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Però si mosse, e gridò: tu se' giunto.
Ma poco valse; chè l' ali al sospetto

Non potero avanzar: quegli andò sotto,
E quei drizzò, volando, suso il petto:
Non altrimenti l' anitra di botto,

Quando 'l falcon s' appressa, giù s'attuffa,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto.
Irato Calcabrina della buffa,

Volando dietro gli tenne, invaghito
Che quei campasse, per aver la zuffa.
E come l barattier fu disparito,

Così volse gli artigli al suo compagno,
E fu con lui sovra 'l fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno

Ad artigliar ben lui; ed ambedue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermitor subito fue:

Dopo tali accorgimenti, provate se la lettura di que' versi non vi sarà più a grado, non si trovi più spirito di poetica fantasia.

Che quel difetto fosse una fuga brillante fatta, con astuzia maggiore di quel la di dieci diavoli, dal tristo barattiere che campava dalle male branche, mi pare vederlo senza contrasto chiarito abba

stanza da' seguenti versi di Orazio (Lib.

IV, Od. 4):

Cervi, luporum praeda rapacium, Sectamur ultro, quos opimus Fallere et effugere est triumphus. 126. SE' GIUNTO: raggiunto, preso.

127-128. L'Ale al sospettO NON POTERO AVANZAR. L'alato dimonio non potè entrare innanzi all'impaurito Ciampolo. Il timore rese questo più veloce a sbiettarsela, che volando non fu quegli a inseguirlo. SOSPETTO per timore, V. Inf. III, 20 - X, 57, note.

133. BUFFA: beffa. Inf. VII, 61 nota. 134. INVAGHITO: contento e lieto. Barg.- Bramoso. La Crusca.- Qui meglio s' acconcia la prima esposizione.

GLI TENNE DIETRO... PER AVER LA ZUFFA. Cioè: Calcabrina di volo tenne dietro ad Alichino finchè il potesse raggiugnere e seco azzuffarsi; come fece.

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136. COME... FU DISPARITO: non appena Ciampolo s'immerse nella pece e disparve, che Calcabrina ec.

138. FU GHERMITO: s'afferrò con li artigli ad Alichino: FU visto GHERMITO, cioè attaccato, afferrato. E vedi anche Inf. V, 97, nota.

139. SPARVIER GRIFAGNO. Ben uso al

la caccia. V. Inf. IV, 123, nota.

142. SghermitOR. Verbale da Sghermire contrario di ghermire; e però vale partitor della zuffa: il caldo, cioè, o il bollor della pegola fu cagione che gli azzuffati si sciogliessero.- Varianti. Schermidor Cod. cassin.; del Zatta, Ven. 1757; delle varior. del Witte. Schermitor, del Sansov. Ven. 1564; delle quattro prime ediz. di Foligno, Mantova, Jesi (1472), e di Napoli 1474; del codic. Filippino (sec. XIV); di quel del Caet. e del Boccaccio. Sulla lezione de' quali testi non sarebbonsi dovute tanto assottigliare le menti del Lombardi, del Monti, e de' più moderni comentatori, che incolpano la Crusca d'avere accettata la lettera schermidor. Or qui tocchiam di volo, che cernendo le cose, schermidore e sghermidore furon tutt' uno, come scherma, scrima, scrimaglia partirono dalla medesima origine che scriminatura,la quale significa partizion di capelli (addi

Ma però di levarsi era niente,
Si avieno inviscate l' ali sue.
Barbariccia con gli altri suoi dolente

Quattro ne fe volar dall' altra costa
Con tutti i raffi, ed assai prestamente
Di qua di là discesero alla posta:

Porser gli uncini verso gl' impaniati, Ch' eran già cotti dentro dalla crosta: E noi lasciammo lor così 'mpacciati.

Sesta bolgia: gl' Ipocriti.

CANTO XXIII.

Colloquio con Catalano e Loderingo frati Godenti.

Taciti, soli, e senza compagnia

N' andavam l'un dinanzi e l' altro dopo,
Come i frati Minor vanno per via.

