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Ch' io mi sia tardi al soccorso levata,

Per quel, ch' i' ho di lui nel cielo udito.

Or muovi, e con la tua parola ornata,

E con ciò che ha mestieri al suo campare,

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all'idea d'un danno o pericolo che crede Cavalcanti; salvo ch'egli non intendesse soprastargli.

Onde il Pocta, di Sordello, che intese lui esser ito vivo in Purgatorio, dice: Purgat. VIII, 61:

E come fu la mia risposta udita, Sordello ed egli indietro si raccolse, Come gente di subito smarrita. Vive tuttodì tra i nostri contadini la voce Smarrare per Assolligliare un legno o altro simile. Eppure Smarrare è lo stesso Smarrire volto dalla terza alla prima conjugazione, come di mille altri verbi si è fatto.

Si dice ancora tra il popolazzo Fare un marrone ed Ammarrunare per dare in errore o in uno sbaglio, onde ne vien danno e perdita della fatica e de' mezzi, che ad un proposto fine si erano ordinati. Jacopo da Lentino:

E stando gaio divento smarruto. cioè tristo.

Del resto smarrito, tolta la fig. da colui che perde la via, nè sa per dove muovere i passi, vale anche confuso.

Ristoro d' Arezzo, che fiorì verso il 1282, scrivendo (Distinz. 8, cap. 4) dei mirabili antichi vasi aretini: En (in) li quali se (si) trovavano scolpite, e designale tutte le generazioni delle plante (piante) e delle follie e delli fiori, e tutte le generazioni delli animali mirabele e perfettamente, e altre nobelissime cose, sicchè per lo diletto facieno smarrire li conoscitori.

67. Lapo Gianni a una sua Ballata:
Poi se'nata d'Amore, ancella nuova,
D'ogni virtù dovresti essere ornata,
Dovunque vai, dolce, savia, ed intesa:
La tua vista ne fa perfetta fede;
Però dir non ti compio l'imbasciata,

Che spero sei del mio intelletto appresa ec.
Alla sua Canzone sulla natura d'Amo-

re così Guido Cavalcanti:

Tu puoi sicuramente gir, Canzone, Dove ti piace: ch'io t'ho sì adornata, Che assai lodata - sarà tua ragione Dalle persone ch'hanno intendimento. Ed io mi son uno di cotestoro a cui non è avviso trovarsi dramma d'ornato poetico o leggiadria nella canzone del

dire, come spiega Vinc. Nannucci: « Io « t'ho per modo piena di filosofia, e di << ragioni e dimostramenti naturali... e «< con sì bello e dotto ordine proposta e << provata in te ogni mia conclusione, << che tu puoi andar sicuramente ove ti << piace >>. Beatrice direste che favellasse a Virgilio come il trobador alla sua Chansons: ma Dante invero, acuto nell'invenzione, seppe dalla sdolcinata monotonia dello sdilinquito favellare dei poeti vagheggini, trarre freschi e vivi colori, e la gravità delle sentenze abbellire con la vaghezza e con la spontanea leggiadria dello stile..

Non è però da intendere che la parola del Poeta Mantovano fosse ornata come quella del Cavalcanti; ch'egli non si sarebbe leggermente tratto dietro il Fiorentino, per le spaventose bolge del Tartaro; e nemmanco gli avrebbe porto esempio del bello stile che gli ha fatto onore. Muovi detto elegantemente senza l'affisso.

Muovere n. è partirsi d'un luogo. Ser Brun. Latini Rettor. Tull. Le quali cose tutte convengono muovere dalla costituzione. Il testo ha: a constitutione proficiscantur. Muovere si accomoda egualmente bene al senso proprio di partirsi, che al figurato prendere origi

ne, nascere ec.

Giovanni dall' Orto, arctino, che fiorì nel 1250:

Ballata, io prego te per cortesia

Che muovi tostamente

E vadi avanti a mia donna gentile ec.
Muovi con tua manera ec.

Il Poeta, Inf. II, 101:

Si mosse, e venne al loco dov'io era.

Inf. XXVI, 79-83:

O voi, che siete duo dentro da un fuoco ec. Non vi movete; ma.

cioè: ristate, fermatevi, attendete ec. Enzo Re usa anche senz'affisso il detto verbo:

Ond'io prego soave

Pietà che mova a gire
E faccia in lei riposo ec.

