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De' di canicular, cangiando siepe,
Folgore par se la via attraversa :
Cosi parea, venendo verso l' epe

Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe.
E quella parte, donde prima è preso
Nostro alimento, all' un di lor trafisse;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto il mirò, ma nulla disse ;

va FERSA da ferveo, e le dà il significato
di bollore, ardore.

80. DE' DÌ CANICULAR ec. de' giorni ne' quali regnando la influenza della stella chiamata Cane, o Canicula, nel mese di luglio ed agosto regna gran fervore di caldo. Bargigi.

CANGIANDO SIEPE: per trovare refrigerio sotto l'ardente sole. A che alludendo Virgilio, Ecl. II, 9:

Nunc virides etiam occultant spineta lacertos.
81. Folgore par ec. si prestamente
passa di una in altra siepe, attraverso
la via ch'è tra quelle, che pare saetla.
Orazio, Lib. III, Od. XXVII, 5:

Rumpal et serpens iter institutum,
Si per obliquum similis sagittae (a)
Terruit mannos ec.

82. EPE: pance.-EPE: pancia. Tommaseo. E potrebbe esser del meno come assai altre voci similmente usitate anche dal Poeta. Purgat. XVII, 3:

Non altrimenti che per pelle talpe. Inf. XXVII, 95:

Dentro Siratti a guarir della lebbre. Purgat. XIX, 109:

Ed esso tendea su l'una e l'altr'ale. E così in vari autori, ugge, tempre, viole, fortune, lance, ore, persone, spade, brage e mille altri nomi della prima declinazione latina, che appo gli antichi terminaronsi in e come in a, in prosa, in verso e fuor di rima. Nondimeno qui L'EPE sono quelle degli altri due ladri, e la voce va meglio intesa del numero dei più. Epa detto con disprezzo, qui come. nell'Inferno, XXX, 102:

Col pugno gli percosse l'epa croia. e ivi v. 113:

Rispose que' ch'aveva enfiata l'epa.

(a) Come saetta o qual dardo spiegano alcuni. Il Bond per sagitta qui intende la vite tortuosa, cui la serpe assimiglia.

Ser Brunetto Latini, nel Tesoretto:
E mette tanto in epa
Che talora ne criepa.

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83. Degli altri DUE: Buoso degli Abati e Puccio Sciancato, che aveano ancora la propria figura.

UN SERPENTELLO a quattro piedi come il ramarro, a cui somigliava nella celerità del correre (vv. 113 e 115). Questi in forma di serpente era Francesco Guercio Cavalcanti, che trasforma Buoso. Acceso: pien d'ira, infuriato.

85-86. D'ONDe prima è preso Nostro ALIMENTO: l'umbilico o bellico per dove dicono che il feto piglia nutrimento nel seno materno. Il Tasso Gerus.lib.IX, 68: Poi fere Albin là 've primier s'apprende Nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende. 88-89. Vani accessori, ove non se n'intenda lo spirito dell'allegoria. Il serpentello è il verme della concupiscenza che punge, trae a frode e conduce al, furto. Percuote la parte onde si piglia il primo alimento: e chi fura crede provvedersi di cibo, o di ciò che gli pare conforme alla conservazione di sua sostanza. Cade sotto gli occhi del trafitto secondo che alla mente umana si rappresentano le cose che muovono l'appetito sensuale, e l'uomo il quale si ferma a contemplarĺe: Poscia al desio le narra e le descrive, Ene fa le sue fiamme in lui più vive. Tasso,IV,32. Talchè 'l maligno spirito d'averno, Ch'in lui strada si larga aprir si vede, Tacito in sen gli serpe, ed al governo De' suoi pensieri lusingando siede. Ivi, V, 18.

IL TRAFITTO IL MIRÒ, MA NULLA DISSE: Ogn'uomo è passivo alle impressioni dei sensi, ma contro lo stimolo della cupidità ciascuno ha da ragionar seco stesso. Il maligno fa il contrario. Ecclesiastici XIV, 9 seg.: Insatiabilis oculus cupidi

Anzi co' piè fermati sbadigliava,

Pur come sonno o febbre l'assalisse.
Egli il serpente, e quei lui riguardava ;
L'un per la piaga, e l' altro per la bocca
Fumavan forte, e 'l fumo si scontrava.

in parte iniquitatis, non satiatur, do-
nec consumat arefaciens animam suam.
Oculus malus ad mala.