Volto era in su la favola d' Isopo

Lo mio pensier, per la presente rissa, Dov' ei parlò della rana e del topo: Chè più non si pareggia mo ed issa, Che l' un con l' altro fa, se ben s' accoppia Principio e fine con la mente fissa:

rizzatura): e valsero l'arte di parare i colpi dell'avversario, cioè separarli da sè, difenderli, impedirli. E atteso bene alle voci cernere, discrimen, crimen ec. che tanto paiono dalle prime diverse; vedranno forse i dotti, che le quistioni agitate sulle voci anzidette non ebbero alcun solido fondamento.

143. Era niente. V. Inf. IX, 57, nota.

144. AVIENO per aveano, o avevano. V. Inf. XVIII, 37, e Purg. XXXII, 4.

INVISCATE COME IMPANIATI (V. 149) son voci relative propriamente al visco e alla pania; ma per Catacresi adoperate dal Poeta a significare la tenacità della pece, simigliante a quella del visco e della pania,ove chi s'impiglia non di leggieri se ne distriga.

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COME Si rattacca con TACITI. Taciti come vanno i frati ec. — L'un dinanzi, e l'altro dopo non fu de' frati che andarono a coppie; ma l'usato modo de' due poeti. Inf. I, 136—IV, 15—XI, 112 XIV, 140 - XV, 97-98 · XVI, 91 XVIII, 21, e in più altri luoghi. D'altronde nemmanco sarebbe strano pensare, ch'eglino camminassero l' un dopo l'altro siccome intende il P. d'Aquino: Alvernicolae, pia turba, sodales sic bini incedunt.

4-9. La rissa fra Calcabrina e Alichino, che artigliandosi (C. XXII, 133-141):

Cadder nel mezzo del bollente stagno

richiamò alla mente del Poeta la favoletta esopiana; la quale narra: come la Rana,

sotto specie di passare il Topo all' altra riva d'uno stagno,sel recò sulla schiena; ma venuti nel mezzo, in quel ch'essa traeval sotto a sommergere, contendendo l'altro, ed eccoti il Nibbio far d'ambedue una preda.

E come l'un pensier dell' altro scoppia,
Così nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fe doppia.
Io pensava così: questi per noi

Sono scherniti, e con danno e con beffa
Si fatta, ch' assai credo che lor noi.
Se l'ira sovra 'l mal voler s' aggueffa,
Ei ne verranno dietro più crudeli,
Che cane a quella levre ch' egli acceffa.

Mo ed Issa. Si pareggiano son pari nel significato, valendo mo (Lat. modo) ed ISSA (ipsa hora) entrambi lo stesso che ora, adesso. Issa è vocabolo milanese. Anche (Purg. XXIV, 55) Bonaggiunta da Lucca:

O frate, issa vegg'io.,. il nodo

Che il Notaio, e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
E nell'Inf. XXVII, 20-21:

che parlavi mo lombardo

Dicendo: issa ten va, più non t'aizzo.

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16. L'IRA SOVRA IL MAL VOLER S'AGGUEFFA. Altrove (Inf. XXXI, 55 seg.): Chè dove l'argomento della mente S'aggiugne al mal volere ed alla possa Nessun riparo vi può far la gente. MAL VOLER, mala volontà, malvagia indole; i diavoli non posson volere il bene.

AGGUEFFARE è filo a filo aggiungere come si fa ponendo lo filo dal gomito alla mano, o innaspando coll' aspo.

L'UN COLL'ALTRO: l'una cosa con l' al-Buti. Gueffo voce antica in sentimentra; l'un caso con l'altro ec. Sentenza: to di balcone o ringhiera; epperò quasi i due fatti, chi attentamente gli confron- un'aggiunta al muro principale. Venturi. ti dal principio al fine, parranno tanto Poggiali. S' AGGUEFFA, s'aggiugne. simili; che più conformi tra loro non so- Bargigi. AGGUEFFARE, congiugnere. no mo e issa, quanto a significato. Volpi.

10. Scoppia ec. nasce, sboccia; come l'uom suole da un pensiero rapidamente passare in un altro e con successione tanto istantanea, quanto lo scoppio improvviso d'una saetta. Con che s'allude anche all'effetto del nuovo pensiere, che raddoppio nell' animo del Poeta la prima paura (v. 12).