L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata. I' son Beatrice, che ti faccio andare: Vegno di loco, ove tornar disio Amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al Signor mio, Di te mi loderò sovente a lui. Tacette allora, é poi comincia' io : O Donna di virtù, sola per cui

74. Lapo Gianni, contemporaneo ed amico di Dante:

Eo laudo Amor di me a voi, amanti,
Che m'ha sor tutti quanti meritato,
E'n sulla rota locato vermente.

76. Parole che il poeta pagano pronunzia con intendimento ben altro da quello del poeta cristiano. Virgilio ammira la Donna che lascia il suo beato scanno e scende in Inferno, per muover lui ad andare in aiuto di Dante. Vede ch' ella compie così un atto di virtù più che di dovere, nel porre in periglio la propria, per l'altrui vita. Così almeno egli pensa; onde gliene muove dubbio nei versi 82 e segg. (V. le chiose ai vv. 76, 77, 78 di questo Canto). Or questo, anche a lume di ragione, e secondo la teorica degli offici trattata da' savi del gentilesimo, pareva ed era un amore sovrumano e simile a quella Carità, di cui Cristo N. S. disse che non ha la maggiore: Majorem hac charitatem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis. Laonde le dice: O donna di virtù ec. (a) cioè ornata di quella virtù per cui sola gli uomini al di sopra della sfera lunare si elevano e s' avvicinano agli immortali. Lo stesso Cicerone, sebbene filosofo gentile, dice: Niente è di qua se non mortale e caduco, tranne le anime umane: sopra la Luna eterna è ogni co

(a) Anche la Scrittura usa le locuzioni Rex gloriae, Vir dolorum ec. Il Re della gloria, l'uomo de' dolori ec. I latini: Magnae virtutis vir ec. per Uomo di gran valore ec. Dante nella Vita nuova: La reina della gloria, per reina gloriosa: e così qui, Donna di virtù per Donna virtuosa. Noi Uomo, o Donna d' onore, invece di Uomo onorato, o Donna onorata, ec. Guido delle Colonne :

Cosi, donna d'onore,
Lo mio gran sospirare
Vi poria certa fare

Dell'amorosa fiamma, ond' eo so involto.

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sa (b). E il sublimi loco nalus; l'illustris; e il tollere o ferre ad sidera, e il sublimi feriam sidera vertice ec.ec.son tutti de' modi, che inchiudono l'idea d'un innalzamento dalla melma di questa terra, concesso a coloro soltanto che fra gli uomini si sono eminentemente segnalati per la virtù. Le stesse apoteosi, onde vennero appo i gentili moltiplicati gli Dei, non furono che atti di riconoscenza che gli uomini manifestarono agli eroi; nè la viltà romana appellò Divi i tiranni, senza almanco supporre in quelli o per sentimento o per adulazione, la virtù ed il valore, soli titoli che sollevano gli uomini al di sopra della loro sfera.

Virgilio potette bene impertanto elogiare Beatrice con le belle parole racchiuse nella preallegata terzina.

Ma Dante poi, quando fece così parlare il suo Duca, volgeva in mente alcuna cosa di più perfetto e di più sublime. Beatrice non è pel poeta latino più che una donna beata e valorosa; pel poeta italiano è un mito, un simbolo che personifica la Teologia. Egli fa parlare Virgilio, ma in quelle parole vuol che sia espresso anche l'intendimento di chi gliele pone in bocca: ed in ciò, vedi sublimità !, è la ragione umana che riconosce la Teologia, è l'autore d' un poema sacro che stringe a riconoscerla quel famoso autore d' un poema profano.

