Fere lo Sol lo fango tutto 'l giorno: Vile riman: nè il Sol perde calore. Dice uom altier: gentil per schiatta torno: Che gentilezza sia fuor di coraggio Se da virtute non ha gentil core; E il Ciel ritien la stella e lo splendore. In questo passo è verissimo che d'uno stesso subietto si dica e ad un tempo Sole e Stella; ma per due differenti rispetti. Sole come pianeta, che per sua forza trae dalla creatura ciò che v'ha di vile e rendela pura e schietta; Stella come luce che si spande in quella, dopo che sia già predisposta a riceverne e sentirne il valore e la bellezza. Questo concetto domina in tutto il componimento, e fa maraviglia che i dotti mostrano, chiosando, non averlo compreso. Dante dunque intese per Stella non il Sole, ma una stella qualunque che più scintilli. Tanto ammisurato nelle similitudini, avrebb'egli poi pareggiati gli occhi d'una donna al sole, cui chiamare Occhio del mondo appena ai secentisti concederebbe la sana critica ? Si replicherà che quivi è paragon di luce, e che più splendiente non ha della solare. Rispondo, che il lume del sole abbaglia più che non conforta la pupilla dell'occhio; che a Beatrice bastò, per essere riconosciuta qual donna celeste, ch'ella sfolgorasse agli occhi di Virgilio tanto splendore, quanto ne manda quaggiù all'occhio mortale o Espero o la stella Diana. Non appare al P., nell' immobile punto della Rosa, sì piccolo il divino lume, che appresso quello sarebbe luna quintadecima quale più piccola stella ne apparisce sul firmamento ? Or vediamo da quali stelle togliessero loro similitudini tutt'i poeti innanzi Dante e per avventura quelli stessi, da cui redava egli leggiadria di concetti e soavità di elocuzione, più che nol credcrebbe chi Il Guinicelli : Veduto ho la lucente stella Diana Viva Stella Che lassù vince, come quaggiù vinse. Angelica figura D'ogni piacer sovrana, Vostro bel viso chiaro, tanto splende. Jacopo da Lentino: E somigliante a stella è di splendore. Il suo bel viso, che par tralucente R. di Berbezill : Si com l' estela iornaus, Es vostra beautatz ses par. Sì come la stella del giorno che non ha paragone (chi l'eguagli) è vostra beltà senza pari. Chiaro Davanzati (1250): al Poeta: Che la stella che appare la mattina E gli occhi suoi lucenti come stella. E cominciommi a dir soave e piana, Che l'Alighieri studiasse in questa Canzone del Cavalcanti, sicchè questo: più che la stella traesse di peso da lui, si fa manifesto dall' essersene avvantaggiato d' alcuno altro verso (Vedi Purg. ΧΧΙΧ, 1). Non ignoriamo che della Madonna si dice Pulcra ut luna, electa ut sol, e che al sole non dovessero avere avuto ricorso i lodatori delle muliebri bellezze. Infatti Jacopo da Lentino: Più luce sua beltate e då splendore Le vostre beltà sole Il Petrarca: Una donna più bella assai che il sole Il Poliziano, Rime : Gli occhi il sole avanzavan di splendore. E più bella assai che un Sole. Epperò se Dante rassomiglia lo scintillare degli occhi di Beatrice alla stella, per questa è ragionevole che abbia egli inteso la matutina, che riputavasi, ed è Franco Sacchetti esso pure: Sulla verd'erba, sotto spine e fronde. E finalmente lo stesso Dante ne apprende che la stella, secondo cui luceva Beatrice era la mattutina, al tremolare della cui luce rassomigliò lo splendore dell' Angelo che a lui venia nel XII, 88 del Purgatorio: A noi venia la creatura bella Bianco vestita, e nella faccia quale A cui fa ostacolo l'articolo la posto innanzi al nome stella, per credere che la voce significhi una stella qualunque e non il sole, adduciamo il seguente luogo di Fra Giordano, Pred. XIII: Imperciocchè dicono i Savj ch'è sì alta LA STELLA, che ciascheduna in suo