ANZI CO' PIÈ FERMATI. Ivi Cap. XXI,2 segg.: Quasi a facie colubri fuge peccata: et si accesseris ad illa,suscipient te. SBADIGLIAVA ec. I comentatori ci dicono, ed è vero, che il morso dell' aspide e della vipera egiziana produce il sonno, e indi la morte. Moralmente codesto sbadigliare è segno della negghiezza, nella quale giace a suo pericolo chi non si guarda di mal fare. Dante C.I,11 seg.:

Tanto era pien di sonno in su quel punto
Che la verace via abbandonai.

Il Petrarca si scusa dicendo che la sua
virtù non valse contro le insidie d'Amo-
re che lo assalse (son. II):
Com'uom ch'a nuocer luogo e tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta,

Per far ivi e negli occhi sue difese, Quando il colpo mortal laggiù discese, Öve solea spuntarsi ogni saetta. Altrove, son. III:

Quand'io fui preso e non me ne guardai Che i be' vostr'occhi, Donna, mi legaro. Tempo non mi parea di far riparo

Contra colpi d'Amor: però n'andai Secur senza sospetto: onde i miei guai Nel comune dolor (a) s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato

Ed aperta la via per gli occhi al core ec. Questo è il quadro di tutte le umane passioni (V.anche Purg.XVIII, 19-39 ec.); ond'è che Pietro Apostolo dice: Sobrii eslote et vigilate etc.; e l' Ecclesiastico XIX, 27: Homo sapiens in diebus delictorum altendit ab inertia.-XXII. De

flecte ab illo et invenies requiem,el non

acediaberis in stultitia illius. — VII 2. Discede ab iniquo et deficient mala abs te. Bene il Lombardi: « Questo sbadiglio dovrebbe letteralmente significare l'indebolimento cagionato dalla perdita della propria sostanza, ed allegoricamente la pigrizia e non curanza, per cui il vizio volgesi in natura,e la natura in vizio.»

(a) Di Venerdi Santo si memora la morte di G. C.

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93. FUMAVAN FORTE ec. Forse a dinotare la caligine in cui si avvolgono i ladri. Tommaseo (b). E forse anco il fumo è segno dell' interno incendio della cupidità; imagine delle ricchezze che Salomone chiama ombre, perchè molto agevolmente si fanno e si disfanno, e chi le possiede; fumo che torna a vanità male acquistate sono a tribolazione di ed a nulla; fumo che spegne ogni buon lume di ragione, quando l'uomo dà opera per avere in mal modo le altrui cose, nella pessima volontà, che lo fa cadere in soprastando a' pensieri, e permanendo

sulle tentazioni e ne' lacciuoli del nemico. Questo fumo che dell' uno e dell'altro s'incontra è l'aderenza de' vizi e della corruzione. Ecclesiastici XI, 16: Error et tenebrae peccatoribus concreta sunt. XII, 13 seg.: Quis miserebitur incantatori a serpente percusso, et omnibus qui appropinquant bestiis? Sic qui comitatur cum viro iniquo, et obvolutus est in peccatis eius. Ecco il fumo che si accomuna. XIII, 24: Omnis caro ad similem sibi coniungetur. Ladro con ladro. Intanto il serpente si leva e l'uomo cade; l'uno è in pena dell'altro, poichè Dio castiga i suoi nemici coi suoi nemici: e loc. cit. XXXVIII, 5.: Sodalis amico coniucundatur in oblectationibus, et in tempore tribulationis adversarius erit. Vi sono puniti ladri con ladri, serpenti con serpenti, che fanno la divina vendetta fino allo esterminio degli empi, secondo il sopra citato libro della Bibbia, da cui pare all' illustre Tommaseo abbia Dante preso l'ordine delle pene infernali. XL, 36. Bestiarum dentes, et scorpii, et serpentes et romphaea vindicans in exterminium impios. Il

(b) Il postillatore del cod. Caet.: Iste fumus turpitudinem. E nelle chiose marginali del Cassignificat obscuritatem in qua furantur ut celent sin. si legge: FUMAVAN. propter fumum intelligitur allegorice locutio furium quae non exprimitur voce sed flato quasi fumo.