Imperocchè il fare a Beatrice attribuir quella virtù ch'è sola per cui L'umana spezie eccede ogni contento Da quel ciel che ha minori i cerchi sui, a che altro accenna che alla Fede, la quale è fonda

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L'umana specie eccede ogni contento
Da quel ciel ch' ha minori i cerchi sui;
Tanto m'aggrada 'l tuo comandamento,

mento della Speranza e germe della Ca-
rità che l'avviva? (a) Senza la Fede nulla
sarebbe della Rivelazione, della Religio-
ne, della Teologia. La Fede discende da
Dio e fa che a Dio s'ascenda travalican-
do ed eccedendo l'angusto cerchio della
sfera sublunare infino alla contemplazio-
ne dell'infinito. Levata la Fede, date un
lungo vale al divino afflato, alla Bibbia;
e siate certi che l' uomo per quanto al-
tiero vada, superbo e burbanzoso di sua
ragione; si striscerà come lurido serpen-
te sul fango terrestre, e nulla piu aspet-
terà che la casuale metamorfosi della

(a) Per queste parole dette da Virgilio è d'uopo ben per tempo formarsi il concetto della Beatrice, che sotto il nome della figliuola di Folco Portinari, adombra l'idea della Rivelazione, della Teologia e delle virtù che le son proprie,tra le quali la Fede; e domina con questo simbolo in tutta la orditura allegorica del Poema. A convincersene basta por mente a questi pochi versi che riferiamo traendoli dal Paradiso (XXXI, 79 seg.). Quivi volge le sue pa

role a Beatrice il Poeta e le dice:

O donna, in cui la mia speranza vige E che soffristi per la mia salute In Inferno lasciar le tue vestige ec. Per chi va buccia buccia secondo l' ovvio e letteral senso che suonano i vocaboli, qui Danto altro non intende, se non che significare come pone egli tutta speranza in colei che,per salvarlo dalla Selva, discese nel Limbo, e mandò Virgilio in aiuto di lui che periva. Ma chi più s' addentri e n'esamini sottilmente lo spirito della lettera, troverà che in questi tre versi è viva la figura della Teologia o della Fede, o vuoi della Rivelazione. Imperocchè la Fede e non altra è quella, in cui ha vita e vigore la Speranza; non v'essendo chi speri senza credere: e quella della verace Teologia, contemplatrice della Divinità, è Fede viva per' opera dell'Amore o della Carità (Fides sine operibus mortua... S. Paolo...). Or dal secondo e terzo verso si manifesta che la Fede congiunta a virente Speranza era in Beatrice tutta vita, in virtù dell'Amore che opera l'altrui bene e pone tutto sè al nobile intento dell'altrui salute. Il verso 76 e seg. del Purgatorio (XV) conferma il fin qui detto, e se ne rischiara esso stesso. Qui Virgilio a Dante che adunava sempre dubbi nella sua mente: E se la mia ragion non ti disfama

Vedrai Beatrice, ed ella pienamente Ti torrà questa e ciascun' altra brama. E più che altrove dalla sua vesta ci si dà a conoscer chi fosse la Beatrice (Purg. XXX, 31 seg. ).

E Virg. stesso (Purg. VII, 24):

Virtù del ciel mi mosse e con lei vegno.

materia, la quale gli liga lo spirito, che non riconosce l'altezza del proprio fine.

Il Tommaseo notò, dalla Somma, in questo luogo: che le cose note per la rivelazione eccedono l'umana ragione, che la beatitudine è un bene che eccede la natura creata, e che per la Scienza delle cose supreme (qual'è la Teologia o Beatrice) l'uomo sovrasta a quanti enti sono sotto la luna.

Questa vuol esser dunque la donna di virtù secondo la mente dell' Alighieri : quella che altrove chiama Donna di cortesia (Vit. Nuova). La locuzione è tratta dalla Scrittura santa (Ruth. III, 11):

Mulierem te esse virtutis

e più felicemente che mai, a commendare l'officio di colei (l'Ottimo) per la quale l'uomo trapassa ciò che si contiene dal cielo della luna.

Anche Torquato Tasso s'ispirava al valor della Fede quando la rinata Clorinda dice in sogno a Tancredi :

Tale io son tua mercè, tu me da' vivi
Del mortal mondo per error togliesti,
Tu in grembo a Dio, fra gl'immortalí e divi,
Per pietà, di salir degna mi festi.

Egli le avea dato il Battesimo, ch'è por-
ta della Fede cristiana.

Quello adunque negli allegati versi intese dir Dante, non potette intenderlo Virgilio che gli ebbe pronunziati; ma farebbe maraviglia se non l'intendessero

tanti solenni Comentatori.