13-15. IO PENSAVA così: Vedi come il Poeta ti fa entrare nel suo pensiere. Così Virgilio accenna la sermocinazione di Giunone, En. I, 37: Haec secum... che il Caro reca nel solo disse, e il Lalli nelle parole:

Così fra se farneticando disse. PER NOI.Non v'ha dubbio che il per vale sovente da; ma qui il per noi non importa che per nostra cagione, alludendosi alla beffa che Ciampolo (canto prec.) seppe fare ai diavoli, e al danno ch' ei ricevettero, vuoi per la caduta di Calcabrina ed Alichino nel fosso della pece, e vuoi che tale impaccio tolse loro dai graffi la sperata preda del vivo Poeta.

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Ma, secondo ci avvisa, il vocabolo è di origine gotica o longobarda; poichè in quelle lingue (Murat. Rer. it. Script.tom. I, P. II) le voci Giufa, Guipha, Wippe, Wiffa significano signum ex panno. Unde verbum GUIFARE insigne proprietatis apponere. Quindi paion venute a noi le voci del dialetto Calabro Ghiffula e del Romagnuolo Ghèfula, che significano una di quelle manelle o piccole matasse,che avvolgonsi intorno al gomitolo, l'una sull'altra apponendosi: Biffa per (frisone), arnese da livellatori; per Sigillo che l'autorità pone alle porte de' falliti ec.; e Biffare che in istil segretariesco si è usato in sentimento di apporre il suggello. M. d'Ayala, G. Valeriani.

18. ACCEFFA. Le è sì presso, che col ceffo la tocca; già già l'afferra col muso. I Poeti scampati dagli uncini sarebbero stati inseguiti da' dimoni con furia più crudele, che non va il cane levriere dietro a quella lepre, alla quale dà del ceffo, e corre più incagnato di non po

Già mi sentia tutti arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento,
Quand' io dissi: Maestro, se non celi
Te e me tostamente, io pavento

Di Malebranche; noi gli avem già dietro:
Io gl'immagino sì, che già gli sento.
E quei s' io fossi di piombato vetro,
L'imagine di fuor tua non trarrei

Più tosto a me, che quella d' entro impetro.

terla abboccare. Mirabile similitudine che s'accorda bene col senso allegorico per noi avvertito nel canto precedente.

19. TUTTO ARRICCIAR LI PELI. Il testo Barg. ha tutti con molti altri pregiati; il Cassinese tucti. Leggendo co' più TUTTO come la Nidobeatina, a noi par di vedere in questo verso una locuzion greca. Arricciare è per addrizzare: onde aggricciare, aggrizzare, irrigidire, aggrinzire ec. per paura; di cui suol'essere effetto brivido, ribrezzo, (Inf. XVII, 85 XXXII, 71) o gricciolo; che in molti nostri dialetti si dice grizol, sgrìzol; Ingl. grisly.

22. IO PAVENTO: ho gran paura. Il cod. Vatic. 3199 ha i'ho pavento, e così legge la Crusca ec. e il più de' comentatori moderni. Noi non neghiamo che pavento, in senso di forte timore, possa esser sustantivo come dimoro, dimando, lodo, dubito, vejo ec. per la dimora, la dimanda, la lode, il dubbio, la vista ec.; ma la nostra lettera è del Bargigi, del Codice Cassinese (a) e ci pare preferibile all' altra, sulla fede, nonchè dell' ediz. della Minerva, Pad. 1822, e della Fulgoniana, Rom. 1791; ma delle prime quattro (1472 e 1474) fatte ristampare dal Vernon, Lond. 1846; del testo Filippino (XIV sec.), del cod. Caet.; di quel della Bibl. Real. di Berlino, e della Nidobeatina seguita dal Lombardi. IO PAVENTO hanno altresì il Bartoliniano, i Pucciani 1, 3, 7, 8, 9, 10, i Riccardiani 1004, 1024, 1025, 1026, 1027; i Patavini 2, 62, e i mss. Frullani e Poggiali, tuttochè IO HO PAVENTO fu più a

(a) Comunque questo potè al solito avere io in iscambio di i' o per io ho.

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grado al Venturi, a G. B. Niccolini, al Bianchi e al Tommaseo.

24. IMAGINO... SENTO. Nota differenza tra l'immaginazione e la sensazione, tra la fantasia e la realtà. Io, par dica il Poeta, gli ho si dipinti nel pensiero, che sembrami vederli. Il suo immaginare era vivo, come viva ed efficace è l'impressione attuale de' sensi, sempre di più forte effetto, che non è quello de' soli fantasmi. E qui sento importa vedo, odo lo scalpitare ec. usato figurat. il genere per la specie della sensazione.

