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Senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni;
Ma palese nessuna or ven lasciai.
Ravenna sta com'è stata molt' anni;
L'aquila da Polenta la si cova,
Sì che Cervia ricuopre co' suoi vanni.
La terra che fe già la lunga prova,
E di Franceschi sanguinoso mucchio,

dimeno la lettera del nostro testo è quel-
la di quasi tutti gli altri codici e delle
altre edizioni.

ROMAGNA TUA ec. In sentenza: Quelli che signoreggiano la terra onde tu fosti, bellicosi ch'ei sono, fanno guerra o hanno in animo di volerla fare; ma nessuna palese ve n' ha di presente che di là io vengo. Tra i tiranni se non è guerra aperta, il mal talento e la discordia fa ch'egli la covino nel cuore e la bramino pur sempre.Jer. VI, 28: Omnes istiprincipes declinantes, ambulantes fraudolenter, aes et ferrum.

40. RAVENNA STA ec. Le parole stesse significano la fermezza dello stato politico, e quindi la providenza e saviezza del principe che reggeva i destini di quella città; dove il Poeta venne al tempo del suo esilio onorevolmente accolto ed ospiziato. Questa città in Romagna è antichissima, della quale in quei tempi era Signore Guido Novello da Polenta, uomo circospello, ed eloquente, il quale ebbe il nostro Poeta in somma venerazione in vila, ed in morte magnificamente onorò. Landino.- Inf. V.132, not., in fine.

41. L'AQUILA (a) arme de' Polentani che signoreggiavano Ravenna e Cervia. Si prende lo stemma per la Famiglia.

LA SI COVA: se la cova; cova, caldeggia,cioè governa Ravenna con clemenza, come madre i suoi piccoli figliuolini. Al. lez. là si, di assai minor valore che la comune. Virg. Ecl. III. Neaeram... fovet.- Covare, lat. Cubare,ch'esprime lo star degli uccelli in sulle uova per riscaldarle ec., della chioccia che raccoglie e difende sotto l'ali i suoi pulcini.

(a) De' signori di Polenta l'arme era: Un' Aquila mezza bianca, in campo azzurro, e l'altra mezza rossa, in campo d'oro. Landino.

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42. CERVIA Ricopre co' suoi VANNI ec. L'Aquila ricopre ec. cioè, i Signori di Polen ta estendono la loro giuridizione sopra Cervia, e la tengono sotto la loro protezione. Cervia città posta sul lito del mare Adriatico, lontana un dodici miglia da Ravenna.-VANNI poet. le ali: propr. le penne propinque alli coltelli, secondo il Bargigi; ovvero, giusta il Landino, le penne maestre. L'aquila tenea dunque a Ravenna il suo nido, ove si covava, e fuori di questo spiegava le ali fino alle terre più lontane di suo dominio.

43-44. LA TERRA ec. Forlì sotto la signoria di Guido da Montefeltro resistette lungamente all' assedio postole per Martino IV nel 1282; e vi si fece grande strage di francesi, che in gran parte eran tra gli assalitori (b).

(b) Bernardino Baldi raccolse in un opuscolo Bologna 1831, per cura di Anesio Nobili) tutt'i fatti e le circostanze della terribile rotta, alla quale qui allude il Poeta. Giacotto Malespini nipote di Ricordano, di cui continuò la Cronaca sino all' anno 1286, scrive: « Il primo di di Gian del Pà, con sua gente, la mattina innanzi maggio nel detto anno (1282) il detto Messer giorno, venne alla città di Forli credendola avere, com'era ordinato, e fugli data l'entrata di una porta, e entrovvi dentro con una parte di sua gente, e parte ne lasciò di fuori con ordine che, se fosse bisogno, soccorresse quei dentro: se caso contradio avvenisse, rimanessono tutta sua gente in un campo sotto una gran quercia.

I Franceschi, ch'entrarono in Forlì, corsono la tefeltro che sa pea tutto il trattato con sua gente se n'usci fuori della terra e percosse a quei di fuori, ch'erano rimasi alla quercia, e misegli in rotta. E quelli che entrarono dentro, creden

terra senza contasto: e il conte Guido da Mon

dosi avere la città, aveano fatto la ruberia e prese le case: e come ordinato fue per lo conte di Montefeltro, fu alla maggior parte di loro

tolto i freni e le selle de' cavalli da' cittadini. E incontanente il conte da Montefeltro con parte di sua gente rientrò in Forlì, e corse la terra e parte della sua gente lasciò sotto la quercia schierati, com'era stata da' Franceschi. E messer Gian de Pà e i suoi, veggendosi cosi guidati, e' credeansi avere la terra, conosciuto il tra

Sotto le branche verdi si ritrova.

