E vidi dietro a noi un diavol nero E quanto mi parea nell' atto acerbo, 93 ec. 30. SU PER LO SCOGLIO VENIRE; d' altronde, che dal fondo della bolgia. Vi giugneva con un' anima cui recava da questo mondo, come dice il seguente contesto. 34-35. OMERO... ACUTO E SUPERBO. Alto e terminava in punta. Venturi. SUPERBO OMERO: spalla spinta all'insù. Volpi. Appuntato e alto. Bargigi e Bianchi. SUPERBO: alto, come di umi -- le il basso è il proprio significato. Lombardi. SUPERBO: alto. Tommaseo; il quale aggiunge: Diavolo gobbo; che meglio vi stieno insellati i rei ch' egli porta. Certo è che Dante ha voluto darci l'immagine di quel diavolo contraffatta e simile a quella de' rachitici, degli sbilenchi e de' gobbi, le cui spalle, oltre dello scrigno appuntato, si levano su in punta fuori del naturale, tenendo in mezzo il collo e il capo depresso e mostruoso. A dipingere la bruttezza del dimonio non ci ha mezzo che meglio conduca, fuorchè rappresentandolo con forme diverse dalle normali, che costituiscono la bellezza del corpo umano. UN PECCATOR CARCAVA: pressava, gravava (quasi soma o carico) L'OMERO Suo ec. Non crediamo ciò facesse stando a cavalcioni, o sedendo, o come insellato, secondo che spongono i comentatori; perocchè nè il diavolo l'avrebbe 30 35 fatto volentieri da somiero, nè sostenuto, che il reo stesse a bell'agio sugli omeri suoi: piuttosto crederemmo ch' ei lo portasse come un cencio vile, tenendolo ghermito, cioè afferrato, aggraffato pe' garretti d'ambo i piè, con una branca sola; gittatoselo supino e caporivescio dietro le spalle, sicchè le anche (V. Inf. XIX, 43) pesassero sul destro degli omeri (a). A questo esprimere ci avvisa aver detto il Poeta: Un peccatore carcava l'omero suo con ambo le anche ed ei tenea ghermito il nerbo de' piè. 37. DEL NOSTRo ponte disse: o MaleBRANCHE ec. Diverse sentenze in questo luogo, secondo la varia interpunzione. Altri riferisce nostro al diavolo, altri a Dante; chi intende che quegli disse: 0 Malebranche del nostro ponte cioè della nostro ponte disse: o Malebranche ec. nostra bolgia; chi spone: il diavolo dal Il Bargigi ha DAL NOSTRO PONTE ec. e chiosa: dal nostro ponte sopra il quale monio, dimandando gli altri a far loro eravamo Virgilio ed io, disse quel diufficio...: o malebranche (male per chi casca in esse) ecco uno degli anziani, degli ufficiali governatori di Santa Zita, della città di Lucca, nella quale hassi special divozione a Santa Zita ec. Il Daniello è col Bargigi; il Venturi coi primi. Il Lombardi chiosa: 0 Malebranche, eccovi della bolgia nostra uno degli anziani ec. escludendo la frase Malebranche del nostro ponte, nella giusta idea che non vi son malebranche di altre bolge. Il Tommaseo interpunge: Del nostro ponte (disse) o Malebranche. (a) Non sarebbe così da prendersi pel singolare, il plurale; ma s'intenderebbe l'omero per il destro, come diciamo la mano, significando la dritta. Ecco un degli anzian di santa Zita: Ogni uom v'è barattier, fuor che Bonturo; Si volse, e mai non fu mastino sciolto e ci lascia nel dubbio qual fosse la sua Si volse, e mai non fu mastino sciolto Con tanta fretta a seguitar lo furo. 38. ANZIAN. Anziano è un uffizio per le cittadi, massimamente di Toscana... il quale ha speziale cura del governo della cittade. Ottim. Florentiae appellantur priores. Benv. Questo fu Martino Bottai, ch'era in carica nel 1300. Buti. Mori repentinamente. Ott. 39. PER ANCHE: per anche guadagnarne altri ec. Barg. ANCHE sta qui in forza di nome relativo e vale torno per altre persone per altri di questi anziani. Vedi il Cinonio alla voce ancora. Usò una tal maniera con lodevole imitazione l'Ariosto nel fine del Canto XXXIV, 91: Portarne via non si vedea mai stanco Un Vecchio, e ritornar sempre per anco (a). Così il Volpi, il Lombardi, il Poggiali, il Torelli e quasi tutti, eccetto il Biagioli, il Bianchi e qualche altro, che spiegano per anche, in sentimento di ancora un' altra volta. 