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Li miei compagni fec' io sì acuti,

Con questa orazion picciola al cammino,
Ch' appena poscia gli averei tenuti.

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Che in lei (è una donna amata) regna valenza E canoscenza, che più rena in fiumi.

za.

Valenza canoscenza son full' uno con virlule e conoscenza, cioè virtù o valore, e senno o saviezza. Nessuno vorrebbe dire che la femmina di Jacopo fosse una Corinna o una Vittoria Colonna, ovvero una donna illustre per iscienE così deve intendersi la conoscianza che leggiamo nelle rime, che qui alleghiamo, di Giacomo Pugliesi. Ov'è madonna? e lo suo insegnamento (costumaLa sua bellezza,e la sua conoscianza? (tezza ec.) Lo dolce riso, e lo bel parlamento? Gli occhi,e la bocca,e la bella sembianza? ec.ec. Il Pugliesi in lode deila felice memoria della donna sua dice che in lei stavano insieme bellezza e saviezza, ch'è cosa tanto rara,quanto che Venere fosse amica di Minerva. Guido delle Colonne:

Senza misfatti non doveam punire Di far partenza dalla nostra amanza Poi (poichè) tanto è conoscente. Dovea, cioè, tanto essere scienziata, che le fosse bastato a conoscere che nessuno deve esser punito senza ragione. Or a questo non fa mestieri la scienza,la sapienza; ma la semplice discrezione e il senso comune: il senno poi e la saviezza, a maraviglia. Mazzeo Ricco: Ma più deggio laudare Voi donna conoscente.

Lo stesso sapere è il più delle volte inteso per saviezza, anche in antico, tuttochè la sapienza sorvanzi la scienza. Per un esempio.

Guido Guinicelli:

Chè in lei enno adornezze,

Gentilezze, savere, e bel parlare E compiute bellezze.

E la Scrittura:

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cioè, somma bellezza e somma saviezza. Il Petrarca:

Ov'è il valor la conoscenza e 'l senno. Provenz.conoissenza, saviezza, senno ec.

E da ultimo conferma quanto intendiamo provare il seguente esempio di Chiaro Davanzati:

Ben so che tanta conoscenza (saviezza ec.) avete, Se per voi pere (il cuore) senza gioia alcuna, Che fia dispregio al vostro fino amare.

Perciò Dante appella sconoscente la vita degli avari, i quali sono dissennati e non sanno l'uso a cui si ordinano le facoltà di questa vita (Inf. VII, 53).

121-123. ACUTI ec. volonterosi ec. Lat. Acuere propr. aguzzare; fig. istruire, incitare, accendere, invogliare. Virg. Georg. IV, 435:

Auditique lupos acuunt balatibus agni.
Eneidis lib. VII, 330:

Quam Juno his acuit verbis, ac talia fatur: ec.
AL CAMMINO: al viaggio, al navigare.
Gerus. liber. XV, 23:

E tanto del cammino ha già fornito: Or entra nello stretto, e passa il corto Varco, e s'ingolfa in pelago infinito. APPENA POSCIA ec. A fatica dopo tai parole falle gli avrei potuli svolgere e tenere ch' ei non navigassero, se io avessi mutato consiglio: tanta fu l'efficacia di QUESTA ORAZION PICCOLA,di genere deliberativo. « Volle il Poeta nostro in questo luogo, imitando il macstro suo nell'orazione che pone in bocca ad Enea, O socii, ec., dimostrarsi non già imitatore, ma degno suo rivale ed emulo; e lo vinse senza dubbio, se non in altro, nella nobiltà de' sentimenti ».

Apprehendite disciplinam et estole sapientes ec. Biagioli.

