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Fece col senno assai e con la spada. L'altro, ch' appresso me la rena trita,

È Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce Nel mondo su dovrebbe esser gradita: Ed io, che posto son con loro in croce, Iacopo Rusticucci fui; e certo

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La fiera moglie, più ch'altro, mi nuoce. S'i' fussi stato dal fuoco coverto,

Gittato mi sarei tra lor di sotto,
E credo che 'l Dottor l'avria sofferto;

valore attribuiscono gli storici la vittoria di Carlo contro Manfredi (an. 1266). Ecco che ne scrive il Malispini, Cap. 187 della sua cronaca: E di fuori di queste schiere furono gli usciti guelfi di Fiorenza e d'altronde con tulli i Taliani, e furono qualtromila cavalieri..... dei quali era capitano il Conte Guido Guerra: Eppure il fiero Ghibellino loda que sto Conte che tenne parte guelfa, e l'ava che la speranza d'un bacio spense in sul nascere nel cuore dell'Imperatore. Altra pruova della rettitudine ed imparzialità

di Dante.

39. FECE COL SENNO ec. Fece, oprò. Il Tasso di qui tolse:

Molto egli oprò col senno e con la mano. Vedi che notammo nell'Inf. XVIII, 86.

40. TRITA dal Lat. terere consummare, sminuzzare, ridurre in particelle minutissime. (V. v. 33 not.).

41. VOCE, fama in genere, buona o caltiva nominanza. Ciò può bene inferirsi da quel verso (Inf. VII, 93):

Dandole biasmo a torto e mala voce.

poco innanzi al quale (v. 91) è adoperata la locuzione porre in croce per crocifiggere, tormentare ec. siccome in questo canto (v. 43) si dice:

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posto son con loro in croce.

cioè son posto a tormento con loro. Dove si può notare che son posto par sia equivalente a sono stato posto, e con loro a come loro. V. Inf. V, 97 e Purg. XIII, 9. Tuttavia le nozioni del presente e della compagnia rendono la frase più evidente e più schietta.

Tegghiaio Aldobrandi della casa Adimari fu prode in armi. Non valse egli a stornare i Fiorentini dall'impresa contro

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Siena, ed essi furon rotti sull' Arbia. Il suo nome, E LA SUA VOCE DOVREBBE ESSER GRADITA, rammemorando la saviezza de' suoi consigli.

43. CROCE per tormento, martirio in genere V. v. 41.

rentino di gran conto. Egli si fa da meno 44. JACOPO RUSTICUCCI, fu cavalier fioche Guidoguerra e da più che Tegghiaio Aldobrandi. Ciò rilevasi da questo, che pesta le orme del primo ed è seguito dall'altro che non pesta le sue orme, ma trita l'arena. Ecco perchè mediano tra i due parla egli solo per tutti.

45. FIERA,non umana, selvaggia, ritrosa. Amore è degli animi gentili. Le fiere lo sentono esse pure, ma sol quando vanno in frega. In questo senso il Rusticucci lamenta la ferità della sua donna.

MI NUOCE, non mi nocque; chè la pena eternale esclude altro tempo che non sia il presente.

46. Queste due terzine spiegano ciò che nel canto XV, 43 disse il Poeta:

Io non osava scender della strada ec. A noi pare che questo SCENDER dinoti atto di reverenza; e qui (v. 47) il GITTARSI sia significativo di più ardente e confidenziale affetto. Lì (XV, 44) ANDARE A PARO perchè due; qui GITTArsi tra LORO ch' eran tre, di abbracciare i quali Dante avea il desiderio grande (vv.50-51).

48. CREDO CHE 'L DOTTOR L'AVRIA SOFFERTO. Gliel facevano credere le parole dello stesso Dottore (vv. 14-18).

SOFFERTO, da SOFFRIRE, consentire, permettere, sostenere ec. V. Inf. X, 91. Le nozioni legate dal nostro Poeta al vo

Ma perch' i' mi sarei bruciato e cotto,
Vinse paura la mia buona voglia,
Che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
Poi cominciai: non dispetto ma doglia
La vostra condizion dentro mi fisse
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
Tosto che questo mio Signor mi disse
Parole, per le quali io mi pensai,
Che qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono; e sempre mai
L'ovra di voi, e gli onorati nomi
Con affezion ritrassi, ed ascoltai.

cabolo Soffrire tratte dall' idea generica del pati, ferri ec. de' latini registriamo a comodo degli studiosi di Dante, in questo luogo, dove riferiremo per citazioni gli altri.

