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Avendo più di lui che di sè cura,
Tanto che solo una camicia vesta:
E giù dal collo della ripa dura

Supin si diede alla pendente roccia,
Che l'un de' lati all' altra bolgia tura.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia
A volger ruota di mulin terragno,
Quand' ella più verso le pale approccia;
Comel Maestro mio per quel vivagno,

Portandosene me sovra 'l suo petto,
Come suo figlio, non come compagno.
Appena furo i piè suoi giunti al letto

Del fondo giù, ch' ei furono in sul colle
Sovresso noi: ma non gli era sospetto;
Chè l'alta Provvidenza, che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,

dallo scoppiettare degli assi o simili oggetti che s'incendiano ec. e viste le fiamme apprese nella propria casa, balza nuda fuori del letto, e non d'altro sollecita, che della salvezza del figliuolino, sel reca in braccio e fugge via,senza badare un tantinetto per vestirsi almanco la camicia.

43. DAL COLLO DELLA RIPA: dal sommo dell'argine.

44. SUPIN SI DIEDE: si lasciò andar supino sdrucciolando, cioè colle reni giù, per la ripa.

45. TURA. Turare è propr. stoppare; qui, per anticresi, chiudere,serrare,riparare.-Far la tura dicono i Toscani l'opporre alle correnti piovane un argine di terra, loto ec. sicchè si ragunino a formare la pozza. Gora e Pozza son pur vocaboli usati dal Poeta (Inf. VII, 127-VIII,31).

46. DOCCIA, V. Inf. XIV, 117, nota. 47. Mulin terraGNO: mulino fermo in terra, a voltar la cui rota scende l'acqua per istretto canale con più impeto, che non fanno i fiumi a girar quelle de' mulini situati con catene o corde, o fabbricati nelle navi e posti sopr'acqua grossa.

48. PIÙ VERSO LE PALE APPROCCIA: cioè, più verso le ali o pale della ruota l'acqua approssima, s'avvicina, e più cresce la velocità.-PALE intende il Bargigi

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quelle chiusure che si aprono,ed in modo di pale porgono l'acqua giù,la quale indi cadendo sopra le ruote del mulino le fa volgere.— APPROCCIA qui usato neutr.ass.,altrove n.pass. (Inf. XII,46).

49. VIVAGNO: È propriamente l'estremità o cimosa della tela; similmente le ripe son le cimose della bolgia, e però dice qui vivagno. Bargigi.

53. COLLE, lo stesso che COLLO, V. nota al v. 43.

54. NON GLI Era sospetto: non bisognava temere. GLI per egli pleonasmo. SOSPETTO: timore (C. XXII, 127-129).

Se qui, come nel Purg. XIII, 7, e Parad. XXV, 134, si prende gli per vi o ivi, avv. loc., crediamo derivisi dal lat. illic, onde lì e gli, al modo che da illi, dativo del pronome ille, venne li, igli, e poi gli. Tavol. roton.: E dice infra suo cuore, s'egli lo troverae, ch'egli igti costerae caro ec. Ma fuori di questi esempi di Dante, non avremmo noi ad allegarne di altri.

Il Venturi riferisce questo gli a Virgilio, intendendo: non era a lui... cioè non avea egli sospetto, timore. Le cose a lui eran conte, come L'ALTA PROVVIDENZA ec. non così a Dante.

56. MINISTRI, servi esecutori della divina giustizia.

Poder di partirs' indi a tutti tolle. Laggiù trovammo una gente dipinta,

Che giva intorno assai con lenti passi, Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta. Egli avean cappe con cappucci bassi Dinanzi agli occhi, fatte della taglia Che per li monaci in Cologna fassi. Di fuor dorate son, sì ch' egli abbaglia;

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64-66.DI FUOR DORATE... DENTRO PIOMBO. L'oro è significativo della virtù e dell'innocenza, il piombo del contrario. Quelle cappe abbagliavano col fulgore del prezioso metallo; ma quella doratura superficiale facea velo e sotto celava il vile piombo, cioè l' immondizia d'una vita corrotta ed iniqua. Cristo chiamò gl'ipocriti sepolcri imbiancati; lupi rapaci, sotto pelle d'agnello, e dipinse in uno le apparenze e le opre loro: Dante si tenne alla proprietà della voce ipocrita che vale istrione, di cui è rappresentare la persona ch'egli non è. Figuratamente si è tolta a significare coloro che hanno altro in petto, altro sulle labbra ; e volendo parere probi e piatosi, non chi più di loro dalla probità e pietà si dilunghi. Il Lirano trasse l'etimologia del vocabolo Hypocrita da hypos sub, e crisis aurum (a). Ser Brunetto, nel Fa

(a) Ma zó (ypo) valendo sub e puod (chrisos) aurum, l'etimologia non è spiegata esattamente: pure ciò, che detto è, basta per intendere la ragione che mosse il Poeta a vestire gli ipocriti di cappe dorate.

