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Chè in la mente m' ċ fitta, ed or m'accuora

La cara e buona imagine paterna

Di voi nel mondo, quando ad ora ad ora
M' insegnayate come l'uom s' eterna:

85

Primamente è da considerare che Dan- re che quel popolo era la cagione onde te non era un pinzochero, nè un frate venissero agli onesti e valorosi uomini che pregasse Dio per il prolungamento scorciati i loro giorni. Movevano dall'adell'altrui vita; secondamente il verso 58 Dimo del poeta questi sfoghi contro la con quello che qui si dice non ha la sua patria; ed hanno tanto di poetico, benchè mioima connessione, e basta la quanto d'inane tra la robustezza e gravipiù lieve attenzione per esserne chiaro. là de' pensieri precedenti, uscirsene in

Se fosse pieno tutto il mio dimando è mezzo e dire : Se Dio avesse accolli i una locuzione deprecativa che vale: Così miei prieghi, voi sareste ancor vivo. foss' io pienamente appagato di quello Giaculatorie é proferenze da femmine o ch' io dimando; fosse compiuto il mio da spigolistri! desiderio, cioè di giungere alla meta del Ad afforzare il già detto facciamo rimio viaggio: come voi vivereste ancora, flettere, che il costrutto stesso non comse non foste stato anche cittadino di Fio- porta l'interpretazione contraria alla norenza, in mezzo a quel popolo che tiene stra. Imperciocchè trovandosi Brunello ancor del monte e del macigno, tra quel- già morto, Dante avrebbe dovuto dire la gente avara, invidiosa e superba la non già: se fosse pieno... il mio dimanquale dite che per mio ben fare mi si do, ma, se fosse stato pieno il mio difarà nemica. Ed infalli anche Ser Bru- mando; conciossiachè si tratti di cosa nelto esulò in Francia dopo la sconfitta passata, non mica futura (b). de' Guelfi a Montaperti addì 4 settembre Dante non isgrammaticava e al propo1260, nè fu ribandito che verso il 1269. sito ne fa fede quell'altro luogo (Iof. V): L'esiglio, il dolore di veder la sua pa

Se fosse amico il re dell'universo tria qual'egli la descrive a Dante, la me- dove non dice: se fosse stato... preghe

Noi pregheremmo lui per la tua pace moria de' torti ricevuti non gli poterono

remmo. rendere più allegri gli altri ventinove anni che visse dipoi; e morì poco più

Dippiù; che cosa era tutto il mio di

mando? Strano sarebbe intenderlo per che settuagenario si per tempo, rispetto a parecchi altri anni che avrebbe potuto do di Dante era di compire tutto il viag

tulla la mia preghiera ! Tullo il dimancampare (a). Quando Dante scriveva era esule, e

gio, non solo cioè quello dell'inferno ove forse ne' momenti più tormentosi di sua

già trovavasi; ma eziandio del Purgatovita; è quindi naturale che rispondesse rio e del Paradiso; tre viaggi parziali e al suo Maestro: E ancora voi non sareste distinti; ma che furono come parti d'un morto o non sareste morto ancora, sottin- viaggio unico e solo; tre elementi che tendendosi quante volte non fosle stato integravano la sintesi della sublime vicome me fiorentino: con che viene a di- sione. Anche Francesco Ismera (1290):

Ed io m'appago se Dio adempiessimi

La speranza, la quale io meco ho sempro.

V. Inf. X. (a) Brunetto nacque nel 1220 e probabilmente un pò prima; avendo il Biscioni trovato, che 82. Simigliante locuzione a quella di una figliuola di lui andò a marito nel 1218: Si Virgilio (En. IV, 4); haerent infixi pectiene che venisse sbandeggiato poco dopo il 4 settembre dell'anno 1260 che avvenne la rotta

tore vultus ec. de' Guelf in Montaperti. Tornò in patria verso il 1269, quando il nostro Dante, che nacque il (b) Non ignoriamo che talvolta fosse ec. im. 14 maggio 1265, era bimbo di quattro anni. Il perf. soggiuntivo si trova usato per piuccheLatini visse dipoi altri 29 anni e potette bene al perfetto; cioè per fosse stato dal fuisset de' latisuo alunno insegnare come l'uom s'eterna. So- ni; ma alle arrecate ragioni, aggiungiamo che pra tali date abbiamo appoggiato il nostro qualche eccezione non costituisce una regola, computo.

siccome un fiore non fa primavera.

