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L'un si levò, e l'altro cadde giuso,
Non torcendo però le lucerne empie,
Sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel ch' era dritto, il trasse 'n ver le tempie,
E di troppa materia che 'n là venne,
Uscir l'orecchie delle gote scempie :

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121. L'UN. Guercio Cavalcanti di ser

pente mutato in uomo si levò: perchè sebbene non peranco avea raggiunta la forma umana perfetta, era non però mutata fin qui la coda in gambe, i piedi deretani in pene e gli anteriori in braccia. Dante lo fa uomo ancor mostruoso che si

rizzi su due piedi, ma ritenga tuttavia il capo di serpe. Il capo ch'è parte principale, è notevole che il Poeta lo fa ultimo nell'ordine delle trasformazioni, e prima a mutarsi è la coda. Così comincia in Ovidio la metamorfosi di Cadmo. Ciò non ne pare fatto senza grande moralità.

L'ALTRO: l'uomo convertito in serpente, CADDE GIUSO: non potendo già tenersi ritto: perocchè i piedi eran divenuti coda serpentina, il pene s'era biforcato e fatto piedi posteriori di serpe, e le braccia piè anteriori. CADDE nel senso morale è ben detto del ladro, che decaduto dalla dignità di uomo s'abbassa sino al fango, e si striscia serpendo come sozzo rettile su per la terra. Buoso . ritiene ancora la figura del capo umano. per la ragione anzidetta. Le due nature trasmutate restano così alcun istante visibili, e nel serpe che diviene uomo, nell' uomo che divien serpe: ma la mostruosità è tanto spaventevole, quanto può essere il veder vivi un serpente con capo umano, ed un uomo con capo serpentino.

e

122. NON TORCENDO ec. Seguitavano a riguardarsi l'un l'altro (v. 91): non tor

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cendo l'uno dall' altro LE LUCERNE EMPIE cioè gli occhi crudeli del serpe e scellerati del peccatore.Bargigi.-Lo sguardo ha mirabile attività nelle trasformazioni: gli occhi affatturano. Virg. Eclog. VIII, 41:

Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error! e la Gorgone impietriva chi la guardasse ec.

LUCERNE: occhi. Matth. VI, 22. Lucerna corporis tui est oculus tuus...Si autem oculus tuus fuerit nequam: totum corpus tenebrosum erit.Proverb.XXI,4: Lucerna impiorum peccatum.

Degli occhi di Plutone dice il Tasso. Ger. IV, 7.

Rosseggian gli occhi, e di veneno infetto,
Come infausta cometa, il guardo splende.

123. SOTTO LE QUAI (lucerne): sotto i quali occhi. Il Rossetti pigliò le lucerne empie per la piaga e la bocca, onde esalava il fumo trasformatore! Dante accenna il mutarsi del muso o della bocca, la quale sta al di sotto degli occhi, non sotto la piaga o sotto la bocca. Il Bianchi cerca conciliare con la sua l'interpretazione del Rossetti et ambo in foveam cadunt. Eppure vedono i ciechi se il muso sta sopra o sotto gli occhi! La lettera del testo è piana; ma gl'ingegni sottili hanno alcuna volta anch'essi le loro traveggole. Sotto esprime semplicemente relazione di luogo tra il muso e gli occhi; supposta eziandio l' influenza e la virtù che questi avessero a trasmutar quello.

124. QUEL CH'ERA dritto: il serpente rizzatosi in piedi (v.121) —IL TRASSE ec. il suo lungo ed aguzzo muso indietro ritrasse verso le tempie, per ridurlo`a forma di muso umano.

126. USCIR GLI ORECCHI DELLE GOTE SCEMPIE. I Lombardi crede che vi si debba leggere onninamente le orecchie, e intende ORECChie scempie: sporgenti e separate dalle gote: così pure il Costa.