Donna di virtù può bene prendersi per Regina o Signora delle virtù teologali. I Provenzali e i rimatori o trovadori antichi chiamarono la loro innamorata: Donna di valore: e Ser Brunetto Latini, nel principio del Tesoro, appella Fiorenza: La donna di Toscana cioè la reina o il capo di quella regione.

Nel Poema attribuito a Dino Compagni si chiama la Intelligenza, che n'è l'eroe, co' nomi: Donna di valore; e così personificata le si dice in un luogo:

Donna di valore S'io fosse servo d' un tuo servidore, Sariame caro sovr' ogni ricchezza. 79. Virgilio stesso (En. I, 76 ec.) fa che così dica Eolo a Giunone :

Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi: Più non t'è uopo aprirmi 'l tuo talento.

Tuus, o regina, quid optes Explorare labor; mihi jussa capessere fas est.. I Trovatori si dichiaravano servitori umilissimi alle loro donne e madonne, e facevano della dama la sire e la reina, dicendole sotto sopra, come alla sua Chiaro Davanzati :

Gentil mia donna, poi ch' io 'nnamorai Nel vostro adorno viso riguardando, Di nessun' altra cosa non pensai Se non d' ubbidir vostro comando. Dante adunque fa del poeta latino un provenzale in questo luogo, e non meno gentil parlatore di quel che umil si fosse il re de' venti alla moglie di Giove. — Il Nostro, Rim. :

Credo che in ciel nascesse essa soprana E venne in terra per nostra salute. L'Alighieri non fu sì spasimato platonico come il Petrarca, e senza trarre lunghi sospiri dopo la morte di Beatrice, prese miglior partito di trasformarla nella Teologia. Ambidue però alzarono tanto a cielo l'idolo del cuore, che per loro:

Mostrò quanto potea la lingua nostra.

80. Non sarebbe strano pensare che se venisse qui come particella deprecativa simigliante al sic de' Latini. Al modo che Guitton d'Arezzo disse:

Chè, se m' aiuti Deo,

Quanto più dico, più m' è dolce dire. Lat. Sic Deus me adjuvet. Ma sta il vero, che codesto se già fosse è conforme a quell' altro (Inf. XXVI, 10):

E se già fosse, non saria per tempo ben distinto dalla locuzione deprecativa del verso seguente:

Così foss' ei, dacchè pur esser dee! 81. TALENTO, volontà, voglia, desiderio, piacere.

Brun. Latini. Fior. di Filos.: Che cosa è il sonno? Sonno è immagine di morle, riposo delle fatiche, talento (voglia, desiderio) degl' infermi, desiderio de' miseri. Il Nostro, così in un sonetto: Guido, vorrei che tu e Lapo ed io

Fossimo presi per incantamento

E messi in un vascel, ch' ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
Sicchè fortuna, ed altro tempo rio

Non ci potesse dare impedimento;
Anzi vivendo sempre in un talento,
Di stare insieme crescesse il disio ec.
E così usa questa voce in vari luoghi

(Inf. V, 39. — X, 55. (Inf. V, 39. X, 55.

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Purgat. XXI,

64 ec.) Talento però vale più voglia mossa da natural propensione a cosa non dietro alla previsione dell'intelletto; eppepur pensata, che volontà la quale tenga rò seguita il senso piuttosto che la ragione. (Inf. V, 39).

Cotesta proprietà del vocabolo si fa manifesta da' luoghi accennati e da molti altri che si scontrano negli scrittori, dove talento si dee togliere nell'accettazione di laida voglia, lussuria ec. Lat. lubido ec. Il Tasso dice:

Sul Tago il destrier nacque, ove talora L' avida madre del guerriero armento, Quando l' alma stagion che n' innamora Nel cor l'ispira il natural talento ec. Ecco altri esempi da' quali s'apprende il sentimento in cui gli antichi adoperarono essa voce.

Guido delle Colonne :

Non ho talento di far misleanza

oggi si direbbe: non son tagliato, portato, inclinato a mancare o a commettere dislealtà.

Mazzeo Ricco :

E non aggio altra vita

Se non solo un talento

Com' eo potesse a voi, donna, venire. Quindi Attalentare, essere a grado. Lapo degli Uberti :

Dira'le tosto che non m' attalenta

Null' altro, se non ciò che lei contenta;
E quanto vuol, vogl' io similemente.
Intalentato per invogliato, volontero-
so, infiammato di desiderio ec. Din.
Comp. Intellig.:

Cesare intalentato di battaglia
Parlamentò e disse: ec.