E quant' io l'abbo in grado, mentre io vivo,
Convien che nella mia lingua si scerna.

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86. Ablo è da Abbere (Lat. Habere) pubblicandolo sodomita; ed interpreti le che in antico si variò nelle sue regolari parole e gli atti di riverenza usatigli cocadenze come gli altri verbi. Però si dis- me la più amara ironia (a). Ma Dante si se: abbo, abbi, abbe, abbemo, abbete, professa poeta della rettitudine: egli faabbono, nel pres. indic.; e così secondo rebbe a sè più torto che a Brunetio, sigli altri modi, tempi e persone. Si han- mulando atti e parole men che sincere. no esempi negli antichi scrittori, in poe- Il suo rispello pel Maestro è profondasia e in prosa; da farsi certo, che il no- mente sentito: ma, separando l'oro dalstro Poeta, usando abbo per ho, non ab- la scoria, non può fare che nol ponga bia creduto dir meglio, nè più ornata- tra' sodomiti; del qual vizio il Latini era mente; ma seguito l' indole nativa del lercio, come ognun sapeva ed egli stesso proprio linguaggio.

tal si confessa, quando entrato in MontFra Guill.:

pellier, e gittatosi ai piedi d'un Frate,dice Com'eo faccio e fatt'abbo.

avergli di motto in motto contato i suoi Meo Abbracciavacca:

peccati, e seguita: Tanto mess'abbo nel tuo cor lo mco.

Ahi lasso ! che corrotto Sec Manno:

Feci, quand'ebbi inteso Però inver di voi abbo gran campo.

Com'io era compreso Montuccio Fiorentino:

Di smisurati mali

Oltre che criminali!
Io spregio poi vincendo lo mal ch'abbo.
Brun. Lalini, nel Tesoretto, Cap. X:

Ch'io pensava tal cosa

Che non fosse gravosa
Io t'abbo ragionato

Ch'era peccato forte
Si ch'io t'abbo contato ec.

Più quasi che di morte. (Tesoretto)
Folgore da S. Gemignano, son.:

Questo peccato forte, dacchè dice egli Ecco prodezza che tosto lo spoglia

medesimo di se: E dice: amico, e'convien che tu mudi Perciò ch'i' vo'veder l'uomini nudi

Chè sai che siam tenuti
E vo'che sappi non abbo altra voglia.

Un poco mondanetti.
Nella vita di S. Zacch.: Or mi credi cioè, era in fama di lascivo e corrotto;

non potè altro essere, se non quello, che ch'io abbo veduto in lui opere, le quali repula di tutti il più grave tra quanti in l'ccedono ogni facollà umana.

fatto di lussuria se ne commettano: Ammaestr. ant.: Ripenso la sera a

Ma tra questi peccati quello che io lo di abbo detto.

Son vie più condannati Lucano Volgarizz, antic. Vo' sappiale

Que' che son sodomiti.

Deh come son periti bene com’io abbia avuto mercede (pielà)

Que', che contra natura delle genti ch'io abbo conquise, quando

Brigan cotal lussura ! io sono stato al di suso,ch'io potea tulle Ti sembra un santo padre quando l'ouccidere.

di cosi parlare; ma sappiamo per infiniNon è dubbio che abbia, abbi, abbia- ti esempi antichi e moderni che come mo ec, voci luttavia in onore, si parlano Seneca e Sallustio cc. furono gli oratori dalla stessa origine, onde viene abbo. di virtù che non ebbero; così molti vitu87. NELLA MIA LINGUA SI SCERNA.

perano i vizi di cui sono più sozzi. DanScerna è da secernere, sceverare,

cri

(a) Secondo verità credo, che mostrando vellando, la pula e il loglio dal frumen- Dante molto lodare Ser Brunet!o lo vuol ritupe, to, la crusca dal fiore. Pensatamente pa- rare in perpetilo di tale infamia, che oscura ed re sia dal Poeta adoperato questo voca- ammorza ogni laude, e questo fa introducendolo bolo. Egli vuole che nella sua lingua, monté parla Dante volendo essere inteso per lo

tra i peccatori contró natura. E forse ironicach'è quanto dire nelle sue parole, s' ab- contrario di ciò che dice, perocchè forse avea bia dal lettore il discernimento di di- Ser Brunetto sotto apparenza d' insegnargli stinguer cosa da cosa. V'ha chi faccia scienza volutolo indurre in alcuna scelleranza. carico a Dante d'aver mosso per l'orribil qual promette rendergli premio secondo suoi