Taccia Lucano omai, là dove tocca

Del misero Sabello e di Nassidio,

E attenda a udir quel ch' or si scocca.
Taccia di Cadmo e d' Aretusa Ovidio:

Chè se quello in serpente, e quella in fonte

Poeta poi anche con arte fa v'intervenga il fumo, come un velo opportuno a celare l'incanto prodigioso di quella mirabile metamorfosi, nella quale si opera la strana generazione de' figliuoli delle tenebre. v. 118 segg.

Intanto notiamo, che giusta gli antichi espositori, si tocca qui la terza specie di ladri, cioè: di quelli ai quali dispiace il furare, sicchè non lo vorrebbero fare, pur alcuna fiata, occorrendo loro la comodità di farlo in cose molto a loro piacenti, assai combattono intra sè medesimi, per dritto giudizio di ragione ritraendosi dal male, ma finalmente si lasciano vincere dall'appelito. Bargigi (a).

95. Sabello e Nassidio furono soldati di Catone (C. XIV, 15, nota). Pe'deserti della Libia morsicato il primo dal serpente seps morì in brev'ora disfatto; il secondo dal perster enfiò sì che, dicono, gliene scoppiò la corazza. Lucan. IX.

96. Si scoccs: attenda a udir quello che ora dirò. Bargigi. Si racconta speditamente. Venturi.- Si manifesta, si palesa. Volpi, Lombardi, Bianchi. Si esprime. Tommaseo.

-

Scoccare è mandar la saetta dalla cocca dell'arco.

Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,

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Lo dolce Padre mio, ma disse: Scocca L'arco del dir,che insino al ferro hai tratto. De' poeti, la cui parola non sempre imbercia al segno ov'egli appuntan la mira, Orazio (In Arte v. 349): Nec semper feriet quodcunque minabitur arcus.

E il Metastasio alludendo all'Oraziano: Nescit vox missa reverti (v. 389): Voce dal sen fuggita Poi richiamar non vale; Nè si ritien lo strale Quando dall'arco uscì. Metafora sì bene imitata dall' Ariosto

Orl. XXX, 69:

Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente Il medesmo nel cor, c'ha nella bocca: Sol Gradasso il pensiero ha differente Tutto da quel, che fuor la lingua scocca. SCOCCA: qui denota la novità della cosa, che deve PUNGERE CON GLI STRALI D' AMMIRAZIONE. Parad. II, 55 seg. Per noi sta che la lingua di Dante scagli-sopra i ladri fiorentini di tali parole, che quadrella più acute non si dischiavano dalla noce dell'arco. Invita Lucano e 0

vidio a udir saettare gl' iniqui della sua patria, anzichè perder quasi tant' opera nella esposizione de' miti vetusti.

97. DI CADMO trasformato in serpente, così Ovidio lib. IV, 575-588:

Dixit; et, ut serpens, in longam tenditur alvum; Con metafora indi tolta il Poeta (Purg. Nigraque caeruleis variari corpora guttis: Durataeque cuti squamas increscere sentit, XXV, 13 segg.):

(a) Si legge nel chiosatore Cassinese: Tertius modus furandi est illorum furium qui non soli sed in societale quadam illa agunt, videlicet, eundo in nocte rumpendo et subintrando pa rietes et muros hostia reserando et unum de eis mictendo per tales fracturas serpendo, ut serpentes et aliqui remanendo extra ad custodiam et ad recipiendum res furatas quem tertium modum furandi tangitur... in umbris illorum quatuor furium scilicet d. Cianfe de donatis d. guerci de cavalcantibus olim occisi per homines de gavillenterra terra comitatus florentiae unde postea de illis in vindictam eius multi mortui fuerunt. Et hoc tangitur in fine capituli d. bosii de abatibus et fuccii sciancati de caligariis de florentia qui omnes so cii simul furabantur.

