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Leva'mi allor, mostrandomi fornito
Meglio di lena, ch' i' non mi sentia;
E dissi: va, ch' io son forte ed ardito.
Su per lo scoglio prendemmo la via,

Ch' era ronchioso, stretto e malagevole,
Ed erto più assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole;
Onde una voce uscìo dall' altro fosso,
A parole formar disconvenevole.

dire: ti è d' uopo salire, se vuoi veder
Beatrice; lunga fatica sostenere per ag-
giugnere la vera Sapienza, che ti farà fe-
lice (vv. 47-48, not. in fine).

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FA SÌ CHE TI VAGLIA: Fa ch'io ti vegga ristorar l'animo. Barg. VAGLIA: giovi a farti pronto. Tommaseo Ti sia stimolo e conforto. Bianchi e Lombardi - Col mettere in opera ciò che hai inteso. Venturi Poichè valere è potere, quello appunto di cui Dante non si sente fornito (vv. 58-59), e il ti può essere particola riempitiva; la frase: FA CHE ti vaglia è il fac possis de' latini. I versi precedenti e i seguenti rafforzano qui tale interpretazione.

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sa, vale pieno di sterpi e di spini (v. 28, nota).

63. ERTO PIÙ ASSAI ec. Lo scarico delle pietre rotolate dal terremoto parole del Tommaseo, dà via men dura che l'argine, tutto scoglio. Dunque montato lo scarico delle pietre restava a salir solo il ponte com' egli ben dice al v. 42. Ma qui pare che sia il paragone tra scoglio e scoglio, tra ponte e ponte (a), non già tra lo scoglio e lo scarico delle pietre, che non è propriamente a dire scoglio. S' intende già, che l' esser

questo scoglio (b) più erto venne dallo scoscendimento, il quale reselo inaccessibile da quella parte, ov'esso appoggia58. LEVA' MI: mi levai da sedere. Le- si sopra l'argine, che divide gl'ipocriti va' mi V. C. XIV, 2-3, nota.

60. Va, ch'i' son forte ed ardito. VA CHE, C. II, 139:

Or va, chè un sol volere è d'ambedue. SON FORTE a sostenere la fatica del cammino, ED ARDITO ad imprenderla Formola, dice il Biagioli, che comprende la forza del corpo e la franchezza dell'animo. E questa forma di locuzione adopera qui Dante, ove si tratta di malagevole salita; come Virgilio là, dove nel burrato era pericolosissima la discesa. C. XVII, 79 segg.:

Trovai lo Duca mio ch'era salito

Già sulla groppa del fiero animale,
E disse a me: Ör sie forte ed ardito.

Omai si scende per sì fatte scale.

da' ladri.

64. FIEVOLE: abbattuto, debile ec. Voce che par fatta dal latino flabilis per una scala simile alle Menagiane così: flabilis, fiabile, fiavile, fievole: secondo la quale derivazione significherebbe leggero come piuma; che non regge a un soffio.

65-66. DISCONVENEVOLE. Ordina: uscìo

dall'altro fosso una voce disconvenevole, cioè mal atta, a formar parole; perocchè chi parlava parea mosso ad ira (v.69), nella quale, quando è veemente, non si scolpiscono le parole. Così a un dipresso il Venturi, il Volpi,il Bianchi ec. Nondimeno il non intendere ciò che il

61. Su per lo scoGLIO ec. (V. v. 42, parlante diceva par dipendesse dalla dinota).

62. ERA RONCHIOSо: aspro, di superficie non piana, ma disuguale ed ispida per molli rocchi. RONCHIOso non hassi qui,secondo il Toselli,a mutare in rocchioso e questa voce, com'egli avvi

(a) Il testo Bargigi ha infatti quei di pria,lezione che al Zacheroni pare più accettabile dell'altra. L'edizione di Foligno 1472; quella del Tuppo, Napoli 1474; e la Rivelliana, Lion.1551 leggono certo ove il nostro testo ha erto.