E volta nostra poppa nel mattino,

De' remi facemmo ali al folle volo,
Sempre acquistando del lato mancino.
Tutte le stelle già dell' altro polo

124-126. VOLTA NOSTRA POPPA ec. Ciò dice il Poeta pensatamente, per dare ad intendere, quanto a noi pare, che da questo punto in poi la nave è diretta ad uno scopo prefisso. Partendo da Circe non poteva già Ulisse e suoi compagni pervenire allo Stretto, senza aver navigato per modo,che il naviglio tenesse al MATTINO volta la poppa; e tale dovea esser la direzione del legno anche innanzi, quando egli dice (v. 110 seg.) che si la

sciò Sibilia dalla man destra e Setta dalla sinistra. I molti anni che valicò in mezzo a tanti perigli il Mediterraneo, prima di giugnere al luogo dov' ora si trova, Ulisse andò girovago in cerca delle isole che vi sono sparse: la presente navigazione s'indrizza omai risolutamente inverso all'altro polo. Il Poeta accenna la direzion della poppa,anzichè della prora, sapendo quel che si lascia, ed ignorando in quali luoghi sarà per esser

condotto dalla fortuna.

NEL MATTINO: verso l' oriente; e però con la prora all' occidente. Il Bargigi: Poichè fu passata la notte, volta nostra poppa nel mattino, pigliando quest'ultima voce come nome di tempo. Ma il Landino la spiega per il Levante, e così il Vellutello, per la parte orientale onde il mattino viene; così tutti gli altri posteriori. Non fu dunque un trovato del Monti tale significazione: il quale nella Proposta dice: Aggiungi alla voce MATTINO un altro valore non osservato, quello di Levante, cioè verso la parte

dove nasce il mattino.

125. Quando i marinai dan de'remi in acqua tutti nello stesso tempo, a chi guardi da lungi sembra quasi che la nave corra sul mare dibattendo le ali. Fare, dunque, de' remi ali al volo esprime in uno e la detta maniera del remigare,e la velocità con che il legno valica come volasse. Dante qui accomoda egregiamente ai remi l'imagine delle ali, che Virgilio adatta alle vele (Lib. III, 520)... Velorum pandimus alas.

14:

Il Tasso, Gerus. liber. XV,
Mentre ciò dice, com'Aquila suole
Tra gli altri augelli trapassar secura,
E sorvolando ir tanto appresso il sole
Che nulla vista più la raffigura;

125

Così la nave sua sembra che vole ec.
Inita Dante nella stanza 26 (Vedi la
nota all'ultimo verso di questo canto), c
di Colombo dice:

Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo
Lontane si le fortunate antenne,
Ch'appena seguirà con gli occhi il volo
La fama, ch'ha mille occhi e mille penne.
FOLLE VOLO. Sta nel traslato che appel-

la ali i remi. Firenze (v. 2) balle l'ali
anche per mare. Ci si ricorda il folle volo
d'Icaro,intorno a cui disse il Poeta le pa-
role di Dedalo: mala via tieni, C. XVII,
111.-Ed egli a Virgilio (C.I1,34 seg.):

Perchè se del venire i' m'abbandono
Temo che la venuta non sia folle.

126. ACQUISTANDO DEL LATO MANCINO: cioè con la prora verso l'ovest; ma tenendo nondimeno sempre da man manca: il che facevali avanzare verso il polo antartico, e nello stesso tempo, per quanto le coste occidentali dell' Africa il permettessero, retrocedere verso il meridiano di Gerusalemme, sotto il quale si finge stare il Purgatorio, che fu la montagna bruna apparsa ad Ulisse (a).

127-129. TUTTE LE STELLE ec. Io vedea di notte, o nella notte, tutte le stelle del polo antartico, ma il polo artico era tanto abbassato da quell' altezza, in che suole vedersi da chi abita nella zona temperata settentrionale, che non appariva al di sopra dell' orizzonte. Vuol significare ch' egli aveva oltrepassata la linea

(a) È degna qui di molta considerazione la nota dell'illustre Tommaseo: « Il Poeta facendo giungere Ulisse alle viste del monte del Purgatorio, supposto sotto il meridiano di Gerusafemme, bisognava sempre tener la sinistra, chi movesse da Gibilterra, cioè appoggiar sempre a levante, quanto comportavano le coste occidentali dell'Africa, per riguadagnar la distanza che separa le colonne d'Ercole da Gerusalemme. E cosi viene a dirci anco la direzione di ostro-levante che dovevano aver quelle coste,

acciocchè, secondandole, si avanzasse sempre a mancina. Quante cose in un verso!

Vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
Che non surgeva fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso, e tante casso

Lo lume era di sotto dalla luna,
Poi ch' entrati eravam nell' alto passo;
Quando n' apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto,
Quanto veduta non aveva alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;

equinoziale, e tanta era l'elevazione del
polo australe, quanto l'abbassamento del
settentrionale. Il Daniello intende non io
vedea; ma la notte vedea: siccome il
Petrarca (Canz. 37, 1.) disse:

Nè là su sopra il cerchio della Luna Vide mai tante stelle alcuna notte. Ma potendosi elegantemente sopprimere la particola in avanti l'articolo che precede i nomi di tempo; LA NOTTE val tanto,quanto in la notte, nella notte, di notte; siccome intendono quasi tutti gli antichi, e i moderni espositori. MARIN SUOLO. Virg. V, 198: Solum

per mare:

vastis tremit ictibus aerea puppis Subtrahiturque solum.

ma Dante pare che per marin suolo intenda l'aequor de'latini, e l'usi qui pel piano del mare che s' immedesima con quello dell'orizzonte ortivo.

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135

DI SOTTO DALLA LUNA: dall'emisperio o faccia ch'essa presenta allo spettatore terrestre.- POI CHE: da quando,da che ec.

ALTO PASSO: nel guado, ovvero nelle acque perigliose, v. 107. Con figura simile, il Poeta, C. II, 11 seg. disse:

Guarda la mia virtù, s'ella è possente Prima che all'alto passo tu mi fidi. 133. UNA MONTAGNA BRUNA. Era il mondel Purgatorio, il cui deserto lito (Purg. I, 131 seg.):

te

mai non vide navicar sue acque
Uom, che di ritornar sia poscia esperto.
BRUNA sembrava PER LA DISTANZA...
Eneid. III, 521 segg.:

Jamque rubescebat stellis aurora fugatis,
Quum procul obscuros colles humilemque vi-
Italiam.
(demus

134 seg. PARVEMI Alta tanto ec. L'altezza di questa montagna è significata eziandio per que' versi (Purg. III, 14 scg.):

E diedi il viso mio incontro al poggio,
Che inverso il ciel più alto si díslaga.
per quegli altri (Purg. IV, 40 seg.):
Lo sommo er'alto che vincea la vista,
E la costa superba più assai,
Che da mezzo quadrante a centro lista.

130-132. CINQUE VOLTE RACCEso ec.
Da che ci eravamo partiti da Gades en-
trando nell'oceano, aveva già la luna
compiuti cinque suoi mesi: cioè cinque
volte illuminato, crescendo gradatamen- e da ultimo (Ivi v. 85 seg.):
te, il disco visibile alla Terra, dalla neo-
menia al plenilunio; ed altrettante era
andato scemando il suo lume, dalla luna
tonda sino all'estremo lembo dell'ultimo
quarto. In un motto: Ulisse navigava da
cinque mesi, quando ec.

,79

seg.:

RACCESO:di nuovo acceso.C.X,7
Ma non cinquanta volte fia raccesa
La faccia della donna che qui regge ec.

Casso: spento, mancalo. C. XXV, 76, nota.

Lume racceso e casso esprime tutte quante le fasi d'un'intera lunazione. Ulisse e suoi potevano osservarle stando di notte sul mare. Altra volta il Poeta si contenta, e gli basta, notare il solo raccendimento. Nulla di superfluo in Dante.

Ma se a te piace, volentier saprei Quanto avemo ad andar, che il poggio sale Più che salir non posson gli occhi miei. 136. CI ALLEGRAMMO E TOSTO TORNÒ IN PIANTO: cioè, l' esserci allegrati, o l'allegrezza della NUOVA TERRA discoperta si mulò IN PIANTO, si convertì in lutto; poichè ec. V. C. XXIII, 64, nota Ci ALLEGRAMMO. Eneid. V, 524:

Italiam laeto socii clamore salutant.
Il Tasso, Gerus. liber. III, 4:
Così di naviganti audace stuolo,
Che mova a ricercar estranio lido
E in mar dubbioso, e sotto ignoto Polo
Provi l'onde fallaci, e 'l vento infido;
S'al fin discopre il desiato suolo.
Il saluta da lunge in lieto grido:

E l'uno all'altro il mostra, e in tanto obblia
La noia, e 'l mal della passata via.