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volello, assimiglia al rame dorato quelli che vestono la sola apparenza della vera amistà.

Quest'amistà è certa.

Ma della sua coverta Va alcuno ammantato, Come ramo (b) dorato. imagini pigmaiche verso le gigantesche che muovono spiranti e vive dal cervello dell'Alighieri.

dorate di fuori abbaglia. Si accorda in Sì CH'EGLI ABBAGLIA: cioè, quell' esser singolare il verbo con qualunque soggetto inteso nella sua ideale totalità come una sola cosa: il che non è proprio degli Attici,ma e degl'italiani,e di chiunque parla secondo le leggi ideologiche del pensiero. Inf. XXVI, 136:

Noi ci allegrammo e tosto tornò in pianto. cioè, l'esserci allegrati o la nostra allegrezza tornò in pianto.

tutte! (Inf. XVI, 28, nota). TUTTE PIOMBO. Vedi la forza di questo tutte! (Inf. XVI, 28, nota).

CHE FEDERICO ec. Sì gravi erano le cappe degl'ipocriti, che al paragone dir si potrebbero di paglia quelle, (quantunque pur di piombo fossero e ponderose) le quali Federico facea vestire ai rei di lesa maestà; ordinando che loro intorno s'accendesse il fuoco e,struggendosi le toniche, morissero que'miseri tra infernali tormenti (c).

(b) Ramo per rame, si disse anticamente; come il Nostro usò collo, vermo, sorco ec. in luogo di colle, verme, sorce ec. V.Inf.XX1,45,nota.

(c) Federico II Svevo era principe magnanimo, munifico verso i letterati e, per quei tempi, sommamente colto e gentile egli stesso. Se più a lui fosse imputabile tal crudeltà, che non ai ministri sedicenti zelatori de' dritti sovrani; egli non con Farinata tra le arche infuocate (Inf.X); ma posto andrebbe nel cerchio de' violenti, in compagnia di Dionisio, d'Azzolino ec. e d'altri tiranni e bestiali (Inf. XII):

Che dier nel sangue e nell'aver di piglio.

Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
Che Federigo le mettea di paglia.

0 in eterno faticoso manto!

Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
Con loro insieme, intenti al tristo pianto:
Ma per lo peso quella gente stanca

Venia sì pian, che noi eravam nuovi.
Di compagnia ad ogni muover d' anca.
Perch' io al Duca mio: fa che tu trovi

Alcun, ch' al fatto o al nome si conosca,
E l'occhio, sì in andando, intorno muovi.
Ed un che intese la parola Tosca,
Diretro a noi gridò: tenete i piedi,
Voi, che correte sì per l' aura fosca:
Forse ch' avrai da me quel che tu chiedi.
Onde 'l Duca si volse, e disse: aspetta,
E poi secondo il suo passo procedi.

68-69. CI VOLGEMMO: ci movemmo in giro per la bolgia Insieme con loro. ANCOR PURE: o pur anche, ovvero ancor sempre (pur, sempre v. XIV, 126); poichè tengono i Poeti a sinistra fintanto non sieno usciti alla montagna del Purgatorio.

TRISTO: mesto; ma forse il Poeta dà qui al PIANTO degli ipocriti l'epiteto che Cristo diè loro nella Bibbia.

71-72. ERAVAM NUOVI ec. Ad ogni passo avevamo allato nuovi compagni; andando noi presti, ed essi tardi: ovvero, secondo quel lo era nuovo in questo stato (Inf. IV, 52): la nostra compagnia, l'andare insieme con alcun di quelli, era per un istante, cioè per quanto tempo ponevamo a dare un passo. La quale esposizione non sarebbe priva di moralità.

74. ALCUN, CH'AL FATTO ec. di cui ne sia nota qualche famosa azione, o il nome. Il Lombardi riflette molte azioni ricordarsi nelle storie, ignorandosi pure o essendo incerti i nomi di coloro che le operarono. Varianti. C'al fatto il nome, ediz. del Burgofr. Ven. 1529; Rivelliana, Lion. 1551; Sansov., Ven. 1564; cod. Vat. n. 3199; Varior. del Witte. Il cod. Caet. fatto al nome. Il Cassin. concorda con la comune da noi seguita. Non

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è da preterire la lettera del testo Bargigiano:

Alcun, che il fatto e il nome si conosca.

con questa esposizione: Alcuno, del quale il fallo e il nome si conosca, sicchè noi conosciamo il nome suo e il peccato per lo quale sia dannato. Il Poeta chiederebbe in inferno di conoscere il nome dell'ipocrita e i fatti ch' egli con tanto studio seppe ricoprire sotto il contrario manto. Dippiù, Cristo Signor nostro parlando de' falsi profeti, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces, ci dà il segno per conoscerli: a fructibus eorum cognoscetis eos. Matth. VII.

