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E i diavoli si fecer tutti avanti,
Si ch' io temetti non tenesser patto.
E così vid' io già temer li fanti,

Ch' uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sè tra nemici cotanti.
Io m' accostai con tutta la persona

Lungo 'l mio Duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor, ch' era non buona.
Ei chinavan li raffi, e: vuoi ch' io 'l tocchi,
Diceva l'un con l'altro, in sul groppone?
E rispondean: sì, fa che gliele accocchi.

93. PATTO, espresso per le parole di Malacoda, quando con autorità parlamentare disse (v. 87): OMAI NON SIA FERUTO; e Virgilio chiamò a sè Dante, che s'era acquattato dietro LO SCHEGgione. Il testo Barg. ha:

Si che io temei ched ei tenesser patto. e spiega in due modi: temei che non fossero per istare al patto; ed: Io Dante temei, ch'essi dimoni... tenessero consiglio intra loro di graffiarmi ed involtarmi in quella pegola; ma la seconda chiosa non pare che leghi co'patteggiati di Caprona (v. 95).

94-96. I Pisani (an. 1289) con a capo il Conte Guido da Montefeltro poser campo al castello di Caprona: i Lucchesi che vi erano a guardia, avendo assai penuria d'acqua, lo renderono salve le persone; ma passando tra due file di acerbi nemici temettero che non si fosse

ro per mantenere i patti della resa. Il Venturi ed altri credono che la presa, a cui riferisconsi le parole del Poeta, fosse quella fatta già prima in danno dei Pisani. Dante vide passar timidi i Lucchesi fra cotanti nemici. In alcuni libri (a) dice il testo:

Non altramente dubitar li fanti. Nel qual modo non possiamo comprendere se Dante vi fu presente o no. PATTEGGIATI, dopo aver capitolato e fatto pallo di sicurtà. PATTEGGIATI, di cui si è tenuto patto, si è convenuto. Volpi - A noi sembra la voce aver tutta la forza del latino pacti e che non semplice adiettivo, ma participio fosse

(a) Così il Bargigi.

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da non prendersi qui nel senso passivo; ma o attivamente come pacti vitam, o neutralmente secondo la costruzione del pacisci latino.

98. LUNGO, vicino, presso, rasente.

99. SEMBIANZA... NON BUONA; aspetto, minaccioso e fiero; apparenza terribile. NON BUONA è più che mala. Lìtote.

100. TOCCARe in sul gropPONE. Inde

moniato parlare che col Toccare significativo di atto lieve, accenna alle dure e crudeli picchiate. Il Berni Orl. in.45,11:

Pur sempre quel Tardocco e Martasino
E quel gigante ch'era re d'Orano,
Toccano addosso al nostro paladino,

L'un col bastone, i due col brando in mano. Quanto è egli questo passo differente dal primo?quant'è dal Berni all'Alighieri. Qui le molte parole stenuano la forza che si sente nella locuzione dantesca; e bastoni ed i brandi in man de' giganti, ci fan meno paura, che i raffi e i roncigli di Cagnazzo e di Calcabrina. Orazio volto a Venere (Lib. III,od.XXVII,11)

i

dice:

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Ma quel demonio che tenea sermone
Col Duca mio, si volse tutto presto
E disse: posa, posa, Scarmiglione.
Poi disse a noi: più oltre andar per questo
Scoglio non si potrà; perocchè giace
Tutto spezzato al fondo l'arco sesto:
E se l'andare avanti pur vi piace,
Andatevene su per questa grotta:
Presso è un altro scoglio che via face.
Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta,
Mille dugento con sessanta sei
Anni compièr, che qui la via fu rotta.

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110. GROTTA chiama la bolgia quinta, tane le altre sequenti, come piene di coloro che bestiali peccarono contro l' eterna ragione; ai quali tocca il basso Inferno, che comprende i tre ultimi cerchi. V. Inf. VIII, 75, nota - XI, 82 segg.

111. PRESSO È UN ALTRO SCOGLIO ec.

PRESSO, vicin di qui; SCOGLIO per ponte rude e tutto d' un masso. Malacoda qui dice falso; i Poeti scuoprono la bugia là dove (XXIII, 140 seg.) Virgilio dice: Mal contava la bisogna

Colui che i peccator di là uncina. Lo spirito maligno a coprir questa falsità, la disse tra mezzo a due verità, che sono, l'arco della bolgia sesta realmente

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rotto, e il computo degli anni, di cui nella nota seguente. V.loc.cit.v.142-144.

