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Che la vostra miseria non mi tange,

Nè fiamma d'esto incendio non m'assale.
Donna è gentil nel Ciel, che si compiange

Di questo 'mpedimento, ove io ti mando,

Sì che duro giudicio lassù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando,

E disse : or abbisogna il tuo fedele

Di te, ed io a te lo raccomando.
Lucia, nimica di ciascun crudele,

Si mosse, e venne al loco dov' io era,
Che mi sedea con l'antica Rachele :

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la luce, della quale può schiararlo la possono pensare così lievemente, nè non dottrina de' padri della chiesa, di Aristo- sarebbe convenerile di contarle ». (Nann. tele, e di S. Tommaso: l'altra, che farà Man, di lett. it. Fir. 1858, Barb. ec. cosa grandemente utile alla retta intelli- pag. 57). E ivi pag. 63: « Udite dottrigenza della Divina Commedia, chi nella na, e chi la guarderà, non perirà per Bibbia avrà spigolato e ricolti que' luo- sue paraule ; nè non sarà iscandalizzato ghi tutti, da'quali venne fatto all'Alighie- in malvasce opere »). ri di altignere con la profondità dei con- Brunello Latini, Rettor. Lib. I: « Ed cetti la bellezza e leggiadria delle forme. ancora in quello tempo la divina religio

2° Due negativi generalmente parlan- ne, nè umano ufficio non erano avuli in do affermano nel latino; il non col nien- reverenzia ec. ». Idem Oraz. di Jul. Ces. te o nulla negano nella lingua nostra. « Nè la sua sentenza non mi pare cruIn questo verso:

dele, perciò che uomo non potrebbe faNè fiamma d'esto incendio non m'assale. re crudeltà a cotal gente ). parrebbe che il nè non affermasse alla Egidio Colonna, Govern. de' princ. latina. E non sarebbe nulla da opporre, Lib. I, cap. VII. « Insegna che i re nè chi non sapesse per altri esempi che tal- i principi non debbono ec. » volta è questo Nè una congiunzione che Masarello da Todi (1250): « Che se scusa e: val dire non una particella ne- (l'uomo) viene in ricchezza nè in potegativa, ma congiuntiva.

re ec.» Jacopo d'Aquino:

Cosi m'affina amore che m'ha tolto Bonaggiunta Urbiciani:

Core e disio, e tutta la mia mente, Che fa volere

E d'altra donna amar non sono accorto, Poco d'avere Più che bontà nè pregio di persona.

Che tanto sia amorosa nè piacente. Masarello da Todi:

94. Compiangersi d'una cosa ha perChe se viene in ricchezza nè in potere.

fettamente la stessa nozione del verbo I Provenzali hanno identicamente il ni latino Queri cioè Lamentarsi, dolersi, o

simile. per e. Così l'antico Francese. (Vedi Nann. Anal. crit. Verb. it. pag. 111, (1)). Il

Si trova costruito con due genitivi, uno Salvini interpreta cotesto Nè per o, ov

di persona e l'altro di cosa: eccone un vero: malamente, a giudizio del citato

bell'esempio: Nannucci ; poichè nel passo in lingua

Antichiss. Versione ital. d'un Romanprovenzale (e così forse in qualche altro) zo franc. « Quello Lelio sì gridd e disse: da lui allegato, mal si potrebbe la disgiun- Cesare, grande duca e grande governativa, dove trovasi allogato il ni.

tore degli onori di Roma, noi ci comMolti altri esempi ailegar polrebbonsi piangiamo di te di ciò che tue attendi di antichi scrittori di prosa. Contentiamo- tanto, e di ciò che tu non mostri tosto il ci di notare solo questi: Albertano: « e

tuo podere...). per molte altre rascioni, le quali non si 102. Rachele moglie di Giacobbe mo

Disse : Beatrice, loda di Dio vera,

Chè non soccorri quei che t'amò tanto,
Ch' uscio per te della volgare schiera ?

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Non odi tu la pièta del suo pianto,

Non vedi tu la morte che 'l combatte

Su la fiumana, ove 'l mar non ha vanto ?
Al mondo non fur mai persone ratte
A far lor pro, ed a fuggir lor danno,