77. TENETE I PIEDI: ristate; arrestate, Vestigia tenere. Virg. En. V, 331: fermate il passo; non correte tanto.

Hic juvenis jam victor ovans vestigia presso
Haud tenuit titubata solo; sed ec.

79. AVRAI DA ME. Pensatamente il Poeta chiede a Virgilio e finge che altri sodisfaccia alla sua inchiesta; poichè tra i Romani antichi non ebbe preti nè frati, la cui impostura fosse più rea della loro religione.

AVRAI è detto al solo Dante; ad ambedue i poeti: Tenete i piedi (v. 77).

QUEL CHE CHIEDI: il nome e il fatto. Dante lo ripete v. 97-99, e il dannato fa la risposta piena (vv. 103-108).

Ristetti, e vidi duo mostrar gran fretta
Dell' animo, col viso, d' esser meco;
Ma tardavali 'l carco e la via stretta.
Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola;

Poi si volsero in sè, e dicean seco:
Costui par vivo all'atto della gola:

E s' ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoverti della grave stola?
Poi disser me: o Tosco, ch' al collegio

82-83. GRAN FREtta dell'animo: gran. de ansia, desiderio. CoL viso; agli occhi o al sembiante; perchè non valevano a significare quel desiderio accelerando il passo. La lez. del testo Bargigi: mostrar gran fretta Nell' allo lor del viso rende più piano il concetto; nè farebbe che la frase fosse quindi a poco quasi ripetuta nel verso 88.

84. IL CARCO: il carico delle cappe. LA VIA STRETTA: Occupata da altri che innanzi a sè andavano, o tale in rapporto al gran numero degl'ipocriti e alle grandi cocolle: due cagioni che tardavan Toro il passo, e addoppiavan la pena.

85. CON L'OCCHIO BIECO: qual ragione di ciò? Se ne possono assegnar due, l'una è resa dal Poetastesso nel terzetto 88-90; l'altra può esser questa: che gl' ipocriti guardano come i becchi: transversa

tuentibus hircis.

86. MI RIMIRARON: mi guardarono più volte con maraviglia.

87. SI VOLSERO IN SÈ ec. Si volsero l'uno verso l'altro. - DICEAN SECO: cioè tra loro, l'un con l'altro,non mica in sè a questo luogo.

88. ALL' ATTO DELLA GOLA ec. Perocchè gli gonfia, o cala la gola, come suol fare ai vivi per lo spirare e respirare. Bargigi. Forse un fisiologo chiamerebbe questo atto della gola la funzione vilale dell'organo, mentre si parla e si respira.

90. GRAVE STOLA: la cappa di piombo. STOLA fu veste lunga ed intera usata dagli uomini appo i Greci, dalle donne appo i Romani. Qui è presa la voce per

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vestimento in genere, e usata figuratamente a significare l'abito fratesco.

91. POI DISSER ME: cioè a me. Così:

Risposi lui ec. Inf. I, 81, nota. E qui a

me, non mi, vuolsi più regolatamente adoperato, essendo due, Virgilio e Dante, ai quali il discorso potea esser diretto; e il pronome si usa ab antico, meglio della particola pronominale, a dinotar cotesta separazione,come a dire: dissero a me, non a lui. Il Lombardi legge dissermi colla Nidobeatina; disse a me il testo Bargigiano. Disserme il Bartoliniano, e il Cassinese. Dissermi l'ediz. del Fulgoni, Rom. 1791; della Minerva, Pad. l'ediz. de Romanis, Rom. 1822, e il cod. 1822, e le varior. del Witte. Mi disser della Bibl. Real. di Berlino. Disser me hanno tutti gli altri codici veduti da G. B. Niccolini, dal Borghi, dal Capponi e dal Becchi: lettera perciò accettata da tutt'i moderni comentatori, e ritenuta da noi.

AL COLLEGIO. Collegio per congregazione, società, compagnia. Tutti gl'ipocriti del mondo si ragunano in quella bolgia, siccome dei dannati in genere disse il Poeta:

Quelli che muoion nell'ira di Dio Tutti convegnon qui d'ogni paese. COLLEGIO poi è da colligere in senticonstrinmento di cogere, congregare, gere. V'è ben messo; anche alludendo il Poeta agl'ipocriti, che son figurati nella zizania nata tra le buone spighe, e della quale G. C. ordina, Matth. XIII: Colligite primum zizania, et alligale ea in fasciculos ad comburendum, trilicum autem congregate in horreum meum.