Chè dalla nuova terra un turbo nacque, E percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe girar con tutte l'acque, Alla quarta levar la poppa in suso,

E la prora ire in giù com' altrui piacque, Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso.

CANTO XXVII.

Seguito dell' ottava bolgia.

Colloquio con Guido di Montefeltro.

Già era dritta in su la fiamma e queta
Per non dir più, e già da noi sen gia
Con la licenza del dolce Poeta;

Quando un' altra, che dietro a lei venia,

Ne fece volger gli occhi alla sua cima,
Per un confuso suon che fuor n' uscia.

137. DALLA NUOVA TERRA UN TURBO NAGQUE. Nel C. III, 133:

La terra lagrimosa diede vento. TURBO: vento turbinoso, subito vento impetuoso e vorticoso; turbine, nembo. Lat. turbo. C. III, 30:

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Come l'arena quando il turbo spira. 138. DEL LEGNO IL PRIMO CANTO: la parte anteriore della nave, la prua La proda del naviglio. Bargigi. Eneid. I, 104... tum prora avertit, et undis Dal latus... Questo luogo Virgiliano così venne imitato dall'Ariosto. Orl. Fur. XII, 13:

Tanto la rabbia impetuosa stringe,
Che la prora si volta... (a)

139. TRE VOLTE IL FE GIRAR ec. Eneid. I, 114 segg.:

Ipsius ante oculos ingens a vertice pontus
In puppim ferit: excutitur, pronusque magister
Volvitur in caput: ast illam ter fluctus ibidem
Torquet agens circum, et rapidus vorat aequore
(vortex.

Con tutte l'acque risponde all'ibidem del passo Virgiliano; chè il turbine aggirò insieme nello stesso vortice acque e naviglio. Questo è qui il valore della voce tutte, come notò bene il Lombardi. 140-141. ALLA QUARTA, volta. LEVAR... IRE, cioè fe (v. 139) levare, fe ire ec.COM'ALTRUI PIACQUE. Per non dire a Dio.

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140

5

Tommaseo con altri.-Eneid.I, 283: SIC PLACITUM. Parla Giove il quale avea detto innanzi (v. 262):

Longius et volvens fatorum arcana movebo. 142. IL MAR FU SOPRA NOI RICHIUSO: Finchè fummo tulli sommersi. Torquato Tasso seguitando il Nostro nella finzione poetica,che Ulisse affogasse nell'Atlantico, canta (Gerus. liber. XV, 26):

Ei passò le colonne, e per l'aperto
Mare spiegò de' remi il volo audace;
Ma non giovogli esser nell'onde esperto,
Perchè inghiottillo l'ocean vorace:
E giacque col suo corpo anco coperto
Il suo gran caso, ch'or tra voi si tace.
S'altri vi fu da' venti a forza spinto
O non tornonne, o vi rimase estinto.

1. ERA DRITTA IN SU LA FIAMMA ec. Poichè poc' anzi crollavasi come quella cui vento affatica, e menava qua e là la cima, come lingua che parlasse (C. prec. v. 85-89.

2. Per non dir PIÙ: per aver fatto fine al suo dire, o per non più parlare.

3. CON LA LICENZIA ec. Poichè Ulisse ebbe satisfatto appieno alla dimanda fattagli dal DOLCE POETA Virgilio (C. prec. V. 83 seg.), questi lo accomiatò con le parole che incidentalmente si raccolgono dal v. 21 di questo canto.

4-6. Sentenza: La fiamma, dalla quale avea parlato Ulisse,e testè fatto fine al suo favellare, già se n'andava; QUANDo un'alTRA fiamma ec.