112-114. Dante fece un viaggio di sette giorni (iter septem dierum secondo i mistici). Lo imprese la domenica 3 aprile 1300, nella quale cadde il plenilunio commemorativo della morte di G. C., e lo compì la mattina di Pasqua 10 dello stesso mese, nell'ora che orto iam sole, col Cristo risorto risorge il misterioso viandante del peccato alla grazia, ed è fatto degno di salire alla visione del supremo sole, simboleggiato dal pianeta:

Che mena dritto altrui per ogni calle.

il qual vestiva le spalle del monte, quan

do Dante uscito della selva s'era messo per l'erta. Il giorno dunque 3 aprile (domenica delle palme) il Poeta vien fuori della selva, sale il monte, è impedito dalle fiere, vede l'ombra di Virgilio. La sera (era la luna tonda) entra in Inferno.

Il dì 4 (lunedì santo) fu l'annuale della morte di Cristo; poichè egli sostenne passione dopo aver celebrato la pasqua, ordinata dalla legge mosaica nel plenilunio, il quale per noi è fissato nel 3 aprile, com'è detto. Il dì 5 (martedì santo) ti a udire nella quinta bolgia le parole è appunto quello in cui si trovano i Poedi Malacoda: perocchè fin qui ha fatto Dante due giornate di via (Inf.XX,127), e il diavolo non può per le parole (v.112):

Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta ec. allusive alla morte del Redentore altro significare, che il giorno quattro aprile 1300 che fu il lunedì della settimana

Io mando verso là di questi miei,

A riguardar s' alcun se ne sciorina: Gite con lor, ch' e' non saranno rei.

maggiore (a): e precisamente l'ora sesta quando, giusta l'opinione di Dante, spirò nostro Signore, e non già l'ora nona, come dicono molti col Lombardi appoggiati a' passi di S. Matteo cap. XXVII, 45 seg., e di S. Marco XV, 33 seg. L'otta in cui parlava il dimonio erano le sette, non le dieci antimeridiane; quella stessa cioè accennata nel precedente canto v. 126: nè fa che i poeti si trovino qui in sermone con Malacoda; perocchè più canti possono contare più cose avvenute in un medesimo istante; e nella Divina Commedia il tempo non si consuma invano, dovendosi in sette giorni percorrere,e in giro, tutto lo spazio dell'universo. Quindi cadono tutte le obiezioni del Lombardi e il ragionamento del Bianchi. A noi non cale di sapere il punto quando Cristo morisse: molto preme di conoscere come lo abbia calcolato il Poeta. Ecco le sue parole (b). E movemi questa ragione, che ottimamente naluralo fue il nostro Salvatore Cristo, il quale volle morire nel trentaquattresimo anno della sua etade: nè da credere è ch'elli non volesse dimorare in questa nostra vila al sommo, poichè stato era nel basso stato della puerizia: e ciò ne mani

festa l'ora del giorno della sua morte, cioè di Cristo, che volle quella consomigliare colla vita sua; onde dice Luca (c), che ERA ora quasi sestA, QUANDO

(a) Non dee confondersi l'ordine delle funzioni ecclesiastiche, con l'ordine astronomico. Il punto di tempo stabilito come anniversario e commemorativo della morte di G. C. fu per Dante il giorno dopo il plenilunio che segue immediatamente all'equinozio di primavera.

(b) Convito Ediz. Ven. 1758, Zatta; pag. 215,

Op. omn. tom. IV.

(c) Luc. XXIII, 44 ec. Erat autem fere hora sexta: et tenebrae factae sunt in universam ter ram usque in horam nonam. Et obscuratus est sol: et velum templi scissum est medium. Et clamans voce magna Jesus ait: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. Et haec dicens expiravit. Si vede che Dante riguardò tutti questi fatti avvenuti nell' ora sesta, tuttochè l'ecclisse durasse sino alla nona. E sesta e nona erano per lui prossime nel senso delle ore diurne ecclesiastiche; onde non parve esser contraddetto dalle parole degli altri Evangelisti.