Degl' ipocriti tristi se' venuto,

Di chi tu se'; non n' avere in dispregio.
Ed io a loro: io fui nato e cresciuto

Sovra' bel fiume d' Arno alla gran villa,
E son col corpo ch'i' ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
Quant' io veggio, dolor giù per le guance?

92. IPOCRITI TRISTI: frase evangelica (Matth. VI, e altrove) applicata ai Farisei dell'antica Sinagoga; progenies viperarum (Matt. XII) non anco spenta. Notisi che non prima d'ora finge il Poeta aver saputo che quelli fossero ipocriti; per dare ad intendere quanto difficile sia co

noscere cotestoro.

93. DIR CHI TU SE' NON AVERE IN DISPREGIO leggono i più con la Rivelliana, Lion. 1551 e con l'ediz. del Burgofr.

Ven. 1529 ec. ma:

Di chi tu se'; non n'avere in dispregio. è la lettera del cod. Vat. n. 3199; del Cassinese; del cod. Filippino (sec. XIV), del cod. di S. Croce e delle quattro prime ediz. 1472, 1474 riprodotte a cura di Lord Vernon. Noi questa lezione preferiamo all'altra, tanto perchè fiancheggiati dall' autorità di testi sì preziosi, quanto perchè il verso ha più efficacia, e rende più piano il concetto del Poeta. Quei due non dicono: ti piaccia dirne chi tu sei, nè: non avere a vile dir chi tu sei; ma: di chi tu sei; non ci aver tanto in dispregio che tu non ti degni di appagare questo nostro desiderio. Così nel C. XVI, Jac. Rusticucci: Deh, se miseria d'esto loco sollo Rende in dispetto noi e nostri preghi, e'l tinto aspetto e brollo;

La fama nostra il tuo animo pieghi A dirne chi tu sei, che i vivi piedi Così sicuro per lo Inferno freghi. 94. I' FUI NATO E CRESCIUTO: nacqui e crebbi. (C. V, 97, nota).

95. SOVRA 'L BEL FIUME ec. Il Tasso: Gerus. lib. VII, 76: Sul Tago il destrier nacque.-BEL FIUME. Virg. Georg. II.137: Nec pulcher Ganges,atque auro turbidus Hermus Laudibus Italiae certent.

GRAN VILLA. Gran epiteto necessario per distinguere Firenze da Pisa (a) an

(a) Fra Guittone: 0 miseri miserissimi disfiorati, ov'è l'orgoglio e la grandezza vostra, che quasi sembravate novella Roma, volendo tutto

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che bagnata da Arno. VILLA per cillà (C. I, 109). L'usarono i Latini nel quinto secolo. Rut. Numaziano nel suo itinerario: Nunc villae ingentes, oppida parva prius. Quindi alcuno de'nostri antichi adoperò nel detto sentimento la voce Villa, che oggi è propria della lingua francese. E i nostri antichi, anteriori a Dante, distinsero il significato de' due nomi. Bono Giamboni, Volg. Vegez. Lib. I, Cap. III: Seguitasi che veggiamo onde è più utile il cavaliere trarre, della città o della villa.

96. SON COL CORPO ec. non fittizio, come quello di Virgilio. In sentenza: son vivo. Ho SEMPRE AVUTO: male sarebbe stato ebbi. Ecco il vero ufficio del passato prossimo, quello cioè di considerare intero e non interrotto il tratto del tempo, in cui trovasi colui che favella. HO AVUTO è qui riferito a tutti gl' istanti passati da trentacinque anni innanzi che Dante nato era, al momento in cui egli parlava.

97-98. DISTILLA... DOLOR GIÙ PER LE GUANCE. DISTILLA: cade a stille. Il Tasso Gerus. IV, 76:

Ma il chiaro umor che di si spesse stille Le belle gote e 'l seno adorno rende ec. DOLOR, lacrime, C. XVII, 46, nota.Torquato, loc. cit. st. 77, di Armida che piagne:

Questo finto dolor da molti elice Lagrime vere, e i cor più duri spetra. e di Erminia C. VII, 16:

Quinci versando da' begli occhi fuora
Umor di doglia cristallino e vago
Parte narrò di sue fortune...

Il Petrarca, Ball. V, part. prima:

Convien che 'l duol per gli occhi si distille. Il Biagioli reputa divine le locuzioni di questo trinario.

soggiogare il mondo? E il Poeta nel Convito appella Fiorenza bellissima e famosissima figlia di Roma.

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