SOFFRIRE reggere, far da sostegno Purgat. XIII, 59-60. Per lasciare, permellere, Inf. X, 91, XXVIII, 99. Purg. VI, 403. Parad. XXX, 145. Per aspettare, Inf. XXII, 70. Patire, Purg. XI, 16, XXIX, 38. Parad. VII, 44. Aver forza di sostenere, Purg. IX, 81. Parad. III, 129. XXXIII, 76. Ricevere, assorbire, Purg. V, 120. Polere, reggere a checchessia, Purg. XVI, 7. Durare, perseverare in una cosa, Purg. XVIII, 136.0diare, schivare, avere a schifo, Parad. XX, 124. SOFFRIRE odio per essere odiato, Purg. XXVIII, 73.

50. VINSE. Voce molto usitata dal nostro Poeta. Vedi ciò che dicemmo, Inf. III, 33 not.

51. GHIOTTO, bramoso. Dante non prende questa voce da' trecconi e da' tavernieri;ma per l'idea dell'istinto invincibile, che inchina ai cibi delicati e squisiti, esprime con più evidenza il desiderio che lo spingeva agli abbracciamenti de'suoi nobili compatrioti. Il forte affetto morale dipinge con la figura del possente stimolo della fame, checchè ne dica il Venturi; il quale potea riflettere che le affezioni più lontane dalla materia son significate per segni di cose sensibili. La tecnologia dell' intelligibile e le stesse idee di spirito, anima, ragione, riflessione, astrazione, pensiero ec. hanno

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egli dizioni che sien pure da ogni allusione ai fatti del mondo materiale?

58. DI VOSTRA TERRA SONO ec. Risposta adeguata alla domanda fatta dal Rusticucci nel v. 32.

SEMPRE MAI... L'OVRA DI VOI ec. con AFFEZION RITRASSI ec. con le altre parole (vv. 52, 53, 54) tolgono ogni sospetto del dispregio, in che le anime fosser potute credersi d'esser tenute, secondo è detto v. 28 e segg.

Sempre mai ec. sempre più con affezione, o con affetto sempre maggiore.

MAI è il magis de' Latini, e per enallage v'è messo l'avverbio per l'aggettivo, siccome non di rado questo tien luogo di quello. Per un esempio. Ser Pace: Assai (molti) ch' aman, e non san che sia Amore ec.

Terino da Castel fiorentino (1250):
Tegno ch'acquisti assai

Chi sa ben mantenere

Quello, c'ha primamente conquistato:
Ma ben si loda mai

Chi sa tanto valere

Che si mantegna, e migliori suo stato. Dove ben... mai è ben più, maggior

mente ec.

60. RITRASSI. Ritrarre è riferire, narrare, descrivere, come qui. Talvolta, notiamolo, significa ragunare, accumulare ec. (Inf. III, 106). Tal' altra, sebben rado incontri, ritrarre vale riprendere, biasimare. Arrigo da Settimello: Semina nelle spine colui che vuol ritrarre le ragioni della natura. I Provenz. ebbero negli stessi significati questa voce;

Lascio lo fele, e vo pei dolci pomi

Promessi a me per lo verace Duca;

Ma fino al centro pria convien ch' io tomi.

Se lungamente l' anima conduca

Le membra tue, rispose quegli allora,

E se la fama tua dopo te luca,

Cortesia e valor dì se dimora

Nella nostra città si come suole,

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ed in quest'ultimo è usata da Arnaldo di dolci pomi della virtù promessi a me Marviglia.

Tot los forfaitz e totas las clamores En que m podetz accusar ni retraire: cioè: Tutt'i ma' fatti e tutti li clamori, Di che potete accusarmi e ritrarre (riprendere, censurare).