diritto mostra in terra cinquantasei miglia e due terzi; che se LA STELLA che ti pare sopra capo appunto, andresti oltre cinquantasei miglia, e parrebbeti così appunto sopra capo come prima; e se andassi oltre altre cinquantasei miglia, non ti parrebbe mossa neente, tanta è l' al tezza loro. 56. Soave e piana; agg. per avv. soavemente e pianamente; come Dulce ridentem... dulce loquentem della Lalage Ora invero, la più brillante ad occhio mortale, ziana; o come di Armida dice il Tasso: Che poi abbia egli fatto precedere il nome stella dall'articolo determinante non è fuor di ragione, quando tutti gli scrittori che lo precessero parlarono tanto di quell' astro, quanto non potea in simili casi dubitarsi di quale stella s'intendesse dire. Lascio poi agli eruditi filologi vedere se per stella avrà potuto il nostro poeta significare il raggio, la spera, o la luce scintillante che il sole e le stelle trasmettono ai nostri occhi. Così Mazzeo Ricco: Ben passa rosa e fiore Oltracciò ecco di Bonaggiunta Urbiciani un esempio, nel quale stella è adoperato senza l' articolo allo stesso intento del nostro poeta: Mentre dolce parla e dolce ride... (a) Che se Cino da Pistoia chiama il Sole: « La bella stella, che 'l tempo misura », ognun vede che quivi è una perifrasi simile a quella del Petrarca, con la quale vien significato quell'astro per: « il pianeta che distingue l'ore » : levinsi via le incidenti; e nè la stella, nè il pianeta saranno altro che nomi appellativi. Dalla Intelligenza, che risale a un tempo anteriore a Dino Compagni, Dante pare abbia tratto questa similitudine della stella e del parlar soave e piano della sua Beatrice. Eccone i versi che da sè dimostrano chiaro la probabilità della nostra supposizione: << Guardai le sue fattezze delicate, Chè nella fronte par la stella Diana, Tant'è d'oltremirabile bieltate E nell' aspetto si dolce ed umana! Bianca e vermiglia, di maggior clartate, Che color di cristall o fior di grana: La bocca picciolella ed aulorosa, La gola fresca e bianca più che rosa, La parladura sua soave e piana». Appresso sonovi ancora: ai begli occhi 22 Tant'è lo suo splendore Che passa il Sole, di virtute spera amorosi..... Quando li volge son si dilettosi O anima cortese mantovana, Di cui la fama ancor nel mondo dura, Lapo degli Uberti (1270) usa questa enallage, comune ai poeti e non disdetta agli stessi prosatori: Soave le raccorda con pianezza E durerà quanto il moto lontana. 1o Lontana. Durerà (la fama) lontana; cioè (per enallage) lontanamente, lungamente. II Poeta stesso (Paradiso XV, 49 seg.): U' non si muta mai bianco nè bruno cioè: Hai sciolto lungo digiuno patito, Hai sciolto digiuno lungamente o a lungo tirato, leggendo ec. La diuturnità o lunghezza del tempo va da sè con l'idea della lontananza o distanza de' luoghi; di tal che nelle lingue si scambiano gli avverbi di luogo per quelli di tempo, e i nomi dell' uno si prendono alcuna volta per quelli dell'altro. Albertano: « Imperocchè la cosa, che non è di rascione, non puote essere troppo di lungi » cioè diuturna, durevole; corrispondendo quel di lungi al diuturnus ch'è nel testo. (Nannucci, Manual. letteratur. it. vol. II, pag. 50). ghe Fr. da Barb.: Lontane cure, per lunCicer. Longinqui dolores. L'Anon. chiosa: Fama lontana, Lunga nominanza. Ed è di ragione; Lontano potendosi dire egualmente del tempo, che dello spazio: poichè la durata, idea subiettiva, non si misura nella causalità e successione de' fatti, se non per la dimensione della lunghezza, la quale meglio presta (a) Fio qui val fitto; ed è da feum o feus, de' bassi tempi, per feudum. I Franc. en fiet. II Vill. formò da fio, fiato, trissillabo, in sentimento