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E poi che fu a terra sì distrutto,

La cener si raccolse per se stessa,
E in quel medesmo ritornò di butto.
Così per li gran savi si confessa,

Che la fenice muore e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.

105. IN QUEL MEDESMO ec. Ritornò nella stessa forma, o quel medesimo che prima era-DI BUTTO; (C.XXII,130) di botto; di subito. Cotesto disfacimento e ripristinamento del peccatore, che avviene ad ogni fiera trafittura del serpente, oltre dell'essere tormentosissima pena, siccome riflette l'illustre Tommaseo (v.101 (a)),si applica spezialmente a quei ladri, che non furono in tutto al furare intenti; ma quando venne loro il destro, tolsero l'altrui senza sospetto. Costoro che rubando si fanno di uomini serpenti; poichè rubato ebbero pigliano di nuovo false sembianze di forma umana. Queste Fenici non son favola nella comunanza civile!

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106. GRAN SAVI,qui è gran poeti.Inf.I, 85, nota.- SI CONFESSA: s'insegna. Lat. Confiteri, Fateri dal gr. qάw, dico. PER LI SAVI SI CONFESSA: da' savi si dice, si afferma ec. I trecentisti, come i Latini, usarono il verbo in questa accettazione. Nel Tridentino Concilio: Synodus fatetur et sentit: cioè afferma ec.

107. FENICE. Certo che Dante si rimette alla credulità degli antichi intorno all'esistenza della fenice ec., e che potette saper benissimo quanto ne scrissero Ovidio, Pomponio, Tacito, Plinio, Solino, Claudiano ed altri. Ma senza avere rifrustato i summentovati autori, gli fu per avventura bastante quel ch'ebbe certamente letto nel Tesoro di Ser Brunetto; dove si scrive di tale uccello (Lib. VI, cap. XXVI, Volg. Bon. Giamb.): E dicono alcuni ch'ella vive 540 anni, ma li più dicono ch' ella invecchia in 500 anni; e altri sono che dicono ch' ella vive 1000 anni. E quando ella è vivula tanto tempo, ella conosce la sua natura, che la sua morte s'appressa (a), ed ella per avere vita sì se ne vae ai buo

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ni albori savorosi e di buono aire e di buono odore, e fa uno monticello e favvi apprendere il fuoco: e quando il fuoco è bene appreso, ella v'entra dentro dirittamente contro lo sole levante. E quando è arsa, in quel dì esce della sua cenere uno vermicello, e al secondo dì è creato come un picciolo pulcino: al terzo die è grande sì come dee essere e vola in quello luogo ove usò, e ov'è la sua abitazione. E sì dicono molti che quello fuoco fae uno prete d'una città, che ha nome Eliopolis, là ove la fenice s'arde. O gran bontà de' nostri padri antichi! E Ser Brunetto, nè il Giamboni non eran mica da dozzina e furono coetanei all' Alighieri. Ma questi dovette scompisciarsi delle risa a sentir contare il luogo, il tempo e il seme della semente e del nascimento della fenice: massime quando ebbe letto del prete che appiccava fuoco alla pira. Egli dunque non intende che quei cotali fosser GRAN SAVI perchè raccontino coteste fandonie, ma solo che que' gran savi le asseriscono. Prende ondechessia gli ornamenti del suo poema, e ride e passa sorvolando col suo genio la credulità del secolo in cui egli fu nato (b).

(a) Nota, lettore, che Dante usa l'identica voce nel verso:

Quando il cinquecentesimo anno appressa. e lo stesso numero di anni 500, che gli parve più acconcio de' 540 e de' 1000.

(b) Ovidio poi sembra essere stato il gran saalla lettera i seguenti versi sull'arabo uccello. vio, dal quale il Nostro imitò, recando quasi (Metamor f. XV, 392 segg.). Una est,quae reparet seque ipsa reseminet, ales Assyrii Phoenica vocant;non fruge,neque herbis, Haec ubi quinque suae complevit saecula vitae, Sed thuris lacrymis, et succó vivit amomi. Ilicis in ramis, tremulaeve cacumine palmae Unguibus et pando nidum sibi construit ore: Quo simul ac casias, et nardi lenis aristas, Quassaque cum fulva substravit cinnama myrrha Se super imponit, finitque in odoribus aevum.

Erba nè biada in sua vita non pasce,
Ma sol d'incenso lagrime e d'amomo;
E nardo e mirra son l' ultime fasce.
E qual è quei che cade, e non sa como,
Per forza di demon ch' a terra il tira,
O d'altra oppilazion che lega l' uomo,
Quando si leva, che intorno si mira,
Tutto smarrito dalla grande angoscia
Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira;
Tal era il peccator levato poscia.