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MORÌE, CH'È A DIre lo colmo del DÌ; ONde si può comprendere per quello quasi, che al trentacinquesimo anno di Cristo era il colmo della sua età. Malacoda parlava dunque ai Poeti alle sette antimeridiane del dì cinque aprile 1300, quando erano già passati anni 1266 dacchè fu, in età di anni 34 incirca, morto Cristo; ed il terremoto ruppe l'arco della sesta bolgia dove sono gl'ipocriti, veri crocifissori dell'uomo Dio.

OTTA, ora: così Allotta per allora, e talolla per talora sono voci usitatissime fra gli antichi, e odonsi ancora tra i toscani ec.

COMPIER, Compiero, compierono da compiere. Così da battere, perdere ec. zione imitata dalle uscite de' verbi latisi trova batliero, perdiero ec. terminaII, 45) ed accomodata a quelli della seni audierunt o ere, ierunt ec. (Purg. conda e terza coniugazione italiana.

Albertano, Lib. del Cons. Cap. I. La moglie di Melibeo, la quale avea nome Stor. Prodenza, fortemente battiero. Paolo Oros. Lib. II, cap. XXVI: E commessa la battaglia, ebbero vittoria quelli di Alene, e la maggior parte di quelli di Lacedemonia uccisero, e i capita

ni loro spezzaro, e ottanta navi presero sanza quelle che nella battaglia spezzate e annegate periero.

116.SE NE SCIORINA: esce o vien disopra dalla pegola per pigliare refrigerio. Sciorinare faremmo noi da Sciore per fiore; varrebbe sfiorare, e a modo riflessivo aprirsi all'aria come un fiore. Di vuol fatta questa voce da orina dim. di qui gli altri significati. Ma il Biagioli òra (aura) e da sc equivalente alla preposizione latina ex.

117. NON SARAnno rei: non vi nuoceranno ec. Mentiva Malacoda. Egli comanda (v. 125) che

Costor sien salvi insino all'altro scheggio. sapendo che cotesto scheggio non era per quella bolgia dovechessia. Fede da diavoli barattieri! (V. Inf. IV, 40, nota).

Tratti avanti, Alichino e Calcabrina,
Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo:
E Barbariccia guidi la decina.
Libicocco vegna oltre, e Draghinazzo,
Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Rubicante pazzo.
Cercate intorno le bollenti pane;

Costor sien salvi insino all' altro scheggio,
Che tutto intero va sopra le tane.

O mè! Maestro, che è quel ch'io veggio?
Diss' io deh! senza scorta andiamci soli,
Se tu sa' ir, ch' io per me non la cheggio.
Se tu se' accorto, si com' esser suoli,

Non vedi tu ch' ei digrignan li denti,
E con le ciglia ne minaccian duoli?
Ed egli a me non vo' che tu paventi;
Lasciali digrignar pure a lor senno,
Ch' ei fanno ciò per li lessi dolenti.

118. TRATTI è da Trare antiq. per Trarre, ch'ebbe tra alla persona seconda singolare dell' imperativo, come dà, fa, sta da' rispettivi dare, fare, stare. Quindi tranne, trami, tralo. Il Pulci Morg. C. XXVII, 124:

Trami di questo labirinto fori.

Nella vita di S. Eufrag. E quando è cotto questo pane, tralo del forno. Oggi è in uso trai. TRATTI AVANTI è dunque traiti, vieni, fatli innanzi ec. (v. 74).

I dieci diavoli, che si contano da questo verso al 23, rappresentano secondo il Biagioli gli sbirri d'Italia. Benissimo!ma la sbirraglia italiana non fu mai ordinata a dar la caccia ai barattieri.

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8. GRAFFIACANE. Si vuole allusivo a un Raffacani priore nel 1303.

9. FARFARELLO. Forse affine al francese forfaire o al tedesco vorfallenn, quasi furfante (Ducange: Forfallius).

10. RUBICANTE. Da Ruber. Simile al CAGNAZZO. I Greci hanno un proverbio

che il diavolo cercando in chi entrare,

entrò ne' capelli rossi.

Il Rossetti vede in Malebranche un Manno Branca, podestà di Firenze nel 1303 (a).

124. PANE per panie; come letane (Inf. XX) per litanie, Tarquino per Tarquinio, matera per materia ed infiniti altri esempi di voci, in cui piacque agli antichi di fognar l'i (V.inf.IV, 127 nota). 125. Costor sien SALVI ec. V. v. 117

nota.