Ciò che non corse in dietro e si ritenne,
Di quel soverchio fe naso alla faccia,
E le labbra ingrossò quanto convenne.
Quel che giaceva, il muso innanzi caccia,
E l'orecchie ritira per la testa,
Come face le corna la lumaccia :
E la lingua, ch' aveva unita e presta
Prima a parlar, si fende, e la forcuta

Orecchie hanno con la Nidobeatina l'edizione di Jesi 1472; le variorum del Witte; l'ediz. della Minerva, Pad. 1822; quella del Fulgoni, Roma 1791; e del Tommaseo, Mil. 1866 ec. Gli orecchi poi legge il testo Bargigi, il Cassinese; il Vatic. 3199; ed è lettera tenuta dal Venturi, dal Volpi, dal Bianchi, da G.B. Niccolini ec.-GOTE SCEMPIE: che prima non avevano orecchie alcune. Bargigi.Liscie o sceme, mancanti. Venturi. Prive d'orecchie. Volpi. Lisce. Bianchi. Senza orecchi. Tommaseo ec. DELLE GOTE, lezione comune.- Dalle gote. Bargigi. Per le gote è tra le varior. del Witte.

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127-129. Trinario da interpetrarsi alquanto differentemente, giusta le due varianti (v. 128) alla faccia ch'è la lezione comune, e la faccia ch'è del testo Bargigi; del cod. Cassinese; delle edizioni del Burgofr. Ven. 1529; della 2a Rovill., Lion. 1551; della 1a delle Sansovin., Ven. 1564, delle prime ediz. fatte nel 1472 in Foligno e Milano; nel 1474 in Napoli; e del Codice Filippino che risale al sec. XIV.Ritenendo la prima lettera ne viene questa sentenza: ciò che di quel soverchio non corse ec. fece naso alla faccia, e ingrossò le labbra...

Il Venturi rifiuta l'altra lettera la faccia, per la frivolissima ragione che: Essendo la faccia quella che si trasmuta, ei par che le quadri meglio il passivo. Ma tutta la materia, onde la faccia formavasi, era con essa passiva alla forza che la trasmutava: e poi, presa la faccia come subietto della proposizione, pare più ragionevole ch'essa aoperi di comporsi un naso che le manca, di quel non faccia la materia a darglielo. Il Poeta direbbe: La faccia fece naso ciò che

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di quel soverchio non corse indietro ec. Questa faccia ci fa più bel viso attiva, che non passiva. E potrà esser anche oggetto sottoposto all'azione di ciò che non corse indietro e si ritenne. La voce così non cesserebbe la passività prediletta al P. Venturi, e presterebbe un'interpretazione non dispregevole, qual'è quella del Bargigi. Questi legge:

Ciò che non corse addietro ei si ritenne, Di quel soverchio fe naso, la faccia E le labbra ingrossò quanto convenne. e chiosa: Della detta materia del muso aguzzo e lungo serpentino, ciò che non corse addietro verso le tempie ei si ritenne sopra esso muso, e di quel soverchio fece naso umano, la faccia e le labbra ingrossò quanto convenne a ricevere figura umana.

130-132. QUEL CHE GIACEVA: Buoso già caduto in terra non ha, per raggiugnere la perfetta forma di serpente, che a trasformarsi la sola faccia: il che fa cacciando innanzi e appuntando il muso come lo hanno i serpi, e ritirando in dentro le orecchie alla guisa che fanno le lumache. La regola o norma del cambiamento (v. 103) si osserva sino all'ultimo, e nello stesso tempo si opera nei due la mutua trasformazione.

132. FACE: fa, rilira. Fare scusa tutt'i verbi. Face da facere. Qui non per la rima. Inghilfredi Siciliano:

Temer mi face e miso in grande erranza. Gli antichi infletterono regolarmente Facere, da cui riteniamo faccio, facciamo ec. per facio, faciamo ec. V. C. X, 9, nota.

LUMACCIA: LUMACA. Lat. limax; provenz. limassa. Lumaccia, nel Villani ec.

133-135. LA LINGUA ec. Al compimento della metamorfosi resta solo che la lingua umana si fenda,e la serpentina si

Nell' altro si richiude, e 'l fumo resta.
L'anima, ch' era fiera divenuta,

Si fugge sufolando per la valle,

E l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia gli volse le novelle spalle,

E disse all' altro: i' vo' che Buoso corra,
Com' ho fatt' io, carpon per questo calle.
Così vid' io la settima zavorra
Mutare e trasmutare; e qui mi scusi

richiuda. IL FUMO RESTA, cessa; perchè
operata interamente la trasformazione
(vv. 118-120, nota). FORCUTA: Secondo
che paiono nel vibrarsi, ma non sono, le
lingue delle serpi. Si credettero però bi-
forcute. Ovid. nella trasformaz. di Cadmo
(IV, 585 seg.):

Ille quidem vult plura loqui, sed lingua repente
In partes est fissa duas.