41. Fuor che BoNTURO. Ironia; chè questi, (della famiglia de' Dati) vogliono (a) A portarne via de' nuovi, dice la dichia razione. 40 45 fosse venditor di giustizia e barattiere di tutti il peggiore. Vivea nel 1314 e forse il Poeta non dubitò di porlo vivo nella pegola bollente. increata proclama il gran principio: est, est; non, non. Turbate quest'ordine intellettuale: ed ecco il disordine morale, che confonde il nulla con l'essere, l'ingiusto col giusto, il male col bene e viceversa. Il popolo dice: tale per danari fa l'impossibile, il bianco nero e simiglianti. Per denari si fa sì del no e del sì si fa no ec. Barg. 42. DEL NO... VI SI FA ITA. La verità 45. FURO da Fur. Il primitivo fu Fure, tolto dall' ablativo singolare di quel nome latino; dipoi conformato agli altri, che italianamente terminaronsi prima in e e poi in o: come fino, tigro, nomo, osto ec. per fine, tigre, nome, oste ec. (V. Purg. XV, 51). Furo, nonchè fuor di rima, in prosa. Epist. di Papa Gregor. IX, Feder. II: Di subito fu chiamato furo e ladro. D'onde si rileva che dapprima fu tenuta appo gl'italiani la differenza stessa, che fra i latini v' ebbe, tra fur e latro. Oggi par non ci sieno furi, ma ladri soltanto. Ed altri esempi (V. Inf. VI, 22— Parad. IV, 132 Inf. XXII, 58). Questo mutamento dell'e in o valse ancora negli aggettivi e nomi d'ogni maniera (Inf. II, 142 nota). 46. TORNO SU CONVOLTO. Il Poeta vuol significare come venisse di sopra la pece bollente uno che vi si fosse attuffato. L'idea naturale è che tornasse su vestito di pegola; e questo pare voglia dire convolto cioè convolutus, imbrodolato e involto in quella pegola. Venturi. — Ma i demon, che del ponte avean coverchio, Fanno attuffare in mezzo la caldaia Imbrattato, sporcato. Volpi, gli Acade- so in su. 51. FAR SOVERCHIO: venire a galla; soverchiare, sopravanzare la pegola.NON FAR SOVERCHIO Sopra la pegola: sta costi dentro tullo sommerso. 52. POI L'ADDENTAR. Poichè l' ebbero addentato ec. RAFFI, uncini, rampini. Raffio, strumento di ferro uncinato. 54. ACCAFFI, inguanti l' altrui. Accaffare, estorquere, rubare. 59-60. Dopo val qui, come il post dei latini, Dietro, addietro (a). Dante stesso Parad. II, 101: Fa che dopo il dosso HAIA. Da ajere o hajere sono, secondo regola, al congiuntivo 1. aja o haja, 2. aja o aji, 3. aja 1. ajamo, 2. ajate, 3. ajano. Haia per abbia, il nostro Poeta nel Parad. XVII, 160: Nè ferma fede per esempio ch'haia (o aia). I molti esempi, che allegar potremmo in favore di questa naturale inflessione del verbo ajere o hajere, dagli antichi scrittori e padri di nostra lingua, sì in poesia, come in prosa, servono in pari tempo a dimostrare mal fondata l'opinione di que' comentatori di Dante, i quali (a) Virg. Ecl. III, 20: Tu post carecta latebas. E per nulla offension che mi sia fatta, E com'ei giunse in su la ripa sesta, E volser contra lui tutti i roncigli; Traggasi avanti l'un di voi che m' oda, Tutti gridaron: vada Malacoda; Per che un si mosse, e gli altri stetter fermi, dicono avere il Poeta in grazia della rima, usato haja per abbia (a). Il provenz. aya e aia ec. L'antico spagn. aya ec. il moderno haya ec. Il franc. J'aye, tu ayes ec. Da cotesto ajere ne venne aggere, ch' ebbe le sue regolari inflessioni; le quali, non meno che in antico, sono anche oggidì vaghe e fresche alla poesia.V. Purg. XXXIII, 55. Brunetto Latini, Tes.: De' uom antivedere 62. CONTE, cognite, chiare. 63. ALTRA VOLTA, V. Inf. IX, 23. BARATTA, zuffa, conlesa. La voce ha rapporto ai Barattieri, come Caina, Antenora, Tolommea, Giudecca, ai luoghi, ove si puniscono i tradimenti. 64. Co, capo, V. Inf. XX. 76. (a) Maestro Migliore, Fiorentino che fiorì nel 1250: Ahi lasso! che non è gioia d'Amore A nessun uomo, che di bon cor ama E scioglio come nivi (mi scioglio come neve) 65 70 75 66. Bisognò essere imperturbabile,aver coraggio. Sicuro val senza cura, intrepido. 