126. TANE. V. v. 110.

132. E CON LE CIGLIA ec. E nel torcere le ciglia degli occhi, eglino fanno segnale di volerne ingannare. Barg.

135. LESSI DOLENTI. Carni cotte nel bollore della pegola, ma che non però cessano di sentir dolore. I codici più an

(a) Queste etimologie e spiegazioni de' nomi diabolici abbiamo prese dal Tommaseo.

Per l'argine sinistro volta dienno;

Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Co' denti verso lor duca per cenno;
Ed egli avea del cul fatto trombetta.

CANTO XXII.

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Seguito della quinta bolgia. Colloquio con Ciampolo di Navarra.

Io vidi già cavalier muover campo,

E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo:

tichi hanno LESI, alcuno anche LASSI.
La lettera da noi tenuta non manca di
autorità; e per ragione parve ai critici
più si acconciasse ai miseri, ch' erano
nella pegola spessa che bollia (a).

137-138. LINGUA STRETTA... PER CENNO ec. Volti al caporale beffano la credulità de'Poeti, e, a tenere il riso, stringon la lingua tra i denti.

1. CAVALIER, gente d'armi a cavallo. MUOVER CAMPO. Lat. Castra movere. Partir del luogo ove son posti gli accampamenti ec.

2. STORMO ha molti significati, e i comentatori discordano su quel che s'abbia in questo luogo. Stormo infatti vale truppa, stuolo, adunamento, schiera, squadra, strupo, trozzo. Lat. turma.

Il Tasso, Ger. liber. XI, 13:

Nè si volge a que' gridi o cura n'have
Più che di stormo avria d'augei loquace.

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(a) Della pece bollente, in cui vanno attuffati i Barattieri, si trova un certo confronto con ciò che si legge nella Visione del Cassinese Fr. Alberico: Vidi flumen magnum de Inferno procedere ardens atque piceum, in cujus medio pons erat. peccatores cum ad medium eius venerint. in idem flumen corruunt, rursumque assurgentes, ac denuo decidentes, tamdiu ibidem cruciantur, donec in morem carnium excocti liberam habeant transeundi pontem facultatem. Veggasi anche Inf. VI, 22, XII, 47, nota. Al Conte Giulio Perticari non parve possibile che Dante andasse nell'archivio di

• ...

Monte Cassino a rubare la scrittura di quel Monaco; ma egli potette bene, senz' esser ladro, torre qualche immagine da quella ai suoi tempi famosa Visione, quando deputato dalla Signoria di Firenze venne ambasciadore in corte di Napoli, e trasse a visitare la Badia; e il concetto altrui abbellire con nuovo disegno e varietà di colori, da parer tutto suo, e non lasciar

traccia d'imitazione.

Il Petr. Canz. I, parlando di sè, quasi nuovo Atteone:

Vero dirò: forse e' parrà menzogna:
Ch'i' senti trarmi della propria imago,
Ed in un cervo solitario e vago
Di selva in selva ratto mi trasformo;
Ed ancor de' miei can fuggo lo stormo.

Stormo per battaglia pare abbiasi ad intendere nel luogo citato dal Lombardi e ripetuto dal Tommaseo. Gio. Vill. Cron. lib. I, 12: Avendo perduta Creusa sua moglie allo STORMO de' Greci. Così in quest' altro che adduciamo dall'Intell. attribuita a Din. Comp.:

Dipinto v'è c'avea un dardo in mano
Quel forte cavalier sì vigorito,
E tuttor dava il colpo primerano
Quando lo stormo fosse stabilito (b).

Il Toselli ha osservato che Stormo eb

be in antico due significati, quello cioè di rumore, suono, onde le voci stormire, stormento, stormeggiare; e quello di mischia o rissa. In Bologna, ne' tempi di Dante, sonavasi la campana a stormo, val dire a martello, per riunire gli eserciti; e questo suono dicono i conta

dini stormida o stermida. Secondo il valentuomo la frase dantesca COMINCIARE STORMO non significa, siccome vogliono tutt'i Comentatori, cominciare il combattimento; ma cominciare a suonare. Egli vede un ordine progressivo di movimenti militari espressi per le parole: muover campo, cominciare stormo, e far mostra; il cominciare stormo accenna il proseguimento del suono delle trombe ec. mentre i cavalieri faceano

(b) Cioè: quando fosse intimata la battaglia. Nannucci. Ma stormo qui può anche dinotare segnale della pugna; e nel luogo del Vill. mischia ec.

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