di servigio, che prestavasi dal vassallo feudatario. Chiaro Davanzati, Ciacco dell' Anguillara ec. usano in fio nel senso già detto. Öggi non abbiamo che la frase pagare o scontare il fio, per pagar la pena. Tenere o avere in fio significa sotto sopra: non essere assoluto padrone della cosa tenuta o avuta ec. 60 si a segnare il tempo che vola: onde gli oriuoli gnomonici e a quadranti l'han vinta sulle clepsidre e sulle ampolle ad arena. Tanto è dunque più grande il tempo, quanto è più lunga la linea su cui si misura; ovvero quanto un estremo fisso più è lontano dall'altro (a). I fisici dicono: Il tempo, che un mobile impiega, è in ragion diretta dello spazio o distanza. Vuol dire Beatrice: O anima cortese... la cui fama durerà tanto di lungi, lungamente, a lungo, lunga, quanto durerà o basterà il mondo; o durerà quanto il mondo sarà mondo; poichè disfatto o annientato questo, sarà con esso insieme distrutto e annullato ogni cosa che ci sia. 2o Vediamo ora se la lettera moto per mondo, ritenuta dagl'illustri Nic. Tommaseo, Fr. M. Torricelli e da altri sia probabile, nonchè ragionevole. Virgilio, da cui Dante tolse to bello (a) Brunetto Latini maestro del nostro Poeta adoperò per Allontanare, o Alienare, o Distrarre il verbo Allungare. Rett. Lib. I: « Ma nondimeda loro la voluntate delli uditori » - E nel prinno oscuramente facendolo allunghi quanto puoi cipio dell' orazione per Marco Marcello: « Quefine al mio lontano tacere ». Il testo: diuturni sto presente giorno, signori Senatori, ha posto silentii. Nel principio d'una Canzone di Lemmo da Pistoia contemporaneo di Casella e di Dante: << Lontana dimoranza Doglia m'ha data al cor dimora o Lontana dimora. Allungare per Allunga stagione » dove si può intender Lunga lontanare. Ruggerone da Palermo (1230): Da poi ch'io m'allungai Ben paria ch'io morisse Altro bell'esempio di Stef. Protonotario (1250): « Assai mi piaceria Se ciò fosse che Amore Avesse in se sentore D'intendere e d'audire: Ch'eo li rimembreria, Come fa servidore Perfetto a suo signore, Meo lontano (lungo) servire ec. ». Mazzeo Ricco (1250): Da me state allungato, E-lo meo cor tormenta. Provenz. lunhatz.ciani: Ben mi credeva in tutto esser d'amore allungato per lontano. - E Bonaggiunta UrbiCertamente allungato, Si m' era fatto selvaggio e straniero. Spagn. Allongado. Provenz. A lunhatz, Alongatz - allontanato. per allontanare: «Messer Marzucco Scornigian, Guitton d'Arezzo usa Longiare per allungare sovente Approvo magnamente Vostro magno saneiente Ver di ciò che al presente Ovrato hae, ver nel secol stando; E tuttavia vicin fu che si forte esso longiando ». slile che gli ha fatto onore, fa (Ecl. V, 76 seg.) nell' apoteosi di Dafni, dire a Menalca: Il tuo nome, o Dafni, durerà finchè il cinghiale amerà le giogaie dei monti, i pesci il mare; finchè pascerannosi di timo le api, di rugiada le cicale. E nell' Eneide (Lib. I....), ripetendo a un di presso la stessa immagine, fa che delle onorevoli e care accoglienze avute, Enea, tra le azioni di grazie, così dica a Didone: Finchè i fiumi metteranno in mare, e le ombre gireranno intorno ai monti, le stelle dell'orsa al polo, l'onorata nominanza tua starà immortale. Cioè, durerà la tua fama (come chiosa il Minelli) quamdiu coelorum, et elementorum permanebit natura. Ma evidentemente il Mantovano intende perifrasare il mondo, toccando di quelle cose che, secondo l'ordine naturale, veggiamo in esso avvenire; imperocchè vi si nominino pure e cieli, ed etere, e luna, e stelle ec.; tutto questo va in relazione col mondo di quaggiù, ch'è il mondo nostro; finito il quale, nulla più sarebbe per l'uomo di quanto altro può comprendere la creazione; nè