136-137. L'ANIMA CH'ERA FIERA DIVE

NUTA ec. Buoso mutato in serpente. Si
FUGGE SUFOLANDO: atto fisicamente pro-
prio delle serpi, e moralmente de' ladri.
SUFOLANDO: sibilando, fischiando. Così
Cadmo (Ovid. IV, 587 seg.):

Sibilat. Hanc illi vocem Natura relinquit.
quotiesque aliquos parat edere questus

138. L'ALTRO: Francesco Guercio Cavalcanti già di serpente venuto uomo.PARLANDO SPUTA: due atti caratteristici dell'uomo, parlare e sputare; ma non lo sputare parlando: onde sospettò il Lombardi ciò si facesse per la bava che all'irato veniva alla bocca.Il Biagioli plaudì a tale interpretazione; e il Monti (Propost. voc. Fante) chiosando i vv. 136138 gli rivede le bucce: Sui quali versi un qualche schifiltoso, il cui naso sia slato educato a certe poetiche quintessenze de' nostri dì, potrebbe per avventura torcere il grifo: ma chiunque alla poesia delle frasi metterà innanzi quel la delle cose, dirà che Dante col contenersi alla proprietà del serpente che Sufolando fugGE, e a quella dell' uomo che PARLANDO SPUTA, caratterizza e dipinge con due semplicissimi tocchi la natura dell'uno e dell'altro troppo meglio che altri meno filosofo non farebbe con voto strepito di parole. Chi voglia leggere a questo luogo la nota del Biagioli che interpreta il PARLANDO SPUTA

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per significazione che il Cavalcanti parlasse con ira e con bava alla bocca avrà novella prova che quell'erudilo uomo non avea il retlo conoscimento della bellezza vera, e che il più delle volte vedea di lei pur l'ombra o 'l velo, o i panni, ma raro o non mai ne vagheggiava il viso:

E cosi va chi sopra 'I ver s'estima.

139. NOVELLE SPALLE: nuovamente di

venute spalle umane; testè formate: chè prima Guercio era serpe.

140. E DISSE ALL'ALTRO: Guercio voltò le spalle a Buoso fatto serpente, e disse all' altro de' tre (v. 35), a Puccio de' Galigai, che solo de' suoi compagni non era mutato ec. vv. 149-150.

142-143. VID' 10 LA SETTIMA ZAVORRA ec. Vid' io la settima bolgia, della quale il fondo è di zavorra, di arena e sabbione, mutare e trasmutare i peccatori in diverse forme. Bargigi. Così il Venturi e il Volpi con altri fanno la settima zavorra (a) o valle di terreno arenoso come agente delle trasmutazioni (b). Ma fosse pure arenosa codesta bolgia (chè il Poeta nol dice) potrebb'ella chiamarsi settima in ordine alle altre che tali non sono? Sarebb'egli forse da tollerarsi se come BULICAME appellò Dante la prima delle tre fosse de' violenti (Inf. XII, v.

ciottoli, piombo, ferro, e in generale checchè si (a) Zavorra è propriamente rena, ghiara, pone in fondo della nave onde stia pari e non barcolli. Lat. saburra, ch'è da sabulum (sabbione), e questo da satum (quasi terra seminata e sparsa): come da stratum, pastum ec., stabulum, pabulum ec.

(b) Anche il postillatore Cassinese: LA ZAVORRA est fundus navis inglarate ut firmius vabulgie. E il Tommaseo: ZAVORRA: rena: chè per dat quam accipit hic auctor pro fundo hujus

zavorra si mette anco rena.

La novità, se fior la penna abborra.