Come 'l bue Cicilian, che mugghiò prima Col pianto di colui (e ciò fu dritto) Che l' avea temperato con sua lima, Mugghiava con la voce dell' afflitto

FECE VOLGER GLI OCCHI ALLA SUA CIMA PER ec. Una simile locuzione è quella del C. VIII, 3 seg.:

Gli occhi nostri n'andar suso alla cima, Per due fiammette che i vedemmo porre. CONFUSO SUON ec. perchè prima di gittar voce di fuori, mormorava come fiam ma affaticata da vento. C. prec. 85-90. E qui appresso (vv. 13-15) se ne arreca la ragione. Qual fosse poi cotesto suono confuso, il Poeta lo fa manifesto per la seguente similitudine.

7-15. In sentenza: Come il mugghio, che mandava il toro di Falaride, parea d'esso toro; ma era in fatto il lamento di chi entro si tormentava: così quel suono rendea simiglianza del mormorar d'una fiamma percossa da vento; benchè fosse in realtà la voce di uno spirito in quella martoriato.

7. IL BUE CICILIAN. A Falaride, tiranno crudelissimo di Girgenti, Perillo Greco artefice offerse in dono un toro di rame, il quale parea mugghiasse delle grida di colui, che,messovi entro a morire,sentiva il tormento del fuoco fatto di sotto accendere. Il tiranno rimeritò lo scellerato fabbro, facendovelo per primo richiuder dentro; acciocchè il mastro stesso che fatto avea il bue, gl' insegnasse anche a mugghiare. Claud. in Eutr. I: Primus inexpertum, Siculo cogente tyranno, Sensit opus,docuitque suum mugire juvencum. Al quale fatto allude il Petrarca dicendo di Falaride (a):

E quel che fece il crudo fabbro ignudo Gittare il primo doloroso strido, E far nell'arte sua primi vestigi. CICILIAN: Sicilian. Ricord. Malesp. cap. CCXXIII: Avvenne che uno Francesco per suo orgoglio prese una donna di Palermo per farle villania. Ella cominciò a gridare, e 'l popolo era già tullo commosso contro agli Franceschi, e per li familiari de' baroni di Cicilia s'incominciò a difendere la donna; on

(a) Giunta alle rime. Padov. 1837. Vol. II, pag. 672.

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de nacque grande battaglia tra Franceschi e Ciciliani. Fr. Guidotto da Bologna, Rettor. di Tull. (b) Allo Manfredi, lancia e re di Cicilia. Anche Din. Comp. Carlo di Valos de' reali di Francia, il quale era partito di Francia per andare in Cicilia ec. E mille altri di simiglianti esempi.

8. E CIÒ FU DRITTO: fu giusto che Pealtrui danno. Ovidio: rillo perisse nel toro da lui fabbricato in

Non est lex aequior ulla,
Quam necis artificem fraude perire sua (c).

La similitudine vien qui opportuna, dove punisconsi i falsi consiglieri, che come il Greco fabbro abusarono in altrui male l'ingegno loro.

Mugghiò col pianto si dice in questi versi; mugghiava con la voce ne' seguenti: col primo pare si accenni a pena meritata, e col secondo a tormento dato per violenza ed ingiustamente.

DRITTO (d). V. Parad. XX, 121, nota.

9. TEMPERATO CON SUA LIMA: Preparato con le sue mani, lavorato co' suoi ferri. Lomb.-LIMA per qualunque stromento fabrile. In traslato, il Petrarca, son. 213:

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Amor tutte sue lime

Usa sopra 'l mio cor' afflitto tanto. E son. 17:

Ma trovo peso non delle mie braccia, Nè ovra da polir con la mia lima. TEMPRATO. Petr. son. 23:

Le braccia a la fucina indarno move L'antiquissimo fabbro Siciliano: Ch'a Giove tolte son l'arme di mano Temprate in Mongibello a tutte prove. 10. MUGGHIAVA. Vedi v. 7 e 8, note. DELL'AFFLITTO: di colui che v'era cacciato dentro a morire fra i tormenti.

(b) Scrittura più ragionevolmente attribuita al Giamboni, e che risale a poco oltre la metà del XIII secolo.

(c) Salm. XCIII, 23: Et reddet illis iniquitatem ipsorum: et in malitia eorum disperdet eos.

(d) Salm. XCJ, 16: Quoniam rectus Dominus Deus noster, et non est iniquitas in eo.-CXVIII 137: lustus es, Domine; et rectum judicium tuum.

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