Così ini muovo a credere, attendendo Dante, il sabbione il Maestro suo Ser Brunetto, merili. Bargigi.

es. Paol consumma

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Inf. ,

quando sa

Da lei s Ed oraz picureo, di . con le

iterare cur

Scrivo. Dento datog

La mente

Hai conto

e secondo ch le o vedute le come alise

mente o Enel Para

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Ciò che narrate di mio corso, scrivo,

E serbolo a chiosar con altro testo
A Donna, che 'l saprà, s' a lei arrivo.

90 Tanto voglio che vi sia manifesto,

Pur che mia coscienza non mi garra,

Ch' alla Fortuna, come vuol, son presto.

Non è nuova agli orecchi miei tale arra: te prosegue la Monarchia di Dio; e non Quel testo una con questo di Ser Brulascia di percuotere il vizio dove che si netto (v. 61 e segg.): trovi; fosse anche ne' papi, ne' re e nel- Ma quell'ingrato popolo maligno le persone a lui più care e congiunte di

Ti si farà, per tuo ben far nemico. parentela. Segue il consiglio di Caccia- serba Dante a farlo chiosar cioè interguida (Parad. XVII, 125-142). Il suo grido percuote le più superbe cime. Se pretare e dichiarare da Beatrice secondo così fatto non avesse per blandire agli

che Virgilio (X,130 seg.) gli avea detto:

Quando sarai dinanti al dolce raggio altrui vizi,ne sarebbe andata la sua fama:

Di quella il cui bell'occhio tutto vede
E s'io al vero son timido amico

Allor saprai di tua vita il viaggio.
Temo di perder vita tra coloro

Epperò dice IL SAPRÀ chiosare. (v.90).
Che questo tempo chiameranno antico.
88. Corso, vita; nella quale l' uomo

91. Tanto soltanto, solamente dal

latino tantum in tale significanza. Ed in non fa, se non correre continuatamente al fine. E volgare la frase : in tutto il sentenza (dal v. 88 all’96) il Poeta dice: corso della vita. Dante disse pure:

lengo a mente il vostro vaticinio e quel Nel mezzo del cammin di postra vita.

di Farinata ed è chi me gli dichiarera: Ma e Virgilio (En. IV...) disse: ma vo' solo sappiate ch'io starò saldo ai Viri et, quem dederat cursum fortuna peregi,

colpi della fortuna e de' vili. e S. Paolo (Tim. II, IV, 7): Cursum 92-93. Non mi garra ec. Son paralo consummavi, fidem servavi éc.

a sostenere le avversilà, ove non abbia Inf. X, 132. Virgilio dice a Dante: di che rimordermi la coscienza. (V. Inf. quando sarai dinanzi a Beatrice:

XXVIII, 115 segg.). Egli si dice telra-
Da lei saprai di tua vita il viaggio.
Ed Orazio, pentitosi d'essere stato E-gono ai colpi di ventura, nel Paradiso

(XVII, 19-24) alludendo proprio a quc-
picureo, dice volere riformare la sua vi-
ta, con le parole (Lib. I, 0d. XXXIV,4): Farinata. La sua vita onesta gli consente

ste predizioni faltegli da Brunetto e da iterare cursus. Scrivo. Ciò dice secondo l'insegna- dice Orazio (Lib. I, od. XXII) da cui pa

la fortezza dell'animo, secondo quel che mento datogli dal suo Duca (Inf.X.127.):

re imitata questa sentenza:
La mente tua conservi quel che udito
Hai contra te.

Integer vitae, scelerisque purus
é secondo che nella memoria le cose udi-

Non

eget Mauris jaculis neque arcu ec.

e quell'altro (Lib. III, Od. lll):
te o vedute quasi si notano per ricordar- Justum et tenacem propositi virum
le come altrove (Inf. II, 8) il Nostro dice: Non civium ardor pruva jubentium
O mente che scrivesti ciò ch'io vidi.

Non vullus instantis tyranni
E nel Paradiso (XVIII, 89 seg.):
(,

Mente quatit solida. . . . ec.
ed io notai.