El Mastin vecchio, e 'l nuovo da Verrucchio,
Che fecer di Montagna il mal governo,
Là, dove soglion, fan de' denti succhio.
La città di Lamone e di Santerno
Conduce il lioncel dal nido bianco,

SANGUINOSO MUCCHIO. Così di Pallante, cui il primo giorno ch'entrò nel combattimento diè gloria e morte, Virgilio (En. X, 508 seg.) dice:

Haec te prima dies bello dedit,haec eadem aufert,
Quum tamen ingentes Rutulorum linquis acervos.
Odasi ora il Tasso (Gerus.lib.XIX,30):
Ogni cosa di strage era già pieno;
Vedeansi in mucchi e in monti i corpi avvolti.
Là i feriti su i morti; e qui giacieno,
Sotto morti insepolti, egri sepolti.

45. SOTTO LE BRANCHE VERDI ec.: Sotto la signoria degli Ordelaffi, che nella parte superiore dell'arma loro portano mezzo lione verde. Bargigi (a). Le parole del Poeta non accennano mica a buon governo che si facesse de' Forlivesi per questi nuovi signori che tennero lo stato molti anni, dopo il 1296 che il valoroso Guido Montefeltrano si fu reso frate.

46. E'L MASTIN VECCHIO ec. Si accennano i due Malatesta padre e figlio, appellati mastini per l'istinto crudele e cagnesco ch'ebbero questi due fieri tirannelli, signori di gran parte della Marca; denominati da Verrucchio, castello che gli Ariminesi donarono al primo Malatesta, padre del Mastin vecchio.

47. MONTAGNA nobilissimo riminese, capo di parte Ghibellina, a cui furono sempre i Mastini, fieramente avversi, fu da essi fatto straziare e morire.-FECER... MAL GOVERNO: maltrattarono, conciaron male ec. L'angelo d'inferno che non potè aver l'anima di Buonconte da Mondimento chi potè si fuggi della terra, e andava

alla quercia di fuori credendovi trovare la loro gente: e là andando erano da' loro nemici presi e morti, e simile quelli che erano rimasi nella terra, onde i Franceschi e la gente della Chiesa ricevettono gran danno, è morironvi molti caporali Franceschi e Latini »>.

(a) Il Landino chiosa: Sotto gli Ordelaffi, l'arme de' quali è un lion verde dal mezzo in su in campo d'oro, e dal mezzo in giù con tre liste verdi, e tre d'oro. In questo tempo n'era Signore Sinibaldo Ordelaffi.

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tefeltro, dice che sul corpo cadavere disfogherà l'ira sua (Purg. V, 108):

Ma io farò dell'altro altro governo. Vedi esempio del Petr., C. XXIV, 18, nota.

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48. LA, DOVE SOGLION: nelle terre soggetle. FAN DE' DENTI SUCCHIO. Stando nel traslato dice il P. ch' ei come cani crudeli straziano, trafiggono, e lacerano i sudditi. SUCCHIO, trivello, stromento fabrile da forare; lat. terebra; dagli Spagn.detto barrena;da'Calabresi verrina da veru,schidione o da Bépp, deleo, perdo ec. Fr. Giord., Pred. LXXI: Però quelli che fanno le navi, quando hanno fallo il foro col succhiello, e messovi l'aguto percuotono spesso ec. Il succhio forando trita e cava fuori sostanza del legno in cui s'adopra: i tiranni non affondano il dente, senza portar via alcun brano della carne trafitta.

49. LE CITTÀ DI Faenza ch'è presso il fiume LAMONE, E DI Imola presso il SANTERNO.

50 seg. CONDUCE: guida, governa, regge. C. VII, 74 seg.:

Colui, lo cui saver tutto trascende

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Fece li cieli, e diè lor chi conduce ec. Vedi anche C. XVI, 64, nota. Il lioncel ec. Machinardo o Mainardo Pagani signore delle dette città di Faenza e d'Imola, il quale per arma portava un lione azzurro in campo bianco. CHE MUTA PARTE ec. Conciosiachè verso la state, verso le parli meridionali, in Toscana, ei liene parte Guelfa, confederato con Fiorentini, e verso il verno, verso le parti settentrionali, in Romagna, mantiene parte Ghibellina.Bargigi. Era Guelfo in Toscana e Ghibellino in Romagna. Col Boccaccio, con l'Anonimo, e con Pietro di Dante chiosa il Tommaseo. Fu detto dal Biagioli che il Poeta a dimostrare l'orribile disprezzo di quel principotto il chiamasse

