanno inteso Dante coloro che dicono col Nannucci: Guido non era si grosso uomo da credersi sciolto dal peccato ad arbitrio d'un tal Pontefice; ma falte sue ragioni dovette trovar meno male andare ai versi di lui, che procacciarsene l'ira (a). Se questo Conte non si credeva assoluto, si sarebbe pen

(a) Manual. della letterat. del primo sec.vol. II, pag. 38, Fir. Barber, 1858.

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