O giustizia di Dio quanto è severa,
Che cotai colpi per vendetta croscia!

109. NON PASCE: non mangia. Virg. Ecl. I, 54:

vicino ab limite sepes Hyblaeis apibus florem depasta salicti ec. Inf. I, 103 seg.:

Questi non ciberà terra nè peltro ec. 112. Coмo in poesia e in prosa fu adoperato dagli antichi nostri scrittori. È dal lat. quomodo scorciato in quomo e poi fatto como. Si trova eziandio tronco in com alla provenzalesca e com',che pare apostrofato anche innanzi a voce che non incominci da vocale; ma la virgoletta affissa è segno del troncamento (a). Bonaggiunta Urbiciani:

Com più vi prego, più mi state dura. Onesto Bolognese:

Aggio ben visto, Amor, com' si comparte. Din. Comp. Intellig.:

È tutto v'è, com ne parlò Lucano.

Purgat. XXIII, 34 seg.:

Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
Si governasse, generando brama

E quel d'un'acqua, non sappiendo como?
Guitton d'Arezzo:

Che si como l'autore

Pon, ch'amistà di core

E voler di concordia e disvolere ec.

Chè com più alto tene

Signor suo servo, più li può valere ec.
Meo Abbracciavacca:

Così Amor condott'hammi a reo passo ec.
Che trammi a se com ferro calamita.

Provenz. Quo e Com, come, siccome. Eccolo cotesto como fuor di rima, e com o com' in altri esempi.

(a) Com forse meglio deriverebbesi dal lat. cum in sentimento di come. V. Purgat. XIII, 9.

Paganino da Serzana (1260):
Non so, ma como amante
Prego che 'l me' cor tegna
Quella, in cui regna - tutto piacimento.
Ciullo d'Alcamo:

Como ti seppe bono la venuta
Consiglio che ti guardi alla partuta.
Guido Guinicelli:

Com diamante del ferro in la miniera.
Giacomo Pugliesi:

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E non m'abbella sì com' far solia ec. Ed in prosa; Govern. de' princ. di Eg. Colonna: Lib. I, Part. I, Cap. V: E com più le fa dilettevolmente, più son vertuose, e da laudare.

Anche Siccom per Siccome dal Provenz. Si com.

Jacopo da Lentino:

Ed eo siccom la nave

Che gitta alla fortuna ogni pesanti
E scampane per gitto,

Di loco periglioso,

Similemente eo gitto

A voi, bella, li miei sospiri e pianti. 113. CADE... PER FORZA DI DEMON: l'ossesso.

114. D'ALTRA OPPILAZION: l'epilettico ec. CHE LEGA L'UOMO: gli sospende l'uso libero de' suoi atli. LEGA, nota il Tommaseo, parola solenne, trattandosi di magia o d'altra forza straordinaria.

120. COLPI... CROSCIA. Crosciare propriamente il cadere di subita e grossa pioggia; qui, per metafora, mandar giù, da alto con violenza. Il Sacch.: E Buonanno croscia un'altra buona piallonata. CROSCIA: fa suonare. Tommaseo. VENDETTA: pena. E poichè vien dal Cie

Lo Duca il dimandò poi chi egli era:
Perch' ei rispose: i' piovvi di Toscana,
Poco tempo è, in questa gola fera.
Vita bestial mi piacque, e non umana,

Sì come a mul ch' io fui: son Vanni Fucci
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana.

E io al Duca: dilli che non mucci,

E dimanda qual colpa quaggiù 'l pinse:

Ch' io 'l vidi uom già di sangue e di corrucci.

lo: ecco donde, in figura, il rovescio dei gastighi che Dio manda. Purg. VI, 100: Giusto giudicio dalle stelle caggia ec. 122. Provvi: caddi, precipitai. Ariost. Orl. XVI, 86:

Oggi il Romano Imperio, oggi è sepolto; Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato. Il Demonio dal Cielo è piovuto oggi, Perchè in questa città più non s'alloggi. Anche Is. XLV, 8: Nubes pluant iustum. Piovvi: discesi. Bargigi Di TOSCANA: dunque gran rovescio di ladri cadeva, ai tempi di Dante, nella settima bolgia da questa terra gentile. Piovere per discendere, Parad.III, 90-VII, 70XXIV, 135 ec. In sent. attivo, spargere, influire, ec. Parad. XXVII, 111, ec. In senso proprio, Purgat. XXXII, 110, ec. 123. GOLA FERA: En. VI, 273: In faucibus orci. V. Inf. IV, 7 seg. nota III, 41 XVIII, 99 - XXIII, 135.