(b) Scoglio qui è ponte. Vedi nel Canto precedente la nota ai vv. 134-135, in fine.

Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso
Fossi dell' arco già, che varca quivi;
Ma chi parlava ad ira parea mosso.
Io era volto in giù; ma gli occhi vivi
Non potean ire al fondo per l'oscuro:
Perch' io: Maestro, fa che tu arrivi
Dall' altro cinghio, e dismontiam lo muro;
Chè, com' i odo quinci e non intendo,
Così giù veggio, e niente affiguro.
Altra risposta, disse, non ti rendo,

Se non lo far; chè la dimanda onesta
Si dee seguir con l'opera, tacendo.
Noi discendemmo 'l ponte dalla testa,
Ove s'aggiunge con l'ottava ripa,

stanza del luogo dov' erano i Poeti, vv.
72-75. Il Bargigi spone: PAROLE DISCON-
VENEVOLE: parole di dolore e di bestem-
mie tali che io non le intendeva ec. A
noi piace la prima interpretazione; tutto-
chè ci abbia infiniti esempi di aggettivi
e sustantivi venutici dalla terza de' latini
con la desinenza in e anche al numero
de' più. Il Nostro, Parad. I, nature ac-
cline XV, fur concorde-XXIII, lin-
gue pingue. E fuor di rima, e in prosa,
molti luoghi d'altri autori.

70-71. GLI OCCHI VIVI еc. Costruisci: gli occhi non potean ire vivi al fondo: ed è quanto dire non giungevano a ve-. dere sino al fondo per difetto di luce, che avviva l'occhio riflettendo dal visibile: senza della quale esso non esegue la sua funzione ed è quasi cieco, e morto. Se poi si volesse ordinar la frase così: gli occhi vivi non potevano ire al fondo: allora potrebbe intendersi degli occhi mortali ch'eran quelli di Dante; mentre Virgilio, che vi era in ispirito, penetrava, senz'avere altrimente bisogno di luce, dovechessia. Un modo simile è nel XVIII, 109 segg.:

-

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76-78. Ti do per risposta il far quello, di che mi richiedi: cioè dismontar lo muro (v. 73) ed arrivare dall' altro cinghio.

CHE LA DIMANDA ONESTA ec. Sentenza degna di quel savio gentile. Non si vuole dimandar quello, che di ragione può esserti negato. A chi poi ti richiede di cosa giusta ed onesta non dèi dare buona e graziosa risposta di parole; ma l'onesta dimanda secondare e adempiere con l'opera. TACENDO; poichè i favoloni scemano il pregio del ben ch'ei fanno, e nè valse mai lingua ad esprimer quello, che potè la sola eloquenza de' fatti. Nel XXV, 70 segg.:

-

Ed egli a me: la tua parola è degna Di molta lode, ed io però l'accetto. RISPOSTA... REndo. RENDER CENNO (C. VIII, 5) rispondere al segno. En. VI: Huic responsum... reddidil.

79-80. NOI DISCENDEMMO ec. Dipinto a maraviglia il passaggio faticoso dal fondo della sesta bolgia ch'è degl'ipocriti, all'ottavo argine, che sta tra il fosso de' ladri e quello de' fraudolenti consiglieri. I poeti montano innanzi tutto su per la ruina del guasto ponte (vv.19-45): dopo alcuna sosta fatta sulla cima di quella, prendon la via inerpicandosi pel ponte discosceso (61-63); vengono ormai sul dosso, o sommo dell' arco (67-68): di qui Dante ode, ma non intende le voci che, simili a urli da disperati, si mandano dal fondo della settima bolgia; il

E poi mi fu la bolgia manifesta:

E vidivi entro terribile stipa

Di serpenti, e di sì diversa mena,
Che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena;

Chè, se chelidri, iaculi e faree
Produce, e cencri con anfesibena;
Nè tante pestilenzie nè sì ree
Mostrò giammai con

buio di questo fosso toglie anche il ve-
dere, ed egli chiede dal suo Duca che si
arrivi dall'altro muro a cui si congiunge
l'altro capo del ponte (70-75): pervenu-
ti a questo luogo, essi non si calano già
nella bolgia che brulicava di pestilenzia-
li serpenti; ma discendono un poco giù,
per certi rocchi sporgenti, ch'erano di
sotto dalla testa del ponte, e facenti co-
me da scala, per la quale dipoi risalgo-
no e si ripongono in via.C.XXVI,13-15.