128), per esser piena di bollente sangue, avessela appellata PRIMO BULICAME, quantunque nell'altre due fosse non ponesse sangue, nè altro bollente fluido? Lombardi.-Il Landino, il Vellutello e il Daniello intendono ZAVORRAper sentina, la quale per esser sempre piena di fetore e puzza, assomiglia a questa bolgia, perchè era piena d'abbominevole vizio. Il Lombardi, e il Poggiali seguìti poscia dal Bianchi, credono che zavorra appelli Dante per isprezzo: la genia o feccia d' uomini posta in fondo della settima bolgia: così non la bolgia, ma essi tra loro si muterebbero e trasmuterebbero gli spiriti dannati.

MUTARE E TRASMUTARE:mutarsi e trasmutarsi. Ci dispensiamo di addurre esempi, che avremmo in buon dato, per dimostrare quanto gli antichi scrittori fossero usati d'intralasciare gli affissi. Il Poeta (vv. 112, 114): Io vidi... allungar,cioè allungarsi, o che si allungavano. Queste minute riflessioni forse non saranno reputate lievi, quando per esse tolgonsi via le controversie, e si fa luogo alla germana interpretazione dello Scrittore. TRASMUTARE, dice il Vellutello, è un' altra volta mutare, come il Poeta vide far di Guercio Cavalcanti mutato di uomo in serpente e di serpente trasmutato in uomo (a). Ma la forza del verbo TRASMUTARE ben si desume da quello che il Poeta ha detto ne' versi 100-102. Esprime il trapasso d'una in altra forma, materia e natura vivente. Il Fucci (C. XXIV, 100 segg.) diveniva cenere e ri tornava quel medesimo di prima, quasi Fenice che muore e rinasce delle sue ceneri: era questa, a rigore parlando,una semplice diconversione o mutazione, non mica una trasmutazione. Dante non invidia Ovidio che CONVerte poetandO (v. 99). Per la fina proprietà delle voci ci si appalesa il sovrano concetto dell'Alighieri.

143-144. MI SCUSI LA NOVITÀ. La novità della materia. Costa.- Nelle rime. Tommaseo.-Di tante maravigliose cose

(a) S'intende dir qui uomo quanto a sola appariscenza dell'umana figura.

quante fur quelle ch'io vidi. Bargigi. Il Poeta (Rim. son. V):

Dagli occhi della mia donna si muove Un lume si gentil, che dove appare, Si veggion cose ch'uom non può ritrare Per loro altezza, e per lor esser nove. Nel convito a quelle parole, onde si scusa dell'insufficienza di significare in rime le ineffabili virtù della sua Donna (Canzone: Amor che nella mente ec.) chiosando dice: Ancora è posto fine al nostro ingegno, a ciascuna sua operazione, non da noi ma dalla universale Natura; e però è da sapere, che più ampi sono li termini dello 'ngegno a pensare, che a parlare, e più ampi a parlare, che ad accennare. Dunque, se'l pensiero nostro... è vincente del parlare, non semo noi da biasimare; perocchè non semo di ciò fattori; e però manifesto, me veramente scusare ec.

Prima di spianar la sentenza de' versi non si vuol trasandare le varianti.Penna abborra leggono la Nidobeat. i Codici Pucciani 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9; il Tempiano; il Magliabech.; il MS. Frullani; il Bartoliniano; i Riccard. 1004, 1024, 1027; l'Angelico; il Cassinese; i Patavini 2, 9, 67; il testo Bargigi; le edizioni di Foligno, e di Mantova an. 1472; di Nap. 1474; il Cod. Filippino (sec. XIV); l'ediz. del Fulgoni, Rom. 1791; della Minerva, Pad. 1822. È lez. prescelta pel testo del Witte, e adottata da G.B.Niccolini,dal Lombardi, dal Bianchi e da molti altri: poichè meglio, dicono, risponde ai versi:

« Pensa, lettor, s'io mi disconfortai » «Se tu se' or, Lettore a creder lento ». e ad altri, onde si fa chiaro che Dante vuol mostrarsi non dicitore, ma scrittore.

Al contrario il cod. Vat. 3199 ha lingua abborra; e così l'ediz. del Burgofr. Ven. 1529; la seconda delle quattro Rovell. Lion. 1551 ec. L' adottano il Venturi, il Volpi, il Tommaseo ec.