72. FELLO. Vedi Inf. XVII, 130 e seg. 76. DIENNO, diedero, dettero. V. Inf. XXV, 33. Anche in prosa ha degli esempi. Albert. Consol. c. 30: Ora procediamo innanzi alla esaminazione e alla esposizione del consiglio che ti dienno li giudici savj. 78. CHE TI APPRODA? Che cosa ti è utile, ti giova, ti fa piacere; che vuoi ? APPRODARE, per far prode cioè utilità, vantaggio,è ovvio negli antichi scrittori. Lat. Prodesse. Ma vale anche arrivare o giungere a riva, usandosi neutr. ed attiv.: la qual cosa insieme alle molte varianti ha fatto dare di questo luogo differenti esposizioni. Il cod. Cassin. ha chi ta proda?: cioè chi t'approda ? ch'è lettera delle variorum del Witte, ritenuta dall' ediz. della Minerva (Padov. 1822). Secondo la quale lezione la sentenza è chi ti mena a questa ripa? Questo senso porterebbe l'altra variante che ti approda? del codice di Filippo Villani, la quale, secondo ne pare, è la migliore di tutte per tre ragioni: 1. per l'autorità del testo prezioso; 2. perchè rac Credi tu, Malacoda, qui vedermi 80 Lasciami andar, chè nel Cielo è voluto Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro. 85 Allor gli fu l' orgoglio si caduto, Che si lasciò cascar l' uncino ai piedi, Tra gli scheggion del ponte quatto quatto, Perch' io mi mossi, ed a lui venni ratto: chiude tre sensi, l'uno che ti giova? l'altro: che ti è a grado? il terzo: qual necessità ti mena a questi luoghi? ed è parlar degno di Malacoda, che fa convenevoli da suo pari, ed accogliendo minaccia; 3. perchè ci avvisa che sia ragionevole far che quel dimonio non istia muto innanzi a Virgilio, ma che a lui giunto dica: che t' approda? e quegli: Credi tu, Malacoda ec. Questo Che t'approda? tradurrebbe il Virgiliano (En.I): Quae vis immanibus applicat oris? Tra le varior. del Witte si legge: Che è li a proda? e Che egli approda? Quest'ultima è della Rovelliana, Lion.1551, nonchè delle prime quattro edizioni del 1472 e 1474 (Foligno, Mantova, Jesi e Napoli): nella quale frase, inteso egli come pleonasmo, starebbe la stessa sentenza, che nella lettera del testo Bargi giano e del Filippino (sec. XIV) Che li approda; ovvero nell' identica che gli approda la quale è del Burgofr. Ven. 1529, e del Sansov. Ven. 1564, accettata ed intesa così: che Malacoda nell' appressarsi ad esso Virgilio dicesse fra sè: che giova a costui il farsi avanti e chiamarci a parlamento? Crede egli forse con questo di liberarsi dai nostri insulli? 79. segg. Enea dice che anch'egli per volere divino trovavasi ad onorare in Sicilia le ceneri del padre Anchise, En. V,56: Haud equidem sine mente, reor, sine numine (Divûm Adsumus, et portus delati intramus amicos. E vedi Inf. V, 22 nota. 81. SECURO... da'vostri schermi. Di 90 feso contro tutt'i vostri ripari che avete fatti in diversi luoghi, come apparve superiormente, ed in ispecialità, nell'entrata della Città di Dile. Barg. SCHERMO difesa usata per offesa; poichè lo schermitore ha nelle sue mosse la doppia mira di difendersi e di offendere. Se schermo e scherma hanno tra loro la stessa relazione ch'è tra lodo e loda, favolo e favola ec. come in antico indistintamente si disse: ricordiamo che scherma valse anche schiera e palestra (a). Il Venturi spiega schermi per armi da offendere per difendere i passi. Il Volpi: schermo, arma da offendere. 82. VOLER DIVINO E FATO DESTRO. II Fato è la parola o il decreto immutabile, onde il Nume esterna la sua volontà: DESTRO,propizio,secondo,favorevole. 85. ORGOGLIO... CADUTO. Simiglianti parole domarono la superbia di Pluto e (Inf. VII, 13): Quali dal vento le gonfiate vele Caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca; Tal cadde a terra la fiera crudele. 87. FERUTO dall'antico Ferere per ferire: così da pentere troviam pentulo ec. 91. MI MOSSI... E VENNI. Inf. II, 101. Ma qui venni è in sentimento di andai. (a) Cino da Pistoia fe carico a Dante del non avere nominati nella Divina Commedia nè Madonna Selvaggia nè Onesto Bolognese, dicendo: E con molti altri della dotta scrima Non fe motto ad Onesto. |