82-84. TERRIBILE STIPA ec. C. XI, 3: Crudele stipa si chiama il settimo cerchio, in cui son serrati o stivati i violenti. Nel C. XXXI, 36 si tocca dell' aria che condensa il vapore:

Ciò che cela il vapor che l'aere stipa. STIPA: congregazione, ovvero molti tudine di serpenti ivi stipati e chiusi dentro. Barg. Mollitudine ammucchiata. Bianchi Folla serrata. TomMucchio, moltitudine. Con la Crusca il Lombardi - Calca,aggruppamento. Venturi ec. V. Inf. VII, 19, nota. Questa TERRIBILE STIPA è detta (v. 91)

maseo

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tutta l' Etiopia,

85

Volpi Mi guasta il sangue, me lo fa agghiacciar di spavento. Lombardi Dissipa e fa tornare al cuore. Tommaseo Muove, conturba e separa avea detto il Bargigi. · Inf. VII, 21, nota.— Vedi, lettore, che di tutt'i suoi fantasmi, poeta vero qual' egli è, può ben dire Dante, come soventi volte dice, in sentenza simile a quella del C. XXIII, 24:

Io gl'immagino sì, che già gli sento. 85-90. PIÙ Non si vanti Libia ec.Questi due trinari hanno molte varianti, e in testi di somma autorità, che lasciano dubbio qual fosse la vera lezione (a). Noi accettiamo quella voluta dal Monti e dal Niccolini, ch'è seguita da' più, ed ha sopra le altre maggior semplicità e perspicuità di costrutto.

CHELIDRI. Il chelidro serpente anfibio che fa, dicono, fumar la terra per onde passa, tanto è di forte veleno. Robert. Stefano. Chelydrus per Satana, V. Ermoldi Nigelli. Murat. Rer. it. script. T. II, part. II, p. 39.

JACULI. Il iaculo è sì detto, poichè dagli alberi, su cui suole stare, si lancia per l'aere come saetta,e trapassa qualunque animale percuota. Lat. Jaculus.

FAREE. Il Farea (Lat. Pharias e Pharea) serpente che va elevato col fusto diritto, salvo che la coda strisciando per terra vi lascia un solco.

CENCRI. (Cenchris) (b). Il cencri, serpente di vario colore, che sempre, dico

(a) Si potrà leggere quel che ne scrissero il Lombardi, G. B. Nicolini, il Zacheroni e il Monti. Veggasi il Codice Cassinese. Tip. di M. Cassino 1865.

(b) Il Zacheroni dice che la lez. centri è una scorrezione degli amanuensi, e che fa torto alla Crusca l'averla adottata. La Crusca però errava co' più autorevoli codici e più antichi, di cui si giovino l'edizioni della Divina Commedia.

Nè con ciò che di sopra 'l mar rosso ee.
Tra questa cruda e tristissima copia
Correvan genti nude e spaventate,

no, va torcendosi, nè mai non va diritto.
ANFESIBENA. L'anfesibena si credette a-
vesse due capi, un dalla testa e l'altro
ove dovrebbe aver la coda. Et gravis in
geminum surgens caput Amphisbaena.
Lucan. IX.