Questo verso dipinge il poeta, dice l'égregio Tommaseo.

25-27. PIOMBATO VETRO e non impiombato abbiamo scelto pel nostro testo; perchè così hanno le prime quattro edizioni (1472, 1474) di Jesi, Foligno, Mantova e Napoli; il cod. Filipp.(sec. XIV); quello di Santa Croce; e di M. Cassino. Dante stesso (Convit. pag. 139): Specchio, che è vetro terminato con piombo ec. E questo è quello, perchè nel vetro piombato la immagine appare, e non in altro.

La sentenza di questi versi è: Se io fossi specchio, non riceverei in me più presto e sì chiare le tue sembianze esterne, l'imagine della tua persona; come io penetro la tua immaginazione, e vedo lo spirito che crea in te la forma fantastica de' diavoli, ond' hai paura. Con questa potenza dello spirito di Virgilio che col guardo suo:

addentro spia

Nel più secreto lor gli affetti umani. non vediamo come si concilii la chiosa di quell' IMPETRO fatta da' dotti: scolpisco profondamente e saldamente ritengo. Venturi. Attraggo e stampo in

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Pur mo venieno i tuoi pensier tra i miei
Con simil atto e con simile faccia,

Si che d' entrambi un sol consiglio fei.
S' egli è che si la destra costa giaccia,

Che noi possiam nell' altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l'immaginata caccia.
Già non compio di tal consiglio rendere,
Ch' io gli vidi venir con l' ali tese,
Non molto lungi, per volerne prendere.
Lo Duca mio di subito mi prese,

Come la madre ch' al romore è desta,
E vede presso a sè le fiamme accese,
Che prende 'l figlio e fugge e non s' arresta,

me come in pietra. Bianchi. Formo rilevata come in pietra. Tommaseo. Perocchè, sebbene il Poeta (Purg. XIV, 22-23) usi la frase accarnare lo intendimento con l'intelletto; ed il Petrarca imaginando scolpisca in parte: qui pure sembra che si materializzi di troppo l'incorporeo, usando nonchè accarnare o scolpire, ma impetrare,cioè tramutare e indurare qual pietra. Il v. 29 che dà atto e faccia al pensiero, accenna un'idea, un concetto, cui quasi imagine dell' anima, si attribuiscono figuratamente atti, colori e fattezze; ma parrebbe un abusare i traslati, facendo che una forma spirituale induri qual pietra sotto la potenza di Virgilio, che intuisce le altrui cogitazioni ed è un di coloro (Inf. XVI, 119 seg.):

che non veggon pur l'opra

Ma per entro i pensier miran col senno.

Adunque senza quella fatica fabbrile, daremo alla voce impetro la significazione che le è propria: cioè di acquistare, come vogliono il Lombardi e il Torelli; ovvero di rem quamvis perficere, quasi come un disegno che delineato s' incarni e si porti alla sua perfezione: che sarebbe appunto l'accarnare con l'intelletto.

28-29. PUR MO ec. Pur ora i tuoi pensieri io vedeva perfettamente conformi ai miei, CON SIMIL ATTO in rapporto alla potenza onde mossero, E CON SIMILE FACCIA, quanto alla loro manifestazione. Partiron dunque da simiglianti principi a uno stesso termine.

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30. D'ENTRAMBI UN SOL CONSIGLIO FEL. Parendo a me ciò che pare a te, d' entrambi i pensieri... ho fatto una sola deliberazione. Bargigi.— I pensieri di Dante venivano alla mente di Virgilio; e questi... combinandosi perfettamente co' pensieri di lui stesso (di Virgilio) si risolverono tutt'insieme in una medesima deliberazione. Bianchi. L'esposizione del Lombardi è: per entrambi presi un sol consiglio; cioè per bene di entrambi. Convito (pag.159): Nell'amistà si fa uno di più. E perocchè le cose congiunte comunicano naturalmente intra se le loro qualità, intantochè talvolta è, che l'una torna del tutto nella natura dell'altra; incontra, che le passioni della persona amata entrano nella persona amante, sicchè l'amor dell'una si comunica nell'altra, e così l'o

dio, e 'l desiderio, e ogni altra pas

sione.

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