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Com'io, dopo cotai parole fatte,
rì sopra parto, e il nato ebbe nome Be- gari; le quali sole non lo avrebbero le-
niamino, che s'interpreta figlio di dolo- vato al di sopra della volgare schiera:
re. (Genes. cap. XXXV v. 18). E da imperocchè il volgar nostro non era in
vedere perchè Beatrice si sedesse con la gran conto tenuto da' dotti, tanto che lo
Rachele. Si trova la ragione, consideran- stesso Dante ne scrisse in latino, e in latini
do che Beatrice personifica la Teologia versi avea già sette canti forniti della Di-
speculativa, e che Rachele era simbolo vina Commedia; poco mancando che, in-
della vita contemplativa: ecco e perché vece di esser questa eterno monumento
la figlia di Folco Portinari apoteosizzata dell'altezza a cui salse un ingegno italia -
si pone accanto all'antica donna, e per- no, non restasse polveroso poema latino,
chè sedea. Il comun linguaggio fa sede- come l'Africa del Petrarca, negli scaffali
re voce di sentimento opposto all'opera- di qualche biblioteca.
re. Il Poeta a questo allude anche nel

103. Per due ragioni è detta Beatrice Purgatorio (XXVII, 100 segg.), dove Lia, simbolo della vita attiva, parlando tornano a gloria di lui, e più, perchè

vera lode di Dio: e perchè le sue virtù di sè e di sua sorella, dice allegorica- simboleggia ella la Teologia rivelata, la mente:

quale discorre di Dio, argomentando da Sappia qualunque il mio nome dimanda,

Ch'io mi son Lia, e vo movendo intorno principî infallibili,senza tema d'incorrere

Le belle mani a farmi una ghirlanda. in quegli errori, che tanti filosofi, troppo Per piacermi allo specchio qui m'adorno; fidenti nella propria ragione, commisero Ma mia suora Rachel mai non si smaga

attribuendo all'Ente infinito i difetti delDal suo miraglio, e siede tutto giorno. Ell'è de' suoi begli occhi veder vaga,

le creature che son blasfemi e non lodi Com’io dell'adornarmi colle mani;

della divinità. Lei lo vedere e me l'ovrare appaga. Beatrice simboleggia la Rivelazione, ab antico nella lingua nostra in senso di

Chè accentuata, o no, è usitatissima la Fede, la Teologia che specola e contempla Dio, suo nobilissimo obietto:

ella perchè, particella interrogativa e dimo

strativa ec. Enzo Re: perciò è detta (Purgat. VI, 45) lume tra

Giorno non ho di posa, il sommo Vero e l'intelletto creato. Da

Come nel mare l'onda: questo bel cominciamento Dante accenna

Core, che non ti smembri ? il carattere simbolico della sua Donna 107. Morte qui è la Lupa. Di questa amorosa; e sarebbe da cieco il non di- dicesi : scernere di buon’ora, ond'è ch'ella s’as- Finchè (il Veltro) l'avrà rimessa nell' Inferno sida accanto alla moglie di Giacobbe. Là onde invidia prima dipartilla : Ciò stesso ne induce a credere che, se di quella: Invidia diaboli mors intravit (v. 105) Lucia dice Dante uscito per in universum mundum. La maledetta Beatrice della volgare schiera, questo combatte il Poeta sulla fumana, e dal non è che a significare com' egli, per lo cielo si provvede a lui di soccorso. Nel sommo studio posto nelle scienze teolo- Salm. LVI, 4 : Misit de coelo el liberagiche, venisse onorato qual gran maestro vit me ; e nel XVII, 17: Misit de sumin divinità: cosa statagli, a que’tempi, di mo, et accepit me: et assumpsit me de maggior lode, che non le sue rime vol- aquis mullis.

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Venni quaggiù dal mio beato scanno,

Fidandomi nel tuo parlare onesto,

Ch' onora te, e quei ch'udito l'hanno.
Poscia che m' ebbe ragionato questo,

Gli occhi lucenti, lagrimando, volse ;

Perchè mi fece del venir più presto :
E venni a te così, com' ella volse ;

Dinanzi a quella fiera ti levai,

Che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque che è ? perchè, perchè ristai ?

Perchè tanta viltà nel core allette ?

Perchè ardire e franchezza non hai,
Poscia che tai tre donne benedette

Curan di te nella corte del cielo,

E l mio parlar tanto ben t’impromette ?
Quale i fioretti, dal notturno gielo

Chinati e chiusi, poi che 'l Sol gl' imbianca,

Si drizzan tutti aperti in loro stelo ;
Tal mi fec' io di mia virtute stanca;

E tanto buono ardire al cor mi corse,

Ch'io cominciai, come persona franca : 0 pietosa colei che mi soccorse,

E tu cortese, ch' ubbidisti tosto

Alle vere parole che ti porse!
Tu m' hai con desiderio il cor disposto

Sì al venir, con le parole tue,
Ch' io son tornato nel primo proposto.

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116. Venere appo Virgilio pone innanzi alla sua diceria l'argomento delle lagrime a commuovere Giove sui casi di Enea; Beatrice s'affida alla potenza persuasiva del suo angelico favellare; l'una cosa sa più d'arte donnesca; l'altra non desta sospetto d'artifizio, ed è segno indubitato di affetto. Dante seppe far parlare Beatrice da donna di virtù.