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125. MUL, mulo, per bastardo (a). Dalle parole di Benvenuto che descrive la natura del mulo: Animal durum, aplum laboribus et verberibus, retrogradum, pertinax, il Mazzoni Toselli s'induce a tenere col Vellutello, contro il Lombardi, che qui Dante dia cotesto nome a Vanni, qualificandolo per bestia ostinata, non già bastardo. Ma dicono costui generato per adulterio da Messer Fucci de' Lazzari gentiluomo Pistoiese (b); e che non temperando sè stesso secondo ragione, e vivendo bestialmente (come fanno i più di quelli che nascono d'illeciti congiungimenti), meritasse esser chiamato per tal nome. Psalm. XXXI, 11: Nolile fieri sicut equus et mulus quibus non est intellectus.

(a) Mul tronco contro le regole dettate da solenni grammatici. V. Inf. XIX, 47, nota. (b) Fucci. Villan. VIII.

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127. NON MUCCI: non si trafughi. Mucciare è proprio involarsi destramente, svignarsela senza che altri s' avvegga ec.e però porta la nozione di beffare, deludere. Phaedr. I, 12: Cursu levi canes elusit. Il dialetto calabro tiene la voce Ammucciare per nascondere, e chiamano faccia ammucciata chi, scaduto del suo stato, ha rossore di andar pezzendo. Milan. móc e mouc vale mortificato. Nel Ferrarese all' armoccia, di soppiatto; Veron. Mucci! zitto, zitto !— clanculum ec. Considerato bene ogni cosa, vedrassi alla voce mucci convenirsi alcuna cosa dippiù, che non ha il semplice fuggire.

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(c) Psalm. V. 7: Virum sanguinum et dolosum abominabitur Dominus. —CXXXVIII, 19: Viri sanguinum declinate a me. - Ecclesiastici Cap. XXXIV, 25: Panis egentium vita pauperum est: qui defraudat illum homo sanguinis est. Reg. II, Cap. XVI, 7-9: Ita autem loquebatur Semei cum malediceret regi (Davidi): Egredere, egredere, vir sanguinum... et ecce premunt te mala tua,quoniam vir sanguinum es.

El peccator, che intese, non s' infinse,
Ma drizzò verso me l'animo e 'l volto,
E di trista vergogna si dipinse;

Poi disse: più mi duol che tu m' hai colto
Nella miseria, dove tu mi vedi,

Che quand' i' fui nell' altra vita tolto.
I' non posso negar quel che tu chiedi:
In giù son messo tanto, perch' io fui
Ladro alla sagrestia de' belli arredi;

fica collera (a), e Vanni Fucci non era
uomo di sangue e di collere, ma di tor-
menti, testimonio anche Benvenuto da
Imola, che disse nel suo comento: Ipse
fuil vir sanguinum et cruciatuum, qui
tamquam sicarius homines capiebat,
torquebat et cruciabat.

130. NON S'INFINSE: non dissimulò, non fe le viste come non toccasser lui nel vivo le parole (v. 30). Non s'infinse, perchè avea detto chi egli fosse (vv. 124-126); era ben noto per sanguinolento, e trovato nella bolgia de' ladri. Non è dunque virtù; ma impossibilità di negare (v.136). 131.DRIZZO VERSO ME L'ANIMO ec.m'affissò allentamente.

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(auras,

Convertere animos acres, oculosque tulere
Cuncti ad reginam Volsci.

132-135. DI TRISTA VERGOGNA SI DIPINSE: non arrossì vergognando di un fallo che pentivasi d'avere commesso, onesta vergogna (b); ma impallidì d'essere stato come ladro colto in quel buio fondo, trista vergogna e rea (c); e questo dolse a Vanni ben più della morte datagli; perocchè si può morire innocente; ma è peggio che morto chi ha perduto l'onore. Ed egli avrebbe preferito trovarsi tra i sanguinari violento per mal

(a) Significa più che collera. Cruccio e Corruccio son tutt'uno, e valgono proprio quella collera nera che crucia, tormenta l' anima e incita l'uomo alla violenza,alle risse ed al sangue. (b) Purgat. V, 20 seg:

Alquanto di color consperso

Che fa l'uom di perdon talvolta degno. (c) Horat. Epist. I, 16:

Stultorum incurata pudor malus ulcera celat,

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creduta bravura; che non fra i ladri frodolento e vile. V'ha chi crede che il dispiacere del Fucci movesse non dal timore della propria infamia, ma dal pensare che Dante rallegrerebbesi d'aver visto in quello stato un Pistoiese di parte avversa, e che ne avrebbe di qua recate novelle. A noi sembra che l'uno e l'altro

dovesse dolergli insieme.