Che muta parte dalla state al verno:
E quella a cui il Savio bagna il fianco,
Così com' ella siè tra 'l piano e 'l monte,
Tra tirannia si vive e stato franco.

leoncello e non leone; poichè di questo
animale avea la fierezza, non già le forze;
onde mutava spesso parte accostandosi
al più forte. Il Monti non tenne con la
Crusca che leoncel fosse qui un diminu-
tivo di leone; ma essersi figuratamente
detto per impresa o stemma di Machi-
nardo. Muta parte dalla state al verno.
Dalla state al verno posson correre soli
tre mesi; e pure in sì breve tempo egli
non istà fermo in un partito; ma è or
Guelfo,or Ghibellino, sempre spregevole,
o che ciò si faccia per tornargliene conto,
o che per levità di animo (a).

52-54. E QUELLA: Cesena, presso cui trascorre il fiume Savio o Sauro, lat. Sapis o Isapis, che attraversa l'Emilia e mette nell'Adriatico.

53. Si è voce intera non troncamento di siede; e proviene dall' antico seire per sedere tolto probabilmente ai provenzali, ch' ebber seire, come l'antico Franc. seir o seer.

Fra le altre configurazioni antiche del verbo sedere, furonvi seire, seere, sere; onde regolatamente discesero io seio, seo tu sèii, sèi, sè; colui sè, e, intramezzatovi l'i per dolcezza di lingua, si scrisse tu siè, colui siè, siccome siedo, siedi, siede per sedo, sedi, sede ec. da sedere. Quindi anche il Pucci nel Centiloq. XI, 27, usò siè per siedi:

Disse l'anziano:

Siè giù a pena di cento fiorini. Non è adunque codesto siè voce mozza o sincopata da siede, come dicono alcuni comentatori, e molto meno è risolvibile in si è come altri han preteso.

(a) Questo Mainardo era, come dice l' Imolese, nobile, bello, forte, audace. Fu soprannominato il Diavolo o per le sue somme astuzie, o perchè non putiva troppo di clericalismo. Valente e savio capitano lo chiama il Villani. Ebbe in moglie una fiorentina della famiglia dei Tosinghi. Co' Guelfi di Firenze, e con Dante, combattè a Campaldino il 1289. Nel 1300 entrò a Firenze con Carlo di Valois. Mori in Imola l'anno 1302. (Comp., Vill., Murat.).

Avvi però la Var. lez. Si è e sie. S' è col Land. e Vellut. legge anche il Tommaseo. Sie il Cod. Cassinese. E notevole in questo luogo la lettera del cod. Ang. che par quella adottata dal Bargigi:

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Così com'ella sie tra il piano e il monte,
Trai tiranni si vive in stato franco.

secondo la quale il valentuomo spone:
Come ella sie situata tra il piano e il
monte, così ella si vive in stato franco
situata tra i tiranni, collocala in mez-
zo di altre città, che tutte ad alcun
particolare Signore sono soggette. La

lez. in stato è tra le variorum del Witte, seguìta anche dal De Romanis, Rom. 1822: lezione curiosa, dice l' E. R., e potrebb'essere una graziosa ironia. Potrebb'essere eziandio una verità schietta, sapendosi che questa città nel 1301 ebbe tanto valore, che cacciò da sè a viva forza Uguccione con due altri grandi, sospettati di voglie tiranniche. Tuttavolta la lettera comune è quella del nostro testo, e che ha una ben diversa interpretazione. Ma ch'ella sia o sieda tra il piano e il monte, qual ragione che abbiasi a vivere tra tirannia e stato franco? Il Vellutello, il Lombardi vengono nella stessa sentenza del Landino: In questi tempi tra tanti tiranni, in Romagna solamente Cesena si reggeva in libertà, benchè alcuna volta i principali Cittadini di quella usassero alcuna tirannia. TRA IL PIANO ec.: Com'è il di lei silo materiale:... cioè parte piana e parte montuosa, così dice che fosse eziandio la sua politica situazione tra libertà e tirannia (ch'è ciò che vuol dire STATO FRANCO). Lombardi.—Il Venturi avea detto: Com'è una cosa di mezzo tra piano e monte, trovandosi parte bene, parle mal situata; così ancora parle geme sotto la tirannia de' Prepotenti, e parte gode la libertà. Brunone Bianchi alle identiche parole del testo aggiunge: « Il monte significa la libertà, come s'è veduto fin dal Canto I, perchè per essa l'uomo si nobilita: il piano o la