In pectusque cadit pronus:commissaque in unum. Paulatim tereti sinuantur acumine crura. Brachia iam restant;quae restant brachia tendit; Et lacrymis per adhuc humana fluentibus ora, Accede, o coniux, accede, miserrima, dixit: Dumque aliquid superest de me; me tange ma(numque

Accipe,dum manus est; dum non totum occupat (anguis Ille quidem vult plura loqui, sed lingua repente In partes est fissa duas, nec verba volenti' Sufficiunt:quotiesque aliquos parat edere questus Sibilat. Hanc illi vocem Natura relinquit.

DI ARETUSA Vedi Ovid.V,576-641. Parla Aretusa stessa (vv. 636 segg.): In laticem mutor. Sed enim cognoscit amatas Amnis aquas,positoque viri,quod sumserat, ore, Vertitur in proprias, ut se mihi misceat, undas.

L

Converte poetando, io non l' invidio:
Chè duo nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò, sì ch' ambedue le forme
A cambiar lor materie fosser pronte.
Insieme si risposero a tai norme,

99. CONVERTE POETANDO. Bastava la prima delle due voci: l'altra dinota la potenza creatrice della poetica fantasia : Hoé, facio. Di Sileno, che canta la genesi del mondo, Virgilio (Ecl. VI, 61 seg.) dice:

Tum Phaetontiadas musco circumdat amarae
Corticis, atque solo proceras erigit alnos.

Circumdat, erigit ricisameute, invece di canit ul circumdatae, ut erectae fue

rint ec.

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salvo alcune comuni qualità, si trova
nell' uno forza, virtù, potenza e figura
diversa che nell' altro; come v. gr. il
triangolo e il cerchio che son figure, ma
la forma ed essenza non identica fa che
quello abbia degli attributi suoi propri
ed a questo incommunicabili. Dante
trasforma due nature, e di conseguenza
tazione simultanea delle figure e della
due forme; onde segue anche la trasmu-

materia secondo che ella sia convenien-
lo che per Ovidio non venne fatto.
te all'essenza del trasmutato. Ecco quel-

sì che ambedue le forme

A cambiar lor materie fosser pronte.

IO NON L'INVIDIO. No, perchè ne dice delle più grosse, e da non pigliarsi nè men con le molle. Così il Venturi. Contro cui il Lombardi: Ma la sbagliò esso pure se, cercando il quinto evangeliLa singolarità non consiste nel celere sta, sperò di rinvenirlo in Parnaso. Di che si vanti il Poeta sopra lo stesso Ovi- onde la forma del serpente piglia il cortramutamento, o nel baratto subitano, dio, lo spiega egli ne' versi seguenti. 100-102. Delle tante trasmutazioni de- po dell'uomo,e a vicenda la forma dell'uomo piglia il corpo della serpe (b). scritte da Ovidio (qui, vv. 97-99, se ne Il Poeta trasmutò due nature (v. 100): toccano due per tutte) non ve n' ha nesla prontezza (v.102) costituisce lo spetsuna tanto maravigliosa, dice il nostro tacolo della scena in quanto veniva così poeta, quanto quella da lui veduta in Inne' due dannati mutandosi la materia e ferno.Natura, forma e materia (V.Purg. XVIII, 49) son qui da prendere nello l'una e l'altra dovendo esservi intima resua figura,come si mutava la forma: tra stretto senso scolastico, chi voglia pene- lazione (c). La subitezza che intendono trare nello spirito del concetto Dantesco, e rilevarne come ed in che la metamorfosi di Ovidio; manca bensì la prontezgl'interpreti non manca nelle metamorfosi da lui descritta si differisca da tutte le ovidiane. Natura qui vale ciò che una cosa s'intende essere nel suo genere, p. es., la natura umana, la natura serpentina ec. che hanno dal principio o causa efficiente di tutti gli esseri (a) tutto quello che costituisce l'individuo uomo, l'individuo serpe ec. Dante trasmuta due nature diverse l' una a fronte dell'altra, l'uomo e il serpente: il che non trovasi fatto da Ovidio. Forma è ciò, da cui vien che una cosa sia quello ch'essa è: dicesi anche essenza. La forma umana, p. es., è riferibile al congiunto delle due sostanze spirituale e corporea, e differisce in ispecie da quella del serpe; di tal che,

(a) Detta natura naturante od universale. Altri significati che soglionsi dare a questa voce vedi ne' filosofi delle varie scuole.

za (d) di che qui si ragiona,e che rende affatto nuova la metamorfosi descritta dall'Alighieri.