94. ARRA.Mazzoni Toselli deriva questa Le parti si come mi parver dette. voce dal Basco Arra in significato di 89. CON ALTRO TESTO. Testo è pro- palma, o da hara esiglio. Nelle Memorie priamente da texo e questo da tego, cuo- celtiche, dic'egli, havvi herra, lo stesso pro. Il Poeta dice altrove (Inf. IV, 51): che harra per odio, donde il francese

E quei che intese il mio parlar coverto.
Tale fu la tessitura delle parole di che non era nuovo alle orecchie sue il

hair, odiare. Sicché Dante vuol qui dire: Messer Farinata (lof. X, 79 segg.). allu- premio o la palma che Firenze dava ai sive al duro esilio di Dante:

benemeriti cittadini, o l'odio o l'esiglio Ma non cinquanta volte fia raccesa La faccia della donna che qui regge,

che le persone virtuose si acquistavano. Che tu saprai quanto quell'arte pesa.

Altri prendono ARRA per predizione ch'è,

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95

Però giri Fortuna la sua ruota

Come le piace, e 'l villan la sua marra.
Lo mio maestro allora in su la gota

Destra si volse 'ndietro, e riguardommi;

Poi disse: bene ascolta chi la nota.
Nè per tanto di men parlando vommi

Con ser Brunetto, e dimando chi sono
Li suoi compagni più noti e più sommi.

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rispetto al fatto che doveagli incontrare, suo Alunno di aver tenuto bene a mente come un'anticipazione, una caparra o un i suoi versi latini: Superanda omnis forpegno, qual suole darsi, ancora oggi, in tuna ferendo est ( En. V.) e il Durale conferma di voler divenire alla solennilà et vobis rebus servate secundis (En. I). d'un futuro contratto.

A noi parrebbe poca modestia del ManMARRA E VILLAN son parole con le qua- tovano se così fosse; non opportunamenli allude il Poela alle beslie fiesolane di te falte le lodi a Dante di aver ricordato cui (v. 62) dice che tengono ancor del le sentenze de' savi per farne mostra con monle e del macigno.

Ser Brunetto; ed oltracciò questi luoghi 95. Nel VII, 96 di questa cantica di- servire anzi a conforto di chi già si trocesi della Fortuna:

vi involto nelle disavventure, che di coVolve sua spera, e beata si gode. lui al quale si fanno delle ingrate prediLa frase: che la fortuna volva o giri zioni. Sla nel nostro pensiere che il prosua rota o spera, dev' essere tanto anti- verbio Bene ASCOLTA CHI LA NOTA qui serca, quanto il culto prestato alla volubile va per avvertire il Fiorentino che stia deilà pagana ; ma prima di Dante avea ben sull'avviso per ciò che ha egli udito già dello Lapo degli Uberti:

dirsi dal Latini. Così nel X canto (v. 127) Ben potrai dir (tu,o Canto) ch'è la ventura data gli è delto dallo stesso Virgilio: A farti più d'onore

La mente tua conservi quel che udito Che facesse ad alcun poi (dappoiche) volse rota. Hai contra te.

Guido Cavalcanti (nota modo):
Trovar non posso a cui pietate chieggia,

Ora che questi sente ripetere a DanMercè di quel Signore (Amore)

te la stessa canzona, riassume nell'anChe gira la fortuna del dolore.

zidetto proverbio quello stesso che pri97-98. SULLA GOTA DESTRA ec. Virgi

ma aveagli dello con diverse parole. E lio in questo atto volse le spalle a Ser tutto ciò par ch' ei faccia perchè il FioBrunetio. E poichè si volse ne dà ad in- rentino non dimentichi di consultarne Iendere che sull'argine precedeva il 110

Beatrice e provvedere alla sua pace. Ed stro Poeta. (Inf.XVI.91). Quel

volgersi a egli cið fa appunto (Parad. XVII,7) quan

a deslra ben s' avvisò il Tommaseo essere

do, incuorandolo Beatrice, recita quello allo di fausto augurio (Parte fausta). La che gl' incontrò d'udire copertamente di voce RIGUARDOMMI, ch'è il respexit de'la- sua vita futura ed è Cacciaguida suo anlini,è anche solenne a tal uopo,e rincal- tenato che tutti glieli va esplicando.Danza la nota dell'illustre comentatore.

te ebbe desiderio di saperli (25):

Perchè la voglia mia saria contenta 99. BENE ASCOLTA CHI LA NOTA; Quasi D'intender qual fortuna mi s'appressa; dica fanne profillo a suo tempo; con

Chè saetta previsa vien più lenta. ciosiachè a molli, prima che provino

E per questo appunto quel che aveva il male, lor pare che molto pazienti sa- già ascoltato ben tornavagli di tenerlo

a mente. rebbero a sostenerlo; ma quando il lempo è venuto, allora più si lasciano al- 102. PIÙ SOMMI. Coi superlativi, e i terrare che gli allri. Il Venturi, il Vol- latini, e i nostri antichi scrillori del sepi, il Lombardi, il Bianchi, il Tommaseo colo aureo della lingua non ischivaron ed altri intendono che Virgilio lodi il congiugnere le particelle intensive.