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Ora chi se' ti prego che ne conte:

Non esser duro più ch' altri sia stato, Se 'l nome tuo nel mondo tegna fronte.

valle, la servitù, che sempre invilisce l'animo e lo prostra nell'ignoranza e nella miseria ». E coerentemente il Tommaseo: Sempre il monte è più libero della valle.-Ci pare alquanto estranea la figura del monte ec. nel senso del Bianchi in questo luogo; nè vediamo col Tommaseo come, sendo anche sempre il monte più libero della valle, potesse una stessa città essere parte schiava perchè abitante nel piano, e parte libera perchè nel monte. Secondo che a noi par di vedere, Cesena potea vivere tra tirannia e stato franco in quanto alle sue leggi, che come ragnatele erano temute solo dai moscherini, mentre i mosconi le foravano e passavan via. Dove gli statuti son lettera morta e siede al potere l'arbitrio e la prepotenza, quivi non può essere uguaglianza civile, e la forza del maggiorente tien luogo di ragione contro il debole; libero d'ogni legge l'uno, contro ogni legge l'altro tiranneggiato ed oppresso. In sentimento opposto a quello de' prelodati illustratori, crediamo, che per monte voglia il Poeta qui significare i nobili e potenti, sublimi loco nati; e per piano gl'ignobili, e i plebei. Prima del Vico, il quale (De antiq. ital. sap.) fa chiare queste nostre idee, anche T. Tasso (Ger. VII, 9) assimiglia i pastori al basso piano, ed i re all' eccelse cime più soggette alla percossa della folgore. La valle nel senso biblico, che crediamo piuttosto seguito dall'Alighieri, sono gli umili, gementi sotto il peso delle ingiustizie; il monte è qui per Dante il calvario del giusto, è la forza, è l'orgoglio umano che sovrasta iniqua mente su i buoni ma poveri cittadini. Nel qual senso, vaticinando la venuta del Cristo, disse Isaia (XL, 4): Omnis vallis exaltabitur, et omnis mons et collis humiliabitur, et erunt prava in directa et aspera in vias planas. E l'uomo Dio avea la missione d'infrangere le catene come quelle del medio evo. Intendiamo noi dunque, che la detta città si era tra oppressi ed oppressori, questi in istato

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franco (a); quelli sotto la cotestoro tirannia. Così agli occhi di Dante non parve Cesena più felice che le altre città della Romagna.

55. ORA che ho finito di satisfare alla tua dimanda (v. 28). CHI SEI... CONTE: non si appaga del solo nome, ma ne chiede il racconto della sua vita.

56. ALTRI: allude a Ulisse che parlò secondo dal fuoco (C. prec. 90-142); o, che chiosa il Bargigi: Non esser duro a me in compiacermi più che altri, più che Virgilio sia stato a te in restare ad ascoltare ciò che tu hai voluto dire (v. 19-30), ed in fare che da me tu abbia udita risposta di ciò che dimandavi. 57. SE particella deprecativa. C. X, 82 e 94. NOME: Virg. En. I, ed Ecl.

V, 78:
Semper honos, nomenque tuum laudesque ma.
(nebunt.
Vedi Inf. II, 59 seg.

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(a) Franco significò anticamente immune da taglie, censi, imposte, e nobile, libero, ec. Il Du litate, ingenui, ipsique proceres. Quindi le voci Cange: FRANCI, dicti viri potissimum ex nobifrancanza, franchezza, franchigia, per libertà, gentilezza, cortesia; francare in sentimento di liberare. Franchezza per ardimento, bravura. Conti di ant. Cav.: Non fo mai sì gran guerra... mantenuta e menata a fine... come essa fu. E ciò fu propriamente per lo senno e larghezza e valore grande del buon re Tebaldo... e per la gran franchezza de Guilielmo d'Orenga.—Franco dall'all. franc, risoluto, libero, che non conosce paura: Francheggiare per assicurare, far coraggio, Inf. XXVIII, 116.

(b) Tener fronte: per comparire, lasciarsi vedere. Volpi.

(c) Il Cod. Ang. legge al mondo.