Quanto sia da volontà a talento, da invogliarsi a intalentarsi rilevasi bene da ciò che dice Madonna all' Amante nell'antichissima canzone di Ciullo d'Al

camo:

Che'l nostro amore ajungasi Non boglio m' attalenti cioè non vo' che mi piaccia. Che sia propriamente talento, lo dice egli appresso in queste parole:

Ah compli mio talento, amica bella, Che l'arma con lo coré mi s' infella. lo stesso Dante (Inf. V), dove dice dei carnali :

Che la ragion sommettono al talento.

Ma dimmi la cagion, chè non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dall' ampio loco, ove tornar tu ardi.
Da che tu vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente, mi rispose,
Perch' io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose

Ch' hanno potenza di far altrui male:
Dell' altre no, chè non son paurose.
I' son fatta da Dio, sua mercè, tale,

85. Da che per quando, Jacopo da Lentino :

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Lo cecer (cigno) canta più gioiosamente Da ch' egli è presso allo suo finimento. 88. Delle cose che non possono far male sarebbe il temere stoltezza, dice anche Orazio Lib. II, Sat. III, 53 ec. : Est genus unum Stultitiae nihilum metuenda timentis..... 91 seg. 1° Vengono molte cose degne d'esser per sottile osservate in questa terzina, le quali, quanto io mi sappia, non furono pur leggermente toccate dai comentatori.

Avvegnacchè a Virgilio tardasse d'obbedire al comandamento di Beatrice; pure vi pon tempo in mezzo, non potendo egli tanto tenersi, che non le domandi come non si guardi del venire in quel luogo tartareo. La quale curiosità sembra tanto importuna, leggiere, epperò indegna di quel Savio gentile; ch' Ella non ha peritanza di cominciare la risposta con quelle parole (Inf. II, 85):

Dacchè tu vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente ec.

le quali in certo modo lo ripigliano del voler egli entrare e ficcare un po' troppo il naso ne'segreti di Santa Marta: e, per gentile che la si fosse, rispose molto breve a lui, che non dovea punto indugiarsi a eseguire l'imposta missione.

Ma cotesta curiosità di Virgilio, e la risposta ne' modi che da Beatrice venne fatta, inchiudono un vero che merita esser posto a luce.

Favellano qui la ragione e il senno umano personificato in Virgilio, e la Teologia, la Religione, la Rivelazione simboleggiate nella Beatrice. Dante, non essendo settario del razionalismo puro,

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tenne con S. Tommaso e con gli altri filosofi, quel che poi fu profondamente rifermato dalla dottrina del Vico alla intelligenza dell'uomo esser posto un confine, di là dal quale è un ordine superiore, ed inaccessibile al lume della nostra mente, se non sia sorretta ed aiutata dal Vero sommo che le si rivela.

La Filosofia, che non intende, si mostra dunque bramosa di sapere come e in che modo un'anima beata non si guardi dello scendere in inferno; alle cui angustie, miserie e dolori parrebbe lo esporsi o mattezza o temerità non consentita dalla ragione. E la Teologia le risponde con parole sue proprie e con argomenti infallibili desunti dalla Sapienza 3.

Justorum animae in manu Dei sunt, et non tangel illos tormentum malitiae. Notate, di grazia il concetto biblico trasfuso mirabilmente in questa terzina dantesca; dove il tormentum malitiae, ch'è quanto dire tormentum malorum, vien significato per quella vostra miseria e fiamma d'esto incendio, che sono la duplice pena del danno e del senso, torge, che pare un vieto latinismo, e tanto mento ai dannati; dove quel non mi taninteressa gli studi de'comentatori a chiocompiuta, pretta, miniata la locuzione sarlo col tange, tocca e nulla più, rende

non tanget illos

della Scrittura. Nulla è dunque ozioso od indifferente nel preallegato passo; da cui si può due cose rilevantissime apparare: l'una, che dalla filosofia progressista e dalle formole del filosofismo moderno, questo Poeta, ad intender lo quale furono volti sempre gli studi de' più nobili ingegni, non divien più chiaro, che per

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