103. A TAI NORME: a tali regole di mutazione: le reciproche trasformazioni si corrisposero di guisa che ec.

(b) Illustrazioni del Tommaseo e di altri. le attitudini della sua potenza. C. XXVII, 73: (c) L'anima informa il corpo dando a questo

Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe ec. (d) Pronto ritiene qui non poco del verbo lat. promere in sentimento di dar fuori ec.; e promptus vale non solamente spedito ec.; ma ancora manifesto, aperto: pro eo qui paratus est ad agendum: quasi res e secretiore loco educatur, ut parata nobis, et ad manus sit. E la forma so

stanziale dell' anima unita con la materia si dimostra per effetti e per opera degli atti: come, ad es., il sibilo è indizio della natura serpentina e il parlare della umana. Purg. XVIII, 49.

Che 'l serpente la coda in forca fesse,
E'l feruto ristrinse insieme l'orme.
Le gambe con le cosce seco stesse

S' appiccar sì, che in poco la giuntura
Non facea segno alcun che si paresse.
Togliea la coda fessa la figura

Che si perdeva là, e la sua pelle
Si facea molle, e quella di là dura.
Io vidi entrar le braccia per l'ascelle,

E i duo piè della fiera, ch' eran corti,
Tanto allungar, quanto accorciavan quelle.
Poscia li piè dirietro insieme attorti

Diventaron lo membro che l'uom cela,
E'l misero del suo n' avea due porti.
Mentre che 'l fumo l' uno e l'altro vela
Di color nuovo, e genera il pel suso
Per l' una parte, e dall' altra il dipela,

104. LA CODA IN FORCA FESSE: la divise in due rami, sicchè divenne biforcuta, dovendo le due parti diventar cosce e gambe umane.

105. FERUTO (XXIV, 150). Dall' antico ferere per ferire ridotto di terza in seconda coniugazione: così pentuto da pentere ec. ORME: per piedi. Cic. 4, Acad.: Qui adversis vestigiis stent contra nostra vestigia, quos Antipodas vocatis. Idem 3. Phil.: Quas fecit strages ubicumque posuit vestigia Metonimia. Il Sannazzaro:

E co' vestigi santi

Calchi le stelle erranti ec. ec.

105-111. RESTRINSE INSIEME L'ORME:

i piedi le gambe e le cosce di Buoso s'uniscono e pigliano la figura della coda che si perde nel serpente. In Poco tempo aderiscono sì, che non lasciano apparir segno della GIUNTURA, cioè del luogo dove l' una parte all' altra si fu congiunta. Simultaneamente che il serpente piglia forma e figura d'uomo, il dannato piglia forma e figura di serpente. Questa è la norma della loro trasformazione (v.103), e così seguitano gradatamente a mutarsi. E LA SUA PELLE: del serpe; SI FACEA MOLLE: come quella dell'uomo; E QUELLA DI LÀ: di Buoso, ch'era uomo diveniva DU

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BA: lurida e scagliosa come la ser-
pentina.

112-114.Le braccia dell'uomo entraro-
no per le ascelle, restandone tanto di fuo-
ri, quanta era la lunghezza de' piedi an-
teriori del serpente: e i piè di questo al-
lungaronsi alla misura delle braccia di
quello. Così l'accorciamento delle brac-
cia dell' uno pareggiava l'allungamento
de' piè dell' altro, avvenendo il baratto
delle due figure.

115-117. Seguitando le stesse norme di reciproca metamorfosi, i piedi posteriori del serpente o ramarro infernale (a) s' attorcono e fannosi in figura di pene: due membri o parti, e queste sporgonsi insiememente quel dell'uomo si fende in pigliando la figura de' piè deretani, che nel serpente spariva.

118-120. MENTRE CHE 'L FUMO ec.Non restano le due fumose correnti, se non quando sia compiuta la trasformazione (v. 135). Tutto pare si operi sotto l'attività dell'elemento vano, acerbo e contrario alla luce. Il fumo stesso VELA: cuopre

(a) Ne piace che il Bianchi gli dia pensatamente il nome di lucertolone. Già lo vediamo fornito di quattro piedi; ed al ramarro è assi、 migliato nella velocità del correre v. 79,

L

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