Nel costrutto del citato luogo di Lucano, imitato dal nostro, i nomi di questi pestilenti animali son messi, altri nel numero del meno, e altri in quello dei più. Nel presente passo dell' Alighieri pare che vada adoperato in plurale, come tutti quanti gli altri, il nome Anfesibena. Il Codice Cassinese avvisa, in una postilla interlineare, che in altri testi si leggevano in plurale le tre voci rimanti mena, rena, anfesibena: alibi est numeri pluralis scilicet mene, rene et amphysibene. Noi, senza aver mestieri di mutar la lettera in altro modo da quello ch'è nel nostro testo, notiamo che bene può, e forse dee, prendersi anfesibena come nome plurale, ad esempio di molti altri che venutici dalla prima de' Latini, ritennero in ambi i numeri la medesima terminazione. V. Inf. XVII, 86, nota.

90. EE. I comentatori credettero non si trovasse cotesto ee per è, salvo che nella rima; onde in qualche edizione si legge invece c'è, come nella Nidobeatina ai seguenti versi dell'Inf. XXX, 79:

Dentro ee l'una già, se l'arrabbiate
Ombre, che vanno intorno dicon vero.
Ma contro la loro opinione stanno gli
esempi; ove in prosa, in verso e fuor di
rima si usò dagli antichi scrittori.

Già lo stesso Dante anche nel
Purgat. XXXII, 10:

E la disposizion ch'a veder ee.

Parad. XXVIII, 123:

L'ordine terzo di Podestadi ee.

Fuori rima:

Cecco da Varlungo, Lamento, st. 14:
Dove il topo non ee, non corre il gatto.
Ancora, st. 4:

Sia dolco il temporale, o sia giolato
Pricol non c'ee ch'i' mi discosti un passo.
Il Barberino, Reggim. e cost. delle
donne, Parte I:

Cotant'ee più obbrigata

Ad alto costumare.

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In prosa, Ivi Parte IV: E dissegli com'ee che voi non tornasti a noi?

Albert. cap. 51: Dal savio uomo ee da temere lo nimico.

Libr. della Tavola rotonda: Saprestimi voi dire novelle dello ree Meliadus, il quale ee perduto nel deserto? — Damigella, venuto ee lo tempo della deliveragione del mio ventre. Chi ee questa donna la quale ee morta? Ed ella disse: Questa ee la reina Eliabel,la quale ee morta in parturire figliuolo.

Ee par fatto dal lat. est, da cui gl'ital. dissero este,e poscia ee, foguale le consonanti di mezzo. Tav. Rot.: Disse Tristano: Non este tale (la battaglia) ched ella intra noi due si debbia menare a fine allo transire (alla morte, o all'ultimo sangue). Così da Regis, rei, ree per re. Tav. rot.: Ma la damigella si prese lo ree per mano, e menollo nella sala del palagio, e quivi sì si disarmoe lo ree. Di Reie, Rei e Reo per Re son piene le carte antiche e ne fan pruova gli esempi di Guittone, di Meo Abbracciavacca, di Albertano ec.

I più credono ee per è, Ree per Re ec. fatto per ischivar l'accento del monosillabo,o della voce accentata, con la giunta dell'altra vocale; altri per istrascico di pronunzia. Con questi ultimi più ci accostiamo, tutto che il Nannucci spieghi altramente l'origine di questa inflessione (Anal. crit. de' verbi it. Teor. de' verb. anomali § I, pag. 435). Imperocchè in molte parole di simile desinenza non potrebbe, a nostro giudizio, trovarsi origine altra da questa: come ne fan fede infiniti luoghi delle vecchie scritture; massime della Tavola rotonda, dove così si scrisse senza studio, come si parlò a quei tempi. Quindi sie, piuè, noe, tee, menoe, montoe, vae, salutoe, rendeo ec. per sì, più, no, te, menò, montò, va, salutò, rendè ec. (Purgat. XXV, 36).

92. NUDE E SPAVENTATE Son colà le anime de' ladri, che qua si vestirono dell'altrui, e non temettero la punizione dell'umana giustizia.