Noi sulla fede de'più autorevoli codici ci atteniamo alla prima lezione; tuttochè non trovassimo spregevole la seconda: imperocchè il medesimo Tasso che dice:

Forse un dì fia che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch'or n'accenna.

E avvegna che gli occhi miei confusi
Fossero alquanto, e l'animo smagato,

si volge poi alla mente nemica degli an-
ni e dell'obblio, in quei versi:

Tolto da' tuoi tesori orni mia lingua
Ciò che ascolti ogni età, nulla l'estingua.
Dante (C. XXXII, 135 segg.) scriverà
l'episodio del Conte Ugolino:

Se quella con ch'io parlo non si secca.
e così, per trasandare altri luoghi, nel
Paradiso (XVII, 126, 130, 133, 139) al-
lude con le parole voce, grido, paro-
la ec. a quello che la sua penna segna-
va alla posterità con caratteri vivi e par-
lanti sull' eterne pagine del suo poema.
SE FIOR LA PENNA ABBORRA: se la pen-
na mia, se il mio stilo nello scrivere
abborra FIOR, cioè, se il mio stilo è sta
to alieno dall' ornato e chiaro modo di
parlare.Bargigi.— Se abborrisca il mio
stile tutt'i fiori dell'eloquenza alluden-
do a quel ricantato: Ornari res ipsa ne-
gat contenta doceri. Venturi.—Mi scusi la
novità della maleria, se il mio dire non
sia fiorito. Costa.- Questa fu anche la
sposizione del Landino, del Vellutello ec.
SE FIOR: se il mio linguaggio alcun poco
erra; non è ferma (la lingua), precisa
al solito. Tommaseo. Altri fanno Fior
avverbio in sentimento di punto,niente,
un tantino ec. nè sono alieni dal così
intenderlo il Volpi, il Venturi stesso, il
Tommaseo, il Lombardi, il Bianchi ec.
Fiore in tal significato è ovvio negli
scrittori; e Dante, Inf. XXXIV, 26:

Pensa oramai per te s'hai fior d'ingegno. e nel Purgatorio, III 135:

Mentre che la speranza ha fior del verde. ABBORRA: Secondo il Poggiali (e non se ne mostra schivo il Tommaseo) vien qui da abborrare, cioè riempire di superfluità: così il Poeta si scuserebbe d'essersi, per la novità delle immagini, troppo intrattenuto ad esporre le minute particolarità di quelle trasformazioni. Il Lombardi non vede in questo canto nè ineleganza di stile, e nè borra, e forse non pati traveggole la sua vista: intende abborrare per aberrare, per traviare, deviare; nel qual senso venne usato nell'Inf. XXXI, 22:

però che tu trascorri

Per le tenebre troppo dalla lungi
Avvien che poi nel maginare aborri.

e Fazio degli Uberti in que' versi:
Maraviglia sarà se, riguardando

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La mente in tutte cose, non abborri (a). Secondo queste osservazioni la frase SE FIOR LA PENNA ABBORRA si spiega: se la penna un tantino devia: e ciò dice, giusta il Bianchi, per essersi trattenuto ne' particolari di questa bolgia più che nelle altre, per cui l'azione generale ha sofferto qualche ritardo (b).

Ma questo sviamento cui accenna l'autore; com' effetto di quelle mutazioni e trasmutazioni non più vedute, non offende, chi ben considera, nè la forza dello stile, nè la lucentezza del dettato, nè la precisione e proprietà della lingua; che anzi vi si scorge maravigliosa. Se il Poeta intende unicamente alla nuda e viva dipintura del quadro, e lascia i fiori e le cornici degli episodi che qui non gli vennero, come altrove, acconci; dobbiam riconoscere la virtù dell'arte, che per ciò medesimo abborre gli allettamenti della fantasia, là dove il fatto impegna per sè tutta l'attenzione dell'anima: e che l'Alighieri non indarno si vanta sopra Ovidio in questo capitolo, dove tanto più levasi sublime e va diritto al segno, quanto per GLI OCCHI CONFUSI e l'animo smagato finga scusarsi del suo aberramento. Senza questo fine dell'arte sarebbe fuori arte codesta sua scusa,nè alcun savio gliela concederebbe.I comentatori cercano dunque cinque piedi al montone.

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