RITRARRE per recitare, raccontare ec. spesso usò il Poeta, come nello Inferno (II, 9. IV, 145) ec. Qui evidentemente non può la voce in altro sentimento essere adoperata da lui; perciocchè RITRASSI vi sta in relazione ad ASCOLTAI: e vuol dire ch'egli con affetto parlò di que' tali e udì parlarne dagli altri. Non pare quindi che codesto ritrassi potesse interpretarsi bene per ricopiai in me come il Venturi, il Lombardi ec. (a), piuttosto rappresentai altrui, come con altra chiosa spiega lo stesso Venturi e poi il Bianchi; poichè le parole sono pittura del pensiero. Il Volpi: RITRARRE per imprimere nella memoria. E il Tommaseo: RITRASSI ec. rappresentai a me stesso per imitarla. Del Tegghiaio e del Rusticucci Dante dimandò Ciacco (Inf. VI,79 a 84) per sapere se gli attoscasse l'inferno o gli addolciasse il Paradiso; e quegli li rispose ch'eran fra le anime più nere. Il Poeta, tuttochè costoro ponesser l'ingegno a ben fare, sapendoli sodomiti gli avea già destinati per l'orribil sabbione. Nola dunque che nel ritrarre per biasimare non è strano se Dante abbia posto il pensiero.

61. LASCIO LO FELE ec. lo lascio lo fele, l'amaritudine de' vizi, e vo pei

(a) CON AFFEZION RITRASSI ED ASCOLTAI ec. Con affezione, con studio, con reverenza e diletto ritrassi, scrissi e nominai ad altrui, ed ascol tai da altre persone l'oprar di voi e gli onorati vostri nomi. Bargigi.

per lo verace Duca mio Virgilio. Bargigi. Così anche il Lombardi. Il Volpi: fele per miseria. Il Venturi: fele le amarezze dell'inferno. FELE del male, il Tommaseo. Il Bianchi conforme al Venturi chiosa: Lascio questi amari luoghi d'inferno ec. Ma, in figura, Dante lasciò la selva, di cui già disse:

Tanto è amara che poco è più morte. E qui egli propriamente non lascia 'Inferno; restandogli ancora a traversare la parte più trista. Poteva, secondo noi, dire: lascio l' Inferno, quando già fosse

sulla cima del cono infernale. I pomi dolci, per cui va il Poeta, sono i frutti della civiltà; poichè viaggia a fine di ridursi a ca per questo calle (Inf. XV, 54): pomi dolci come il fico, e non come quelli, che produconsi da' lazzi sorbi; in che son figurati le bestie fiesolane della sua terra (Inf. XV, 61-69). E come mai lo lascia, quando già dice nel verso che segue immediatamente, come gli convien tomare al centro dell'Inferno, prima che quel frutto ricolga del suo viaggio? Questa nostra interpretazione chiama intorno a sè le parziali esposizioni degli altri comentatori non consone al

uscito alle stelle scavalcato da Lucifero

l'idea genetica del Poema, e le unifica col concetto principale.

63. Тox, capitomboli, cada per discenda, cali.

64. SE, così, qui e nel v. 66. - V. Inf. X, 94 not.- CONDUCA ec. corporis viribus, animi imperio magis utimur. Sallust.

66. FAMA... LUCA. Il Tasso:
Suoni e risplenda la lor fama antica
Fatta dagli anni omai tacita e nera.

O se del tutto se n'è gito fuora?
Chè Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
Con noi per poco, e va là coi compagni,
Assai ne crucia con le sue parole.
La gente nuova, e i subiti guadagni
Orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.
Così gridai con la faccia levata:

E i tre, che ciò inteser per risposta,
Guatar l'un l'altro, come al ver si guata.

Se l'altre volte si poco ti costa,

Risposer tutti, il soddisfare altrui,
Felice te, che sì parli a tua posta!
Però se campi d' esti luoghi bui,
E torni a riveder le belle stelle,
Quando ti gioverà dicere: io fui,
Fa che di noi alla gente favelle:

69. Ne giova osservare quanto bene abbia il nostro poeta tornita la frase comune ai primi tempi del materno linguaggio: dico: Esser fuori d'alcuna cosa per Esserne privo ec.

Egli qui dice: Se il valore se n'è gito fuora della nostra città; e val quanto se delto avesse: Se la nostra città è fuora del valore cioè priva di valore, senza valore, che ha perduto il valore.

Loffo Bonaguidi:

Ed hammi fatto amante si perfetto, Ch'ogn'altro inver di me d'amore è fuora. cioè ogn' altro al paragon di me è sen

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prendere: senza che altra creata intelligenza esistesse a penetrare l'opere altissime di Dio.

Giova avere raffrontate queste locuzioni, per inferire che in questo luogo con la frase DEL TUTTO SE N'È GITO FUORA. Dante alluda al suo bando. Si considerino bene le parole vv. 69-71, da chi, a cui, e in che occasione son dette.