Senza sperar pertugio o elitropia. Con serpi le man dietro avean legate: Quelle ficcavan per le ren la coda El capo, ed eran dinanzi aggroppate. Ed ecco ad un, ch' era da nostra proda, S'avventò un serpente, che 'l trafisse Là dove il collo alle spalle s' annoda. Nè O si tosto mai, nè I si scrisse,

Com' ei s' accese e arse, e cener tutto Convenne che cascando divenisse:

93. PERTUGIO: foro, buco, per tana, nascondiglio ec.

ELITROPIA, pietra cui si attribuiva la virtù di rendere invisibile la persona che la portasse. Leggasi la novella di Calandrino (Bocc. G. VIII, nov. 3).

Cecco d'Ascoli (Acerba,lib.3,cap.51): Si val di questa chi vuol esser furo. Jacopo da Lentino dice, nessuna pietra potersi in pregio paragonare alla sua donna:

Nè l'aritropia, ch'è sì vertudiosa (a). Secondo il Bargigi l'elitropia vale contra il veleno; sicchè correvan costoro senza trovar riposo, nè rimedio contra il nocumento di quei serpenti.

Jerem. VIII, 17. Ecce ego mitlam vobis serpentes regulos, quibus non est incantatio; et mordebunt vos.

94-96. Con serpi ec. Avean le mani legale dietro con serpi: legate, perchè libere non le seppero in vita rattenere dal furto; dietro, perchè le porsero innanzi rubando; con serpi, perchè mentre la fanno da infernali ritorte, significano, come riflette il Biagioli: l'astuzia e la malizia loro (de' ladri) d'insinuarsi nei chiusi luoghi, e i gran mali che dalla loro rapacità nascer sogliono: epperò questi serpi ficcavano il capo e la coda per le reni e gli aggroppavano dinanzi, forando e nocendo insieme. Oltracciò il serpente si prende, in figura, per la frode, per lo proposito e la passione del furare; la sua trafitta, per la diabolica suggestione, simile, in certo modo, a quel

(a) Pietro di Dante dice, esser questa pietra di color verde, rosso, o perso, e che a operare la sua virtù è mestieri bagnarla nel succo del girasole.

95

100

la, ond'Eva fu mossa a corre il pomo vietato. C. XVII, 10, nota.

95. REN per reni! troncamento da far venire la senapa al naso, nonchè al Ruscelli, ma allo stesso Salvini; che dissero reprensibile l'elidere così le ultime in questi plurali, e non solite codeste voci a così terminarsi. Lasciando gl'innumerevoli esempi, che fanno contro cotal divieto, ci piace di qui sol quelli trar fuori, che vengono in favore del nostro Poeta. Lorenzo de' Medici, Comp. Mantell.: Perchè si forte

Vi date sulle ren? date al fardello.
Bern. Bellinc.:

Però convien che alcun le ren ti spazzi.
Simigliantemente (Inf. VII, 62):

De' ben che son commessi alla fortuna.

E ben tronco da beni usarono eziandio il Firenzuola, il Boccaccio, Fazio degli Uberti, l'Alamanni ed altri; ai quali tutti noi facciam di berretto più divotamente, che all'arcinasutissima turba grammaticale. Anche C. XXV, 57:

E dietro per le ren su la ritese.

97. ERA DA NOSTRA PRODA: verso il

nostro argine; dalla parte dell'ottavo cinghio sul cui orlo noi stavamo a vedere. Il Poeta chiama figuratamente anche proda l'estremità superiore d'abisso, C. IV, 7.-Vedi anche C. VIII, 55-XVIII,

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5- XXII, 80, note.

98. S'AVVENTÒ ec. Il serpente, che si slanciò al peccatore e il trafisse, fu forse un iaculo (vv. 85-90).

101. S'ACCESE, ec. Lucan. IX: Ecce subit virus tacitum, carpitque medullas Ignis edax, calidaque incendit viscera tabe (b).

(b) Il Tommaseo: Pena condegna alla loro viltà. Quanto tormentosa debba essere questa dissoluzione frequente, per accorgersene basta pensare alla morte, e morte di fuoco.

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