Æn. I, 228;
Tristior, et lacrimis oculos suffusa nitentes
Alloquitur Venus.
Il Guinicelli:
Viso di neve colorato in grana
Occhi lucenti, gai e pien d'amore.
Il Petrarca:
Come a forza di venti

Stanco nocchier di notte alza la testa
A'duo lumi ch'ha sempre il nostro polo;
Cosi nella tempesta
Ch'r' sostengo d'amor, gli occhi lucenti
Sono il mio segno e 'l mio conforto solo.
Orazio:

Lucidum fulgentes oculos.
126. Ciullo d'Alcamo:
Chisso ben t'imprometto, e senza faglia
Tè la mia fede, che m'hai in tua baglia.

Promettere ed impromettere come promessa ed impromessa. Bono Giamb., Form, onest. vit. Prudenz. VII: La lua promessa sia con grande considerazione, e sia lo dono maggiore che la 'mpromessa.

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Or va, ch'un sol volere è d'amendue :

Tu Duca, tu Signore, e tu Maestro.

Cosi' gli dissi ; e poichè mosso fue,
Entrai per lo cammino alto e silvestro.

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e

140. (Vedi Inf. IV, 95 solto la fine). che notato abbiamo pe' sustantivi (Inf. I trovadori davano per galanteria que- XXI, 45 ec.), mutarono in o la primitiva sti medesimi titoli alle loro dame. Così desinenza in e. Da Silvester o Silvestris, Rustico di Filippo contemporaneo del Silvestre e Silvestro. Così di pari modo Latini:

il nostro Poeta usò, come gli altri antichi, Mercè, madonna, non m’abbandonate,

anteriori, contemporanei e posteriori a E non vi piaccia ch'io stesso m'uccida; lui; cilestro (Purg. XXVI, 6), acro (ivi Poi che viene da voi quest'amistate, Dovetemi esser donna, e parte e guida.

XXXI, 3); terrestro (ivi XXX, 126); de

clivo (Parad. XX, 61); leno (ivi XXVIII, Duca è dal lat. Dux, Duce; ma non 80) ec. per cilestre (o celeste che si fece pochi nomi e comuni e propri, che origi- anche celesto e cilesto); acre, terrestre, nariamente tratto aveano la desinenza in declive, lene ec. E avvegnacchè si troe dalla terza de' latini, mutaronla in a vassero questi in fine del verso negli ecome Prenza, aiera, antisla, toraca, sempi citati, non è punto per la rima camaleonta, ereda, Licaona, Troa, Eli- che uscissero in o; dappoichè Dante mecona ed altri, che primitivi furono Prenze desimo (Inf. XII, 1) dice: o prence da principe; aere, antiste, to- Era lo loco, ove a scender la riva race ec. Dagli ablativi Duce, Horizonte,

Venimmo, alpestro ec. Flegetonte, Aronte, Paeané ec. deriva ed esempi d'altri scrittori produr potrebrono i corrispondenti nomi italiani che bonsi, che di tali nomi fuor della rima furono ridotti alla terminazione in a,

adoperarono. Nella prosa, Fra Giord. così adoperaronsi ed in poesia ed in pro. Pred. XXI, Genes.: « Ma vedi qui che sa. Onde il nostro Poeta Parad. XXII, sono due paradisi, uno terrestro, dove 132: « Che lieto vien per questo etera fu fatto l'uomo primo, ed uno celestro, londo » — Inf. XXXI, 116: « Che fece dove furono fatti gli Angioli ». Il Vill. Scipion di gloria ereda » - Inf. XI, 113: 11, 2, 1: «Gran parte delle cagioni fu «Che i pesci guizzan su per l'Orizzonta) per lo corpo celesto »; e in più altri luo

- Ivi XIV, 116: «Fanno Acheronte, Stige, ghi. Il Caro Lett. 2, 232: « Ma per vae Flegetonta » – Ivi XX, 110: « Augure ghezza farei una mantellina a Nettuno di (fu) e diede il punto con Calcanta ec.»

celestro ». E così degli altri. Alla pre- Ancora, 46: « Aronta è quei che al ven

è

detta regola appartiene eziandio pareglio tre gli si atterga » Parad. XIII, 25: che Danle usd (Parad. XXVI, 106). Da «Lì si cantò con Bacco non Peana ec.». Gli parilem, pari, uguale,si fece parile, paitaliani imitarono con questa finale di su

rilo e pariglio, siccome da similem, sistantivi, la declinazion greca, che conces

mile, similo e simiglio che si legge nel se ai latini la duplice desinenza in em ed B.Jacopone ed in altri. L'i mutatosi lievein a nel quarto caso del singolare, in mente in e, ne venne pareglio. Franc. tutti que' nomi della terza declinazione pareil, Provenz. Parelh. che ci vennero da quella lingua : come