a niuna nominanza, più oltre l'esistenza del mondo, potrebber mai pretendere e Dafni, e Didone, e Virgilio. Non è bene pertanto che dall'idea del mondo il savio interprete si levi troppo alto a quella della creazione, e supponga che la Beatrice dicesse all'anima cortese Manlovana: La tua fama durerà lunga quanto la creazione. Potrebb'egli perir questo mondo (quod absit) e con esso eziandio la fama di Virgilio, superstiti non pertanto degli altri pianeti e degli altri elementi della creazione; purchè non si voglia dire che, disfatta la Terra, e distrutto il Mondo, la Eneide e l' onrata nominanza del suo autore travoli agli abitanti di Pallade o di Saturno (a). Secondo il Poeta, Purgat. XI, 100: Non è il mondan romore altro che un fiato (a) Inf. IV, 76 seg. «L'onrata nominanza, Che di lor suona su nella tua vita, Grazia acquista nel ciel che sì gli avanza». Dunque la fama dei sommi uomini si spande anche pel Paradiso? Ai celesti nulla non è conteso di sapere; massime a Dio che deve premiare o punire; ma fuori Come dunque vorrebb' ella parlare d'una fama che durasse con la creazione, contro la mente del poeta stesso che la fa parlare ? Già il lettore s' accorge, che il nostro Dante ha con la sola parola mondo raccolti, come in una sintesi, più che gli elementi toccati, per analisi, dal poeta latino: nè poteva egli usar la voce moto, vuoila pure intesa per creazione; imperocchè se prima dice: la cui fama ancor nel mondo dura dee seguitare, per naturale spontaneità di costrutto: e durerà quanto il mondo. se non lo si voglia fare saltar di palo in frasca. É questa la sentenza piana del testo: Son passati più di tredici secoli dalla tua morte, e la tua fama dura ancora nel mondo; ma questo è pur poco; chè essa continuerà a durar tanto lungamente, per quanto il mondo slesso durerà. In altri termini: La cui fama è pervenuta infino agli uomini ch'ora vivono, e così passerà di generazione in generazione finchè il mondo sarà. E per mondo qui voglionsi intendere gli uomini o l'umanità: sicchè, senza esagerazione e senza iperboli e complimenti, la Beatrice avrà parlato a Virgilio, non da poetessa romanzesca, ma da gentile donna, con parole temperate di verità, dicendogli, in sostanza: La tua fama, o Virgilio, è durata sul mondo infino ad ora, e durerà tanto lunga, per quanto vi saran degli uomini, che ti sappiano leggere ed intendere. Pognamo che alcun codice abbia: E durerà quanto il moto lontana. che vuolsi egli mai intendere per cotesto moto ? « Significherebbe quanto il moto << de' pianeti, ond'è misurato il tempo: « ed è in vero espressione molto poeti<< ca; ma la nostra armonizza meglio col « verso antecedente: la cui fama dura « ancora nel mondo, e durerà quanto « il mondo ». (B. Bianchi). di questo, non è da credere che gli angeli leggano con piacere l'episodio della Didone abbandonata o la descrizione virgiliana della tempesta ec. Beatrice intende dire della fama mondana, che fuori del mondo non dura. Se l'espressione è veramente molto poetica, o vi ha luogo, o no: se ve l'ha; e perchè Dante non dovea valersene? se no; e perchè non trasandarla? Dice il dotto comentatore: « Durerà quanto il mondo, armonizza meglio col verso antecedente ». Or se ciò è vero, com' è verissimo, siamo pur certi che il gran Poeta seppe scerre del migliore l'ottimo, e vi pose non moto, ma mondo, perchè più armonizzante e ben più acconcio, come si conviene. Dunque dovrà rifiutarsi moto; perchè, quantunque poetico fosse, non avvi suo luogo. Chi poi volesse saper la ragione della maggiore armonia che vi fa più l'una voce, che l'altra; dovrebbe por mente come in quel costrutto tenga meglio mondo che moto; dappoichè alle altre