Poscia che'l fuoco alquanto ebbe rugghiato

Al modo suo, l' aguta punta mosse Di quà, di là, e poi diè cotal fiato: S'io credessi che mia risposta fosse

A persona che mai tornasse al mondo, Questa fiamma staria senza più scosse: Ma perciocchè giammai di questo fondo Non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero, Senza tema d' infamia ti rispondo.

l'onore; possiamo per l' opposito dire, che chi è onoralo abbi fronte. Al quale risponde l'anima che se credesse risponder a chi avesse a tornar nel mondo, non farebbe parola. E questo è che essendo restato buona opinione di lui per essersi fallo frate, non vorrebbe che si sapesse la sua dannazione ec.

58-60. Questo luogo è da porre in confronto con l'altro, vv.13-18, del presente canto, e con l' 85-90 del XXVI. Arte maravigliosa vi esprime lo stesso concetto con varietà di elette voci e modi, e sempre a pintura di vivi colori.

Vedi corrispondersi in questo costrutto il perfetto diè col piucchè perfetto, o vuoi passato rim. comp., ebbe rugghiato.

-

RUGGHIATO: mormoreggiato.Rugghiare o ruggire è proprio del leone; e qui detto per similitudine del rombo che fa la fiamma AL MODO SUO (XXVI, 86, e in questo canto v. 14 seg.) AGUTA PUNTA: la cima della fiamma, (v. 5) alla quale lo spirito parlante avea testè (v.17) dato il guizzo, per favellare a Virgilio. Vedi anche C. prec. v. 88 seg.

60. E POI DIE COTAL FIATO: sì disse.Ovid. Met. IX, 583:

Linguaque vix tales icto dedit aëre voces.

63. STARIA SENZA PIÙ SCOSSE: non parlerei. Lo spirito non può parlare dalla fiamma senza farla crollare (C. XXVI, 86) per l'urto datole dalla lingua che di dentro proferisce la parola. (13-18) — STARIA detto con molta proprietà (v. 1, seg.) SENZA PIÙ SCOSSE: oltre le già dalele, per parlare a Virgilio (v. 19-30).

61-66. SENZA TEMA D'INFAMIA. Dice così, perchè su nel mondo durava tultavia la sua buona fama; e scoprendo ora

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chi egli sia, e palesando i suoi falli al Poeta, non ha però tema che questi possa mai qua tornare e ritrarli ai vivi (v.57, nota in fine). Il Poeta dovea perciò, secondo alcuni, dir come e donde sapess'egli cotal colpa occulta (a).

(a) « Ciò prova che la colpa appostagli dal Poeta non era palese. E cosa tanto grave dovetesto fa tante citazioni a pompa di scienza. E va il poeta dire da chi la sapesse; egli che nel qui ci cadeva più che degli anelli tolti a cadaveri romani da Annibale, di che Livio scrive che non erra. Inf., XXVIII » Tommaseo. - Ma quali citazioni sarebbero state qui opportune, dove il Poeta fa parlare lo stesso Guido di Montefeltro? Dovrebbe per la sincerità de' racconti quei minuti particolari, che la Francesca gli rivenir anche dicendo da chi sapess' egli tutti

vela nel secondo Cerchio; com'entrasse a vedere nella torre della fame gli ultimi spasimi del Conte Ugolino, ec., e allora la poesía si obbligherebbe a seguir le norme d'una storia critica, o d'un trattato di teologia dommatica. Se Dante Alighieri citi a pompa di scienza, lo dica chi se 'l crede; noi non oseremmo pensare si bassamente del sommo Poeta. Che lodi Livio non pare il faccia, salvo che con arte di render credibile il suo racconto al paragone d'un fatto antico, la cui fama, fatta dagli anni tacita e nera, suona e risplende nelle carte del grande storiografo Padovano. Questo ci avvisa che fosse l'onesto fine del Poeta, quando pure non gliel consenta una critica severa e inesorabile. II colloquio tra Papa Bonifazio e Guido è creduto romanzo storico, anzichè storia. Fu mera invenzione de' nemici di quel Pontefice comicamente abbellita dall'Alighieri. Bonifazio, dicono, non abbisognava d'altrui consigli; nè Guido avrebbe tenuta valida quell'assoluzione,nè per timore od ossequio tradita l'onestà e la coscienza. Come mai, sarebbesi potuto penetrare un fatto che, posto pur vero, doveanselo tenere ascoso nel petto que' due, a disonore de' quali tornava il disvelarlo?-Ferretto Vicentino, quasi contemporaneo di Dante, narra come realmente accaduto l'anzidetto colloquio (Stor. Lib. II, an. 1294. Vedi Italic. rer. script. Murat. tom. IX): il Muratori non reputa gli si debbe aggiustar fede: Probrosi hujus facinoris narrationi fidem adjungere nemo probus velit, quod facile

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