Ancora è da notare che i latini ebbero aerem, aera; craterem, cralera; Hecto- molti aggettivi medesimamente della serem, Hectora; Amaryllidem, Amarylli

conda e della terza: come acrus, acclida ec. ec. Tanto lungi dal vero son iti vus, sublimus, inermus ec. per acer, quelli che annotarono esser coteste de- acclivis, sublimis, inermis ec., trasmusinenze dovute alla rima!

tazioni simili nelle due lingue; perchè

non sia chi tenga, il nostro poeta nulla 142. Silvestro è uno degl' innumere- essersi presa la licenza d'innovare nell'ivoli aggettivi maschili dalla terza decli- taliana favella o d'usare, che non fosse nazione latina, i quali, simigliantemente a lei dalle sue origini appartenuto.

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CANTO III.

Ingresso nell' Inferno. — Il fiume Acheronte.

5

PER ME SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE :

PER ME SI VA NELL' ETERNO DOLORE :

PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.
GIUSTIZIA MOSSE 'L MIO ALTO FATTORE :

FECEMI LA DIVINA POTESTATE,

LA SOMMA SAPIENZA, E 'L PRIMO AMORE.
DINANZI A ME NON FÜR COSE CREATE,

SE NON ETERNE, ED 10 ETERNA DURO :

LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI, CHE ’NTRATE.
Queste parole di colore oscuro

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Ci piace di qui riferire, come a suo rosse, cilestre ed anche dorate fossero proprio luogo, che per la stessa ragione apparse agli occhi di Dante. Per la qual di sopra arrecata, si disse Ciclopo, Etio- cosa pensiamo che il colore di quelle po ec. per Ciclope, Etiope ec. per il che parole si dicesse oscuro in rapporto alle Purgat. XXVI, 20:

idee triste che portavano nella mente di Che tutti quanti n'hanno maggior sete lui. Nè fa maraviglia se in sentimento Che d'acqua fredda Indo o Etiopo. Nel Diltam. Lib. V, cap. XVII:

figurato dovrà, in questa ipotesi, prenMa sopra quanti ne poma il Numidio,

dersi la voce colore; essendo le parole O l'Etiopo, è reo il basilischio.

segni e pittura de pensieri. D'altronde L'Ariosto (Orl.Fur. 33, 33) non schiva chiarezza ed oscurità, chi legge gli antiEtiopo. Anche Lucilio disse: «Rhinoce, chi e i moderni, vede essere usitati per ros velut Aethiopus ») ed Orazio Delphi- letizia e mestizia, ovvero allegrezza e num per Delphinem nell'Arte poeti- tristezza; il che, non fosse per altro, si ca ec. ec. Il che spiega come Virgilio dimostrerebbe da ciò, che Dante stesso dicesse immilis Achilli, infelicis Ulyxi significa le varie gradazioni della celeste ec. per Achillis, Ulysis; contro quanto i allegrezza e del riso ne' beati, per la più fini grammatici siensi potutiarzigo- maggiore o minore intensità di luce ongolare per chiarire la cosa altrimenti. d'essi risplendono, ovvero è più gioiosa

9. Non discese mai in inferno niuno, quell' anima che più rifulge. Dar fuori che di qua stato fosse poscia esperto di esempi in pruova che fu comune usanza ritornare. Eneid. VI, 226:

e direi necessità a tutt'i poeti di ricorreNoctes atque dies patct atri junua Ditis:

re al sole e alle stelle per lodare la belSed revocare gradum, superasque evadere ad tà delle donne non fa mestieri. La luce Hoc opus, hic labor est.

(auras, è contento, gioia, bellezza, bene, verità, V. Inf. V, 19; qui, v. 14.

Dio stesso; l'oscurità è il contrario. Noi 10 seg. Parole di colore oscuro. ricordiamo esserci avvenuti in mille luo

Avvegnacchè quelle parole fossero ghi d'ottimi antichi scrittori prima di scritte sulla porta d'inferno, onde par Dante, che adoperano chiaro, clero e sinaturale che dovessene il colore esser mili per contento, lieto, bello ec., oscuro; non intendiamo che il poeta ab- gliamo penarci di andarli ripescando, sibia a farne gran caso dell' uno più che curi che chiunque ne dubitasse, potrebdell' altro colore; dappoichè più che o- be leggermente farsi certo per propria scuri, son neri gli stessi caratteri che esperienza. Tenghiamo adunque che le scrivonsi da noi alle persone non infer- parole di colore oscuro sono, ad intennali, nè meno spaventose eran quelle se dimento del poeta parole che pingono

e

nè vo

a

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