71. PER POCO, da poco. CON NOI SI DUOLE, è posto ad egual pena.

73 segg. L'apostrofe di questi tre versi non solo satisfa alla domanda del Rusticucci; ma ne spiega eziandio sì ricisa mente le cagioni, onde Firenze sia fuori d'ogni valore e cortesia: e la franchezza come Dante proferisce ad alta voce le sue vere parole, e l'affetto concitato che lo muove a così parlare, è ragione che gli sia detto v. 81:

Felice te che si parli a tua posta!

79. SE L'ALTRE volte sì poco TI COSTA. V. v. 73 not. Pare ciò si dica non solo per la facoltà del bel dire, ma eziandio, che alcuna volta incolse male al Poeta del non esser timido amico al vero.

82-85.Questo concetto è in gran parte tratto dai versi di Virg. (En. 1,200 seg.): O passi graviora, dabit Deus his quoque finem Vos et scyllaeam rabiem, penitusque sonantes Experti. Revocate animos, moestumque timorem Accestis scopulos; vos et cyclopia saxa Mittite: forsan et haec olim meminisse juvabit.

Indi rupper la ruota, ed a fuggirsi
Ale sembiaron le lor gambe snelle.
Un ammen non saria potuto dirsi

Tosto così, com' ei furo spariti:
Perchè al Maestro parve di partirsi..
Io lo seguiva, e poco eravam iti,

Che 'l suon dell'acqua n'era sì vicino,
Che per parlar saremmo appena uditi.
Come quel fiume, ch' ha proprio cammino
Prima da monte Veso in ver levante
Dalla sinistra costa d' Apennino,
Che si chiama Acquacheta suso, avante
Che si divalli giù nel basso letto,
E a Forlì di quel nome è vacante,
Rimbomba là sovra San Benedetto
Dall' alpe, per cadere ad una scesa,
Ove dovria per mille esser ricetto;

I quali versi sono stati poi non men leggiadramente imitati ancora dal nostro Tasso. Gerus. liber. V. st. 90-91-92. 88. UN AMMEN. Gl' italiani misuravano il tempo grossamente per lo spazio che si metteva nella recita d' un paternostro, d'un'avemmaria, d'un credo ec. Un ammen si dice in un attimo. Il Lasca Gelos. IV, 12. Entrò dentro e serrò la porta e slette là... quant'è di dire un credo. I Calabri: a nu creddu, cioè in un credo per significar subito, in un istante.

90. PARVE, ha il valore del visum est. I Latini usarono videri col terzo caso in sentimento di sembrare utile, ben fallo, opportuno. Il Macchiav. Art. della guerr. Lib. III: E' mi pare che le dieci battaglie... si pongano nel sinistro fianco. E poco dopo: Se già egli non mi paresse di metterli sollo le picche estraordinarie: il che farei o no secondo che più a proposito mi tornasse.

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le faccia mestieri al compimento della relazione. Sicchè sarà come si dicesse: che se parlato avessimo, ci saremmo udili appena. Il Nostro è notevole in questi parlari ellittici e bellissimi. Inf. IX, 11-12. Per ficcar lo viso al fondo, io non vi discernea, cioè se ficcava il viso, non vi discernea, ovvero se o comunque ficcato avessi il viso, non avrei potuto discernere ec. Vedi ciò che per noi è notato, Inf. IV, 25 not. in fine.

94. QUEL FIUME ec. Descrive mirabilmente il Po dalle sue origini alle foci,che in più larghe parole gli accurati geografi meglio forse nol descriverebbero. Al rimbombo, che fanno le acque di questo fiume divallandosi per una balza SOVRA SAN BENEDETTO, paragona il risuonare di Flegetonte, che cadea giù pel Burrato dell'ottavo giro.

99. DI QUEL NOME È VACANTE. Qui usato VACANTE al modo del vacare latino, 91-92. POCO ERAVAMO ITI... CHE. CHE che, costrutto col sesto caso, vale esser allora che, quando.

93. PER PARLAR SAREMMO APPENA UDITI. Qui ne pare il saremmo uditi tener luogo del condizionale passato, come il piuccheperfetto latino auditi essemus ec. e per parlar essere un modo che scusa qualunque inflessione del verbo, la qua

privo ec. Vuol dire, che giunto a Forlì perde il nome d'Acquacheta e si chiama Montone, dal corso impetuoso delle acque. Così dell'Archiano, Purgat. V, 97 dice: il vocabol suo diventa vano.

102. OVE hanno meglio che dove dieci codici Pucciani, il Tempiano, quattro

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