parole più si lega e connette. Siffatta connessione ed armonia vi è sostenuta nonchè dall'unità del concetto che avvicina le due sentenze e reclama nella seconda la medesima voce ch'è nella prima; ma, che più è, vien servata da ciò, che per essa voce meglio ha Dante provveduto alla convenienza, o, vogliam dire, al decoro tanto inculcato dall'arte. Quivi infatti non parla se non Beatrice, e questa non dee parlare che quale a lei si conviene: se Dante parlasse da Dante con la lingua di Beatrice, si farebbe a lui giustamente carico di non aver servato nella Commedia i caratteri propri alle persone. Ma guardi Dio che niuno possa essere, il quale pur pensi in ciò riprendere il sommo Poeta, che sempre e sì bene: Reddere cuique scit convenientia cuique. Vediamo dunque come e in che modo dev' egli fare che Beatrice favelli. Come la figliuola di Folco? E d'onde a costei, non dico la scienza, ma le più elementari nozioni dell' Astronomia? Una donzella volgare di quell'età e di quel secolo, la quale, senza mai aver nulla apparato de' volgimenti planetarî, favellasse di guisa, che toccando di quelli chiudesse in un motto solo sì profondo intendimento di fisica filosofica; doveva senza dubbio porgere sin d'allora agl' italiani la dolce speranza, che della terra tosca spunterebbe, quando che fosse, un luminoso ingegno come quello del Galilei. Ma, si obietta, quella donna fatta beata vede di là tutto il magistero della macchina celeste. Ella, secondo il pensiero del Poeta, intuisce ogni cosa in Dio; ella senza studio è in Paradiso più dotta, che a gran fatica non potess'essere lo stesso Dante; al quale, divenuta maestra, spesso colà gliene solve i dubbi, gliene schiara la mente; e non soltanto nelle filosofiche e nelle morali questioni, ma eziandio nelle fisiche e nelle astronomiche dottrine; ella sa a mena dito tutto il sistema Tolommaico, e sotto il cielo Empireo, incominciando dal primo mobile, passa per ordine successivo alle Stelle fisse, a Saturno, a Giove, a Marte, al Sole, a Venere, a Mercurio, alla Luna, infino alla Terra immobile; e insegna al Poeta contemplatore la natura del moto e delle sue proporzionali misure (a). (Parad. XXVII). Dunque? Ciò sta bene quando la Beatrice assume officio di maestra e di guida sopra Dante, che tanto è cupido di sapere da lei quello che già si sapeva egli stesso; e gliene muove dubbi ed è contento quando quella solve. Ma discesa ella poi nel Limbo, e posto pure che continui a fruire la sua visione intuitiva, si sarebbe guardata dal cingersi la giornea e far da dottoressa e da saputella con Virgilio, usando locuzioni astruse e fisicose. Avrebbe in così favellando temuto non desse indizio di prosunzione e di jattanza. Oltracciò è ancor bene che la Beatri (a) Bono Giamboni, Della miseria dell' uomo (Tratt. I, cap. II) tocca del sistema astronomico antico seguito da Ser Brunetto e da Dante: « Si dice che la terra è posta in miluogo di tutt' i cieli secondo che (come) il punto della sesta è posto nel miluogo (miluogo luogo di mezzo o centro, dal Franc. milieu secondo il Salvini) del cerchio, ed intorno da lei è posta l'acqua, ed intorno dall' acqua è posta l'aria, ed intorno dall'aria è posto il fuoco, e di sopra dal fuoco ha nove cieli, l'uno appresso dell'altro; e quello, ch'è di sopгa, s'appella Fermamento, perchè quivi sono fermate tutte le stelle, quivi e perchè qui vi si ferma il vedere dell'uomo e non può più poscia vedere innanzi. Ma di sopra da quello v'hae uno altro maraviglioso il quale si chiama il Cielo Empireo, là ove sono gli Angioli, e li Santi, e la gloria di Dio, ed è appellato Paradiso; dal quale luogo è la terra molto di lunge per la sua viltà ec. » |