136. I' NON Posso negar ec. Farebbelo se potesse v. 130, nota.

Duomo di S. Jacopo di Pistoia chiama138. LADRO ALLA SAGRESTIA ec. Nel vasi Tesoro il luogo dove servavansi arredi di grandissimo valore. Un documento contemporaneo pubblicato dal Prof. Ciampi ne accerta, che nel 1293 Vanni Fucci, Vanni della Monna e Vanni Mironne tentarono il gran furto, ma nol potettero consumare. Rampino di Ranuccio, arrestato con parecchi altri, benchè innocente, stava già per essere impeso: quando Vanni della Monna caduto nelle mani della giustizia confessò i veri autori del reato, e molti camparono dalla morte, ai quali falsamente s'era apposto il criminoso tentativo.

Il Fucci adunque è MESSO PIÙ IN GIÙ de' violenti e de' micidiali; perciocchè la frode è al Poeta più rea della forza (d). Oltre alla bestiale e vile propensione alle risse ed al sangue, gravava su Vanni il furto sacrilego che include il disprezzo della religione, la quale è fondamento primo della sociale comunanza. Ap

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E falsamente già fu apposto altrui.
Ma perchè di tal vista tu non godi,
Se mai sarai di fuor de' luoghi bui,
Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi:
Pistoia in pria di Neri si dimagra;
Poi Firenze rinnova genti e modi.
Tragge Marte vapor di val di Magra,

presso è posto Caco a simil pena, poichè
avverso alla civiltà, caldeggiata da Erco-
le; e i Fiorentini, che contaminarono la
città coll'esempio di sì brutta colpa.

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143. SI DIMAGRA: si spopola, s'evacua. Sotto metafora personificando una città gli abitanti ne sono vita e sostanza.

144. RINNOVA ec. Per intendere a ma140. GODI: goda. C. XV. 69, nota. raviglia questo passo di Dante crediamo 141. LUOGHI BUI: l'Inferno in genere; far cosa utile d'addurre il seguente passo ed in ispezie la bolgia de'ladri, la quale ha tratto dalla Dottrina del Dire e del Tacere il fondo oscuro (v. 71); perocchè ai furi scritta da Abertano da Brescia nel 1245. o fujè amica la notte. C.XII, 10 e 90,note. Neuna ingiuria è sì grande come quel142. ANNUNZIO. Il vaticinio del Fucci la di coloro, che quando maggiormente fallano, mostrano di non fallare per torna a quel medesimo che Ciacco avea essere tenuti buoni uomini: e le 'ngiugià fatto al Poeta (C. VI, 64-75). Perchè poi Dante induca un ladro a prenunziar-le singolari parte (b), ma tulla la prore così rie non solamente impedisce (a) gli le patrie sventure, è detto nel C.XIV, vincia guasta; e secondo che dice Gesù 2-3, nota in fine.

143-150. Non si accordano gli scrittori sulle date degli avvenimenti che qui accenna il Poeta; ma pare ch'esser dovessero posteriori al 1300, tempo della Visione. Secondo le storie pistolesi, i Bianchi di Firenze aiutarono quei di Pistoia a bandire i Neri; ma questi rifugiatisi tra i Fiorentini resero più forte la propria fazione, soperchiarono i Bianchi e fecero nella repubblica nuovi governanti, e nuove leggi. V. Dino Compagni.

Nel 1300 i Neri Fiorentini e Lucchesi capitanati da Moroello Malaspina, Marchese di Giovagallo in Lunigiana, si misero in armi e mossero contro i Bianchi di Pistoia. Questi con quanta più forza polettero marciarono sopra i nemici, che aveano già posto l'assedio al castello Seravalle; ma come fur visti appressarsi, il Malaspina gli scontrò con tanto impeto che li sconfisse. Ciò fu tra Seravalle e Montecatini, ch'è campagna detta Lat. Piscense e dal Nostro Campo Piceno. L'allegoria poetica allude a questo terribile fatto, che atterrò i Bianchi, facilitò a Corso Donati la rivoluzione, a Carlo di Valois l'entrata in Firenze, e a Dante portò la sciagura del perpetuo esilio.

Seraca, LA PROVINCIA RINNUOVA (c) E MUTA GENTE E SIGNORIA per le 'ngiure e le malvascitadi che si fanno. Dante mostra avere nonchè lette, ma ed imitate le locuzioni di questo luogo, ed avere inteso di riferire l'effetto delle novità di Firenze alla malvagia ipocrisia di Bonifazio e alla colorata gentilezza di Carlo.

145. TRAGGE per trae è da trajere, onde traggere, resa la j per doppio g, e da cui traggio o traggo, traggi, tragge, traggiamo, traggete, traggiono o trag

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