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Ed egli a me: saper d'alcuno è buono;

Degli altri fia laudabile tacerci,

Che 'l tempo saria corto a tanto suono.
In somma sappi che tutti fur cherci,

E letterati grandi e di gran fama,

D'un medesmo peccato al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,

E Francesco d' Accorso anco; e vedervi,

S'avessi avuto di tal tigna brama,
Colui potei, che dal Servo de servi

Fu trasmutato d' Arno in Bacchiglione,

110

105. A TANTO suono. A rispetto del no di cader della padella nel fuoco; daplungo dire che si richiederebbe per con- poichè a salvar l'onore de' chiesastici ditare di tutti. Dunque i sommi non son cono di belle cose assai; ma fan concluquelli solo, di cui si sa il nome; ve n'eb- dere che i chercuti furon tanto di quel be altri de' quali fu laudabil cosa ta- vizio insozzati, quanto che bastasse poi cersi.

proferir quel nome per intendere antono106. Cherci. Cherici i più intendono masticamente i violenti contro natura. col Venturi e col Volpi per uomini di

108. LERCI, sozzi, maculali e corrotti. chiesa: il Vellutello ed il Rosa Morando 109. Prisciano. Grammatico soprapigliano la voce in sentimento di lelle- no, il quale essendo monaco professo, rati. I Francesi hanno clerch, e i nostri apostatò, uscendo del monastero ed abantichi usarono cherico per letlerato, e bandonando la religione. Barg. Fu di laico per idiota. Altri dissero, per auto- Cesarea di Cappodocia e visse nel VI serità del Du Fresne, clericus, essere stato colo dell'Era cristiana. un tempo preso in accezione di scola

110. Francesco d'Accorso Fiorentino, ro; ma Dante volea saper de' più sommi giurista di gran fama, e autore della (v. 102). Il Biagioli è col Vellutello che Glossa alle Leggi di Giustiniano: Morì piamente sforzossi purgare di questa nel 1229. macchia la chierisia. Al Poggiali non sembra che Dante abbia usata la voce in da prendersi anzichè per noia, come in

111. Tigna, è qui, a nostro credere, altro senso che di ecclesiastici, comun

tende la Crusca, per cosa sozza e schifoque deplori o l'atra bile del poeta contro il clero, o la depravazione di questo a quei Poeta dice altrove (Inf. XI, 60):

sa, cioè uomini tignosi e immondi. Il tempi. La più erudita esposizione è quel

Ruffian, baratti e simile lordura. la di Mazzoni Toselli. Egli deriva la vo- E TIGNA per tignosi par che dica a sice Cherco o Clerco dal Gallese Cler, che gnificare le crosie, che la pioggia del significa abile in qualunque arte, nella fuoco facea sul capo de' sodomiti. quale accettazione fu clerc nell'antico francese. Fu adoperata in lingua furbe- 114. XXX, 110, XXXIII, 87).

112. Potei, tu potevi (V. Inf. XXII, sca per professore dell'arte nefanda.

IL SERVO De' servi di Dio fu titolo di Sicché il

mentita umiltà che i papi si diedero in Sappi che tutti fur cherci non altro vuol dire, se non che:

parole, salvo sempre che per Dio non cesSappi che tutti fur sodomiti.

sassero di essere i domini dominorum. L'Imolese rincalza l'opinione del To- 113. TRASMUTATO D'ARNO IN BACCHIselli; rifiutando al vocabolo le altre si- GLIONE (cioè dal vescovado di Fiorenza a gnificanze di lellerato, o di prete o di quello di Vincenza) fu Monsignor Andrea scolaro.

de'Mozzi, anche egli rotto al vizio di Ser Ma questi valenluomini non si addan- Brunetto. Dicono colal traslocazione fat

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